Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2014-05-30, n. 201402810
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Testo completo
N. 02810/2014REG.PROV.COLL.
N. 05162/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5162 del 2009, proposto da:
Untertheimerhof s.n.c., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati S D, C T e M C, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via Antonio Gramsci, 36;
contro
Comune di Villandro, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati C B e M C, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, viale Bruno Buozzi, 87;
nei confronti di
Gasser Erich, rappresentato e difeso dagli avvocati Dieter Schramm, Ivo Tschurtschenthaler e Luigi Manzi, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via Federico Confalonieri, 5;
per la riforma
della sentenza del T.R.G.A. - SEZIONE AUTONOMA DELLA PROVINCIA DI BOLZANO, n. 122/2009, resa tra le parti e concernente: demo-ricostruzione ed ampliamento di immobile adibito ad esercizio alberghiero;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti appellate;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 4 marzo 2014, il Cons. Bernhard Lageder e uditi, per le parti, gli avvocati M C, Fabrizio Mozzillo, per delega dell’avvocato M C, nonché Andrea Manzi, per delega dell’avvocato Luigi Manzi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale regionale di giustizia amministrativa, Sezione autonoma di Bolzano, respingeva i ricorsi n. 327 del 2005 (integrato da motivi aggiunti) e n. 45 del 2006, tra di loro riuniti, proposti dalla Untertheimerhof s.n.c., in qualità di proprietaria frontista della p.ed. 745 C.C. Villandro adibito ad esercizio ricettivo alberghiero, avverso una serie di atti comunali e provinciali, inerenti alla parziale demolizione e ricostruzione, con ampliamento qualitativo, dell’immobile di proprietà del controinteressato Gasser Erich, tavolarmente identificato dalla p.ed. 668 C.C. Villandro, pure destinato ad esercizio ricettivo alberghiero e rimasto parzialmente distrutto da un incendio, nel mese di marzo 2005.
I due immobili sono ubicati in zona residenziale B - zona di completamento, non soggetta a piano di attuazione, e tra di loro separati da una strada comunale (p.f. 3061) della larghezza di ca. 3 m, all’epoca dei fatti classificata come strada di tipo ‘A’ (ai sensi dell’art. 6 delle n.t.a. del p.u.c. di Villandro).
1.1. Gli atti impugnati erano stati preceduti dal rilascio della concessione edilizia n. 45/2005 del 1° settembre 2005 (non impugnata), avente ad oggetto l’esecuzione di lavori di demolizione, di scavo, di realizzazione delle fondamenta e delle opere di protezione, qualificati dal T.r.g.a come primo lotto per la realizzazione dell’edificio (sulla base del duplice rilievo che la concessione concerneva non solo opere di demolizione, ma anche di ricostruzione dell’edificio, quali le opere di protezione e la costruzione delle fondamenta, e che la prima istanza di concessione del 4 luglio 2005 conteneva un progetto sia per la demolizione, sia per la ricostruzione dell’immobile), nonché dall’adozione della deliberazione della giunta comunale di Villandro n. 158 del 20 luglio 2005 (pure non impugnata), con la quale era stata autorizzata la riduzione a 3,30 m della distanza dalla confinante strada pubblica, per la realizzazione di un corpo edilizio aggiunto sul lato nord-ovest dell’edificio.
1.2. Con i menzionati ricorsi sono stati impugnati i seguenti atti:
(i) la concessione edilizia n. 62 del 3 ottobre 2005, con la quale era stata autorizzata la ricostruzione con ampliamento dell’edificio alberghiero;
(ii) la deliberazione della giunta comunale di Villandro n. 194 del 28 settembre 2005 – non ancora esecutiva al momento del rilascio della concessione edilizia sub (i) –, con cui il controinteressato era stato autorizzato a ricostruire lo stabile sul perimetro preesistente dell’edificio in questione, ossia a distanza quasi azzerata dalla strada pubblica, nella parte nord-est del fabbricato (con la precisazione, che la deliberazione impugnata differisce da quella non impugnata n. 158 del 20 luglio 2005, di cui sopra sub 1.1., per diversità di oggetto, riferendosi quella impugnata alle distanze dalla strada sul lato nord-est e l’altra alle distanze dalla strada sul lato nord-ovest dell’erigendo edificio);
(iii) la licenza d’uso n. 24/2006 del 24 ottobre 2006;
(iv) il parere della commissione edilizia comunale del 19 settembre 2005, posta a base della concessione edilizio sub (i);
(v) la deliberazione della giunta provinciale n. 4281 del 14 novembre 2005, con la quale era stato respinto il ricorso popolare proposto dalla ricorrente a tale organo, ai sensi dell’art. 105 l. prov. 11 agosto 1997, n. 13 (l. urb. prov.).
1.3. L’adìto T.r.g.a., prescindendo dall’esame delle eccezioni pregiudiziali di rito delle parti resistente e rispettivamente controinteressata, provvedeva come segue:
(i) riconduceva l’intervento edilizio in questione nell’ambito di applicazione della disciplina dell’art. 59, comma 1 lett. d), e comma 3, l. urb. prov. (nella versione all’epoca vigente), per espressa previsione normativa, contenuta nel comma 2 del citato articolo di legge, dichiarata prevalente sulle disposizioni dei piani urbanistici comunali e dei regolamenti edilizi, affermando, in linea di diritto, che poteva di conseguenza essere autorizzato un nuovo edificio per sagoma, superficie, dimensione e tipologia in tutto o in parte diverso dal precedente, e, quanto alle distanze, che le stesse non potevano essere inferiori a quelle preesistenti, nonché, in linea di fatto, che dalla documentazione prodotta non risultava che il nuovo edificio superasse il perimetro dell’edificio preesistente o che fossero previste distanze minori di quelle preesistenti, respingendo di conseguenza le censure di erronea applicazione della normativa urbanistico-edilizia riferita all’ipotesi di demo-ricostruzione, anziché di quella relativa all’ipotesi di nuova costruzione, e di violazione delle distanze (dalle strade) di cui all’art. 4 lett. g) delle n.t.a. del p.u.c. di Villandro, e ritenendo applicabile l’art. 879, comma 2, cod. civ., in relazione al citato art. 59, comma 2, l. urb. prov., in tema di costruzioni realizzate a confine con strade e piazze pubbliche;
(ii) affermava l’irrilevanza della mancata esecutività della deliberazione della giunta comunale n. 194 del 28 settembre 2005 al momento del rilascio della concessione edilizia, avendo la citata deliberazione valenza meramente confermativa dell’assetto normativo vigente, con conseguente legittimità della concessione edilizia, conforme alla vigente normativa;
(iii) dava atto della mancata impugnazione della deliberazione della giunta comunale n. 158 del 20 luglio 2005, sicché ogni correlativa questione esulava dai limiti oggettivi del giudizio, così come dichiarava estranea all’oggetto del contendere ogni questione inerente l’eventuale difformità dei lavori eseguiti dai progetti approvati (sia quanto a distanze, sia quanto a numero di parcheggi) – progetti, risultati conformi alla disciplina urbanistico-edilizia –, in tesi da sanzionare dalla competente autorità comunale nell’esercizio della funzione di vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia;
(iv) respingeva l’impugnazione proposta avverso la licenza d’uso del 24 ottobre 2006, il cui rilascio era inidoneo ad integrare e/o sanare il titolo edilizio in ipotesi di divergenza della costruzione dal progetto autorizzato, nonché le censure di disparità di trattamento tra le due parti private, obbligate a rispettare le distanze previste negli strumenti urbanistici in caso di nuove costruzioni, in quanto il progetto osservava i limiti dei perimetri preesistenti e ricadeva nell’ambito di applicazione dell’art. 59 l. urb. prov.;
(v) respingeva il ricorso n. 45 del 2006, proposto avverso la deliberazione della giunta provinciale sub 1.2.(v), attesa l’inconsistenza delle censure dedotte dalla ricorrente in sede di ricorso popolare, coincidenti con quelle fatte valere in sede giudiziale;
(vi) condannava la società ricorrente a rifondere alle controparti le spese di causa.
2. Avverso tale sentenza interponeva appello la ricorrente soccombente, espressamente limitando l’impugnazione alle statuizioni concernenti gli atti di emanazione comunale [con esclusione della statuizione di rigetto del ricorso n. 45 del 2006, proposto avverso la deliberazione della giunta provinciale, reiettiva del ricorso popolare], sostanzialmente riproponendo i motivi di primo grado, seppur adattati all’impianto motivazionale dell’appellata sentenza. L’appellante chiedeva dunque, in riforma dell’impugnata sentenza, l’accoglimento del ricorso di primo grado n. 327 del 2005, con vittoria di spese.
3. Si costituivano in giudizio sia l’amministrazione comunale, sia l’originario controinteressato, riproponendo le eccezioni di improcedibilità e/o inammissibilità sollevate in primo grado e contestando nel merito la fondatezza dell’appello.
4. All’udienza pubblica del 4 marzo 2014 la causa è stata trattenuta in decisione.
5. A fronte dell’infondatezza dell’appello per le ragioni di seguito esposte, si può prescindere dall’esame delle eccezioni pregiudiziali di rito sollevate dalle parti rispettivamente resistente e controinteressata in primo grado e non esaminate dal T.r.g.a. per ragioni di economia processuale.
Nel merito, l’appello è infondato:
In primo luogo, alla luce di un attento esame della documentazione prodotta in giudizio e dall’ivi emergente collegamento funzionale e strutturale, progettuale ed esecutivo, delle opere autorizzate con la concessione edilizia n. 45/2005 del 1° settembre 2005 (non impugnata) con quelle oggetto della concessione edilizia n. 62/2005 del 3 ottobre 2005 (impugnata), deve condividersi la lettura sistematica delle due concessioni edilizie, come unitariamente volte alla realizzazione di lavori di demo-ricostruzione (con ampliamento) dell’immobile rimasto parzialmente distrutto dall’incendio, quale effettuata dai primi giudici, con conseguente infondatezza della ricostruzione atomistica dei progetti concessionati, propugnata dall’odierna appellante nel primo motivo d’impugnazione (secondo cui la prima concessione sarebbe del tutto autonoma dalla seconda, con conseguente inconfigurabilità di un’ipotesi di ristrutturazione dell’edifico preesistente, bensì di nuova costruzione autorizzata con il secondo titolo edilizio, mentre con la prima concessione sarebbe stata autorizzata la mera demolizione delle preesistenze).
Peraltro, tenuto conto dell’evento di forza maggiore (incendio) che aveva parzialmente distrutto l’edificio alberghiero, appare irragionevole un’applicazione rigida del principio di necessaria contestualità tra fase di demolizione e fase di ricostruzione (invocato dall’odierna appellante), presupponente l’integrità dell’edificio originario, a prescindere dal rilievo che nel caso di specie i due titoli edilizi si sono susseguiti entro tempi alquanto stretti (un mese), tant’è che all’atto del rilascio della seconda concessione i lavori autorizzati con la prima appaiono essere stati ancora in corso (v. documentazione fotografica, in atti).
In secondo luogo, deve ritenersi corretta la qualificazione dell’intervento edilizio in esame come ristrutturazione ai sensi dell’art. 59, comma 1, lett. d), l. urb. prov. (nel testo in vigore all’epoca del rilascio dei titoli edilizi) – che definisce « interventi di ristrutturazione edilizia quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo per sagoma, superficie, dimensione e tipologia in tutto o in parte diverso dal precedente », aggiungendo che « tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti », e dunque non postulando un intervento di ‘fedele ricostruzione’ –, con conseguente applicabilità del successivo comma 3 – dal seguente tenore letterale: « Il recupero di edifici siti in zone residenziali non soggette a un piano di attuazione può essere effettuato anche tramite interventi di ristrutturazione edilizia ai sensi del comma 1, lettera d). Qualora le distanze dai confini e dalle costruzioni esistenti siano inferiori a quelle prescritte dal piano urbanistico comunale, le distanze esistenti non possono essere ridotte (…) » –, oltre che della previsione contenuta nel secondo comma, secondo cui « Le definizioni del presente articolo prevalgono sulle disposizioni dei piani urbanistici comunali e dei regolamenti edilizi. (…) » (con la precisazione, che le richiamate disposizioni sono state emanate nell’esplicazione della potestà legislativa esclusiva della Provincia autonoma di Bolzano in materia urbanistica).
Attesa l’applicabilità della citata regola della derogabilità delle distanze dai confini (quali prescritte dal p.u.c.), entro i limiti dei confini preesistenti, anche alle distanze dai confini con le strade pubbliche – non distinguendo la lettera della legge tra confini con spazi pubblici e privati, e rispondendo la previsione normativa alla ratio di valorizzare il patrimonio edilizio esistente in zone residenziali non soggette a piani di attuazione –, l’intervento in esame doveva ritenersi legittimo ex lege , senza necessità di apposite deliberazioni comunali in deroga, con conseguente corretta affermazione dell’irrilevanza della questione concernente la mancata esecutività della deliberazione della giunta comunale n. 194 del 28 settembre 2005 al momento del rilascio della concessione edilizia.
Si aggiunga che, in virtù della prevalenza della disciplina speciale dell’art. 59 l. urb. prov. sulle previsioni degli strumenti urbanistici (v. il citato comma 2 dell’art. 59), nella fattispecie sub iudice non hanno modo di trovare applicazione le disposizioni degli artt. 4, lett. g), e 7 delle n.t.a del p.u.c di Villandro, in tema di distanze dalle zone pubbliche e dalle strade e di rispettive fasce di rispetto, in disparte il rilievo che, seguendo la tesi interpretativa dell’odierna appellante, si renderebbe sostanzialmente impossibile un recupero degli edifici nei centri abitati o nei centri storici, in contrasto con la ratio sottesa alla menzionata disciplina provinciale. La prevalenza della richiamata disciplina speciale sulle previsioni degli strumenti urbanistici esclude anche la dedotta violazione dell’art. 879, comma 2, cod. civ., come correttamente statuito nell’appellata sentenza.
In punto di fatto, alla luce di una valutazione globale ed onnicomprensiva della prodotta documentazione progettuale e planimetrica, a ragione è stata esclusa la violazione delle distanze preesistenti (a prescindere dal rilievo che la questione della distanza dell’interrato verso la strada comunale p.f. 3061 appare comunque superata dal rilascio della concessione in variante n. 9/2006 del 13 marzo 2006, non impugnata), così come, altrettanto a ragione, è stato posto in evidenza che un’eventuale difformità dei lavori realizzati da quelli progettati esula dall’ambito oggettivo del presente giudizio e costituisce materia di eventuali interventi dell’autorità preposta alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale;le stesse, identiche considerazioni da ultimo svolte valgono con riguardo alla questione del numero dei parcheggi.
Conclusivamente, per le esposte ragioni, l’appello è da respingere, con assorbimento di ogni altra questione, ormai irrilevante ai fini decisori.
6. In applicazione del criterio della soccombenza, le spese del presente grado di giudizio, come liquidate nella parte dispositiva, vanno poste a carico dell’appellante.