Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-08-13, n. 201905700

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-08-13, n. 201905700
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201905700
Data del deposito : 13 agosto 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/08/2019

N. 05700/2019REG.PROV.COLL.

N. 10183/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10183 del 2009, proposto dalla signora A S, rappresentata e difesa dagli avvocati E F, A R e P R, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato E F in Roma, via di Trasone, n. 8/12;

contro

Il Comune di Apricale, anche appellante incidentale, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato G G, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato S V in Roma, via Asiago, n. 8;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per la Liguria n. 2201 del 2008, resa tra le parti, concernente un risarcimento dei danni per occupazione senza titolo di un terreno;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio, contenente anche un appello incidentale, del Comune di Apricale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2019 il Cons. Giuseppa Carluccio e uditi per le parti l’avvocato E F e l’avvocato G G.


FATTO e DIRITTO

1. La controversia concerne la domanda di risarcimento del danno conseguente alla irreversibile trasformazione di una parte di un edificio di interesse storico-artistico (destinato ad uso prevalentemente residenziale, denominato “Antico Castello” e vincolato nel 1933 per la parte di interesse), effettuata dopo l’emanazione di un decreto d’esproprio che è stato poi annullato in sede giurisdizionale, per il caso in cui – con una statuizione su cui si sia formato il giudicato – sia stato rilevato il passaggio alla Amministrazione della proprietà del bene.

2. L’originaria proprietaria, signora Rosa Cassini, aveva impugnato gli atti della procedura espropriativa di acquisizione di una parte del castello - attivata dal Comune di Apricale alla fine degli anni ottanta del secolo scorso, per realizzare un centro comunale polivalente di attività artistiche e culturali - con due ricorsi dinanzi al T.a.r per la Liguria, che furono respinti dal primo giudice (con sentenza n. 107 del 1992) ed in parte accolti da questo Consiglio, con la sentenza di annullamento, n. 1904 del 1998.

2.1. In esito all’inerzia dell’Amministrazione, questo Consiglio, pronunciando in sede di ottemperanza con la sentenza n. 6078 del 7 novembre 2002:

- ha rigettato la domanda di retrocessione, stante l’irreversibile trasformazione e destinazione ad uso pubblico del bene (museo civico, centro congressi, uffici comunali), presupposto dell’acquisto alla mano pubblica per ‘accessione invertita’;

- ha dichiarato inammissibile la conseguente domanda di risarcimento del danno per equivalente, stante la necessità di salvaguardare il principio del doppio grado di giudizio.

3. La signora A S, succeduta mortis causa alla originaria ricorrente, con il ricorso al T.a.r. per la Liguria, Sezione prima (rg. n. 1246 del 2003), ha richiesto il risarcimento del danno per equivalente secondo il criterio del valore venale del bene quantificandolo, rispetto all’anno 1991, in euro 759.446.000, ed ha richiesto il risarcimento del danno da illegittima occupazione;
entrambi conseguenti all’illegittimità accertata della procedura espropriativa.

4. Il T.a.r., con la sentenza parziale n. 223 del 2006, ha dichiarato la giurisdizione del giudice amministrativo e, contestualmente, ha disposto consulenza tecnica al fine di quantificare il valore venale del bene.

4.1. Con la sentenza definitiva n. 2201 del 30 dicembre 2008, il T.a.r. ha così deciso:

a) ha accolto il ricorso e, per l’effetto, ha condannato il Comune di Apicale al pagamento di euro 125.499,03, oltre ad interessi e rivalutazione a decorrere dal 22 settembre 1990, data dell’occupazione, fino alla data del pagamento effettivo;

b) ha ritenuto assorbiti nel calcolo degli interessi di legge e rivalutazione monetaria “ i danni derivanti dall’illegittima occupazione fino al momento dell’accessione invertita, avvenuta nel 1992 al termine dei lavori di restauro e riconversione ad uso pubblico del fabbricato ”;

c) ha condannato la resistente amministrazione al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese di giudizio, ivi comprese quelle connesse alle consulenze tecniche espletate.

5. Avverso la suddetta sentenza, la signora S ha interposto appello, affidato a due motivi.

5.1. Il Comune si è costituito, resistendo al gravame, ed ha proposto appello incidentale in ordine alla quantificazione del danno da perdita della proprietà.

5.2. Alla pubblica udienza del 15 marzo 2018, in vista della quale le parti hanno svolto difese scritte, la causa è stata trattenuta in decisione.

Il Collegio, riservata ogni decisione in ordine alle eccezioni e al merito dell’appello, ha disposto una verificazione con ordinanza n. 2625 del 2018.

5.3. In esito al deposito della relazione del verificatore, le parti hanno depositato memorie, anche di replica.

5.4. All’udienza pubblica del 9 maggio 2019, la causa è stata discussa ed è stata trattenuta dal Collegio in decisione.

6. Preliminarmente, va disattesa l’eccezione proposta dal Comune, con la quale esso deduce la violazione del contraddittorio per avere il verificatore inviato la relazione preliminare ai consulenti di parte nominati e non agli avvocati difensori.

6.1. Non è ravvisabile alcuna sostanziale violazione del contraddittorio, atteso che il verificatore ha argomentato rispetto alle osservazioni dei consulenti di parte e che i difensori hanno articolato le memorie anche considerando le osservazioni dei propri consulenti.

7. E’ opportuno delimitare i confini del giudizio rimesso a questo Consiglio.

7.1. Sull’acquisto a titolo originario da parte del Comune, attraverso l’istituto all’epoca talvolta definito della “accessione invertita”, si è a suo tempo formato il giudicato, derivante dalla sentenza di questo Consiglio n. 6078 del 2002, prima richiamata.

Anche se la prassi della ‘espropriazione indiretta’ è stata stigmatizzata dalla giurisprudenza della CEDU ed è stata superata con le disposizioni del testo unico sugli espropri (come più volte ha affermato questo Consiglio), si deve ritenere che – malgrado il più recente diritto vivente sia ispirato al principio di legalità su cui si è fondato il testo unico - non si possa mettere in discussione dinanzi ai giudici nazionali il rilievo dei giudicati che in precedenza abbiano affermato la sussistenza di una tale vicenda traslativa della proprietà, come concordemente ritenuto dalla giurisprudenza di questo Consiglio (sez. IV, n. 3234 del 2017) e della Corte di Cassazione (Cass. civ. 9 novembre 2016, n. 22844;
16 agosto 2016, n. 17147).

Tanto vale anche nel caso in cui debba essere ancora definitivamente accertato il quantum spettante a titolo di risarcimento, la cui mancata quantificazione non mette in discussione il giudicato sul diritto al risarcimento del danno conseguente alla perdita della proprietà.

7.2. Va premesso che le precedenti sentenze rese tra le parti, pur avendo rilevato che vi è stata una ‘accessione invertita’, non hanno precisato la data nella quale vi è stata la perdita della proprietà: la sentenza di questo Consiglio n. 6078 del 2002 ha escluso che il bene vada restituito, mentre la sentenza appellata del T.a.r. n. 2201 del 2008 ha rilevato che si deve intendere verificata l’accessione invertita, senza precisare il quando essa si sia verificata.

Dall’esame della documentazione acquisita, e in particolare della verificazione disposta dal T.a.r., emerge comunque che la ‘trasformazione irreversibile’ del bene vi è stata alla fine dell’anno 1992: sul rilievo in materia della ‘trasformazione irreversibile’ va richiamata la pacifica giurisprudenza della Corte di Cassazione.

Nella fattispecie, si è invece formato un giudicato interno in ordine al momento in cui deve essere individuato il valore venale del bene acquisito dal Comune.

La impugnata sentenza del TAR ha valutato il valore venale del bene con riferimento all’anno 1990 ed ha fatto decorrere gli interessi e la rivalutazione dal 22 settembre 1990, data dell’occupazione, fino alla data del pagamento effettivo.

Né l’appellante principale, né l’appellante incidentale hanno censurato questa statuizione. Conseguentemente, quale criterio di quantificazione del danno risarcibile, la Sezione ritiene che si debba tenere conto del valore del bene con riferimento all’anno 1990, sulla base dei criteri individuati dal verificatore e delle contrapposte censure delle parti, e che vada poi tenuto conto – ai fini della liquidazione – del periodo intercorrente tra l’anno 1990 e la fine dell’anno 1992, in cui vi è stata (come rilevato dallo stesso verificatore) l’irreversibile trasformazione del fondo con la sua destinazione ad opera pubblica .

7.3. Pertanto, nel presente grado del giudizio si discute dell’importo spettante a titolo di risarcimento del danno per equivalente conseguente alla perdita della proprietà dell’immobile e, prima, conseguente alla perdita del godimento, e si deve tenere conto sia del valore venale del bene fissato alla data del 1990, sia della data della irreversibile trasformazione ‘alla fine del 1992’, riconosciuta anche dal verificatore e non contestata dalle parti.

8. Sia l’originaria ricorrente, con il primo motivo di appello, sia il Comune con l’appello incidentale, hanno censurato da prospettive diverse la quantificazione del risarcimento del danno da illegittima acquisizione, stabilita dal primo giudice, alla data del 1990, nella misura di euro 125.499,03.

8.1. Con l’ordinanza n. 2625 del 2018, questo Consiglio ha incaricato il verificatore di stabilire:

a) l'effettivo valore venale del bene con riferimento temporale al momento dell’esproprio alla luce delle deduzioni tecniche sollevate dalle parti per quanto attiene a1) al calcolo della superficie lorda;
a2) al calcolo della superficie commerciale;
a3) al costo al metro quadro;
a4) all'epoca alla quale farsi risalire la irreversibile trasformazione del bene.

8.2. Il verificatore ha valutato il valore venale del bene al 1990 ed ha individuato alla fine dell’anno 1992 la data della irreversibile trasformazione. Tuttavia, stante il giudicato interno di cui si è detto, al valore del bene alla data del 1990, quantificato dal verificatore in euro 287,338, si farà riferimento per esaminare le censure mosse dal Comune con l’appello incidentale, posto che l’appellante ha aderito alle conclusioni del verificatore.

9. Ai fini della determinazione del valore venale del bene, in generale deve riconoscersi che il verificatore ha compiutamente dato risposta ai quesiti con argomentazioni immuni da vizi logici, anche controdeducendo alle osservazioni formulate dal consulente del Comune.

9.1. Tuttavia, alcune censure rivolte dal Comune agli esiti della verificazione sono meritevoli di positiva considerazione.

In particolare, con riferimento al calcolo della superficie commerciale utile, il Comune critica l’operatività dei coefficienti di ponderazione utilizzati dal verificatore e chiede una maggiore incidenza degli stessi al fine di pervenire ad una diminuzione del valore dell’immobile.

Il Collegio reputa convincenti le censure nella parte in cui il verificatore ha dato eccessivo rilievo, alla posizione centrale e panoramica, per la parte destinata a giardino, in generale al plusvalore ambientale, alla manutenzione considerata solo mediocre, mentre è pessima, alla sola obsolescenza e vetustà, mentre l’immobile era in stato di degrado.

Inoltre, il Comune ha criticato fondatamente gli esiti della verificazione rispetto al mancato utilizzo, per la valutazione, dei criteri usuali della stima comparativa, avente per oggetto altri appartamenti siti nello stesso castello e gli appartamenti vicini.

A tal fine, l’Amministrazione ha messo in evidenza che, pur trattandosi di un immobile vincolato per l’interesse storico, già dal 1939 esso si compone di abitazioni civili a tutti gli effetti e che, dopo la seconda guerra mondiale, è stato diviso in più abitazioni, da considerare in pessime condizioni di conservazione nel 1990.

In definitiva, lo stato dell’immobile al momento della valutazione del valore venale avrebbe reso opportuno l’utilizzazione del suddetto metodo valutativo, quantomeno come base di paragone, tra un valore massimo (il valore di ricostruzione utilizzato) e un valore minimo di paragone con altri beni simili.

9.2. La ponderata valutazione di queste censure fonda, a parere del Collegio, una riduzione equitativa del valore venale a euro 180.000,00, quale quantificazione del risarcimento del danno per equivalente da perdita della proprietà.

Infatti, le caratteristiche oggettive del bene, con riferimento alla data in cui è stata a suo tempo ravvisata la perdita della proprietà, sono tali da indurre a tener conto in questa sede delle realtà effettive anche degli appartamenti di cui era già composto l’edificio.

10. In conclusione, il primo motivo dell’appello principale dell’originaria ricorrente va accolto parzialmente, nei sensi di cui in motivazione e tenuto conto delle contrapposte posizioni delle parti.

Invece, va respinto l’appello incidentale del Comune, nella parte in cui ha mirato ad ottenere una riduzione della quantificazione del valore venale del bene rispetto a quanto statuito dal primo giudice.

11. Il secondo motivo dell’appello principale concerne il risarcimento del danno per equivalente da perdita del godimento del bene, riferibile al periodo intercorso tra l’occupazione dello stesso (il 22 settembre 1990) e l’irreversibile trasformazione (individuata pacificamente alla fine dell’anno 1992).

11.1. L’appellante censura la sentenza gravata per aver ritenuto tale danno assorbito dal riconoscimento della rivalutazione e degli interessi sul valore venale del bene.

Tale censura è parzialmente fondata, stante l’autonomia della voce di danno in argomento, dovendosi ricollegare rivalutazione e interessi al debito di valore scaturente dall’illecito extracontrattuale.

L’ammontare del danno – come sopra quantificato con riferimento all’anno 1990 - deve essere rivalutato nel seguente modo:

per il periodo tra il 1990 e la fine dell’anno 1992, la somma va rivalutata, per attualizzare – con riferimento a tale periodo - l’importo sopra determinato di 180.000 euro;

per il periodo tra la fine dell’anno 1992 fino alla data del pagamento effettivo, devono essere corrisposti gli interessi legali applicati al capitale progressivamente rivalutato, sulla base dei consueti principi sulla liquidazione del danno aquiliano (dovendosi rilevare la sussistenza di un giudicato interno, anche per tale qualificazione).

Poiché vanno evitate indebite duplicazioni delle voci del danno risarcibile, va invece respinta la tesi dell’appellante principale nella parte in cui ha chiesto il risarcimento da mancato godimento per il periodo intercorrente tra l’occupazione del bene (nel settembre del 1990) e la sentenza di questo Consiglio del 7 novembre 2002, che ha negato la restituzione del bene per essersi verificata l’“accessione invertita”.

Infatti, secondo la consolidata giurisprudenza della cassazione civile, l'estinzione del diritto di proprietà in capo al titolare ed il contestuale acquisto dello stesso diritto, a titolo originario, da parte dell'ente pubblico, si verifica al momento dell'irreversibile trasformazione del bene e della sua destinazione ad opera pubblica ( ex plurimis , Sez. Un. n. 13358 del 2008).

11.2. Quanto alla quantificazione del risarcimento del danno per mancato godimento del bene a cagione dell’occupazione illegittima (per il periodo intercorrente tra la data dell’occupazione e quella in cui vi è stata l’acquisizione della proprietà da parte del Comune), stante il totale difetto di prova, può essere calcolato – ai sensi dell’art. 34, comma 4, c.p.a. - facendo applicazione, in via equitativa, dei criteri risarcitori dettati dall’art. 42- bis t.u. espr. (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. IV, 23 settembre 2016 n. 3929;
28 gennaio 2016 n. 329;
2 novembre 2011 n. 5844), e dunque in una somma pari al 5% annuo del valore del terreno per il periodo dal 22 settembre 1990 a tutto il dicembre 1992, oltre rivalutazione e interessi legali.

11.3. Sulla base delle considerazioni che precedono, il secondo motivo dell’appello principale è parzialmente accolto nei sensi di cui in motivazione.

12. In conclusione, sono parzialmente accolti, nei sensi di cui in motivazione, i due motivi dell’appello principale ed è rigettato l’appello incidentale;
per l’effetto, in parziale riforma della sentenza gravata, il Comune di Apicale è condannato al pagamento, a favore della originaria ricorrente:

- per la perdita della proprietà, di euro 180.000,00, calcolati alla data del 22 settembre 1990, da rivalutare con riferimento alla data del 1992;
tale importo va integrato con gli accessori del credito degli interessi e della rivalutazione, sulla base dei consueti principi di liquidazione del danno aquiliano;

- per il periodo di occupazione sine titulo, della somma pari al 5% annuo del valore del terreno per il periodo compreso tra il 22 settembre 1990 e l’intero anno 1992, oltre interessi e rivalutazione a decorrere dal 1992 e fino alla data del pagamento effettivo.

13. E’ confermata la condanna del Comune in primo grado alle spese del giudizio e alle parcelle delle consulenze tecniche.

13.1. Le spese processuali del grado di appello seguono la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.

14. Con separato decreto collegiale si provvederà alla determinazione di quanto dovuto al verificatore per onorario e rimborso delle spese sostenute, il cui pagamento è posto per il 50% a carico di ciascuna delle parti, con responsabilità solidale reciproca.

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