Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2021-06-30, n. 202104928
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Pubblicato il 30/06/2021
N. 04928/2021REG.PROV.COLL.
N. 10639/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10639 del 2015, proposto dai signori A D G, C M, P C, A P, A G, M L B, A M, D D B, E S, E D L, L F, G C, P A, A L D F, C M, G N, C P, F D R, M L P, P M, V T, A B, F T, G D G, A I, R C, R M, M R R, C G, Antonina D'Onofrio, L S, M C A, A A B P, C B, L P, R L, A Rita Burrafatto, Maria Claudia Di Paolo, Antonella Di Spena, Irma Giovina Donatelli, Antonella Paloscia, Rita Andrenacci, A Maria Valerio, Mario Giuseppe Silla, Maria Cristina Di Marzio, Neris Cimini, Paolo Falco, Teresa Monachino, Laura Passaretti, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Fabio Falco, Maria Cristina Manni e Domenico Tomassetti, con domicilio eletto presso lo studio Domenico Tomassetti in Roma, via Giuseppe Gioacchino Belli n. 27;
contro
Ministero della giustizia, in persona del legale rappresentante
pro tempore
,
ex lege
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Ministero dell'economia e delle finanze, non costituito;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (sezione prima) n. 7452 del 25 maggio 2015, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della giustizia e del Ministero dell'economia e delle finanze;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 giugno 2021 il consigliere Giuseppe Rotondo, nessuno presente per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso n.r.g. 10639/2015, gli appellanti (nel numero di 49) contestano la legittimità del decreto datato 10 maggio 2012, reso dal Ministero della giustizia, recante la sospensione della efficacia di altrettanti decreti ministeriali (corrispondenti a ciascuno degli odierni appellanti) emessi in data 27 luglio 2010, a mezzo dei quali era stata ricostruita, ex art. 28 d.lgs. n. 63 del 2006, la carriera economica di ciascuno dei 49 appellanti successivamente al loro inquadramento nella nuova carriera dirigenziale dell’Amministrazione penitenziaria.
2. Gli interessati (originariamente nel numero di 54) proponevano ricorso innanzi al T.a.r. per il Lazio articolando due autonomi motivi.
3. Il T.a.r. per il Lazio, sez. I quater , con sentenza n. 7452 del 25 maggio 2015:
- respingeva entrambi i motivi;
- compensava fra le parti le spese di lite.
4. Appellano la sentenza 49 degli originari ricorrenti (non hanno proposto appello i signori B B, A Sposito, P U, G R, P T) che, nell’avversare la sentenza di primo grado, reiterano i motivi originari mediante articolazione di due complessi mezzi di gravame (da pagina 9 a pagina 21 del ricorso), sintetizzabili nelle seguenti censure.
4.1. Il giudice di prime cure, nonostante la richiesta di riunione di tre ricorsi depositata dai ricorrenti in data 26 febbraio, erroneamente ed illogicamente non avrebbe provveduto in tal senso. Ad avviso degli appellanti, la sentenza impugnata si porrebbe “in palese conflitto con la sentenza n. 7506/2015 con cui è stato deciso il ricorso n. 11491/2010” .
4.2. La motivazione è erronea poiché, “contrariamente a quanto paventa la sentenza impugnata, sussiste il diritto degli appellanti ad ottenere le differenze retributive maturate fino alla data odierna in ragione dell'omessa applicazione, da parte dell'Amministrazione, del citato art. 28 del D.Lgs. n.63/2006 all'atto del loro inquadramento a dirigenti della carriera dirigenziale penitenziaria, con diritto agli interessi ed alla rivalutazione delle predette somme decorrenti da ogni singolo rateo e fino all'effettivo soddisfo ”.
4.3. Apoditticamente il ricorso di primo grado avrebbe respinto il gravame senza esaminare espressamente le censure dei ricorrenti avverso il provvedimento di sospensione dei decreti di ricostruzione della carriera, soprattutto per ciò che concerne:
a) l'apposizione di un termine certo ed ex lege limitato di sospensione;
b ) l'esposizione dei "gravi motivi" che, soli, giustificano il ricorso al potere previsto dall'art. 21 quater della legge n.241/1990 e s.m.i..
5. Si è costituito soltanto il Ministero della giustizia.
6. Le parti hanno scambiato memorie conclusive in data 20 e 21 maggio 2021, con replica degli appellanti in data 1 giugno 2021.
7. All’udienza del 24 giugno 2021, la causa è stata trattenuta per la decisione.
8. L’appello è infondato.
9. Per una migliore comprensione della vicenda in trattazione, giova riportare una sintetica esposizione dei fatti che hanno dato la stura al presente contenzioso, dei procedimenti e processi che si sono succeduti nel tempo nonché del quadro normativo di riferimento:
a) gli odierni appellanti sono tutti dirigenti della carriera dirigenziale penitenziaria, inquadrati ai sensi della legge n.154/2005 e del d.lgs. n. 63/2006;
b) la legge 27 luglio 2005, n. 154 (c.d. legge Meduri) ha istituito la carriera dirigenziale penitenziaria, nella quale è confluito il personale direttivo e dirigenziale dell'Amministrazione Penitenziaria appartenente agli ex profili professionali di direttore penitenziario, di direttore di ospedale psichiatrico giudiziario e di direttore di servizio sociale;
c) nella istituita carriera dirigenziale penitenziaria sono confluite, per effetto della legge n.154/2005 e del d.lgs. n.63/2006, tre categorie di personale, tra cui tutti i ricorrenti;
d) l'art. 28, comma 1, del citato decreto legislativo n. 63/2006, stabilisce che " ai fini dell'applicazione di tutti gli istituti giuridici ed economici di cui al presente decreto, i funzionari conservano l'anzianità snaturata con riferimento alle pregresse qualifiche dirigenziali e direttive ovvero posizioni economiche di provenienza. (...) Sono fatti salvi gli effetti degli inquadramenti disposti ai sensi della legge 15 dicembre 1990, n. 395";
e) sulla scorta della suddetta norma, gli appellanti rivendicano il << diritto a vedersi disposto un inquadramento economico che tenesse conto di tutti gli anni di servizio nelle "pregresse qualifiche dirigenziali e direttive ovvero posizioni economiche di provenienza" >>, in luogo dell’avvenuto riconoscimento della classe economica "0" ovvero di una classe stipendiale inferiore a quella cui assumono di avere diritto;
f) o rbene, per conseguire il postulato bene della vita (corresponsione delle differenze retributive), essi presentarono apposita istanza all’Amministrazione (atti protocollati in date 30 ottobre 2009 e 10 novembre 2009);
g) a fronte dell’inerzia serbata dal Ministero, adirono una prima volta il T.a.r. per il Lazio per ottenere l'annullamento del silenzio-rifiuto formatosi sulle loro diffide;
h) con sentenza n.8491, del 26 aprile 2010 (passata in giudicato), la sezione I quater del T.a.r. per il Lazio accolse il predetto ricorso;
i) il Ministero emanò, pertanto, i decreti di rideterminazione della carriera economica degli appellanti;
l) sennonchè tale diritto non divenne mai esigibile in quanto i citati decreti non ottennero il visto di registrazione dell'Ufficio centrale del bilancio del Ministero dell'economia e delle finanze (UCB): una prima volta, con nota dell'UCB n.64991 del 21 ottobre 2010;una seconda volta, con nota dell'UCB n.81538 del 24 dicembre.2010, sulla base della mancanza di copertura finanziaria, nella legge n.154/2005, per l'applicazione dell'art. 28 del d.lgs. n.63/2006 ai dirigenti penitenziari;
m) da qui, un secondo ricorso al Ta.r. per il Lazio (n.r.g. n.6484/2011) volto a conseguire l’annullamento dei predetti atti di controllo dell'U.C.B.;
n) nelle more, i dipendenti notificavano al Ministero, in data 30 novembre 2011 una seconda istanza, seguita da diffida in data 19 marzo 2012, per l’esecuzione dei decreti del 27 luglio 2010;
o) il Ministero della giustizia riscontrava la diffida con il decreto del 10 maggio 2012 a mezzo del quale sospendeva l’efficacia dei decreti di inquadramento economico, in ragione del diniego di visto da parte dell'U.C.B. sui decreti medesimi;
q) d a tale atto di sospensione originava l’odierno contenzioso, instaurato dinanzi al T.a.r. per il Lazio con ricorso n.r.g. 6469/2012 e definito in primo grado con la sentenza n. 7452/2015 oggetto del presente gravame;
r) va soggiunto che, alla udienza pubblica del 20 novembre 2014, il T.a.r. tratteneva in decisione sia il ricorso n.11491/2010 (sull'accertamento del diritto dei dipendenti alla corretta applicazione nei loro confronti della ricostruzione della carriera economica: definito con sentenza n. 7506/2015 declaratoria di cessata materia del contendere);sia il ricorso n.6484/2011 (sull'annullamento dei dinieghi di visto dell'UCB sui decreti del 27 luglio 2010 (definito con sentenza n. 7438/2015 di reiezione);sia il predetto ricorso n. 6469/2012 (sull'annullamento del provvedimento di sospensione dei decreti di ricostruzione della carriera);
s) i l T.a.r., pur trattando nella medesima udienza pubblica i tre ricorsi sopra citati, non ne disponeva la riunione nonostante la richiesta in tal senso formulata dagli istanti in data 26 febbraio 2012.
10. Così ricostruita la vicenda, il Collegio può passare allo scrutinio dei motivi di appello.
10.1. Con il primo, gli istanti censurano l’omessa riunione in primo grado dei tre ricorsi (meglio in fatto specificati) ed il conseguente contrasto fra le sentenze che li hanno definiti.
10.2. Il Collegio osserva che nessuna contraddittorietà è ravvisabile nelle scelte processuali del T.a.r. atteso che i giudizi di primo grado, chiamati alla medesima udienza pubblica, avevano oggetti diversi sicché, del tutto coerentemente, gli esiti sono stati differenti.
10.3. E’ appena il caso di ribadire, inoltre, che la scelta del giudice di primo grado di (non) disporre la riunione di giudizi connessi, ex art. 70 c.p.a., è assolutamente discrezionale, insindacabile in sede di appello e, salvo il limite dell’abnormità (nel caso di specie inconfigurabile) non impugnabile attesa l’indole non decisoria della relativa statuizione (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, n. 3779 del 2021;n. 4071 del 2018;n. 2366 del 2018;sez. III, n. 3518 del 2016).
11. Con riguardo ai restanti motivi di gravame, il Collegio ne rileva l’infondatezza per le considerazioni che seguono.
11.1. Dal tenore testuale delle norme di riferimento non risulta l’attribuzione del beneficio della ricostruzione economica retroattiva della carriera all’atto dell’inquadramento nella nuova dirigenza della Amministrazione penitenziaria;dalle stesse, viceversa, è evincibile soltanto la protezione da eventuali diminuzioni economiche quale conseguenza dell’accesso alla nuova carriera.
11.2. La norma di cui all’art. 4, comma 1, della legge 27 luglio 2005, n. 154, ha natura eccezionale ed è di stretta interpretazione (cfr. Corte cost. n. 66 del 2011;Cass. civ., sez. lav., n. 12200 del 2020).
11.3. Per giurisprudenza costante (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, n. 5249 del 2013),
l’inquadramento dei dipendenti pubblici ha carattere autoritativo e natura vincolata esclusivamente nell’interesse pubblico.
11.4. Il beneficio richiesto dai ricorrenti, comportando un onere finanziario, a livello normativo avrebbe dovuto necessariamente essere accompagnato da una esplicita previsione di copertura di bilancio (arg. da Cons. Stato, sez. II, 5 giugno 2012, n. 5602/2010).
11.5. Il termine finale di cessazione della sospensione degli effetti dei decreti di ricostruzione della carriera, del tutto ragionevolmente è stato individuato nel consolidamento degli effetti della contestata ricostruzione della carriera (oggetto del giudizio in appello n.r.g. 10638/2015).
11.6. La motivazione è stata congruamente esplicitata tramite la individuazione dei presupposti di fatto e diritto che, a tutela integrità erariale, hanno sostanzialmente imposto alla P.A. di non dare corso alla ricostruzione della carriera (sui provvedimenti di sospensione ex artt. 7 comma 2 e 21 quater L. n. 241 del 1990, arg. da Cons. Stato, sez. IV, n. 823 del 2017).
12. Per quanto sin qui argomentato, l’appello in esame è infondato e deve essere, pertanto, respinto.
13. Le spese del presente grado di giudizio, regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo tenuto conto dei parametri stabiliti dal regolamento 10 marzo 2014, n. 55 e dell’art. 26, comma 1, c.p.a., ricorrendone i presupposti applicativi, anche in relazione ai profili di sinteticità e chiarezza, secondo l’interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza di questo Consiglio, sostanzialmente recepita, sul punto in esame, dalla novella recata dal decreto-legge n. 90 del 2014 all’art. 26 c.p.a. [cfr. sez. IV, n. 5008 del 2018;sez. V, 9 luglio 2015, n. 3462;sez. V, 21 novembre 2014, n. 5757;sez. V, 11 giugno 2013, n. 3210;sez. V, 26 marzo 2012, n. 1733;sez. V, 31 maggio 2011, n. 3252, cui si rinvia ai sensi degli artt. 74 e 88, co. 2, lett. d), c.p.a. anche in ordine alle modalità applicative ed alla determinazione della misura indennitaria conformemente, peraltro, ai principi elaborati dalla Corte di cassazione (cfr. da ultimo Sez. VI, n. 11939 del 2017;n. 22150 del 2016)].
14. La condanna dell’appellante, ai sensi dell’art. 26, comma 1, c.p.a. rileva, eventualmente, anche agli effetti di cui all’art. 2, comma 2- quinquies, lettere a) e d), della legge 24 marzo 2001, nr. 89, come da ultimo modificato dalla legge 28 dicembre 2015, n. 208.