Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2017-07-17, n. 201703513
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Pubblicato il 17/07/2017
N. 03513/2017REG.PROV.COLL.
N. 06109/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6109 del 2016, proposto dall’Universita' degli studi “Federico II” di Napoli, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
i signori I C e M E, rappresentati e difesi dagli avvocati R M e G M P, con domicilio eletto presso lo studio Luigi Napolitano in Roma, via Sicilia, 50;
nei confronti di
Azienda Ospedaliera Università Federico II, non costituita in giudizio;
per la riforma ovvero l’annullamento
previa concessione delle più idonee misure cautelari
della sentenza del TAR Campania, sede di Napoli, sezione II, 17 maggio 2016 n.2528, resa fra le parti, che ha accolto il ricorso n.4807/2015, proposto per l’annullamento del del decreto 18 maggio 2015 n.1651 del Rettore dell’Università “Federico II”, di approvazione del regolamento per gli incarichi extraistituzionali per il personale dirigente e tecnico amministrativo, del provvedimento 24 luglio 2015 n.12047 del Commissario straordinario dell’azienda ospedaliere dell’Università predetta e di ogni altro atto presupposto, connesso, ovvero consequenziale;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dei signori I C e M E;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 giugno 2017 il Cons. F G S e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Alessia Urbani Neri e l’avvocato R M;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I ricorrenti appellati sono medici legali, dipendenti dell’Università “Federico II” in servizio presso la relativa Azienda ospedaliera;sono poi iscritti all’albo dei consulenti tecnici d’ufficio presso il Tribunale di Napoli (fatti pacifici in causa).
Il regolamento per gli incarichi extraistituzionali per il personale dirigente e tecnico amministrativo, di tale Università, approvato da ultimo con il decreto del Rettore 1651/2015 meglio indicato in epigrafe, dispone al comma 2 dell’art. 3, rubricato “ Iscrizione ad albi professionali e ad altri albi ed elenchi ”, che “ E’ consentita… senza la necessità di una preventiva autorizzazione dell’amministrazione l’iscrizione agli albi dei Tribunali in qualità di CTU e/o di perito… ”.
Lo stesso regolamento, peraltro, al comma 1 lettera n) dell’art. 6, rubricato appunto “ Attività soggette ad autorizzazione ”, richiede l’autorizzazione dell’amministrazione stessa per le “ prestazioni richieste dall’autorità giudiziaria o da altra autorità in conformità ai poteri attribuiti dalla medesima dall’ordinamento giuridico ”, e quindi, all’evidenza, anche per svolgere i singoli incarichi di perizia o consulenza tecnica che il dipendente iscritto al relativo albo presso un tribunale si può veder conferire (doc. 2 ricorrenti appellati, regolamento citato).
Di conseguenza, la delibera commissariale 12047/2015, pure meglio indicata in epigrafe, rivolta al personale dell’Azienda ospedaliera, per i medici dipendenti della struttura, in dichiarata applicazione del d. lgs. 30 marzo 2001 n.165, richiede la preventiva autorizzazione per ogni singolo incarico di consulenza che il dipendente in questione riceva (doc. 3 ricorrenti appellanti, delibera citata).
I ricorrenti appellati, ciò posto, hanno impugnato in primo grado il regolamento e la delibera sopra citati, ritenendo in sintesi illegittima tale limitazione.
Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR ha accolto il ricorso e, respinta una serie di eccezioni preliminari, ha in sintesi condiviso la tesi dei ricorrenti;ha infatti ritenuto che l’attività di consulente tecnico d’ufficio dell’autorità giudiziaria sia ricollegabile non ad un rapporto contrattuale di qualche genere, ma all’adempimento di una funzione pubblica nell’interesse dell’amministrazione della giustizia, per cui sarebbe illegittimo, e potenzialmente lesivo dell’indipendenza della magistratura, ammettere l’iscrizione nel relativo albo, salvo poi subordinare l’effettivo esercizio dell’attività ad una autorizzazione da rilasciare caso per caso.
Contro tale sentenza, ha proposto impugnazione l’Università intimata, con appello contenente due censure, riconducibili secondo logica ai seguenti quattro motivi:
- con il primo di essi, corrispondente alla prima censura a p. 3 dell’atto, deduce il difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo in favore dell’Autorità giudiziaria ordinaria;
- con il secondo motivo, corrispondente alla prima parte della seconda censura, a p. 4 righe dalla settima alla quindicesima dell’atto, ripropone l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposta in primo grado e respinta dalla sentenza, nel senso che l’impugnazione sarebbe inammissibile perché il regolamento impugnato sarebbe meramente confermativo di uno precedente di identico contenuto;
- con il terzo motivo, corrispondente alla seconda parte della seconda censura, a p. 4 righe successive dell’atto, ripropone l’eccezione di irricevibilità del ricorso perché proposto tardivamente, ovvero notificato il 18 settembre 2015 a fronte di un regolamento pubblicato il 19 maggio 2015 (doc. 1 ricorrenti appellati, copia notificata del ricorso di primo grado);
- con il quarto motivo, corrispondente alla restante parte della censura, deduce infine violazione dell’art. 53 d. lgs. 165/2001, nel senso che la consulenza tecnica d’ufficio sarebbe comunque soggetta ad autorizzazione.
I ricorrenti appellati hanno resistito, con memorie 28 luglio e 16 settembre 2016, e chiesto che l’appello sia respinto.
Con ordinanza 7 ottobre 2016 n.4480, la Sezione ha accolto la domanda cautelare avanzata dall’amministrazione nel senso di una sollecita fissazione dell’udienza di merito;successivamente, all’udienza del giorno 27 giugno 2017, fissata con l’ordinanza cautelare, ha trattenuto il ricorso in decisione.
DIRITTO
1. L’appello è infondato e va respinto, per le ragioni precisate di seguito.
2. E’ anzitutto infondato il primo motivo, in cui si sostiene il difetto di giurisdizione di questo Giudice in favore del Giudice ordinario.
Per costante giurisprudenza, si veda da ultimo Cass. civ. SS.UU. 27 febbraio 2017 n.4881, sono infatti devolute alla giurisdizione generale di legittimità del Giudice amministrativo le controversie in cui si impugnino “gli atti di macro organizzazione mediante i quali le amministrazioni pubbliche definiscono le linee fondamentali di organizzazione degli uffici”.
Il regolamento e il provvedimento del Commissario di cui si tratta appartengono all’evidenza a tale categoria, perché fa sicuramente parte dell’organizzazione dell’ufficio, e in particolare del razionale impiego delle risorse umane ad esso assegnate, stabilire quali attività estranee al servizio un dipendente possa esercitare, e nel caso a quali condizioni.
Solo per completezza, poi, si ricorda che l’interesse al ricorso immediato avverso un regolamento, che pure è per definizione atto generale ed astratto, sussiste in presenza della semplice obiettiva incertezza che le sue prescrizioni possono ingenerare sul regime dell’attività dei destinatari, e non richiede l’ulteriore pregiudizio rappresentato da atti sfavorevoli applicativi: sul principio, C.d.S. sez. V 7 ottobre 2016 n.4130 e sez. VI 16 febbraio 2002 n°961.
3. E’infondato anche il secondo motivo, che ripropone l’eccezione preliminare di inammissibilità dedotta in primo grado.
Come è noto, la differenza fra la conferma e l’atto meramente confermativo consiste in questo: la conferma consegue ad un completo riesame della fattispecie e ad una nuova valutazione, all’esito dei quali si adotta un nuovo atto di contenuto identico a quello originario;l’atto meramente confermativo è invece quello che richiama il contenuto di un precedente provvedimento, limitandosi a dichiarare che esso esiste, e quindi senza alcuna nuova istruttoria o nuova valutazione degli elementi di fatto e di diritto già considerati in precedenza.
La distinzione rileva sul piano processuale: la conferma si sostituisce integralmente al precedente provvedimento, e risulta autonomamente impugnabile da parte dell'interessato;l'atto meramente confermativo non è invece impugnabile, perché privo di efficacia lesiva propria: in tal senso, fra le molte C.d.S. sez. IV 27 gennaio 2017 n.357 e sez. VI 17 dicembre 2007 n.6459.
Nel caso di specie, come si rileva a semplice lettura delle premesse, il regolamento impugnato (doc. 2 ricorrenti appellati, cit.) è stato adottato per rispondere ad una nuova esigenza, ovvero per adeguarlo ai Piani anticorruzione nazionale e di ateneo, e quindi ha comportato per definizione, un corrispondente riesame della fattispecie.
Si tratta quindi di un atto confermativo, rispetto al quale l’impugnazione è ammissibile.
4. Parimenti infondato è il terzo motivo di ricorso, centrato sulla presunta tardività dell’impugnazione.
Per costante giurisprudenza infatti, la prova del fatto dal cui verificarsi decorre il termine di decadenza per impugnarlo deve essere data da chi eccepisce la tardività del ricorso relativo: sul principio, C.d.S. sez. V 22 marzo 2016 n.1192 e 27 novembre 1989 n.779.
Nel caso di specie, come osservato in modo condivisibile dalla sentenza impugnata e sottolineato dalla difesa degli appellati, l’Università appellante si è limitata ad affermare che il regolamento sarebbe stato pubblicato ad una certa data, ma non ha offerto prova alcuna in merito.
5. Da ultimo, è infondato anche il quarto motivo, per cui le limitazioni di cui si discute sarebbero comunque legittime.
La norma di riferimento è l’art. 53 del d. lgs. 165/2001, rubricato “ Incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi ”, che ai commi 7, 8 e 9 stabilisce per i dipendenti pubblici un divieto generale di assumere senza autorizzazione dell’amministrazione cui appartengono “ incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza ”, e corrispondentemente proibisce alle altre amministrazioni, agli enti pubblici economici e ai privati di conferirli senza tale autorizzazione.
Secondo la difesa dell’amministrazione appellante, le disposizioni di regolamento impugnate sarebbero legittime, in quanto semplicemente applicative di tali norme di legge.
6. Il Collegio è di diverso avviso, e condivide sul punto quanto affermato dal Giudice di primo grado.
Gli “ incarichi “ai quali le norme citate fanno riferimento sono infatti di tipo essenzialmente diverso da quelli di consulenza tecnica dei quali si controverte in questo processo.
Ciò si afferma anzitutto con riguardo al soggetto che li conferisce, che è l’Autorità giudiziaria, ovvero il giudice o il P.M. ai sensi degli artt. 221 e 233 c.p.p., 191 c.p.c. e 19 comma 2 c.p.a., e quindi un soggetto non identificabile con le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici economici ovvero i privati cui l’art. 53 d. lgs. 165/2001 si riferisce.
Ciò va affermato poi anche con riguardo alla natura intrinseca dell’incarico, che non costituisce l’oggetto di un contratto di prestazione d’opera professionale o di altro tipo, ma una funzione pubblica che si adempie a fini di giustizia: così Cass. civ. sez. II 1 febbraio 2017 n.4424 e 6 agosto 1990 n.7905.
Lo conferma anche il relativo regime giuridico, per cui l’assunzione dell’incarico è doverosa, come si ricava dall’art. 366 c.p., secondo il quale costituisce reato la condotta di chi, nominato all’ufficio, ne ottenga con mezzi fraudolenti l’esenzione, e dall’art. 63 c.p.c., per cui “ Il consulente scelto tra gli iscritti in un albo ha l'obbligo di prestare il suo ufficio, tranne che il giudice riconosca che ricorre un giusto motivo di astensione ”.
Ciò posto, un’interpretazione delle norme dell’art. 53 d. lgs 165/2001 nel senso di comprendere comunque gli incarichi di consulente tecnico per l’autorità giudiziaria sarebbe altresì contraria alla Costituzione, come pure notato nella sentenza impugnata.
La Corte costituzionale, con la sentenza 14 aprile 1998 n.440 citata dal Giudice di primo grado, ha infatti ritenuto contrastante con l’art. 101 Cost, e con l’indipendenza della Magistratura da esso garantita una norma di legge, la quale vietava al magistrato di scegliere il perito cui affidare la perizia in materia di opere d’arte e lo obbligava a tal fine a rivolgersi ad un organo amministrativo, nella specie al Ministro per i beni culturali, per averne l'indicazione della persona alla quale conferire il relativo incarico.
E’infatti evidente che è solo formale l’indipendenza di un Giudice al quale è precluso, o reso difficile, accedere alle conoscenze tecniche e specifiche necessarie al corretto apprezzamento dei fatti da giudicare.
7. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.