Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-05-02, n. 202304456

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-05-02, n. 202304456
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202304456
Data del deposito : 2 maggio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/05/2023

N. 04456/2023REG.PROV.COLL.

N. 06712/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6712 del 2022, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati M L, Patrizio I D'Andrea, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Patrizio I D'Andrea in Roma, Lungotevere Raffaello Sanzio, 9;

contro

Consiglio Superiore della Magistratura, Ministero della Giustizia, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio -OMISSIS-, resa tra le parti


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Consiglio Superiore della Magistratura e del Ministero della Giustizia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 marzo 2023 il Cons. Maurizio Antonio Pasquale Francola e udito per la parte appellante l’avvocato Patrizio I D'Andrea;

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso notificato il -OMISSIS- e depositato il -OMISSIS-, l’appellante, magistrato ordinario in servizio, impugnava dinanzi al T.A.R. per il Lazio, -OMISSIS-la delibera del Consiglio Superiore della Magistratura del -OMISSIS- ed il conseguente decreto del Ministro della Giustizia del -OMISSIS- statuenti il mancato superamento della sesta valutazione di professionalità a partire dal -OMISSIS-, domandandone l’annullamento per i seguenti motivi:

1) violazione dell’art. 11 D.Lgs. n. 160/2006, violazione della circolare del C.S.M. n. 20691/2007, omessa valutazione dell’incidenza del fatto extrafunzionale sull’esercizio della funzione giurisdizionale, difetto di istruttoria, difetto di motivazione – poiché il C.S.M. non avrebbe valutato l’effettiva incidenza delle condotte oggetto di incolpazione sull’esercizio della funzione giurisdizionale svolta dal magistrato, limitandosi ad affermarne la rilevanza senza motivarne le ragioni;

2) violazione dell’art. 11 D.Lgs. n. 160/2006, violazione della circolare del C.S.M. n. 20691/2007, illegittimo automatismo sanzionatorio, violazione degli artt. 4 co.1 lett. d) 5 e 6 D.Lgs. n. 109/2006 – poiché il C.S.M. avrebbe illegittimamente desunto l’automatica rilevanza di un fatto extra-funzionale come ostativo al superamento della valutazione di professionalità;

3) violazione del D.Lgs. n. 160/2006, violazione della circolare del C.S.M. n. 20691/2007, eccesso di potere per travisamento dei fatti, per irragionevolezza e per sviamento, difetto di istruttoria, difetto di motivazione – poiché il C.S.M.: 3.1) avrebbe ascritto rilievo ad un unico episodio entro l’intero quadriennio oggetto di valutazione;
3.2) non avrebbe effettuato alcun giudizio comparativo di quell’unico episodio negativo con i plurimi elementi positivi relativi allo stesso arco di tempo;
3.3) non avrebbe tenuto in alcuna considerazione il parere positivo del Consiglio giudiziario;
3.4) avrebbe, al contrario, ascritto rilievo alla pubblicazione del fatto oggetto di incolpazione ad opera della stampa;
3.5) non avrebbe in modo alcuno valutato la sopravvenuta irrilevanza penale e disciplinare di tali condotte;
3.6) avrebbe erroneamente ritenuto irrogata nei confronti dell’interessato la sanzione disciplinare della censura, quando, in realtà era stata irrogata quella minore dell’ammonimento;

4) violazione dell’art. 11 D.Lgs. n. 160/2006, violazione degli artt. 4 co.1 lett. d), 5 e 6 D.Lgs. n. 109/2006, violazione della circolare del C.S.M. n. 20691/2007, eccesso di potere per travisamento dei fatti, per irragionevolezza e per sviamento, difetto di istruttoria, difetto di motivazione, illegittimità derivata del decreto del Ministro della Giustizia del -OMISSIS- – poiché l’invalidità della delibera del C.S.M. si rifletterebbe anche sul conseguente decreto ministeriale a titolo di illegittimità derivata;

5) in subordine, violazione dell’art. 11 D.Lgs. n. 160/2006, violazione della circolare del C.S.M. n. 20691/2007, eccesso di potere per travisamento dei fatti, errore materiale – poiché il C.S.M. avrebbe erroneamente rimesso al Consiglio giudiziario di -OMISSIS-la valutazione del successivo biennio -OMISSIS-

Si costituiva l’Amministrazione intimata, opponendosi all’accoglimento del ricorso.

Con sentenza n. -OMISSIS- pubblicata il -OMISSIS- e non notificata da alcuna delle parti in causa, il T.A.R. per il Lazio, -OMISSIS- dopo avere dichiarato l’inammissibilità del quinto motivo, rigettava il ricorso, condannando l’appellante alla rifusione delle spese processuali liquidate in € 2.000,00 oltre oneri accessori, poiché: la delibera del C.S.M. impugnata avrebbe compiutamente illustrato le ragioni della controversa decisione, ritenendo non sussistente uno dei c.d. tre prerequisiti (indipendenza, imparzialità, equilibrio) all’uopo necessari, in quanto logicamente presupposti, sebbene non espressamente previsti dalla normativa di riferimento, per il superamento della valutazione di professionalità dell’esercizio delle funzioni giurisdizionali, in tal senso potendo rilevare, nonostante l’irreprensibile condotta professionale del magistrato, anche un singolo episodio particolarmente significativo, in quanto indicativo di un’inclinazione caratteriale al superamento della misura;
il C.S.M. non avrebbe, dunque, espresso una valutazione negativa sulla professionalità del magistrato poiché condannato in sede disciplinare, ma avrebbe ritenuto incidenti i fatti accertati in sede disciplinare sul parametro dell’equilibrio che costituirebbe una precondizione di ogni tipo di valutazione;
non potrebbe condividersi l’argomentazione difensiva secondo cui un illecito extrafunzionale non sarebbe idoneo ad incidere sul parametro dell’equilibrio, non potendosi avere riguardo soltanto alla condotta professionale in ragione della globalità del giudizio del C.S.M. sul magistrato al punto da coinvolgere non soltanto la preparazione ma anche la personalità complessiva del magistrato valutato;
non sarebbe, poi, rilevante il parere positivo espresso dal Consiglio Giudiziario, poiché il C.S.M. avrebbe adeguatamente motivato la sua decisione;
né, infine, sarebbe incidente l’irrilevanza penale dell’episodio che ha coinvolto il magistrato, poiché il fatto sarebbe, comunque, indicativo di un’esuberanza comportamentale tale da compromettere l’immagine dell’interessato.

Con ricorso in appello notificato e depositato in data -OMISSIS-, l’appellante domandava la riforma della predetta sentenza, lamentandone l’erroneità per i seguenti motivi:

1) error in iudicando, violazione dell’art. 11 D.Lgs. n. 160/2006, della circolare del C.S.M. 20691/2007, omessa valutazione dell’incidenza del fatto extrafunzionale sull’esercizio della funzione giurisdizionale – poiché il giudice di primo grado non avrebbe adeguatamente valutato il dedotto difetto di motivazione dell’impugnata delibera, non avendo il C.S.M. motivato le ragioni per le quali una condotta esterna, come tale, estranea all’esercizio delle funzioni giurisdizionali potesse riverberarsi sui prerequisiti dell’esercizio delle funzioni giurisdizionali;

2) error in iudicando per violazione dell’art. 11 D.Lgs. n. 160/2006, violazione della circolare del C.S.M. 20691/2007, illegittimo automatismo sanzionatorio, violazione dell’art. 4 co.1 lett. d), 5 e 6 d.lgs. n. 109/2006 – poiché l’adito T.A.R. avrebbe erroneamente escluso qualsivoglia automatismo sanzionatorio tra la vicenda disciplinare menzionata ed il giudizio espresso sulla valutazione di professionalità dell’appellante;

3) error in iudicando per violazione dell’art. 11 D.Lgs. n. 160/2006, violazione della circolare del C.S.M. 20691/2007, eccesso di potere per travisamento dei fatti, irragionevolezza, sviamento, difetto di istruttoria e di motivazione – poiché il giudice di primo grado avrebbe erroneamente non censurato la delibera impugnata nella parte in cui ascrive rilievo ad un unico episodio entro l’intero quadriennio oggetto di valutazione ed alla risonanza mediatica dello stesso, senza tenere in adeguata considerazione il parere positivo del Consiglio giudiziario;

4) error in iudicando per violazione dell’art. 11 D.Lgs. n. 160/2006, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria e di motivazione – poiché l’adito T.A.R. avrebbe dovuto prendere atto che l’affermazione della gravità dell’episodio disciplinare era errata, considerata sia l’intervenuta depenalizzazione del fatto di reato in questione sia la decisione della Sezione disciplinare del C.S.M. statuente nei confronti dell’appellante la sanzione minima dell’ammonimento.

L’appellante, quindi, concludeva domandando la condanna del Ministero della Giustizia al riconoscimento dello scatto stipendiale di cui all’art. 3 L. n. 425/1984.

Si costituivano il C.S.M. ed il Ministero della Giustizia, opponendosi all’accoglimento dell’appello, in quanto infondato.

L’appellante depositava delle memorie conclusive.

All’udienza pubblica del 21 marzo 2023, il Consiglio di Stato, dopo avere udito il procuratore dell’appellante presente come da verbale in atti, tratteneva l’appello in decisione.

DIRITTO

I. – Con il primo motivo si lamenta l’erroneità della decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto adeguatamente motivata la presunta incidenza sulla professionalità dell’appellante nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali del fatto extra-funzionale di rilievo disciplinare al medesimo contestato e per il quale era stata irrogata nei suoi confronti la sanzione dell’ammonimento.

I.1. – Il Consiglio di Stato, anzitutto, osserva che, ai sensi dell’art. 11 D. Lgs. n. 160/2006, tutti i magistrati sono sottoposti a valutazione di professionalità ogni quadriennio a decorrere dalla data di nomina fino al superamento della settima valutazione di professionalità, precisandosi che il relativo giudizio ha per oggetto la capacità, la laboriosità, la diligenza e l’impegno ove: a) la capacità, oltre che alla preparazione giuridica e al relativo grado di aggiornamento, è riferita, secondo le funzioni esercitate, al possesso delle tecniche di argomentazione e di indagine, anche in relazione all’esito degli affari nelle successive fasi e nei gradi del procedimento e del giudizio ovvero alla conduzione dell’udienza da parte di chi la dirige o la presiede, all’idoneità a utilizzare, dirigere e controllare l’apporto dei collaboratori e degli ausiliari;
b) la laboriosità è riferita alla produttività, intesa come numero e qualità degli affari trattati in rapporto alla tipologia degli uffici e alla loro condizione organizzativa e strutturale, ai tempi di smaltimento del lavoro, nonché all’eventuale attività di collaborazione svolta all’interno dell’ufficio, tenuto anche conto degli standard di rendimento individuati dal Consiglio superiore della magistratura, in relazione agli specifici settori di attività e alle specializzazioni;
c) la diligenza è riferita all’assiduità e puntualità nella presenza in ufficio, nelle udienze e nei giorni stabiliti;
è riferita, inoltre, al rispetto dei termini per la redazione, il deposito di provvedimenti o comunque per il compimento di attività giudiziarie, nonché alla partecipazione alle riunioni previste dall’ordinamento giudiziario per la discussione e l’approfondimento delle innovazioni legislative, nonché per la conoscenza dell’evoluzione della giurisprudenza;
d) l’impegno è riferito alla disponibilità per sostituzioni di magistrati assenti e alla frequenza di corsi di aggiornamento organizzati dalla Scuola superiore della magistratura;
nella valutazione dell’impegno rileva, inoltre, la collaborazione alla soluzione dei problemi di tipo organizzativo e giuridico.

L’art. 11 co.2 D.Lgs. n. 160/2006 conferisce, poi, al C.S.M. la disciplina, con propria delibera, degli elementi fondanti le valutazioni che i consigli giudiziari sono chiamati ad esprimere, all’esito di un’istruttoria che può eventualmente coinvolgere anche il magistrato interessato (art.11 co.5 D.Lgs. n. 160/2006).

Con la circolare n. 20691 del giorno 8 ottobre 2007, il C.S.M. ha disciplinato i nuovi criteri per la valutazione di professionalità dei magistrati, precisando al Capo III, anzitutto, che l’indipendenza, l’imparzialità e l’equilibrio costituiscono “ imprescindibili condizioni per un corretto esercizio delle funzioni giurisdizionali ” e che: a) l’indipendenza consiste nello svolgere le funzioni giurisdizionali senza condizionamenti, rapporti o vincoli che possano influire negativamente o limitare le modalità di esercizio della giurisdizione;
b) l’imparzialità consiste nell’esercizio della giurisdizione condotto in modo obiettivo ed equo rispetto alle parti;
c) l’equilibrio consiste nell’esercizio della giurisdizione condotto con senso della misura e moderazione, non determinato dagli orientamenti ideologici, politici e religiosi del magistrato ed ancorato a fatti concreti, obiettivi e verificati.

Al riguardo, l’art. 11 co.4 lett. f ) D.Lgs. n. 160/2006 precisa che tra gli atti suscettibili di valutazione rientrano anche il rapporto e le segnalazioni provenienti dai capi degli uffici, i quali devono tenere conto delle situazioni specifiche rappresentante da terzi, nonché le segnalazioni pervenute dal consiglio dell’ordine degli avvocati, sempre che si riferiscano a fatti specifici incidenti sulla professionalità, con particolare riguardo alle situazioni eventuali concrete e oggettive di esercizio non indipendente della funzione e ai comportamenti che denotino evidente mancanza di equilibrio o di preparazione giuridica.

Non può, dunque, revocarsi in dubbio che possano essere ricompresi tra i fatti rilevanti anche gli accadimenti che palesano una mancanza di equilibrio nel magistrato, trattandosi di requisito costitutivo dell'esercizio imparziale della funzione giudiziaria che deve necessariamente concorrere alla valutazione del profilo del magistrato nel suo complesso.

Poiché non può fondatamente dubitarsi che tra le qualità essenziali del magistrato vi sia anche l'equilibrio, la richiamata Circolare del C.S.M. n. 20691 del 8 ottobre 2007, nella parte in cui lo prevede quale imprescindibile condizione per un corretto esercizio delle funzioni giurisdizionali, non è in contrasto con la legge, integrando i parametri espressamente contemplati dall’art. 11 D.Lgs. n. 160/2006 con altri costituenti presupposti indefettibili in quanto caratterizzanti l’essenza stessa dell’attività e del ruolo del magistrato.

Ne discende che ogni episodio astrattamente idoneo a mettere in discussione una tale qualità personale deve essere valutato in sede di progressione di carriera, anche se riguardante la sfera della vita di relazione privata.

L'equilibrio - che, secondo la predetta circolare del Consiglio superiore della magistratura n. 20691 dell'8 ottobre 2007, è definito come " esercizio della giurisdizione condotto con senso della misura e moderazione " (parte I, capo III, paragrafo 4) - si presta, infatti, ad essere apprezzato in astratto anche sulla base di un solo episodio, se ritenuto sintomatico di un più generale contegno personale del magistrato, incidente sulle funzioni a lui attribuite. Al riguardo la previsione della circolare in esame si limita ad aggiungere che tale precondizione deve essere ancorata a fatti concreti, obiettivi e verificati, laddove il plurale non è evidentemente riferito ad un numero minimo di episodi, ma si spiega con il carattere generale della disposizione consiliare.

I.2. – Nella fattispecie, la delibera del C.S.M. ha adeguatamente motivato le ragioni della decisione, esaminando proprio l’incidenza dell’intera vicenda disciplinare che ha coinvolto l’appellante sul requisito dell’equilibrio per sottolinearne la rilevanza sul piano della valutazione di professionalità, costituendo l’oggetto del giudizio l’intera sfera personale del magistrato.

Con riguardo, poi, all’idoneità di un singolo episodio extra-funzionale ad esprimere un disvalore tale da incidere anche sul requisito dell’equilibrio richiesto per il superamento della valutazione di professionalità, il Consiglio di Stato osserva che si tratta di un giudizio rientrante nell’ambito delle ponderazioni di merito riservate al C.S.M., come tali non sindacabili se non in caso di abnormità della decisione.

E poiché nella fattispecie la decisione del C.S.M. non appare irragionevole, a fronte della gravità dei fatti inerenti alla vicenda disciplinare che ha coinvolto l’appellante, il motivo è infondato.

L’appellante, infatti, insiste sulla necessità che la delibera impugnata dovesse argomentare sui riflessi della condotta sanzionata sul piano disciplinare sull’equilibrio nelle funzioni giurisdizionali esercitate nel periodo in considerazione.

Ma l’assunto difensivo non è condivisibile, poiché non considera la diversità dei parametri di valutazione propri dei fatti funzionali rispetto ai parametri dei fatti extra-funzionali incidenti sull’equilibrio del magistrato.

Gli episodi di mancanza di equilibrio, infatti, devono distinguersi in due categorie: quella concernente fatti direttamente incidenti sull’esercizio delle funzioni e quella inerente ai fatti c.d. extra-funzionali.

I primi fatti, in quanto direttamente inerenti all’esercizio delle funzioni, assumono una rilevanza autonoma e molto più plateale rispetto a quelli extra-funzionali che, invece, necessitano di talune peculiarità, quali la significativa gravità, la risonanza mediatica e l’attitudine a compromettere la credibilità professionale del magistrato.

Nella circostanza la delibera impugnata motiva proprio su tutti gli aspetti della vicenda disciplinare idonei ad ingenerare discredito all’immagine e, conseguentemente anche, alla professionalità del magistrato, in ragione tanto della risonanza mediatica, quanto della peculiare gravità dell’episodio in questione, in quanto rappresentativo di una personalità connotata da esuberanze comportamentali financo implicanti “ violenza sulle cose ”, come affermato dal giudice di primo grado.

Il prestigio della magistratura, infatti, dipende non soltanto dalla preparazione professionale dei magistrati ma anche dalla loro condotta nelle quotidiane relazioni interpersonali, potendo talune vicende della vita privata apparire così gravi da essere potenzialmente idonee a pregiudicare la fiducia riposta dai cittadini nell’amministrazione della giustizia e costituente il fondamento dell’investitura costituzionale del potere giurisdizionale stesso.

Ed invero, lo ius dicere , pur non essendo fondato sul consenso a differenza degli altri due poteri fondamentali dello Stato (legislativo ed esecutivo), presuppone, comunque, l’esistenza di una relazione fiduciaria popolare nella quale rinviene la propria legittimazione costituzionale in coerenza con l’art. 1 Cost. che riconosce al popolo italiano la sovranità. Non a caso, infatti, l'art. 101, primo comma, della Costituzione afferma che la giustizia è amministrata in nome del popolo italiano.

L’assenza, dunque, di un fondamento di tipo consensuale periodicamente rinnovabile, come per il potere legislativo ed esecutivo, non significa che il potere giurisdizionale non mutui dalla sovranità popolare la propria legittimazione costituzionale al pari degli altri poteri fondamentali dello Stato, presupponendo, comunque, la sussistenza di un rapporto di mandato che, pur non essendo formalmente revocabile mediante il ricorso a sistemi elettorali, è pur sempre fondato su una relazione fiduciaria a presidio della quale è istituzionalmente deputato l’organo di autogoverno del Consiglio Superiore della Magistratura, con l’adozione di provvedimenti direttamente incidenti sulla carriera del magistrato nella prospettiva di assicurare un pieno controllo su tutti gli aspetti idonei a garantire il corretto esercizio delle funzioni giurisdizionali e la piena fiducia dei cittadini nell’amministrazione della giustizia.

Donde, la rilevanza sul piano sia disciplinare, sia della progressione in carriera di episodi della vita privata particolarmente significativi di un temperamento caratteriale tale da poter ledere l’immagine del magistrato al punto da revocare in dubbio la credibilità del suo operato professionale e la fiducia dei cittadini nell’Autorità giudiziaria.

Ecco la ragione per la quale gli episodi extra-professionali, se per la loro gravità destano un significativo allarme sociale in ordine alla credibilità professionale del magistrato, non onerano il Consiglio Superiore della Magistratura a motivare il provvedimento adottato con riguardo ai concreti riflessi che il fatto in sé abbia avuto sulle funzioni giurisdizionali esercitate nel periodo in valutazione, essendo, di per sé, rilevante l’attitudine dell’episodio a pregiudicare il rapporto fiduciario con i cittadini e la credibilità della professionalità del magistrato se non, financo, dell’intero sistema giudiziario.

Il primo motivo di appello, pertanto, deve ritenersi infondato.

II. – Con il secondo motivo di appello si lamenta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui esclude qualsivoglia automatismo sanzionatorio tra la vicenda disciplinare menzionata ed il giudizio espresso sulla valutazione di professionalità dell’appellante.

II.1. – Sul punto, il Consiglio di Stato si riporta a quanto già chiarito al punto I.2., precisando che la valutazione dell’equilibrio costituisce espressione di un giudizio di merito non sindacabile in sede giudiziale, se non per manifesta irragionevolezza della decisione che, nella fattispecie, non si coglie.

Non sussiste, infatti, il dedotto automatismo sanzionatorio, avendo il C.S.M. ponderato le circostanze in ragione della peculiare delicatezza caratterizzante l’esercizio delle funzioni giudiziarie, nella piena consapevolezza che anche un singolo episodio può gettare discredito su anni di carriera contraddistinti da un regolare andamento professionale. L’immagine del magistrato, infatti, costituisce un aspetto rilevante sul piano della professionalità, poiché incidente, come già detto, sulla fiducia riposta dai cittadini nell’amministrazione della giustizia e della quale ogni magistrato è custode, essendo tenuto a preservarla in ogni aspetto della propria attività professionale ed extra-professionale, onde garantire la credibilità dell’intero sistema giudiziario.

Pertanto, quand’anche nel periodo in valutazione non siano stati accertati a carico del magistrato episodi di mal governo nelle funzioni giudiziarie in concreto esercitate, il singolo fatto extra-funzionale può, di per sé, incidere sulla progressione in carriera se ritenuto dal C.S.M., nell’ambito della sua ampia discrezionalità, così significativo da giustificare un parere negativo sull’operato del magistrato valutato, come accaduto nell’occasione.

Al riguardo occorre precisare che l’obbligo motivazionale si atteggia diversamente secondo che il fatto extra-funzionale sia ritenuto, rispettivamente, assorbito o prevalente rispetto alle funzioni giudiziarie correttamente esercitate nel periodo in valutazione, poiché soltanto nel primo caso il C.S.M. sarà tenuto a specificare le ragioni per le quali un episodio della vita privata già sanzionato sul piano disciplinare non si ritiene incidente o, comunque, rilevante sul giudizio espresso in ordine alla valutazione di professionalità, in ragione della richiamata regola secondo cui anche singoli episodi extra-funzionali possono pregiudicare l’immagine e la credibilità professionale del magistrato.

Qualora, invece, il fatto extra-funzionale sia ritenuto così significativo da giustificare un giudizio negativo sul piano della professionalità, allora il C.S.M. potrà soltanto limitarsi a motivare in ordine alla gravità del fatto stesso preso in considerazione, essendo implicitamente e chiaramente desumibile dalla decisione assunta la ritenuta preminenza dell’episodio extra-funzionale sui risultati conseguiti nell’esercizio delle funzioni giudiziarie dal magistrato in valutazione, come nell’occasione.

Non era, pertanto, tenuto il C.S.M. ad un precipuo obbligo motivazionale in ordine all’incidenza della gravità del fatto extra-funzionale commesso dall’appellante rispetto all’attività giurisdizionale dal medesimo svolta nel periodo in valutazione.

Donde, la non pertinenza del concetto di automatismo sanzionatorio richiamato dall’appellante, essendo il procedimento di valutazione della professionalità preordinato non ad irrogare una sanzione ma a ponderare gli elementi rilevanti per esprimere un giudizio ampiamente discrezionale che può comprendere, come detto, anche episodi della vita privata particolarmente significativi, come nella circostanza.

Né, peraltro, può ritenersi che vi sia stata una duplicazione degli effetti sanzionatori, atteso che la sanzione disciplinare ha sì concorso alla valutazione globale delle competenze tecniche del magistrato e della sua personalità professionale, ma la condotta materiale sanzionata è stata autonomamente valutata rispetto ai parametri professionali considerati, quale circostanza idonea a rivelare mancanza di equilibrio.

Pertanto, il secondo motivo di appello è infondato.

III. – Con il terzo motivo di appello si lamenta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non ha censurato la delibera del C.S.M. allorché ascrive rilievo ad un unico episodio entro l’intero quadriennio oggetto di valutazione, senza tenere in considerazione il parere positivo del Consiglio giudiziario e rivalutando, invece, la risonanza mediatica del fatto di rilievo disciplinare in questione.

III.1. – Il motivo è infondato.

Ed invero, il giudizio del C.S.M. circa la idoneità dell'unico precedente a proiettare il proprio disvalore nel futuro, in ragione della sua oggettiva gravità, attiene alla sfera del merito, come tale non sindacabile sul piano giurisdizionale.

Non è, peraltro, illogico o irragionevole sostenere che la condotta, per la sua oggettiva abnormità, possa essere ritenuta sintomatica di una mancanza di equilibrio tale da proiettare i propri effetti nel tempo, e che si debba adottare, in sede di valutazione, un metro di giudizio ispirato alla prudenza a fronte di condotte incompatibili con le doti di equilibrio e del senso della misura che devono costantemente connotare, in servizio come nella vita privata, l’agire del magistrato.

Si tratta indubbiamente di una valutazione che rimane all'interno della discrezionalità valutativa dell'organo di autogoverno, senza palesare profili di eccesso di potere, neanche sul piano motivazionale per le ragioni già indicate con riguardo al precedente motivo di appello.

Ed invero, l'organo di autogoverno ha sviluppato un ragionamento di tipo inferenziale, muovendo dal dato certo della condotta tenuta nell'occasione, osservando che " tutti gli elementi indicati – e principalmente la reiterazione e la gravità appunto – fanno ritenere che gli effetti delle condotte, per le caratteristiche descritte, si riflettano anche sull’esercizio delle funzioni giurisdizionali e non restino confinanti nella sfera della vita privata, dunque siano rilevanti nella presente valutazione, rendendo ostativo un giudizio positivo sull’equilibrio nel quadriennio oggetto di valutazione.

Essi sono, infatti, espressione del venir meno di quel senso della misura e della moderazione che costituisce elemento essenziale dell’equilibrio, anche nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali.

A ciò occorre aggiungere che i fatti descritti possono condurre a un giudizio negativo sull’equilibrio, anche se successivamente non si sono verificati altri episodi analoghi, o comunque rilevanti ai fini del giudizio sull’equilibrio, essendo sufficienti a connotarlo negativamente.

Non è, infatti, necessario che si siano verificati più episodi in tempi diversi affinché la valutazione sia negativa. Essa può riguardare anche un unico episodio, il quale può essere tale da incidere sull’equilibrio, in ragione delle sue caratteristiche.

Nel caso di specie, peraltro, si tratta comunque di una pluralità di condotte, anche se tutte riconducibili a un unico contesto;
e le loro caratteristiche – per i motivi detti – sono tali da far ritenere negativo il giudizio sull’equilibrio nel quadriennio oggetto di valutazione
".

Come, peraltro, chiarito dal Consiglio di Stato (Cons. Stato, IV, 5 luglio 2010, n. 4250;
Cons. Stato, sez. III, 7 aprile 2009, n. 456), la valutazione negativa dell'aspirante può derivare anche da singoli elementi, purché idonei a denotare un difetto grave - come accade nel caso di specie - sia pure in uno solo degli ambiti previsti dalla legge. La riscontrata carenza di equilibrio ben può dunque condurre ad una valutazione di professionalità negativa, non sussistendo l'obbligo per l'Amministrazione di compararla con gli altri elementi di valutazione.

Pertanto, non si coglie il dedotto difetto di motivazione, neanche in relazione al raffronto con il parere positivo espresso dal Consiglio giudiziario, essendo la decisione del C.S.M. esplicativa di una (diversa) valutazione di merito adeguatamente argomentata, come correttamente chiarito nella sentenza appellata.

Con riguardo, poi, alla risonanza mediatica dell’episodio che ha determinato l’ammonizione disciplinare dell’appellante, deve ritenersi che il C.S.M. non l’abbia considerata quale elemento fondamentale del giudizio espresso, costituendo soltanto uno dei vari elementi ponderati per la valutazione della professionalità.

Il motivo è, dunque, infondato.

IV. – Con il quarto motivo si lamenta l’erroneità della decisione impugnata nella parte in cui non ha riscontrato l’errore in cui sarebbe incorso il C.S.M. nel ritenere penalmente rilevante la condotta sanzionata sul piano disciplinare con l’ammonimento e non con la censura, come erroneamente affermato nella delibera impugnata.

IV.1. – Il Consiglio di Stato osserva che dalla lettura della motivazione della delibera si evince un chiaro riferimento alla gravità oggettiva della condotta dell’appellante che ha causato discredito alla figura personale e professionale del magistrato, già sul piano morale.

Pertanto, al di là della corretta qualificazione o meno come reato dell’episodio di cui l’appellante è stato protagonista, la condotta in sé rimane grave e, dunque, correttamente è stata presa in considerazione dal C.S.M.

Non rileva, del pari, l’erronea menzione della sanzione disciplinare della censura, al posto dell’ammonimento, poiché la delibera ripercorre i fatti della vicenda, valutandone la gravità della loro oggettiva consistenza e, dunque, a prescindere dalla sanzione disciplinare in concreto irrogata nei confronti dell’appellante.

Il motivo, pertanto, è infondato, come l’intero appello che, dunque, deve essere respinto.

V. – Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate a carico dell’appellante ed in favore delle Amministrazioni appellate nella misura di € 3.000,00, oltre il rimborso forfettario al 15,00%, come per legge.

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