Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2012-01-19, n. 201200197

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2012-01-19, n. 201200197
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201200197
Data del deposito : 19 gennaio 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 09784/2006 REG.RIC.

N. 00197/2012REG.PROV.COLL.

N. 09784/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9784 del 2006, proposto da:
Comune di Torre Annunziata, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avv. D F e G P, con domicilio eletto presso Ferruccio De Lorenzo in Roma, via Luigi Luciani, n. 1;

contro

L A s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avv. G A e Luigi M. D’Angiolella, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via M. Mercati, 51;

nei confronti di

Ufficio Territoriale del Governo di Napoli, Associazione ARCI “Nei Giardini Che Nessuno Sa”, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sezione Settima, 31 marzo 2006, n. 3291, resa tra le parti, concernente revoca di concessione demaniale.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza del giorno 12 luglio 2011 il consigliere A P e uditi per il comune ricorrente l’avvocato Colagrande per delega dell’avvocato Palma;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La società L A s.r.l. impugnava, con ricorso n. 4824/2005 R.G. proposto innanzi il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, i seguenti atti:

a) provvedimento n. 1741 del 21 giugno 2005 del VI Dipartimento Servizio Demanio del Comune di Torre Annunziata, con il quale si revocava la concessione demaniale n. 3 dell’11 giugno 2002 rilasciata alla società e relativa al complesso balneare e ricreativo denominato “L A”;

b) comunicazione di avvio del procedimento ex articolo 7 L. n. 241/90 prot. 92 del 6 giugno 2005 del VI Dipartimento Servizio Demanio del Comune di Torre Annunziata;

c) provvedimento dell’Ufficio Territoriale di Governo di Napoli - Prefettura n. 277/Area I bis/05 del 12 maggio 2005 (informativa);
(ricorso principale);

d) relazione dell’UTG di Napoli del 6 luglio 2005 n. 594/Area VI/LEG/Ant., con cui si spiegavano le ragioni della informativa negativa a carico della società ricorrente;

e) atti ivi richiamati ma non allegati e cioè: verbale della riunione del gruppo Investigativo Antimafia del 10 maggio 2005;
rapporto del 6 maggio 2005 della Commissione Interforze;
decreto prefettizio del 27 dicembre 2004;
D.M. Interni 23 dicembre 1993;
(motivi aggiunti del 22 luglio 2005);

f) ordinanza n. 37 del 2 agosto 2005 del Dirigente dell’Ufficio Commercio EPE del Comune di Torre Annunziata con cui si ordinava alla società “di consegnare ad horas le autorizzazioni e di sgomberare l’area demaniale entro il termine di 60 giorni dalla notifica”;

g) ordinanza n. 36 del 27 luglio 2005 a firma del Dirigente del Servizio Demanio del Comune di Torre Annunziata con cui si ordinava alla società di sgomberare l’area demaniale oggetto della concessione revocata;

h) atto 9 agosto 2005 con cui il Comando di Polizia Municipale diffidava la società dall’utilizzare le autorizzazioni commerciali;

i) provvedimento del VI Dipartimento del Comune di Torre Annunziata con cui si comunicava l’avvio del procedimento della revoca delle licenze di somministrazione e bevande;
(motivi aggiunti del 18 ottobre 2005).

Gli atti rilevanti, ai fini del giudizio, sono rispettivamente il provvedimento n. 1741 del 21 giugno 2005 (con il quale è stata revocata la concessione demaniale n. 3 dell’11 giugno 2002) ed il provvedimento n. 277/Area I bis/05 del 12 maggio 2005 dell’Ufficio Territoriale del Governo con il quale era stato comunicato al Comune che <<a carico della società L A s.r.l. “… sussiste il pericolo di condizionamento da parte della criminalità organizzata …”>>.

Nel corso del giudizio di primo grado l’Ufficio Territoriale del Governo di Napoli ha depositato, in data 9 luglio 2005, la nota n. 594/Area VI/LEG./ANT del 6 luglio 2005, contenente relazione sui fatti di causa, nella quale si rappresentava che, a seguito di appositi accertamenti, la Commissione Interforze era pervenuta alla conclusione (rapporto del 6 maggio 2005), condivisa dal Gruppo Investigativo Antimafia (riunione del 10 maggio 2005), che <<la società in questione era condizionata nelle scelte e negli indirizzi da soggetti direttamente o indirettamente riconducibili a consorterie criminali>>
e che <<pertanto, con prefettizia del 12 maggio 2005, si comunicava al Sindaco del Comune di Torre Annunziata che, nell’ambito dell’attività di prevenzione posta in essere da questa Prefettura, ai sensi dell’articolo 1 della legge 356/92 e del D.M. 23 dicembre 1993, al fine di contrastare le forme di infiltrazione e condizionamento della criminalità organizzata nei settori dell’attività commerciale e del territorio in genere, erano stati svolti accertamenti nei confronti della società L A s.r.l. al cui esito era emerso che a carico della stessa sussisteva il pericolo di condizionamento da parte della criminalità organizzata. Tanto, …, per l’adozione dei consequenziali provvedimenti di competenza>>.

Il giudice di primo grado ha ritenuto fondato il settimo motivo di ricorso (più diffusamente e dettagliatamente ribadito con il primo dei motivi aggiunti depositati il 22 luglio 2005), con il quale si è dedotto che l’informativa di cui alla nota dell’Ufficio Territoriale di Governo di Napoli n. 277/Area I bis/05 del 12 maggio 2005 rientra nella specie delle informative “atipiche” (o supplementari) e non ha quindi efficacia interdittiva automatica. Conseguentemente, il Comune non poteva ritenersi vincolato alla revoca della concessione demaniale per cui è causa, ma avrebbe dovuto effettuare, in contraddittorio con la parte interessata, una rinnovata valutazione discrezionale circa l’incidenza delle informazioni fornite dalla Prefettura sulla perdurante sussistenza dei requisiti soggettivi necessari ai fini del mantenimento del titolo abilitativo in questione.

Di tanto, è sufficiente ricavarne il convincimento da una rapida lettura del quadro normativo di riferimento.

Il “ritiro” (sotto forma di decadenza o di revoca) del titolo abilitativo (licenza, autorizzazione, concessione o altro) accede automaticamente alle comunicazioni prefettizie effettuate ai sensi dell’articolo 10 della legge 31 maggio 1965 n. 575, ovvero di quelle rese ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 8 agosto 1994 n. 490, cui corrisponde l’analoga previsione attuativa di cui all’articolo 10 del d.P.R. 3 giugno 1998, n. 252 (cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez. VI, n. 1979/2003).

Tuttavia, la fattispecie in esame non rientra in alcuna delle due ipotesi considerate.

L’articolo 10 della legge n. 575/65 prevede infatti la decadenza di diritto dalle concessioni nei confronti delle <<persone alle quali sia stata applicata con provvedimento definitivo una misura di prevenzione>>
(circostanza che pacificamente non sussiste a carico dell’amministratore della società ricorrente).

L’articolo 4 del d. lgs. n. 490/94 stabilisce che, qualora siano acquisite <<informazioni relative ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate>>
(co. 4°), <<le amministrazioni … non possono … comunque consentire le concessioni>>
(co. 6°).

Per espressa previsione contenuta nella stessa norma, tuttavia, l’effetto interdittivo automatico in questione è ricollegato, tra l’altro, alle concessioni di beni demaniali <<il cui valore sia superiore a 300 milioni di lire>>
(co. 1°, lett. “b”).

Il d.P.R. n. 252/98, nel dare esecuzione alla normativa delegata, ha stabilito all’art. 10, con analoga previsione, che <<quando, a seguito delle verifiche disposte dal prefetto, emergono elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa nelle società o imprese interessate, le amministrazioni cui sono fornite le relative informazioni non possono … comunque consentire le concessioni …>>
(co. 2°), parimenti ponendo, tuttavia il limite di valore della concessione demaniale, che non deve essere inferiore a 300 milioni di lire (co. 1°, lett. “b”): tanto, in linea con la previsione generale contenuta nell’art. 1 dello stesso D.P.R., secondo cui <<la documentazione circa la sussistenza di una delle cause di decadenza, di divieto o di sospensione di cui all’art. 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575, e dei tentativi di infiltrazione mafiosa di cui all’art. 4 del decreto legislativo 8 agosto 1994, n. 490, non è richiesta: … e) per i provvedimenti, gli atti, i contratti e le erogazioni il cui valore complessivo non supera i 300 milioni di lire>>.

Orbene, nel caso di specie, la concessione demaniale n. 3 dell’11 giugno 2002, oggetto dell’impugnato provvedimento di revoca, ha un valore inferiore al suindicato limite minimo di 300 milioni, in quanto prevede incontestabilmente, come corrispettivo, il canone complessivo di euro 137.750,00 (euro 22.125,00 annue).

Tale evidente circostanza la sottrae all’applicazione delle richiamate disposizioni normative.

Accanto alle due ipotesi testé menzionate (in cui la causa interdittiva è tipizzata e le amministrazioni destinatarie dell’informativa sono dunque prive di qualsiasi potere discrezionale in merito alla valutazione dei fatti oggetto della stessa), è tuttavia configurabile, secondo l’insegnamento della giurisprudenza formatasi sul punto, una terza fattispecie, di carattere generale e residuale, comprensiva di tutte le ipotesi in cui, pur non emergendo la prova certa del tentativo di infiltrazione mafiosa, risultino comunque elementi di gravità e di sospetto tali da incidere sull’affidabilità morale dell’impresa.

In tal caso, peraltro, l’informativa è priva di efficacia interdittiva automatica, ma consente l’attivazione degli ordinari poteri discrezionali di autotutela (cfr. C.d.S., Sez. V, n. 661/2000).

Il fondamento normativo di tale terza figura di informativa (cd. “atipica”) è rinvenibile nel combinato disposto delle disposizioni di cui all’articolo 1/septies d.l. 6 settembre 1982, n. 629 (conv. L. 12 ottobre 1982, n. 726) ed all’articolo 10, comma IX, d.P.R. 3 giugno 1998, n. 252.

In virtù della prima disposizione, <<l’Alto Commissario può comunicare alle autorità competenti al rilascio di licenze, autorizzazioni, concessioni …, elementi di fatto ed altre indicazioni utili alla valutazione, nell’ambito della discrezionalità ammessa dalla legge, dei requisiti soggettivi richiesti per il rilascio, il rinnovo, la sospensione o la revoca delle licenze, autorizzazioni, concessioni e degli altri titoli menzionati>>.

In virtù della seconda, <<le disposizioni dell’articolo 1/septies …, non si applicano alle informazioni previste dal presente articolo, salvo che gli elementi o le altre indicazioni fornite siano rilevanti ai fini delle valutazioni discrezionali ammesse dalla legge>>.

La fattispecie in esame rientra perfettamente nell’ambito di tale duplice, convergente, previsione normativa.

L’informativa prefettizia risulta infatti resa in relazione ad un rapporto giuridico di valore inferiore a lire 300 milioni e non è stata richiesta dal Comune (ma fornita a seguito degli accertamenti effettuati nel corso della normale attività investigativa delle forze di polizia).

È ben vero che l’intera normativa antimafia (ed in particolare l’articolo 11, comma terzo, del d.P.R. n. 252/98) attribuisce al Prefetto un generale potere di accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa indipendentemente da qualsiasi limite di valore (come osservato in memoria dalla difesa del Comune resistente, alla luce di quanto affermato dal Consiglio di Stato nella sentenza della Sezione Sesta, n. 4724/01 ed in altre analoghe), ma è altrettanto vero che, in siffatta ipotesi, in base alla stessa giurisprudenza, <<l’amministrazione e gli organismi ad essa assimilati hanno l’obbligo di pronunciare la risoluzione … in presenza di ragioni di pubblico interesse capaci di supportare detta revoca>>
(C.d.S., sez. VI, n. 4724/01 cit.).

In tali casi quindi, l’esercizio del potere di revoca ha portata generale, rappresentando una delle manifestazioni tipiche del potere amministrativo, direttamente connesso ai criteri costituzionali di imparzialità e buon andamento della funzione pubblica, ma non è illimitato, dovendo comunque sottostare, in applicazione dei medesimi suddetti criteri, alla valutazione circa l’esistenza in concreto del pubblico interesse, in cui si sostanzia il legittimo esercizio dell’autotutela decisoria.

Valutazione sicuramente carente nel caso di specie, in cui il Comune di Torre Annunziata si è limitato a recepire il parere del proprio ufficio legale, che (contrariamente a quanto affermato dalla difesa dell’Ente pubblico) non contiene tuttavia alcun apprezzamento di questo tipo (essendo anzi rivolto, all’opposto, alla configurazione della natura interdittiva automatica dell’informativa prefettizia in generale e della conseguente assenza di qualsiasi potere valutativo al riguardo dell’Amministrazione destinataria).

L’acclarata fondatezza dei due motivi in esame determina, assorbita ogni altra censura, l’accoglimento del ricorso, dei relativi motivi aggiunti (nonché, per illegittimità derivata, degli ulteriori motivi aggiunti, concernenti tra l’altro, le ordinanze n. n. 36 del 27 luglio 2005 e n. 37 del 2 agosto 2005 del Comune di Torre Annunziata), con conseguente annullamento degli atti impugnati.

Il Comune di Torre Annunziata ha prodotto appello affidato ai seguenti motivi così epigrafati.

1) Error in judicando – Ultrapetizione.

2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 10, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 252/1998. Violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 1, lette b), del d.lgs. n. 490/1994. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 septies del d.l. n. 629/1982 e dell’art. 10, comma 9, del d.P.R. n. 252/1998. Violazione e falsa applicazione dell’art. 11, comma 3, del d.P.R. n. 252/1998. Error in judicando.

3) Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 septies del d.l. n. 629/1982 e dell’art. 10, comma 9, del d.P.R. n. 252/1998. Violazione delle circolari del Ministero dell’Interno del 14 dicembre 1994 e dell’8 gennaio 1996. Error in judicando.

4) Error in judicando. Travisamento.

Si è costituita in giudizio, con memoria di stile, la società appellata.

All’udienza del 12 luglio 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Con il primo motivo d’appello il Comune di Torre Annunziata ha dedotto il vizio di error in judicando . Il Comune sostiene che la società aveva negato del tutto il potere dell’amministrazione di procedere alla revoca dei contratti già stipulati.

La censura non merita accoglimento perché con la prima censura contenuta nei primi motivi aggiunti (depositati il 22 luglio 2005) la società ha dedotto testualmente: nella specie il comune ha invece acriticamente recepito la nota prefettizia, ma non ha però compiuto alcuna autonoma valutazione, né tanto meno, ha esternato le ragioni per le quali ha ritenuto di dover procedere alla revoca della concessione demaniale.

Tale affermazione è pertanto più che sufficiente per escludere il vizio di ultrapetizione, fermo restando che, in base al noto brocardo secondo il quale il più contiene il meno, nell’affermazione dell’assenza di potere ben può ricomprendersi che l’esercizio del potere deve avvenire secondo certe modalità.

Con il secondo motivo di ricorso si afferma che le disposizioni richiamate in sentenza al fine di dimostrare la legittimità dell’invio di informative tipiche nelle sole concessioni di valore superiore ai 300 milioni di lire si riferiscono alla fase che precede i l rilascio della concessione.

Nella normativa di riferimento in materia di informative antimafia “tipiche” non è dunque rinvenibile alcuna disposizione che limiti la trasmissibilità delle stesse, successivamente alla stipula del contratto o al rilascio della concessione o autorizzazione, ai soli rapporti di valore superiore ai 300 milioni di lire. Il comune richiama poi il comma 3 dell’art. 11 del d.P.R. n. 252/1998 e il comma 6 dell’art. 4 del d.lgs. n. 490/1994, norme che disciplinano la facoltà di revoca e di recesso quando gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa siano acetati successivamente alla stipula del contratto.

Con il terzo motivo di ricorso il Comune sostiene che l’informativa prefettizia su cui si controverte sia tipica e, come tale, non lasciava margini di discrezionalità all’amministrazione comunale nell’adottare la revoca della concessione.

I due motivi possono essere trattati congiuntamente perché, nel caso di specie, la distinzione tra informative tipiche e atipiche risulta irrilevante.

È pacifico in atti che l’informativa, che ha dato luogo alla revoca, sia intervenuta in pendenza di un rapporto già instaurato.

Orbene la giurisprudenza di questo Consiglio (Sezione Quinta, 27 giugno 2006, n. 4135;
Sezione Sesta 21 dicembre 2010, n. 9323) ha affermato che la possibilità di revoca o di recesso prevista dall’art. 11 del d.P.R. n. 252/98, quando gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa siano accertati successivamente alla stipula del contratto, va letta in armonia con il divieto di stipulare autorizzare o approvare i contratti e i subcontratti, previsto dall’art. 10, comma 2, del medesimo testo, e dall’art. 4 del d.lgs. n. 490 del 1994, allorché, a seguito delle verifiche disposte dal Prefetto, emergano elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa nelle società o imprese interessate.

È da ritenere, dunque, che, la possibilità, prevista nell’art. 11 comma 3 del d.P.R. n. 252 del 1998, di non revocare l’appalto, sebbene il collegamento dell’impresa con organizzazioni malavitose sia stato accertato, sia prevista al fine di tutelare l’interesse pubblico attraverso una valutazione di convenienza in relazione alla concreta fattispecie.

Alla luce di tale giurisprudenza l’amministrazione titolare del rapporto deve sempre compiere una valutazione sulla conservazione del rapporto stesso, a prescindere dalla natura dell’informativa, sia essa tipica o atipica, proprio perché le norme invocate dal Comune (art. 11, comma 3, del d.P.R. n. 252/1998 e art. 4, comma 5, del d.lgs. n. 490/1994) disciplinano le facoltà e il potere di revoca, che implicano l’esercizio di un potere discrezionale e l’assenza di qualsiasi automatismo.

D’altro canto il limite economico (trecento milioni di lire), al di sotto del quale le amministrazioni chiamate all’instaurazione di un rapporto non sono tenute a richiedere apposita informativa (accettando in tal modo una sorta di rischio in ragione dell’importo), non può valere solo nella fase costitutiva, ma, per ragioni di coerenza logica, anche nella fase risolutiva: in altri termini non possono essere posti sullo stesso piano, alla luce del principio di graduazione che permea l’intero ordinamento giuridico, situazioni di diverso rilievo economico, accomunandole tutte nel medesimo automatismo.

Con il quarto motivo il Comune sostiene che nel parere dell’Ufficio legale, che costituisce motivazione per relationem del provvedimento di revoca della concessione demaniale, sono infatti esternate le ragioni di pubblico interesse che hanno determinato l’amministrazione ad adottare il provvedimento di autotutela.

Anche tale motivo è infondato.

In effetti nel parere dell’ufficio legale non v’è alcun riferimento alla sussistenza o meno dell’interesse pubblico alla rimozione o alla conservazione dell’atto concessorio, valutazione indispensabile attesa la natura di potere discrezionale attribuito all’amministrazione dalle norme più volte richiamate.

In conclusione il ricorso va respinto con compensazione delle spese di giudizio per giusti motivi.

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