Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2012-04-23, n. 201202387
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N. 02387/2012REG.PROV.COLL.
N. 06377/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6377 del 2009, proposto da T s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. A C, M L, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Premuda n. 6;
contro
Autorità garante della concorrenza e del mercato, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE I n. 5059/2009, resa tra le parti, concernente SANZIONE PECUNIARIA PER PUBBLICITA' INGANNEVOLE;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 aprile 2012 il Cons. R D N e uditi per le parti l’avvocato Coderoni e l’avvocato dello Stato Tidore;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con il ricorso di primo grado n. 9699 del 2008, la società odierna appellante, T s.r.l., ha impugnato il provvedimento assunto dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (d’ora innanzi AGCM o Autorità) nell’adunanza del 17 settembre 2008 nel procedimento relativo ai messaggi pubblicitari diffusi da svariate società, tre cui l’odierna appellante, messaggi rappresentati da telequiz a premi, tra cui quello denominato “Quizzone”, caratterizzato dalla partecipazione tramite contatto telefonico a sovrapprezzo con prefisso 899.
Il provvedimento è stato impugnato nella parte in cui delibera che il messaggio pubblicitario relativo al “Quizzone” costituisce una fattispecie di pubblicità ingannevole e irroga alla società T una sanzione pecuniaria pari ad euro 41.100.
2. Il Tar adito, con la sentenza in epigrafe (Tar Lazio – Roma, sez. I, 9 maggio 2009, n. 5059), ha respinto il ricorso.
3. Ha proposto appello l’originaria ricorrente, con atto tempestivamente e ritualmente notificato e depositato.
L’AGCM non si è costituita in appello.
4. In premessa di appello si lamenta che la società T si sarebbe limitata a ‘vendere’ lo spazio televisivo per una trasmissione altrui, per euro 3900, non incassando i proventi della sovratariffazione telefonica.
A fronte di un bilancio in atti che evidenziava un utile di esercizio di 18.379,81 euro, sarebbe sproporzionata la sanzione di 41.100 euro, pari a più del doppio dell’utile di esercizio.
Inoltre i bilanci successivi (2007 e 2008) erano ancora peggiori.
La società T si limitava a firmare un contratto di cessione di uno spazio pubblicitario in diretta dal 1° al 30 giugno 2007 per la durata di un’ora giornaliera, dalle ore 10 alle ore 11, dal lunedì al sabato ed esclusa la domenica.
La trasmissione è stata sospesa un giorno prima di quanto programmato, a seguito di reclamo di un ascoltatore.
5. Tanto premesso, con il primo motivo di appello si contesta il capo di sentenza che ha respinto il primo motivo del ricorso di primo grado.
5.1. In primo grado, con il primo motivo, si era dedotta la violazione dell’art. 5, d.P.R. n. 284/2003, nonché la violazione del principio del giusto procedimento: sarebbe tardiva l’emanazione del provvedimento, il quale, essendo il procedimento iniziato il 14 settembre 2007, avrebbe dovuto concludersi al massimo dopo 195 giorni, invece si è concluso il 17 settembre 2008, cioè dopo oltre un anno.
5.2. Il Tar ha respinto tale censura osservando che il procedimento può essere prorogato di 180 giorni se una parte ha sede all’estero;nel caso di specie il procedimento, condotto a carico di più operatori pubblicitari, di cui uno avente sede all’estero, aveva carattere unitario, e sarebbe stato prorogato correttamente per tutti gli operatori.
5.3. Con l’appello si lamenta che la pluralità di soggetti coinvolti nel procedimento non lo renderebbe necessariamente unitario.
Anche a ritenere applicabile la proroga di 180 giorni perché un operatore coinvolto aveva sede all’estero, il provvedimento sarebbe comunque tardivo, avendo avuto inizio il procedimento il 14 settembre 2007, ed essendosi concluso il 17 settembre 2008, con comunicazione a T solo il 6 ottobre 2008;il termine finale non sarebbe quello di adozione del provvedimento, ma quello della sua comunicazione ai destinatari.
5.4. Il motivo è infondato.
Non è in contestazione né il dies a quo da cui computare il termine di durata massima del procedimento, né che nel caso specifico, avuto riguardo ai termini indicati nell’art. 5, d.P.R. n. 284/2003, il procedimento potesse durare 195 giorni.
Si disputa della applicabilità della ulteriore proroga di 180 giorni, che porterebbe il termine complessivo a 375 giorni.
L’art. 5, co. 3, d.P.R. n. 284/2003 prevede che il termine sia di diritto prorogato di centottanta giorni nel caso in cui l'operatore pubblicitario sia residente, domiciliato od abbia sede all'estero.
Nel caso di specie il procedimento ha coinvolto più operatori, di cui uno avente sede all’estero.
Attesa l’unitarietà e inscindibilità del procedimento (sia per i suoi profili istruttori, sia per i legami contrattuali tra i soggetti coinvolti), e rilevato che ciò non è stato adeguatamente confutato dall’appellante, correttamente è stata applicata la proroga ex lege .
Con censura ulteriore l’appellante si duole che, anche a considerare applicabile il termine di 375 giorni, il procedimento si sarebbe concluso tardivamente, perché occorrerebbe avere riguardo alla data di comunicazione del provvedimento al suo destinatario.
La censura è inammissibile perché proposta per la prima volta in appello, non essendo contenuta nel ricorso di primo grado.
La censura è anche infondata perché da nessuna disposizione del regolamento si evince che il provvedimento, entro il termine massimo, debba essere, oltre che adottato, comunicato (e pubblicato sul Bollettino dell’Autorità).
6. Con il secondo e terzo motivo di appello, che possono essere esaminati congiuntamente, si contestano, rispettivamente, i capi di sentenza che hanno respinto il secondo e il terzo motivo del ricorso di primo grado.
6.1. Con il secondo motivo in primo grado si era dedotto eccesso di potere e violazione degli artt. 19-21 e 23, d.lgs. n. 206/2005 (codice del consumo): alla ricorrente non si potrebbe attribuire la qualificazione di operatore pubblicitario, atteso che sono stati identificati l’autore del messaggio e il committente pubblicitario, e che l’emittente appellante non avrebbe avuto alcun ruolo nella predisposizione, ideazione e realizzazione del telequiz, essendosi limitata a stipulare un contratto con la concessionaria di pubblicità.
6.2. Il Tar ha disatteso tali censure, osservando che la sanzione non sarebbe stata irrogata all’emittente per l’impossibilità di risalire al committente e autore del messaggio pubblicitario, bensì perché l’emittente è stata considerata direttamente responsabile sotto il profilo editoriale della diffusione del messaggio in questione: l’emittente non avrebbe correttamente evidenziato il carattere promozionale del telequiz, e lo avrebbe inserito nel palinsesto televisivo, consentendo di riportare la dicitura “in diretta” su tutti i messaggi, laddove si trattava invece di programmi preregistrati;in tal modo i telespettatori sarebbero stati indotti in inganno circa la vera natura del messaggio, ingenerando il falso convincimento che si trattasse di un programma di intrattenimento.
6.3. Con l’appello si contesta che il registro dei programmi trasmessi, vidimato e tenuto a norma di legge, ossia il palinsesto di T, evidenzia che la trasmissione era qualificata come televendita e non come telequiz;la trasmissione era in diretta, atteso che in contemporanea si apriva una finestra che emette il telegiornale Sky Tg 24 attestante la contemporaneità della trasmissione, e, siccome l’emittente si limitava a ricevere e trasmettere, non poteva acclarare se la trasmissione era o no effettivamente in diretta.
A comprova che la trasmissione appariva per quel che era, come televendita, starebbero sia il banner scorrevole che la scritta sovraimpressa:
La trasmissione non avrebbe avuto attitudine ingannatoria in quanto:
a) sul teleschermo vi era una didascalia fissa che recitava “messaggio promozionale di loghi e suoneria abbinata a manifestazione a premi. Acquista i contenuti e potrai essere estratto per andare in diretta”;
b) sulla parte sottostante del video girava un banner a velocità adeguata che lo rendeva leggibile, circa le condizioni e i costi di tariffazione telefonica, e il sito internet dove si poteva scaricare il regolamento del gioco.
6.4. Con il terzo motivo in primo grado si era dedotto che il messaggio non sarebbe ingannevole, attesa la presenza fissa sullo schermo di una didascalia ben visibile, a scorrimento non veloce, che indicava che si trattava di una televendita di loghi e suonerie, mentre la partecipazione al telequiz era riservata agli acquirenti.
6.5. Il Tar ha disatteso tali censure, osservando che il telequiz in questione era in realtà una televendita di loghi e suonerie mediante telefonate a numerazioni a sovrapprezzo;tuttavia la reale natura non era facilmente percepibile, essendo la televendita presentata sotto le sembianze apparenti di un telequiz, gli spettatori erano indotti a telefonare pensando di partecipare a un telequiz, ma in realtà così comprando loghi e suonerie. Rilevanti sarebbero i seguenti elementi: l’inserimento nel palinsesto televisivo;l’apparizione durante il programma della scritta “in diretta”, i solleciti della conduttrice del programma a telefonare;irrilevante sarebbe la presenza del banner scorrevole, che non rendeva comunque agevolmente percepibile la reale natura del programma;quanto alla dimensione della scritta in sovraimpressione e alla sua velocità di scorrimento, si tratta di apprezzamenti riservati all’apprezzamento dell’Autorità.
6.6. Con l’atto di appello si lamenta che non c’era l’attitudine ingannatoria in quanto:
- il palinsesto qualificava la trasmissione come televendita e non come telequiz;
- c’è la prova della trasmissione “in diretta”;
- il carattere di vendita promozionale era evidenziato dalla didascalia;
- il banner non era l’unico elemento informativo essendovi anche la didascalia fissa.
7. Entrambi i mezzi sono infondati.
7.1. Che nel palinsesto la trasmissione sia stata correttamente inserita come televendita ne conferma la reale natura, ma non toglie che la sua presentazione al pubblico abbia avuto l’apparenza di un telequiz, quindi un’attitudine ad ingannare il pubblico sulla reale natura della trasmissione.
7.2. Che la trasmissione fosse o meno effettivamente in diretta è una circostanza non rilevante, in quanto l’Autorità non contesta che la trasmissione non fosse effettivamente in diretta, ma contesta che la dicitura in diretta induceva nei telespettatori il convincimento che si trattasse di un telequiz e non di una televendita (pag. 22, par. 1.2., del provvedimento impugnato).
7.3. Vanno poi considerati tutti gli altri elementi decettivi, adeguatamente posti in rilievo nel par.