Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-03-18, n. 201901737

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-03-18, n. 201901737
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201901737
Data del deposito : 18 marzo 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/03/2019

N. 01737/2019REG.PROV.COLL.

N. 03310/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO I

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 3310 del 2013, proposto da
F D, rappresentato e difeso dall'avvocato M A, con domicilio eletto presso lo studio legale dell’avvocato M C in Roma, via Ludovisi, 16;

contro

Provincia di Avellino, in persona del Presidente pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati G G ed O M, con domicilio eletto presso lo studio legale dell’avvocato G C in Roma, via Gallia, 86;

nei confronti

Impresa Agricola Sozio D, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda) n. 00430/2013, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Provincia di Avellino;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 marzo 2019 il Cons. Valerio Perotti ed udito per le parti l’avvocato Araneo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso al Tribunale amministrativo della Campania notificato il 30 ottobre 2012 e depositato il successivo 14 novembre, il sig. F D impugnava il silenzio inadempimento della Provincia di Avellino formatosi sulla sua istanza volta ad ottenere l’autorizzazione unica ai sensi del d.lgs. n. 387 del 2003 per la realizzazione ed esercizio di un impianto minieolico di produzione di energia elettrica.

Con sentenza 18 febbraio 2013, n. 430, il giudice adito rilevava la fondatezza della domanda, nella parte in cui lamentava l’inadempimento, da parte della Provincia, rispetto all’obbligo di conclusione del procedimento amministrativo teso al rilascio della predetta autorizzazione unica per la realizzazione e per l’esercizio di un impianto minieolico di potenza di 850 kW per la produzione di energia elettrica, da realizzarsi su terreni siti in territorio di Guardia dei Lombardi (Av), località “Piani Mattine”, individuati al catasto al foglio n. 26, particella n. 119.

Rilevava infatti che la Provincia di Avellino, attributaria della potestas decidendi per delega della Regione Campania, con nota del 1° febbraio 2011 aveva comunicato al ricorrente l’avvio del procedimento, precisando che questo si sarebbe concluso “ entro il termine massimo di 180 giorni a far tempo dalla data della presente comunicazione ”, senza però poi provvedere alla definizione dello stesso.

Assegnava pertanto all’amministrazione un termine perentorio di 30 giorni per provvedere alla definizione del relativo procedimento, nominando da subito un commissario ad acta per l’ipotesi di persistente inerzia, affinché – “ su istanza di parte ed in sostituzione della Provincia di Avellino, provveda alla conclusione del procedimento entro sessanta giorni ”.

Respingeva però l’istanza risarcitoria, non ritenendone integrati i presupposti.

Avverso quest’ultimo profilo della sentenza il sig. F interponeva appello, lamentando in primo luogo la violazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 3 del d.lgs. n. 104 del 2010 e dell’art. 112 Cod. proc. civ., sul presupposto che il diniego della richiesta risarcitoria non fosse in realtà motivato.

Con ulteriore motivo di gravame deduceva poi, nel merito, la spettanza del risarcimento anche per il fatto del mero ritardo nell’adozione del provvedimento amministrativo, indicando le specifiche voci di danno lamentate.

Si costituiva in giudizio la Provincia di Avellino, deducendo l’infondatezza dell’appello e chiedendone pertanto il rigetto.

Con successiva memoria l’appellante ulteriormente precisava le proprie difese, prendendo posizione anche sul comportamento serbato dall’amministrazione in seguito alla notificazione della sentenza di primo grado.

Quindi all’udienza del 7 marzo 2019, dopo la rituale discussione, la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

Ad un complessivo esame delle risultanze di causa, il Collegio ritiene di poter prescindere dall’esame del primo motivo di appello, con il quale viene sostanzialmente contestata la carente motivazione della sentenza di primo grado in relazione al diniego di tutela risarcitoria, per affrontare direttamente il merito della controversia, cui attiene l’ulteriore motivo di gravame.

Con il secondo motivo di appello vengono individuate, nel merito, le ragioni poste a fondamento dell’originaria istanza risarcitoria, respinta con la sentenza appellata.

In particolare, muovendo dal presupposto che il diritto al risarcimento del danno può anche nascere da una riconosciuta responsabilità della pubblica amministrazione per inosservanza di specifici obblighi procedimentali, l’appellante deduce che il danno astrattamente risarcibile non sarebbe esclusivamente legato al mancato guadagno (c.d. lucro cessante) sofferto a causa del mancato rilascio di un provvedimento favorevole, ma discenderebbe innanzitutto “ dal tempo perduto e dall’incertezza prodottasi a causa dell’inosservanza, dolosa o colposa, del termine di conclusione del procedimento ”.

In breve, al mero ritardo amministrativo – in quanto tale – andrebbe riconosciuta una autonoma risarcibilità, a prescindere dalla fondatezza della pretesa sottostante all’istanza formulata all’amministrazione.

Per l’effetto, in considerazione che al termine dell’art. 2 l. n. 241 del 1990 – nel caso di specie, di centottanta giorni – va riconosciuta natura perentoria (Cons. Stato, V, 23 ottobre 2012, n. 5413) e che il successivo art. 2- bis , comma 1, prevede che le « pubbliche amministrazione e i soggetti equiparati sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento », nessuna rilevanza andrebbe attribuita – ai fini della valutazione giudiziale della chance di conseguimento del bene della vita richiesto – al (pur perdurante) mancato ottenimento del titolo abilitativo, in quanto imputabile alla sola inerzia dell’amministrazione.

Nel caso di specie, la previsione di positiva conclusione del procedimento ab origine attivato sarebbe supportata dai pareri favorevoli rilasciati dalle amministrazioni che avrebbero dovuto partecipare alla Conferenza di servizi non convocata nei trenta giorni dall’avvio del procedimento dall’amministrazione provinciale inadempiente.

Ritenendo così di aver dimostrato sia il nesso causale tra il ritardo nell’adozione del provvedimento richiesto ( recte , negli adempimenti burocratici presupposti all’eventuale adozione di quest’ultimo), sia la colpa dell’amministrazione, l’appellante indica a principale voce di danno patito il “mancato guadagno derivante dal colpevole ritardo”, composto dai ricavi che l’interessato avrebbe potuto conseguire se fosse stato autorizzato entro i termini di legge, riconducibili a due tipologie diverse: a) quelli derivanti dalla vendita dell’energia prodotta ed immessa in rete; b) quelli legati alla vendita del cd. “ Certificati Verdi ”.

Con riguardo ai primi, l’appellante lamenta – in ragione dei ritardi dell’amministrazione – di non aver potuto beneficiare dei prezzi minimi garantiti per il 2012, laddove per gli anni successivi era stata anche richiesta l’iscrizione (in posizione utile) nei Registri GSE (con possibilità peraltro estremamente scarsa di aggiudicarsi i meccanismi incentivanti, stante il numero di richieste presentate per il 2013, tali da saturare la capacità complessivamente disponibile anche per gli anni 2014 e 2015). Al riguardo, l’appellante considera pressoché vana la possibilità di rientrare nei contingenti previsti dall’art. 9 del d.m. 6 luglio 2012, con conseguente impossibilità di accesso ai meccanismi incentivanti vigenti.

In subordine, egli chiede il ristoro del danno calcolato sui ricavi derivanti dalla vendita dell’energia in regime di ritiro dedicato, “ disciplinato dalla delibera dell’Energia Elettrica e il Gas - AEEG n. 280/07 ”.

Egli produce infine, a supporto del quantum richiesto, una perizia tecnica di parte.

Con successiva memoria difensiva l’appellante ribadisce le difese rassegnate;
ed evidenziava il perdurante ritardo della Provincia di Avellino – che formalmente aveva comunicato all’appellante il (ri-)avvio del procedimento in data 1° febbraio 2011 – anche dopo la notifica della sentenza di primo grado, nonostante quest’ultima avesse fissato all’amministrazione un termine ultimativo di trenta giorni (senza possibilità di proroghe) per definire una volta per tutte la procedura.

Detti ritardi portavano, alla fine, all’estinzione del procedimento per sopravvenuta incompetenza dell’amministrazione procedente, a seguito dell’adozione della delibera di Giunta della Regione Campania n. 48 del 28 febbraio 2014, che revocava alle province la competenza in materia di autorizzazione di impianti eolici con potenza non superiore a 1 MW.

L’appellante proponeva quindi una nuova istanza per il rilascio dell’autorizzazione alla Regione, ma il procedimento non poteva giungere a conclusione, stante la sopraggiunta approvazione della l.r. n. 6 del 2016 che disponeva una moratoria alla realizzazione di impianti eolici.

Ritiene il Collegio, ad un complessivo esame delle risultanze di causa, che il motivo di appello non possa trovare accoglimento.

Va preliminarmente detto che oggetto dell’odierno giudizio può essere solamente l’ipotetico danno eventualmente prodotto nel periodo antecedente la pubblicazione della sentenza di primo grado, che ha accertato (con statuizione ormai passata in giudicato) l’illegittimità del comportamento inerte dell’amministrazione, non ritenendo peraltro sussistenti i presupposti per concedere anche l’invocata tutela risarcitoria per equivalente.

Per il periodo successivo alla pronuncia, risulta infatti evidente la sussistenza di un concorso di colpa dell’appellante nella causazione del lamentato danno, avendo questi liberamente scelto di non diligentemente avvalersi della possibilità di attivare il Commissario ad acta regionale già nominato dal primo giudice una volta preso atto della mancata definizione del procedimento entro la scadenza del termine perentorio di trenta giorni dalla notificazione della sentenza.

Recita infatti quest’ultima, nel dispositivo: “ […] ordina alla Provincia di Avellino, in persona del dirigente dell’unità operativa all’uopo competente, di provvedere alla definizione del procedimento di cui in motivazione entro e non oltre trenta giorni dalla notificazione o comunicazione della presente sentenza.

Nomina fin d’ora, quale commissario ad acta per l’ipotesi di persistente inerzia, il Presidente della Regione Campania o suo delegato, affinché, su istanza di parte ed in sostituzione della Provincia di Avellino, provveda alla conclusione del procedimento entro sessanta giorni ”.

In questi termini, la decisione dell’appellante di non avvalersi dello strumento – datole dal giudice di primo grado – di abbandonare il procedimento instaurato presso la Provincia di Avellino, una volta preso atto della sua perdurante improduttività, presentando istanza al Presidente della Regione tenuto a tal punto ad operarsi per la definitiva conclusione dello stesso entro il termine di appena sessanta giorni, sicuramente integra i presupposti di cui all’art. 1227 Cod. civ..

In particolare, ai sensi del secondo comma di detta disposizione, « Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza », laddove è evidente – a seguire la stessa esposizione dei fatti fatta dall’appellante – che non vi è normale diligenza nel persistere, una volta scaduto il termine di trenta giorni per la completa definizione della pratica, nel coltivare un procedimento del quale erano ormai patenti i ritardi e le asserite irregolarità (fatte per di più oggetto di continue diffide formali all’amministrazione).

Per l’effetto, non possono trovare accoglimento le istanze risarcitorie fondate su un’ipotetica fruizione dei regimi agevolati applicabili alle autorizzazioni conseguite successivamente alla decisione di prime cure.

Per quanto invece concerne il periodo antecedente la pubblicazione della decisione di primo grado, per il quale fa ormai stato l’accertamento giudiziale dell’illegittimità del silenzio ( recte , del ritardo) serbato dall’amministrazione, non essendo stato proposto appello avverso il relativo capo della sentenza, ritiene il Collegio di dare continuità all’orientamento giurisprudenziale ( ex multis , Cons. Stato, IV, 12 luglio 2018, n. 4260;
V, 10 ottobre 2018, n. 5834) secondo cui – ogniqualvolta il privato si lamenta del solo ritardo nella conclusione del procedimento – il risarcimento del danno da ritardo relativo all’interesse legittimo pretensivo non ha ancora adeguato fondamento, perché può essere avulso da una valutazione concernente la spettanza del bene della vita ed è subordinato, tra l’altro, anche alla dimostrazione che l’aspirazione al provvedimento sia destinata ad esito favorevole e quindi, oltre che alla dirimente colpa dell’amministrazione, alla dimostrazione della spettanza definitiva del bene della vita collegato a tale interesse.

L’entrata in vigore dell’art. 2- bis della legge n. 241 del 1990 non ha elevato a bene della vita, suscettibile di autonoma protezione mediante il risarcimento del danno, l’interesse procedimentale al rispetto dei termini dell’azione amministrativa, avulso da ogni riferimento alla spettanza dell’interesse sostanziale, al cui conseguimento il procedimento stesso è finalizzato.

Infatti il principio generale dell’onere della prova, dell’ art. 2697 Cod. civ., si applica anche all’azione di risarcimento per danni proposta dinanzi al giudice amministrativo, perciò è onere del danneggiato portare in giudizio la prova di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria e, quindi, del danno di cui si invoca il ristoro per equivalente monetario.

Ciò riguarda anche il preteso danno da ritardo: l’inerente pretesa risarcitoria rientra nello schema generale dell’ art. 2043 Cod. civ., con conseguente applicazione rigorosa del principio dell’onere della prova in capo al danneggiato circa la sussistenza di tutti i presupposti oggettivi e soggettivi dell’illecito;
e con l’avvertenza che, nell’azione di responsabilità per danni, il principio dispositivo e dell’onere della prova, sancito in generale dall’ art. 2697, primo comma, Cod. civ., opera con autonoma pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio invece dell’azione di annullamento (in termini, Cons. Stato, IV, 5 febbraio 2018, n. 701).

In ogni caso la valutazione degli elementi costitutivi dell’illecito non può essere fondata soltanto sul dato oggettivo del procrastinarsi del procedimento amministrativo (Cons. Stato, V, 18 giugno 2018, n. 3730).

Infine – e la circostanza rileva anche nel caso in esame – in conformità ai doveri di ordinaria diligenza nelle relazioni intersoggettive che informano l’ordinamento e che richiedono di responsabilmente attivarsi nel limite di un apprezzabile sacrificio al fine di evitare che la situazione produttiva del danno si aggravi con il passare del tempo, anche in tema di danno da ritardo occorre valutare non il solo comportamento dell’amministrazione unitamente ma anche la condotta dell’istante, il quale è parte essenziale ed attiva del procedimento;
e, in tale veste, dispone di capacità idonee ad incidere sulla tempistica e sull’esito del procedimento stesso, attraverso il ricorso ai rimedi amministrativi e giurisdizionali offertogli dall’ordinamento, tra cui il rito del silenzio che va attivato con adeguata tempestività. In difetto rileva come comportamento causalmente orientato ai sensi dell’art. 1227 Cod. civ. (cfr. art. 30 Cod. proc. amm.) in ordine all’accertamento della spettanza del risarcimento nonché alla quantificazione del danno risarcibile (Cons. Stato, IV, 2 gennaio 2019, n. 20).

Dalla lettura degli atti di causa risulta la seguente concatenazione dei fatti:

1) in data 28 agosto 2008 l’interessato presentava istanza di autorizzazione amministrativa alla Regione Campania. Quest’ultima peraltro, con deliberazione di Giunta n. 500 del 20 marzo 2009, nell’adottare le nuove Linee guida “ per lo svolgimento del procedimento di autorizzazione unica relativo alla costruzione ed all’esercizio di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili ”, conferiva all’uopo espressa delega alle Province;

2) in ragione di ciò, in data 19 gennaio 2010 il competente ufficio regionale attestava di aver provveduto a trasmettere alla Provincia le istanze per il rilascio dell’autorizzazione unica di competenza, precisando come “ l’elenco delle istanze trasmesse ” fosse stato redatto “ rispettando rigidamente l’ordine cronologico della loro presentazione ”;

3) in data 19 aprile 2010 la Provincia di Avellino approvava, con delibera giuntale n. 89, il “ disciplinare per l’autorizzazione degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti di energia rinnovabili (FER) delegate alle province con DGR n. 1642/09 ”.

4) con comunicazione del 1° febbraio 2011, ricevuta in data 3 febbraio 2011, la Provincia comunicava all’appellante l’avvio del procedimento de quo . Lo stesso avrebbe a rigore dovuto concludersi entro il 31 luglio dello stesso anno;

5) a fronte dell’assenza di riscontri dall’amministrazione successivamente allo scadere di tale termine, l’interessato notificava una diffida a provvedere solo in data 26 ottobre 2012;

6) quindi, perdurando l’inattività della Provincia, il 30 ottobre 2012 notificava il ricorso giurisdizionale ex art. 31, comma 2 Cod. proc. amm.

Detto gravame, poi definito in tempi stretti con sentenza del 18 febbraio 2013 (la quale, come visto, fissava termine di appena trenta giorni alla Provincia per definire la questione, per di più da subito nominando un Commissario ad acta per scongiurare eventuali ulteriori dilazioni), veniva dunque proposto proprio in prossimità della scadenza del lungo termine concesso dalla legge (un anno e quarantasei giorni di sospensione feriale, dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento, pari a sua volta a centoottanta giorni dalla comunicazione di avvio).

Deve pertanto ritenersi, in conseguenza dei principi sopra richiamati, che sia pure in presenza di una evidente violazione, da parte dell’amministrazione, dei termini impostile per concludere il procedimento e di non giustificate carenze nello svolgimento di quest’ultimo (in relazione soprattutto alla mancata convocazione della Conferenza di servizi), l’odierno appellante non abbia agito con la necessaria diligenza a tutela dei propri interessi, omettendo in particolare di proporre da subito – ossia, all’infruttuoso scadere del termine del 31 luglio 2011 – un ricorso ex art. 31 Cod. proc. amm., attendendo invece oltre un anno per attivarsi in tal senso.

Relativamente a tale periodo, dunque, nessuna pretesa risarcitoria può essere soddisfatta, alla luce del principio di responsabilità che impronta il secondo comma dell’art. 1227 Cod. civ..

Nemmeno emergono chiare responsabilità della Provincia per l’arco temporale antecedente la comunicazione di avvio del procedimento, vuoi perché di competenza di altra amministrazione (la Regione), vuoi perché il procedimento non poteva obiettivamente essere attivato prima della formale adozione del relativo disciplinare.

Nessuna rilevanza, per contro, potevano avere le generiche diffide in varie occasioni notificate dall’appellante, di loro inidonee a supplire agli adempimenti tipici e formali che soli avrebbero assolto il relativo onere di diligenza nella cura degli interessi infine azionati in causa.

A ciò sia aggiunga – sempre riguardo al danno relativo al periodo antecedente la pubblicazione della sentenza di primo grado – che anche alla luce della documentazione depositata in atti di causa non appare scorretta l’implicita valutazione del primo giudice circa l’insussistenza, allo stato, dei presupposti per disporre il risarcimento richiesto.

L’appellante ha infatti prodotto alcuni pareri favorevoli, alla data ivi riportata, alla concessione dell’autorizzazione richiesta, rilasciati da parte delle amministrazioni che avrebbero dovuto esprimersi in Conferenza di servizi.

Va però detto che la produzione isolata di questi ultimi, al di fuori della sola sede ex lege deputata alla manifestazione della volontà amministrativa rilevante, non vale a surrogare quest’ultima, anche ai fini probatori: infatti non è possibile escludere che la manifestazione di volontà – ab origine positiva – delle singole amministrazioni avrebbe in tale sede potuto mutare, alla luce delle posizioni espresse dalle altre parti competenti ad esprimere il proprio parere qualificato.

A quanto sopra si aggiunge che che la determinazione conclusiva della Conferenza avrebbe dovuto essere assunta sulla base delle posizioni risultate prevalenti alla luce degli interessi coinvolti, circostanza che necessariamente predicava un confronto dialettico in tale sede.

Alla luce dei rilievi che precedono l’appello va respinto.

Ritiene peraltro il Collegio che la particolarità delle questioni sottoposte ad esame giustifichi, nel caso di specie, l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite del grado di giudizio .

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