Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2010-03-11, n. 201001418
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N. 01418/2010 REG.DEC.
N. 09389/1998 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 9389 del 1998, proposto da:
F T, rappresentato e difeso dall'avv. A M, con domicilio eletto presso il dott. G M G in Roma, corso V. Emanuele II n. 18;
contro
Comune di Bellaria Igea Marina, rappresentato e difeso dagli avv. F B M e V C, con domicilio eletto presso l’avv. F B M in Roma, via Giovanni Bettolo n. 4;
per la riforma
della sentenza del TAR EMILIA ROMAGNA, sede di BOLOGNA, sezione II, n. 00618/1997, resa tra le parti, concernente INGIUNZIONE DEMOLIZIONE OPERE EDILIZIE.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 gennaio 2010 il Cons. Angelica Dell'Utri e uditi per le parti gli avvocati Di Lieto, per delega dell'avv. Mantero, e Barbantini, per delega dell'avv. Cagnoni;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con atto notificato il 9 ottobre 1998 e depositato il 2 novembre seguente il signor Tonino F, esercente attività commerciale nel Comune di Bellaria Igea Marina, ha appellato la sentenza 11 ottobre 1997 n. 618 del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna, sede di Bologna, sezione seconda, non notificata, con la quale è stato respinto il suo ricorso diretto all’annullamento dell’ordinanza sindacale 18 marzo 1987 n. 128, prot n. 4522;con tale ordinanza era stata disposta nei suoi confronti, in via di autotutela possessoria ex artt. 825 c.c. e 378 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, all. F, l’immediata eliminazione di una struttura in pannelli di metallo e plexiglass realizzata su area di sua proprietà facente parte del marciapiede antistante l’esercizio commerciale, così ritenuta sottratta al diritto di pubblico passaggio sussistente da tempo immemorabile.
Il primo giudice ha declinato la giurisdizione sul primo motivo di ricorso, in quanto inteso a negare in senso assoluto il potere esercitato per l’addotta inesistenza di servitù pubblica e, di qui, ad affermare il diritto soggettivo di proprietà piena del ricorrente;questione, questa, spettante al giudice ordinario. Ha poi disatteso il secondo ed ultimo motivo, con cui si sosteneva l’illegittimo esercizio dello stesso potere in quanto per le opere di cui era ordinata l’eliminazione pendeva domanda di condono edilizio;in particolare, è stato ritenuto che l’art. 44 della legge n. 47 del 1985 non vieti l’adozione di provvedimenti costituenti espressione di poteri diversi da quelli riguardanti il corretto e legittimo assetto urbanistico-edilizio del territorio.
Con l’appello in esame il signor F ha dedotto:
1.- erronea pronuncia di difetto di giurisdizione, sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto in ricorso si intendeva far valere la violazione dell’art. 378 cit. per difetto di presupposto (la pretesa esistenza di servitù pubblica), sicché il giudizio non verteva direttamente su diritti, bensì sulle modalità di esercizio della potestà e sull’atto che ne è esercizio;
2.- sviamento di potere, difetto di pronuncia sul secondo motivo di ricorso, secondo profilo di sviamento di potere, poiché non è stata esaminata la doglianza concernente l’esercizio di autotutela demaniale in assenza del minimo indizio di dicatio ad patriam, tale da sopprimere anticipatamente un diritto in attesa di espansione a seguito del procedimento di condono (tant’è che lo stesso giorno il TAR ha accolto l’impugnativa avverso il diniego di sanatoria).
Il Comune si è costituito in giudizio ed anche con memoria del 30 dicembre 2009 ha svolto controdeduzioni. A sua volta l’appellante ha insistito nelle proprie tesi e richieste con memorie del 29 e 31 dicembre 2009.
All’odierna udienza pubblica l’appello è stato introitato in decisione.
Ciò posto, la Sezione osserva che col primo motivo di ricorso il signor F, lungi dal lamentare (come l’appellante sostiene, peraltro nelle memorie del 29 e 31 dicembre 2009) la genericità dell’atto per omessa dimostrazione concreta della preesistenza di fatto dell’uso pubblico, negava tout court la volontaria messa a disposizione della collettività dell’area in questione, affermando che “non esiste alcun bene demaniale” (essendo la stessa area di proprietà privata) “né diritto civico su bene privato e quindi non esiste il presupposto dei poteri di polizia demaniale”. Era dunque richiesto in via principale proprio l’accertamento della inesistenza del diritto reale di servitù pubblica di passaggio, non già l’accertamento incidentale in ordine ad una situazione di fatto di oggettivo passaggio pubblico ed a prescindere dalla effettiva sussistenza del detto diritto reale. In altri termini, la domanda sottesa a tali doglianze esulava dal riscontro del presupposto per il legittimo esercizio del potere comunale di autotutela possessoria iuris publici, costituito dalla preesistenza di fatto di un uso pubblico, essendo dedotta in giudizio unicamente una posizione soggettiva sostanziale di diritto perfetto. Bene, dunque, il TAR ha ritenuto che in tal modo si introducesse surrettiziamente un’azione petitoria, di competenza del giudice ordinario. D’altro canto, i limiti dell’accertamento incidentale di cui all’art. 8, co. 1, della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 non possono sconfinare nella vera e propria tutela di diritti e consentire, quindi, la soluzione di controversie riservate all’autorità giudiziaria ordinaria (cfr. Cons. St., Sez. VI, 27 febbraio 2008 n. 713). Ne consegue la reiezione del primo motivo d’appello.
Analogamente deve concludersi in ordine al secondo motivo. Premesso che, stante l’effetto devolutivo dell’appello, l’omessa pronuncia non rileva autonomamente ma comporta l’esame delle corrispondenti doglianze d’appello, quanto al profilo evidenziato occorre ricordare che il preteso vizio di sviamento di potere è stato configurato dal ricorrente come discendente dalla pendenza di procedimento di condono, a fronte del quale “il provvedimento assunto apparentemente a fini differenti e per l’esercizio di differenti poteri, in realtà è suscettibile di comportare la disapplicazione della normativa di sanatoria (…) in assenza del ben che minimo indizio della dicatio ad patriam”.
Riguardo al vizio in parola, per consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa si richiede che la relativa censura sia supportata da precisi e concordanti elementi di prova, idonei a dar conto delle divergenze dell'atto dalla sua tipica funzione istituzionale, non essendo a tal fine sufficienti semplici supposizioni o indizi che non si traducano nella dimostrazione dell'illegittima finalità perseguita in concreto dall'organo amministrativo (cfr., fra le più recenti, Cons. Stato, Sez. V, 15 ottobre 2007 n. 6332 e 11 luglio 2008 n. 3438).
Tale diversa finalità non emerge agli atti, né essa è desumibile dal mero fatto che il condono sia stato sostanzialmente denegato, il quale attiene se mai all’eventuale illegittimità del diniego stesso e non del provvedimento di cui qui si discute.
In conclusione, l’appello non può che essere respinto. Tuttavia, la peculiarità della fattispecie esaminata consiglia la compensazione tra le parti delle spese del grado.