Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2021-10-27, n. 202107180

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2021-10-27, n. 202107180
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202107180
Data del deposito : 27 ottobre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/10/2021

N. 07180/2021REG.PROV.COLL.

N. 03097/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOE DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3097 del 2021, proposto da
-O- in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati R S e L T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ufficio Territoriale del Governo di Benevento, Ministero dell'Interno e Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Prima) n. -O-, resa tra le parti


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Ufficio Territoriale del Governo di Benevento, del Ministero dell'Interno e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 ottobre 2021 il Cons. Ezio Fedullo e dato atto, quanto ai difensori e alla loro presenza, di quanto indicato a verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

La società -O-operante nel settore dei trasporti nazionali ed internazionali, si doleva innanzi al T.A.R. per la Campania della illegittimità della informativa ostativa antimafia adottata dalla Prefettura di Benevento con provvedimento prot. n. -O-, nonché, tra gli altri, del provvedimento di revoca dell’autorizzazione all’esercizio della professione (AEP) e cancellazione dell’Albo degli Autotrasportatori della Provincia di Benevento prot. n. -O- e del provvedimento di revoca della licenza comunitaria per l’autotrasporto internazionale di merci prot. n. -O-, alla prima consequenziali ed impugnati con motivi aggiunti.

Invero, a seguito della ricezione da parte della Prefettura di Benevento, in data 13 settembre 2018 e tramite la Banca Dati Nazionale Antimafia, della richiesta del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti - Ufficio Motorizzazione Civile di Napoli - Sezione di Benevento della richiesta di rilascio della comunicazione antimafia di cui agli artt. 84, comma 2, e 87 del d.lgs. 6 settembre 2011, n.-O- nei confronti della -O-la medesima Prefettura adottava nei confronti della predetta società il provvedimento interdittivo antimafia prot. n. -O-.

In particolare, la Prefettura rilevava che, alla data della predetta richiesta, la compagine amministrativa e proprietaria della società risultava composta da:

- -O-

- -O-

Rilevava altresì l’Autorità prefettizia che, dalle risultanze dell’interrogazione della Banca Dati Nazionale Antimafia in data 25 settembre 2018, non risultavano evidenze specifiche né sulla società né sull’amministratore unico e socio -O-, mentre nei confronti del socio -O-emergevano i seguenti pregiudizi:

- in data 5 settembre 2003, notizia di reato del Comando Provinciale – Reparto Operativo - Nucleo Investigativo di Benevento per associazione di tipo mafioso;

- in data 3 settembre 2004, notizia di reato del medesimo Ufficio di Polizia per favoreggiamento personale;

- in data 3 dicembre 2004, arresto per favoreggiamento personale ad opera del medesimo ufficio di Polizia;

-in data 23 dicembre 2004, scarcerazione dalla Casa Circondariale di Napoli Poggioreale dove il suddetto era custodito in via cautelare a seguito del predetto arresto;

- in data 29 marzo 2007, applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale;

- in data 14 luglio 2009, condanna della Corte d’Appello di Napoli per associazione di tipo mafioso ed estorsione, divenuta irrevocabile in data 25 gennaio 2012;

- in data 13 aprile 2015, affidamento in prova ai servizi sociali ex art. 47 l. n. 354/1975.

In particolare, dalla sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. -O-, divenuta irrevocabile in data 25 gennaio 2012, risultava l’operatività nell’area della -O-del clan dei-O-, che all’epoca dei fatti svolgeva attività lavorativa come autotrasportatore, aveva partecipato unitamente al capoclan -O-e altri sodali ad un incontro con alcuni imprenditori - titolari del cantiere per la realizzazione di una galleria nel territorio del Comune di Guardia Sanframondi, area di influenza della consorteria - in cui si era discusso dell’ammontare di una tangente da versare al clan in tre rate per poter lavorare in tranquillità nella zona.

Al riguardo la Corte osserva che «L’ incontro non è stato occasionale ma organizzato dai responsabili dell’organizzazione, si è svolto in un’abitazione di persona estranea, vi partecipano due imprenditori ai quali vengono rivolte richieste estorsive con toni intimidatori. Appare evidente che, se -O-è stato ammesso alla riunione, è persona di fiducia, conoscitore degli interessi dell’organizzazione e del tipo di richieste che sarebbero state avanzate, la sua presenza appare allora finalizzata a spalleggiare -O-che esplicitano le richieste intimidatorie agli imprenditori e a rafforzare la portata intimidatoria delle espressioni utilizzate». E, ancora, in relazione al suo inserimento nel clan, sottolinea che «lo svolgimento di un’attività lavorativa anche lecita non ha impedito a -O-di tessere rapporti continuativi con vari affiliati al clan», emergendo dall’ inequivoco contenuto delle conversazioni intercettate che egli « funge da factotum di -O-per il quale svolge il ruolo di autista;
mantiene i contatti fra -O-e -O-, alter ego di -O-nella zona di -O-;
gode della più incondizionata fiducia del capoclan e degli altri affiliati che con lui discutono delle questioni economiche, dei problemi derivanti dagli arresti degli affiliati e delle strategie difensive».

Tenuto conto dell’accertata applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di p.s. con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza per la durata di anni due, della condanna definitiva per il reato di estorsione continuato in concorso aggravato dalla circostanza di cui all’ art. 7 l. n. 203/1991 e del reato di associazione di tipo mafioso aggravato dalle circostanze di cui all’ art. 416 bis, commi 3, 4, 5 e 6 c. p., il Prefetto di Benevento ha quindi ritenuto sussistenti nei confronti del sig. -O-e della stessa società -O- le cause di divieto, sospensione e decadenza di cui agli artt. 67 e 84 del d.lgs. n. 159/2011.

Poiché, però, era pervenuta, tramite la Banca Dati Nazionale Antimafia, una ulteriore richiesta del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di rilascio di comunicazione antimafia ex artt. 84, comma 2, e 87 d.lvo n. 159/2011, la Prefettura di Benevento, a seguito di ulteriore consultazione della Banca Dati, rilevava che nella compagine societaria della società -O- si era verificato un mutamento, atteso che, in data 7 settembre 2018, il sig. -O-aveva ceduto la propria quota del capitale nella -O- al fratello minore --O-.

Poiché, inoltre, tra i soggetti da sottoporre a verifica, secondo la suddetta richiesta, vi era la sig.ra -O-, inserita nella struttura organizzativa della società quale “direttore tecnico come gestore dei trasporti”, la Prefettura procedeva ad un aggiornamento degli accertamenti antimafia, dal quale emergevano a carico del sig. --O- una condanna definitiva divenuta irrevocabile in data 12 marzo 2009 per i reati di detenzione, vendita e cessione illecite di sostanze stupefacenti continuati in concorso (commesso dal gennaio 2002 e fino al maggio 2002 in -O-e in -O-), una per favoreggiamento reale continuato (commesso dal gennaio 2002 e fino al maggio 2002 in -O-e in -O-) e poi per favoreggiamento personale (commesso il 9 marzo 2003 in Cerreto Sannita), nonché altri numerosi precedenti per ricettazione e utilizzo di atto falso.

La Prefettura accertava inoltre che il Direttore tecnico della -O-, sig.ra -O-, era socia all’80% nonché amministratore unico della -O-con sede in -O-(destinataria del provvedimento interdittivo del 17 giugno 2019), nonché coniugata con -O-, anch’egli socio al 20% della C.M.P., arrestato nell’ambito dell’operazione “-O-” e condannato per concorso esterno in associazione mafiosa e per alcuni episodi estorsivi aggravati ex art.7 l. n.203/1991 con la citata sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. -O-, passata in giudicato il 25 gennaio 2012.

Secondo quanto ulteriormente risultante dal verbale relativo alla riunione del Gruppo Interforze Antimafia del 10 febbraio 2020, richiamato dal provvedimento interdittivo, <<gli elementi ostativi già emersi nei confronti dell’ex socio -O-non sono neutralizzati nell’ attualità dall’intervenuto mutamento della compagine societaria per il rilievo che assume, nel caso in esame, la caratterizzazione della -O- come impresa con base sociale e con sistema amministrativo e gestionale esclusivamente familiare, in cui i legami parentali costituiscono il tessuto stesso dell’azienda, sia per la struttura elementare della società composta di due soli soci (di cui uno anche amministratore) e sia per la circostanza che come attualmente i soci sono legati da vincoli coniugali e di convivenza, analogamente, prima che ad un fratello subentrasse l’ altro, il precedente socio era cognato dell’amministratore unico e socio -O-. (…) la cessione delle quote, oltre che operata con fondata probabilità al fine di porre al riparo la società dalle conseguenze pregiudizievoli connesse alla titolarità delle stesse in capo a soggetto interdetto a fini antimafia, non ha di fatto comportato, proprio perché avvenuta fra i due fratelli, la dismissione dell’attività imprenditoriale da parte della famiglia -O-, cui la società resta comunque evidentemente riconducibile anche alla luce della permanenza nelle qualità di socio e amministratore della cognata/moglie, circostanza che evidenzia una comunanza di interessi economici e imprenditoriali all’ interno della famiglia stessa, e che, quindi, non attenua la valenza sintomatica del pericolo di infiltrazione mafiosa delle indiscutibili cause interdittive già riscontrate a carico di -O--O-. (…) ulteriore elemento di fatto rilevante ai fini del giudizio prognostico di pericolo di condizionamento della criminalità organizzata nell’attività dell’impresa è costituito dalla presenza nella compagine gestionale quale direttore tecnico della sig.ra -O-, titolare di impresa già, a sua volta, complita da interdittiva antimafia nonché moglie convivente di -O-, definitivamente condannato come -O-per i medesimi titoli di reato e con la medesima sentenza essendo entrambi affiliati al medesimo clan -O-”.

Invero, come si evince dal provvedimento interdittivo, la sig.ra -O- è amministratore unico e socio della -O-, con sede legale in -O-, nei cui confronti la Prefettura, nel rigettarne l’istanza di iscrizione nella white list, ha adottato informazione interdittiva antimafia -O-: detto provvedimento, evidenzia la Prefettura, è allo stato valido ed efficace, avendo il T.A.R. della Campania respinto con ordinanza -O- la relativa istanza di sospensione cautelare, e trova fondamento, unitamente ad una serie di altre circostanze, nella condanna per concorso esterno in associazione mafiosa e per episodi estorsivi aggravati ex art. 7 della L. n.203/1991 pronunciata con sentenza della Corte d’ Appello di Napoli n. -O- a carico di -O-, socio e unico dipendente della predetta -O-. nonché marito convivente dell’ amministratore unico e socio di maggioranza.

Si afferma altresì nel provvedimento interdittivo che l’ex socio -O-e il coniuge convivente del direttore tecnico, -O-, risultano coimputati e condannati nell’ambito dello stesso procedimento penale e per i medesimi titoli di reato, essendo entrambi appartenenti al clan -O-e, come giudiziariamente accertato, correi in almeno un fatto estorsivo, evincendosi inoltre, dalla citata sentenza, che all’incontro, prima richiamato, per imporre la tangente agli imprenditori estorti parteciparono, fra gli altri, il capoclan -O-, il -O-e il -O-, che ne fu, in particolare, tramite ed organizzatore.

Si afferma inoltre nel citato verbale del G.I.A. che “le vicende societarie della -O- evidenziano una sostanziale linea di continuità nella gestione dell’impresa in quanto seppure “depurata” dal precedente socio, acclaratamente mafioso, si avvale poi di un direttore tecnico legato ad altro soggetto ugualmente affiliato a clan camorristico. (…) sussiste una permanente e immutata probabilità che -O-influisca tuttora sulle scelte e gli indirizzi dell’impresa in considerazione degli inscindibili rapporti di stretta parentela con il fratello -O-e di affinità con la moglie di quest’ultimo -O- nonché, ancora, della presenza nella compagine gestionale della sig.ra -O-, moglie convivente di soggetto come lui affiliato al medesimo clan camorristico. (…) i precedenti penali a carico dell’attuale socio --O-, seppure di modesta rilevanza per spessore quanti-qualitativo, sia per l’entità delle pene comminate che per la natura dei reati, e pur non qualificandosi come reati-spia, sono da ritenersi fattispecie delittuose che depongono per l’esistenza di una intima connessione con circuiti criminali potenzialmente riferibili anche alla criminalità organizzata e denotano, comunque, una complessiva condotta di vita contrassegnata da reiterata e prolungata inclinazione all’ illegalità che costituisce humus favorevole a possibili comportamenti di contiguità o soggiacenza a organizzazioni criminali da cui possa anche in modo indiretto essere condizionato, agevolandone le attività criminose. È ben noto, infatti, che la criminalità organizzata persegue i propri interessi economici non solo avvalendosi di soggetti organici o affiliati ad essa ma anche e sempre più spesso di soggetti compiacenti, cooperanti e collaboranti nelle più varie forme e qualifiche imprenditoriali, sia attivamente, per interessi economici, e sia passivamente, per omertà o, non ultimo, per timore della sopravvivenza propria o della propria impresa”.

La Prefettura conclude quindi che le evidenze giudiziarie citate unitamente ai predetti elementi di fatto, ovvero, riassuntivamente, la originaria presenza nella compagine sociale di soggetto attinto da sentenza irrevocabile di condanna per associazione di stampo mafioso, la modifica dell’assetto proprietario attraverso la cessione delle quote da parte di questi al proprio fratello, i vincoli parentali che legano fra loro sia i precedenti soci, sia gli attuali soci che il cedente e il cessionario delle quote con conseguente condivisione degli interessi economici, la composizione esclusivamente familiare della società, indici tutti che inducono a ritenere che l’impresa abbia di fatto una conduzione collettiva e una regia familiare, e, ancora, la presenza nella compagine gestionale del direttore tecnico coniuge convivente di un soggetto affiliato al medesimo clan dell’ex socio nonché, infine, la condotta di vita border line dell’attuale socio e coniuge convivente dell’amministratore unico/socio, consentono di ritenere, sulla scorta del criterio del «più probabile che non», che la -O- sia esposta a fondato pericolo di infiltrazione da parte della criminalità organizzata, potendo, anche in modo indiretto agevolarne le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata.

Mediante la sentenza appellata, il T.A.R. adito in primo grado ha ravvisato l’infondatezza delle plurime censure formulate, con il ricorso introduttivo del giudizio ed i successivi motivi aggiunti, dalla parte ricorrente al fine di dimostrare l’illegittimità del provvedimento interdittivo e dei successivi e consequenziali provvedimenti revocatori (dei titoli abilitativi posseduti dalla medesima ricorrente ai fini dell’esercizio dell’attività di autotrasporto).

L’originaria ricorrente, nelle vesti di odierna appellante, si propone quindi di conseguire la riforma della sentenza appellata, di cui lamenta, sotto plurimi profili che si passa subito ad esaminare, l’erroneità.

Si sono costituiti in giudizio, per resistere all’appello, l’Ufficio Territoriale del Governo di Benevento, il Ministero dell’Interno ed il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

Col primo motivo di appello, essa censura la sentenza appellata nella parte in cui ha escluso rilievo invalidante alla mancata attivazione, propedeuticamente all’adozione dell’impugnato provvedimento interdittivo, del contraddittorio procedimentale, con particolare riguardo all’adempimento comunicativo di cui all’art. 7 l. n. 241/1990, asseritamente prescritto come inderogabile dalla normativa nazionale ed euro-unitaria.

Deve premettersi che il T.A.R., al fine di respingere la censura in esame, ha:

- preliminarmente richiamato l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui “nei procedimenti amministrativi in materia di antimafia non sono previsti né la comunicazione di avvio, di cui all’art. 7 e 10bis della l. n. 241 del 1990 né le altre ordinarie garanzie partecipative, avendosi riguardo a procedimenti in materia di tutela antimafia, come tali intrinsecamente caratterizzati da profili del tutto specifici connessi ad attività di indagine, oltre che da finalità, da destinatari e da presupposti incompatibili con le procedure partecipative, nonché da oggettive e intrinseche ragioni di urgenza (TAR Campania, sez. I, 10 febbraio 2020, n. 628 che richiama Cons. St., sez. III, 30 novembre 2017, n.5623;
sez. III, 28 ottobre 2016, n. 4555;
TAR Campania, sez. I, 20 maggio 2019, n. 2654)”;

- richiamato, in particolare, la decisione di questa Sezione (n. 820 del 31 gennaio 2020) nella parte in cui ha affermato che “l’assenza di una necessaria interlocuzione procedimentale in questa materia non costituisca un vulnus al principio di buona amministrazione, perché, come la stessa Corte UE ha affermato, il diritto al contraddittorio procedimentale e al rispetto dei diritti della difesa non è una prerogativa assoluta, ma può soggiacere a restrizioni, a condizione che «queste rispondano effettivamente a obiettivi di interesse generale perseguiti dalla misura di cui trattasi e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti» (sentenza della Corte di Giustizia UE, 9 novembre 2017, in C-298/16, § 35 e giurisprudenza ivi citata) e, in riferimento alla normativa italiana in materia antimafia, la stessa Corte UE, seppure ad altri fini (la compatibilità della disciplina italiana del subappalto con il diritto eurounitario), ha di recente ribadito che «il contrasto al fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici costituisce un obiettivo legittimo che può giustificare una restrizione alle regole fondamentali e ai principi generali del TFUE che si applicano nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici» (Corte di Giustizia UE, 26 settembre 2019, in C-63/18, § 37)”.

La parte appellante, al fine di sollecitare un diverso pronunciamento del giudice di appello, richiama essenzialmente le pronunce della Corte giustizia UE (Sez. IX, ord. 28 maggio 2020, C-17/20, MC) e del Consiglio di Stato (Sez. III, n. 4979 del 10 agosto 2020) intese ad affermare, rispettivamente, che “il principio del rispetto dei diritti della difesa (…)costituisce un principio generale del diritto dell’Unione che trova applicazione quando l’amministrazione intende adottare nei confronti di una persona un atto che le arrechi pregiudizio” e che “un quantomeno parziale recupero delle garanzie procedimentali, nel rispetto dei diritti di difesa spettanti al soggetto destinatario del provvedimento, sarebbe auspicabile, de iure condendo, in tutte quelle ipotesi in cui la permeabilità mafiosa appaia alquanto dubbia, incerta, e presenti, per così dire, delle zone grigie o interstiziali, rispetto alle quali l’apporto procedimentale del soggetto potrebbe fornire utili elementi a chiarire alla stessa autorità procedente la natura dei rapporti tra il soggetto e le dinamiche, spesso ambigue e fluide, del mondo criminale”.

Il motivo è inammissibile.

Deve infatti osservarsi che esso non è portatore di alcun contenuto critico nei riguardi della statuizione reiettiva recata in parte qua dalla sentenza appellata, laddove in particolare riconosce, anche sulla scorta di pertinenti riferimenti giurisprudenziali di matrice europea, al perseguimento di interessi di carattere generale, come quello (sotteso al procedimento in esame) inerente al contrasto della capacità pervasiva che le organizzazioni criminali manifestano storicamente nei confronti del sistema economico pubblico e privato, l’attitudine giustificativa di deroghe alle garanzie procedimentali ordinariamente previste dal legislatore.

Del resto, anche questo giudice, recentemente pronunciatosi sul tema (e non senza omettere di evidenziare che la decisione richiamata dalla parte appellante, a sostegno delle sue deduzioni sul punto, oltre a riferirsi ai casi in cui “la permeabilità mafiosa appaia alquanto dubbia, incerta, e presenti, per così dire, delle zone grigie o interstiziali” – sulla cui corrispondenza alla fattispecie in esame alcuna allegazione viene formulata dalla parte appellante – esprime un mero auspicio “de iure condendo”), ha recentemente evidenziato quanto segue:

“è consolidata la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato nell’affermare che l’Amministrazione è esonerata dall’obbligo di comunicazione, di cui all’art. 7 della l. 7 agosto 1990, n. 241, nonché dalle altre garanzie partecipative, relativamente all’informativa antimafia, «atteso che si tratta di procedimento in materia di tutela antimafia, come tale intrinsecamente caratterizzato da profili del tutto specifici connessi ad attività di indagine, oltre che da finalità, da destinatari e da presupposti incompatibili con le procedure partecipative, nonché da oggettive e intrinseche ragioni di urgenza» (v., ex plurimis , Cons. St., sez. III, 28 ottobre 2016, n. 4555). Si è costantemente affermato, dunque, che, ai fini dell’adozione dell’interdittiva antimafia, non occorre la comunicazione di avvio del procedimento, previsto dall’art. 7 della L. n. 241 ovvero il preavviso di rigetto, previsto dall’art. 10 - bis della stessa legge, poiché i procedimenti in materia di tutela antimafia sono tipicamente connessi ad attività di indagine giudiziaria e caratterizzati da ragioni di urgenza e da finalità, destinatari e presupposti incompatibili con le ordinarie procedure partecipative. Questo Consiglio di Stato, nelle sentenze n. 820 del 31 gennaio 2020 e n. 2854 del 26 maggio 2020, ha affermato che - ferma rimanendo ogni competenza della Corte di Giustizia UE sulla compatibilità della normativa italiana con il diritto eurounitario (che peraltro è stato esaminato nel modo sopra riportato) - il procedimento finalizzato all’emissione dell’informazione antimafia non sconta una totale assenza di contraddittorio, nel nostro ordinamento, ma conosce una interlocuzione solo eventuale, prevista dall’art. 93, comma 7, d.lgs. n. 159 del 2011, secondo cui il Prefetto competente al rilascio dell’informazione, ove lo ritenga utile, sulla base della documentazione e delle informazioni acquisite, invita in sede di audizione personale i soggetti interessati a produrre, anche allegando elementi documentali, ogni informazione utile. In particolare, la Sezione, con sentenza del 31 gennaio 2020, n. 820, ha ritenuto che l’assenza di una necessaria interlocuzione procedimentale in questa materia non costituisca un vulnus al principio di buona amministrazione, perché, come sopra ricordato, la discovery anticipata, già in sede procedimentale, di elementi o notizie contenuti in atti di indagine coperti da segreto investigativo o in informative riservate delle forze di polizia, spesso connessi ad inchieste della magistratura inquirente contro la criminalità organizzata di stampo mafioso e agli atti delle indagini preliminari, potrebbe frustrare la finalità preventiva perseguita dalla legislazione antimafia, che ha l’obiettivo di prevenire il tentativo di infiltrazione da parte delle organizzazioni criminali, la cui capacità di penetrazione nell’economia legale ha assunto forme e “travestimenti” sempre più insidiosi. Ed ancora, la delicatezza della ponderazione intesa a contrastare in via preventiva la minaccia insidiosa ed esiziale delle organizzazioni mafiose, richiesta all’autorità amministrativa, può comportare anche un’attenuazione, se non una eliminazione, del contraddittorio procedimentale, che del resto non è un valore assoluto, come - si è detto - ha pure chiarito la Corte di Giustizia UE nella sua giurisprudenza (cfr. Corte cost., sent. n. 309 del 1990 e sent. n. 71 del 2015), o slegato dal doveroso contemperamento di esso con interessi di pari se non superiore rango costituzionale, né un bene in sé, o un fine supremo e ad ogni costo irrinunciabile, ma è un principio strumentale al buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e, in ultima analisi, al principio di legalità sostanziale (art. 3, comma secondo, Cost.), vero e più profondo fondamento del moderno diritto amministrativo (Cons. St., sez. III, 9 febbraio 2017, n. 565). V - Sulla questione sottoposta al giudice comunitario, poi, la Corte di giustizia UE, sez. IX, con ordinanza del 28 maggio 2020 (causa C-17/20), nella menzionata causa, si è pronunciata con una decisione in rito, dichiarando irricevibile la domanda proposta dal T.A.R. Puglia. La CGUE ha richiamato i giudici nazionali alla scrupolosa osservanza dell’art. 53, par. 2, del regolamento di procedura in occasione della decisione sul rinvio pregiudiziale in tema di contraddittorio endoprocedimentale, nel caso di specie inerente all’emanazione dell’informazione interdittiva antimafia. Tuttavia, la stessa Corte UE ha affermato che il diritto al contraddittorio procedimentale e al rispetto dei diritti della difesa non è una prerogativa assoluta, ma può soggiacere a restrizioni, a condizione che «queste rispondano effettivamente a obiettivi di interesse generale perseguiti dalla misura di cui trattasi e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti» (sentenza della Corte di Giustizia UE, 9 novembre 2017, in C-298/16, § 35 e giurisprudenza ivi citata) e, in riferimento alla normativa italiana in materia antimafia, la stessa Corte UE, seppure ad altri fini (la compatibilità della disciplina italiana del subappalto con il diritto eurounitario), ha di recente ribadito che «il contrasto al fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici costituisce un obiettivo legittimo che può giustificare una restrizione alle regole fondamentali e ai principi generali del TFUE che si applicano nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici» (Corte di Giustizia UE, 26 settembre 2019, in C-63/18, § 37)” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, n. 3194 del 20 aprile 2021).

Con il successivo motivo di appello, la società appellante allega che il T.A.R. ha ravvisato l’infondatezza della censura intesa a lamentare la carenza dell’attualità del pericolo di condizionamento mafioso, alla luce della risalenza nel tempo degli eventi pregiudizievoli rilevati a carico dell’ex socio sig. -O- -O-.

Deduce più specificamente, in proposito, la parte appellante che il reato associativo è stato contestato al solo -O- -O-nell’ormai lontanissimo 2003, laddove il ragionamento svolto dal T.A.R., nel senso di attribuire rilievo al passaggio in giudicato della condanna della Corte d’Appello, emanata peraltro in data 14 luglio 2009 ed all’affidamento in prova ai servizi sociali del suddetto in data 13 arile 2015, ai sensi dell’art. 47 l. n. 354/1975, si tradurrebbe nella sostanziale duplicazione degli elementi in forza dei quali il Prefetto può valutare la sussistenza dei pericolo di condizionamento.

La parte appellante contesta anche l’affermazione del T.A.R. secondo cui la cessione delle quote societarie, nel 2018, da parte del sig. -O-ed a favore del fratello -O-non rileverebbe quale fattore di cesura tra il cedente e la società, trattandosi di società “con base sociale e con sistema amministrativo e gestionale esclusivamente familiare, in cui i legami parentali costituiscono il tessuto stesso dell’azienda sia per la struttura elementare composta da due soli soci e sia perché gli stessi sono legati da vincoli coniugabili e di convivenza”: deduce in chiave critica la parte appellante che la presenza del socio -O-nella società era “solo formale e rispondente al desiderio del fratello di una dimensione imprenditoriale familiare”, come proverebbe il fatto che il primo, pur svolgendo l’attività di autista, non aveva mai scelto di lavorare per la propria azienda ma piuttosto di essere dipendente, a tempo pieno e indeterminato, fin dal 2017 (anno della sua liberazione) e a tutt’oggi, della diversa azienda di autotrasporti -O- -O-, alla quale è legato da regolare contratto di lavoro.

Al riguardo, la parte appellante evidenzia che la superficialità dell’analisi degli elementi di fatto operata dal T.A.R. emergerebbe anche dalla affermazione, ugualmente contenuta nella sentenza appellata, secondo cui il sig. -O- -O-, indipendentemente dalla qualità di socio, avrebbe intrattenuto con la società un rapporto di lavoro dipendente.

Infine, nell’ambito del motivo di appello in esame, la parte appellante deduce che la carenza istruttoria e motivazionale del provvedimento interdittivo si evince sia sotto il profilo della carenza del necessario requisito di attualità del pericolo di condizionamento, sia in relazione alla insufficienza, come ritenuto dalla costante giurisprudenza, dei legami parentali al fine di fondare la prognosi di permeabilità criminale dell’organismo societario.

Il motivo di appello, nella complessiva articolazione che si è innanzi tratteggiata, non può essere accolto.

Deve premettersi che la tesi attorea non manca di persuasività, laddove pone in evidenza che, ai fini della ricognizione del pericolo di condizionamento e delle sue connotazioni temporali, rilevano – laddove oggetto di attenzione da parte del giudice penale - le vicende storiche espressive della contiguità criminale dell’interessato, piuttosto che i provvedimenti giurisdizionali che le abbiano prese in considerazione (ai fini dell’accertamento della responsabilità del loro autore o dell’adozione di misure incidenti sullo status libertatis del medesimo): deve invero osservarsi che i provvedimenti dell’autorità giudiziaria penale assumono rilievo, ai fini delle valutazioni preventive demandate al Prefetto, non in sé (con la conseguente irrilevanza, al suddetto fine, del momento della loro adozione), ma per il contenuto storico-rappresentativo che le caratterizzi, ferma restando la necessità che il fuoco dell’apprezzamento prefettizio si concentri sul fatto storico-comportamentale oggetto di rappresentazione, nella sua originaria dimensione temporale.

Tale rilievo induce quindi ad assumere, quale dato di partenza dell’analisi prefettizia ed ai fini della verifica della perdurante attualità del pericolo di condizionamento (la quale è insita nella natura della funzione preventiva, essendo contraria alla sua ratio – intesa, appunto, a devitalizzare il pericolo di condizionamento imprenditoriale, in una prospettiva rivolta al futuro – l’assunzione a giustificazione della misura de qua di fatti che tale pericolo non siano (più) idonei ad esprimere), l’epoca di consumazione delle condotte criminose (o comunque di realizzazione dei fatti indicativi di contiguità criminale).

Le considerazioni che precedono, tuttavia, non sono risolutive ai fini del conclusivo e completo accoglimento, ai fini della riforma (non solo da un punto di vista motivazionale) della sentenza appellata, delle deduzioni di parte appellante.

Deve osservarsi, in via preliminare, che l’esigenza di attualizzazione del pericolo di condizionamento mafioso emerge, nella fattispecie in esame, in una duplice prospettiva, venendo in rilievo, da un lato, con riguardo alla posizione dell’ex socio sig. -O- -O-(al fine di verificare se lo stesso possa tuttora – recte , alla data di adozione del provvedimento interdittivo – ragionevolmente ritenersi veicolo dell’infiltrazione mafiosa), dall’altro lato, in relazione al rapporto tra il suddetto e la società interdetta (al fine di accertare se essa sia ancora esposta al pericolo di condizionamento di cui sia portatore il sig. -O-).

Sempre in via preliminare, deve ricordarsi che le coordinate elaborate dal giudice amministrativo al fine di orientare l’interprete nella verifica del requisito de quo si trovano tracciate dalla giurisprudenza (invero richiamata dalla stessa parte appellante) che ha rilevato, “quanto alla possibilità di attribuire rilevanza a fatti risalenti nel tempo”, che “l’attualità dell’indizio (o del fatto di reato o del tempo dell’indagine penale) non è condizione richiesta dalla norma e che, anche sul piano logico, il mero decorso del tempo, di per sé solo, non implica la perdita del requisito dell’attualità del tentativo di infiltrazione mafiosa, purché dall’analisi del complesso delle vicende esaminate emerga, comunque, un quadro indiziario idoneo a giustificare il necessario giudizio di attualità e di concretezza del pericolo di infiltrazione mafiosa nella gestione dell’attività di impresa (Consiglio di Stato sez. III, 17/12/2020, n. 8134;
16 maggio 2017, n. 2327;
id. 5 febbraio 2016, n. 463). Con riguardo a tale profilo dell’attualità e concretezza del pericolo desumibile da fatti risalenti, il Collegio osserva che l’infiltrazione mafiosa, per la natura stessa delle organizzazioni criminali dalla quale promana e per la durevolezza dei legami che essi instaurano con il mondo imprenditoriale, ha una stabilità di contenuti e, insieme, una mutevolezza di forme, economiche e giuridiche, capace di sfidare il più lungo tempo e di occupare il più ampio spazio disponibile (Cons. Stato, Sez. III, n. 4657/2015)” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, n. 4293 del 4 giugno 2021).

Ebbene, iniziando dal primo profilo dell’analisi, deve osservarsi che la condanna per il reato associativo di cui all’art. 416 bis c.p. dimostra il possesso da parte del condannato di una propensione criminale che travalica la temporalità dell’evento criminoso e che è destinata a proiettarsi al di là della sua statica dimensione storica.

Non si tratta di attribuire al condannato un “marchio” indelebile, la cui efficacia superi anche i confini temporali della sanzione penale, ma di prendere atto della peculiare conformazione fenomenica del reato associativo di carattere mafioso, il quale si caratterizza per i connotati di stabilità e continuità del legame associativo, che attestano il carattere non episodico della inclinazione criminale del partecipe.

Né può negarsi che alla concretizzazione della caratura criminale del soggetto condannato – quindi, alla valutazione della perdurante attualità del pericolo di condizionamento mafioso di cui il medesimo sia portatore – concorrano le concrete modalità della condotta associativa, siccome indicative della intensità del legame intrattenuto dall’affiliato con la consorteria, le quali, nella fattispecie in esame e come emerge dal provvedimento interdittivo impugnato, assumono toni particolarmente allarmanti, ove si consideri – riproducendo i pertinenti passaggi motivazionali dello stesso - che «lo svolgimento di un’attività lavorativa anche lecita non ha impedito a -O-di tessere rapporti continuativi con vari affiliati al clan», emergendo dall’ inequivoco contenuto delle conversazioni intercettate che egli « funge da factotum di -O-per il quale svolge il ruolo di autista;
mantiene i contatti fra -O-e -O-, alter ego di -O-nella zona di -O-;
gode della più incondizionata fiducia del capoclan e degli altri affiliati che con lui discutono delle questioni economiche, dei problemi derivanti dagli arresti degli affiliati e delle strategie difensive».

Quanto invece al secondo profilo dell’analisi “attualizzante”, inerente al rapporto tra il soggetto controindicato e la società interdetta, viene in rilievo, quale oggetto delle censure attoree, la parte della sentenza appellata in cui si afferma che non “può ritenersi che la cessione delle quote operata (dal sig. -O- -O-, n.d.e. ) in favore del proprio fratello, invocata anche con il primo ricorso per motivi aggiunti, abbia introdotto una qualche apprezzabile cesura con la società, tenuto conto che, come confermato anche dal provvedimento del Tribunale di Napoli di rigetto dell’istanza di controllo giudiziario sopra citata, che la -O- costituisce un’impresa con base sociale e con sistema amministrativo e gestionale esclusivamente familiare, in cui i legami parentali costituiscono il tessuto stesso dell’azienda sia per la struttura elementare composta da due soli soci e sia perché gli stessi sono legati da vincoli coniugali e di convivenza;
prima che un fratello subentrasse all’altro, il precedente socio era comunque cognato dell’amministratore unico e socio -O-. La qualità di socio del sig. -O--O-, con partecipazione al 50% delle quote fin dalla data di costituzione della società, smentisce per tabulas l’assunto difensivo secondo cui il rapporto fra l’ex socio e la società odierna ricorrente non sarebbe mai sostanzialmente esistito e certamente non prova il contrario la circostanza che quest’ultimo abbia intrattenuto con la ricorrente anche un rapporto di lavoro dipendente”.

Ebbene, ritiene la Sezione che l’ordito argomentativo della sentenza appellata non mostri alcuna fragilità a fronte delle deduzioni della parte appellante intese a porre in risalto, sul piano concreto, il carattere meramente “formale” della posizione assunta dal sig. -O- -O-nella compagine societaria, come sarebbe dimostrato dal rapporto di lavoro dal medesimo intrattenuto con diversa impresa operante nel settore dell’autotrasporto (e non, come asserito dal giudice di primo grado, con la stessa società interdetta), e, sul piano generale, l’irrilevanza dei meri legami parentali al fine di avvalorare il pericolo di condizionamento.

Deve invero osservarsi, in senso contrario, che la sostanziale estraneità del sig. -O- -O-alla gestione societaria costituisce oggetto di mera affermazione, non potendo ritenersi che questa trovi un riscontro probatorio nel rapporto lavorativo che il suddetto, quale autista, ha con altra azienda operante nel settore de quo ovvero in un evanescente “desiderio del fratello di una dimensione imprenditoriale familiare”.

Non può non osservarsi invero, da un punto di vista generale, che il rapporto associativo e quello lavorativo afferiscono evidentemente a piani diversi, sì che la titolarità (effettiva e non meramente formale) del primo non è incompatibile con l’esistenza (anche presso altro datore di lavoro) del secondo, da un punto di vista concreto, che il rapporto di lavoro del sig. -O- -O-ha avuto inizio, come si evince dal modello Unilav depositato in giudizio dalla parte appellante, in data 5 dicembre 2017, mentre il concreto inizio dell’attività imprenditoriale da parte della società -O- è databile 14 dicembre 2018, come si evince dalla visura camerale dalla stessa prodotta, con la conseguenza che l’instaurazione del rapporto di lavoro da parte del suddetto con altro operatore del settore trova ( recte , può trovare) logica spiegazione nella inoperatività, alla data della stessa, dell’azienda “di famiglia”, secondo la ricostruzione dei legami familiari-aziendali fatta dalla Prefettura e recepita dalla sentenza appellata.

In tale quadro (di conduzione familiare dell’impresa di autotrasporto), non inficiato come si è visto dalle deduzioni attoree, la cessione delle quote di partecipazione da parte del sig. -O- -O-ed a favore del fratello risulta quindi affatto indicativa di una effettiva e “spontanea” “cesura” tra la gestione societaria ante e post cessione, tale da “spezzare” il legame familiare-aziendale tra il primo e la società interdetta sulla scorta del quale l’organo prefettizio ha ricostruito le basi del perdurante pericolo di condizionamento della seconda ad opera della criminalità organizzata.

Deve solo aggiungersi, al fine di concludere l’esame del motivo di appello, che proprio l’impronta “familiare” dell’assetto organizzativo e gestionale della società interdetta, argomentata dal provvedimento interdittivo e non adeguatamente confutata dalla parte appellante, integra il “quid pluris” che la giurisprudenza invocata dalla parte appellante, ed innanzi richiamata, richiede al fine di riconoscere ai legami parentali valore indiziante del pericolo di condizionamento.

A questo riguardo, vale la pena precisare che la prospettiva prefettizia trova plausibile quanto oggettivo fondamento nella “triangolazione” organizzativa che ha caratterizzato l’evoluzione della struttura associativa della società interdetta, in base alla quale nel rapporto associativo primigenio tra il sig. -O- -O-(titolare del 50% del capitale sociale) e la sig.ra -O- (titolare del restante 50% oltre che amministratrice), legati da vincolo di affinità, è subentrato, in sostituzione del primo, il fratello (e coniuge della sig.ra -O-) -O-.

Gli ulteriori appunti critici mossi dalla parte appellante alla sentenza appellata convergono sui passaggi motivazionali dedicati alla posizione della sig.ra -O-, laddove il T.A.R. ha rilevato che “il direttore tecnico è figura di rilievo a fini antimafia, essendo uno dei soggetti da verificare obbligatoriamente ai fini del d.lgs. n. 159/2011” e che la suddetta “costituisce l’anello di congiunzione fra l’ex socio -O-e il coniuge -O-, entrambi affiliati al medesimo clan secondo quanto emerge dalle risultanze giudiziarie versate in atti”, aggiungendo che “come rilevato dalla resistente Amministrazione, i distinti settori di attività dell’impresa ricorrente e della -O-non giustificano plausibilmente sotto il profilo professionale l’inserimento dell’amministratrice di una società di costruzioni, qual è la -O-in una società, la -O-, che opera nell’ambito degli autotrasporti con la funzione di direttore tecnico. La fuoriuscita della sig.ra -O- dalla società ricorrente è poi avvenuta solo dopo la notifica dell’interdittiva impugnata, nel verosimile tentativo di aggirarne uno dei motivi, quasi come se fosse stata fino ad allora ignara dei comuni trascorsi giudiziari di -O-e -O-”.

Deduce al riguardo la parte appellante che: l’informativa antimafia che ha colpito l’impresa di cui la -O- era titolare è stata impugnata con ricorso innanzi al medesimo T.A.R. Campania – Napoli, tuttora pendente;
l’avvenuto allontanamento della sig.ra -O- dalla società ha un significato di evidente dissociazione da qualsiasi presunzione di pregresso o di attuale condizionamento derivante dal ruolo ricoperto dalla stessa all’interno della compagine sociale;
anche in riferimento al sig. -O- risultano condanne per fatti risalenti a più di 10 anni fa, con conseguente difficoltà di corroborare il parametro dell’attualità del pericolo di condizionamento della compagine societaria.

Nessuno dei suindicati rilievi è suscettibile di positivo apprezzamento da parte di questo giudice di appello.

Deve infatti osservarsi, con distinto riferimento a ciascuno di essi, che:

- la pendenza del giudizio avverso l’interdittiva (la cui udienza di merito è stata celebrata in data 6 ottobre 2021 dinanzi al T.A.R. per la Campania) non impedisce all’Amministrazione di ricavare elementi di supporto della prognosi interdittiva dalla adozione di analogo provvedimento nei confronti della società di cui il direttore tecnico di quella in esame è amministratore. Peraltro, non può trascurarsi di considerare che il T.A.R., nel disattendere la domanda cautelare avanzata avverso il provvedimento interdittivo che l’ha colpita dalla società -O-non ha omesso di valutare negativamente il profilo del fumus boni iuris (recitando l’ordinanza cautelare reiettiva n. 1544/2019 come segue:

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