Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2012-05-23, n. 201203026

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2012-05-23, n. 201203026
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201203026
Data del deposito : 23 maggio 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01870/2011 REG.RIC.

N. 03026/2012REG.PROV.COLL.

N. 01870/2011 REG.RIC.

N. 02065/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1870 del 2011, proposto dalla società B S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati M S e Silvia D'Alberti, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Sanino in Roma, viale Parioli, 180;

contro

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato - Antitrust, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

ENI S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato Angelo Clarizia, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Principessa Clotilde, n. 2;
Liquigas S.p.A.;



sul ricorso numero di registro generale 2065 del 2011, proposto dalla società Liquigas S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Nikolaus W. M. Suck, Luciano Di Via e Salvatore Alberto Romano, con domicilio eletto presso Panunzio e Romano Studio Legale in Roma, viale XXI Aprile, n. 11;

contro

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato - Antitrust, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

ENI S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Angelo Clarizia, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Principessa Clotilde, n. 2;
B S.p.A.;

Entrambi per la riforma della sentenza del T.A.R. Lazio – Roma, Sezione I, 13 dicembre 2010, n. 36126;


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato - Antitrust e della società ENI S.p.A.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 gennaio 2012 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Sclafani, nonché l’avvocato Silvia D'Alberti, l’avvocato Sanino, l’avvocato Clarizia, l’avvocato Fabrizio Lemme, l’avvocato Di Via, l’avvocato Salvatore Alberto Romano e l’avvocato Suck;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La società B s.p.a. (appellante nell’ambito del ricorso n. 1879/2011) riferisce di essere attiva – fra l’altro - nel settore della distribuzione di GPL in bombole e in piccoli serbatoi.

Con la delibera in data 24 aprile 2008, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (d’ora innanzi: ‘l’AGCM’ ovvero: ‘l’Autorità’) avviò nei suoi confronti (nonché nei confronti delle società ENI, Fiamma 2000, Liquigas, Sarda Gas Petroli di A P &
c. e Ultragas Tirrena) un procedimento istruttorio volto ad accertare e reprimere una presunta intesa restrittiva della concorrenza ai sensi dell’art. 2 della l. 10 ottobre 1990, n. 287.

Secondo l’Autorità, infatti, le imprese in questione avrebbero operato un coordinamento delle strategie commerciali finalizzato alla determinazione congiunta del livello dei prezzi del GPL in bombole in Sardegna e di altre condizioni contrattuali da applicare ai rivenditori, nonché in una compartimentazione dei mercati.

Nel corso dell’istruttoria, alcune delle società coinvolte (ENI, Fiamma 2000, Liquigas e B) presentavano una proposta di impegni ai sensi dell’articolo 14- ter della l. 287, cit.

Tuttavia, la proposta in questione veniva respinta dall’Autorità, in considerazione della natura dell’illecito contestato (delibera in data 24 settembre 2008).

A questo punto della vicenda, ENI si rivolgeva nuovamente all’Autorità, presentando una domanda di trattamento favorevole ai sensi del comma 2- bis dell’articolo 15 della l. 287 del 1990 (come introdotto dal comma 2 dell’articolo 14 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223) e denunciando l’esistenza di un’intesa sui listini del GPL in bombole e in piccoli serbatoi tra i principali operatori in ambito nazionale.

Conseguentemente, l’Autorità provvedeva ad ampliare il campo di indagine nei confronti delle sole società ENI, B e LIQUIGAS, contestando nei loro confronti l’esistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza ai sensi dell’articolo 101 del TFUE, di durata ultradecennale (almeno per il periodo 1994-2005), nei mercati del GPL in bombole e in piccoli serbatoi, avente ad oggetto la determinazione congiunta dei listini dei prezzi al pubblico.

In particolare, nella tesi dell’Autorità, l’intesa in questione avrebbe avuto ad oggetto la variazione concordata dei listini del GPL rispetto alle quotazioni internazionali della materia prima (con particolare riguardo al principale indice di settore, rappresentato dal prezzo c.d. ‘FOB Bethouia’) e avrebbe avuto pratica attuazione ( inter alia ) attraverso numerosissimi incontri al livello di vertici aziendali.

Con il provvedimento oggetto del primo ricorso (atto n. 20931/2010 in data 24 marzo 2010 reso sul procedimento istruttorio I/700 – “ Prezzo del GPL per riscaldamento regione Sardegna ”), l’Autorità deliberava:

a ) che le società ENI, B e Liquigas avevano posto in essere un’intesa restrittiva della concorrenza, consistente nella definizione congiunta della variazione dei listini del GPL in bombole e in piccoli serbatoi per un periodo ultradecennale;

b ) che, in ragione della condotta serbata nel corso dell’istruttoria e delle altre circostanze rilevanti, alla società ENI s.p.a. poteva essere riconosciuto il beneficio della non imposizione della sanzione, ai sensi della comunicazione del 15 febbraio 2007 sulla non imposizione e sulla riduzione delle sanzioni ai sensi dell’articolo 15 della l. 287 del 1990;

c ) che, in ragione delle circostanze rilevanti, alla società B dovesse essere irrogata una sanzione pecuniaria pari ad euro 4.888.121,00 (importo successivamente rideterminato nella somma di euro 6.785.904,00) e alla società Liquigas una sanzione pari ad euro 17.142.188.

Il provvedimento in questione veniva impugnato dinanzi al T.A.R. del Lazio dalla società B (ricorso n. 4874/2010) e dalla società Liquigas (ricorso n 4826/2010).

Con la sentenza oggetto del presente ricorso, il Tribunale adìto, previa riunione dei due ricorsi in questione, li respingeva ritenendoli infondati.

La sentenza in questione è stata impugnata in sede di appello sia dalla società B (ricorso n. 1870/2011), sia dalla società Liquigas (ricorso n. 2065/2011).

La società B ha affidato il proprio ricorso ai seguenti motivi:

1) Error in judicando in relazione all’art. 101 TFUE – Incoerenza e illogicità – Carenza o insufficienza di motivazione.

La sentenza impugnata sarebbe in via di principio condivisibile laddove ha affermato che le dichiarazioni del soggetto che richiede di essere ammesso al programma di clemenza (c.d. ‘ applicant’ ) non possono essere ritenute ex se probanti in ordine all’effettiva sussistenza del denunciato accordo collusivo, dovendosi – al contrario – acquisire la prova piena in ordine alla effettiva consistenza dei fatti contestati. Del pari, la sentenza sarebbe in via di principio condivisibile laddove afferma che il parallelismo delle condotte poste in essere fra i vari soggetti della possibile intesa può essere considerato probante dell’esistenza di un accordo orizzontale ai sensi dell’articolo 101 del T.F.U.E. solo laddove non sussista la possibilità di fornire alcuna diversa giustificazione logica in ordine ai fenomeni denunciati.

Tanto premesso in via di principio, le conclusioni cui è giunta in concreto l’A.G.C.M. risulterebbero erronee ed apodittiche, in quanto l’Autorità si sarebbe limitata a rilevare l’esistenza di un parallelismo della fissazione dei prezzi di listino senza domandarsi se tale circostanza, di per sé sola, potesse risultare idonea a rilevare l’esistenza di un accordo collusivo.

Al contrario, sussisteva una ragione storica precisa per spiegare perché l’esistenza di un parallelismo nei comportamenti postulasse l’esistenza di un accordo collusivo.

In particolare, tale ragione consisteva nel fatto che il mercato del GPL era caratterizzato dalla presenza di un ‘ leader’ storico (l’ENI), alle cui decisioni in termini di determinazione dei prezzi di listino gli altri operatori tendevano razionalmente ad adeguarsi, a prescindere dall’esistenza di un qualunque accordo in tal senso.

D’altronde, il mercato in questione era stato caratterizzato, fino all’inizio degli anni novanta dello scorso secolo, da un sistema di prezzi amministrati (e, in seguito, di prezzi sorvegliati), con la conseguenza che esso fosse – in qualche misura – strutturalmente incline a comportamenti omogenei sotto il profilo della dinamica dei listini, nella comune consapevolezza per cui l’effettiva concorrenza fra gli operatori si sarebbe svolta sul diverso piano dei prezzi di vendita (inclusivi degli sconti praticati alla clientela).

L’appellante osserva al riguardo che, laddove l’Autorità e, in seguito, il T.A.R. avessero riguardato la questione dall’angolo visuale dei prezzi finali di vendita, si sarebbero accorti che la società B aveva del tutto razionalmente fissato prezzi di vendita in funzione dei costi marginali (secondo uno schema logico e operativo tipico di un qualunque operatore di mercato).

Ed ancora, il Tribunale non avrebbe tenuto in adeguata considerazione:

- il fatto che l’appellante avesse fornito sia in sede procedimentale sia in sede contenziosa spiegazioni convincenti onde giustificare la fissazione di prezzi di listino omogenei rispetto a quelli dei principali concorrenti, senza che ciò rappresentasse indice di un accordo collusivo (si tratta dell’argomento fondato sulla c.d. ‘spiegazione alternativa’);

- il fatto che la struttura stessa dei mercati oggetto dell’indagine Antitrust non si presta facilmente alla conclusione di accordi collusivi quali quelli denunciati. Si tratta, infatti, di mercati caratterizzati da un’accentuata frammentazione sul territorio, da un gran numero di operatori locali – dotati di grande autonomia nella fissazione in loco delle condizioni di vendita – e da una forte differenziazione dei prezzi di vendita nell’ambito delle singole realtà territoriali: tali elementi, nel loro combinato operare, renderebbero pressoché impossibile la conclusione di accordi collusivi al livello dei vertici aziendali aventi ad oggetto la determinazione congiunta dei prezzi di vendita ;

- il fatto che, nella particolare struttura dei mercati di riferimento, l’esistenza di un accentuato parallelismo dei prezzi di listino fra i diversi operatori costituisce il frutto di autonome scelte imprenditoriali delle parti;

- il fatto che l’appellante avesse dimostrato (sulla base delle evidenze contabili) che, nel corso del periodo in esame, i propri margini di utile nei settori in questione si erano assottigliati a causa delle pratiche aggressive di alcuni concorrenti (si tratta di una circostanza di per sé incompatibile con l’asserita esistenza di un’intesa finalizzata alla fissazione congiunta dei prezzi di vendita e alla salvaguardia delle quote di mercato detenute da ciascun operatore);

- il fatto che l’appellante avesse dimostrato, sulla base di modelli econometrici: a) che la struttura dei prezzi finali di vendita era talmente differenziata e complessa da rendere di fatto irrilevante, ai fini concorrenziali, il solo riferimento ai prezzi di listino;
b) che il prezzo di listino non influenza in misura apprezzabile il prezzo finale di vendita;

- il fatto che l’appellante avesse dimostrato che il proprio comportamento di mercato era rimasto sostanzialmente analogo sia nel caso dei mercati provinciali caratterizzati da un’accentuata concentrazione fra gli operatori, sia nel caso dei mercati provinciali meno concentrati.

Inoltre, l’appellante osserva che l’affermazione del Tribunale - secondo cui le variazioni dei listini non possono non avere una ricaduta sui prezzi effettivi - risulterebbe del tutto aprioristica e ingiustificata sulla base degli atti di causa.

Ed infatti (a tacere d’altro), l’argomento in questione potrebbe (a tutto concedere) valere nel caso del mercato del GPL in bombole, nell’ambito del quale esiste una struttura ‘trilaterale’ (distributori, rivenditori, clienti finali) e in cui la figura intermedia dei rivenditori opera una forte pressione pro-concorrenziale, costringendo i distributori ad allineare i propri comportamenti.

Al contrario, tale argomento non potrebbe valere nel caso del mercato del GPL in piccoli serbatoi, nell’ambito del quale il rapporto di vendita presenta un carattere ‘bilaterale’ (fornitore, cliente finale), con la conseguenza che lo sconto sul prezzo di listino (e quindi, il prezzo finale di vendita) viene determinato sulla base di dinamiche locali che possono presentare centinaia di declinazioni diverse, in relazione alle quali l’andamento del listino assume una valenza del tutto minoritaria.

2) Error in judicando in relazione all’art. 101 del TFUE, all’art. 5 del regolamento CE n. 1/2003 e all’art. 15 della l. 287 del 1990 – Incoerenza e illogicità – Contraddittorietà – Carenza o insufficienza di motivazione

Con questo motivo di ricorso, la soc. B contesta la correttezza della sentenza in epigrafe per la parte in cui essa ha ritenuto congrua la determinazione della sanzione da parte del’Autorità nella misura del 3 per cento del fatturato realizzato dall’appellante nel corso del 2009.

Al riguardo, l’appellante osserva che il Tribunale:

- avrebbe sottolineato in modo sostanzialmente aprioristico la gravità della condotta posta in essere;

- avrebbe – in modo parimenti aprioristico – affermato il carattere ultradecennale dell’intesa, laddove il corretto esame della documentazione e delle risultanze in atti avrebbe deposto nel senso che non sussistessero prove adeguate dell’intesa in relazione all’intero periodo in contestazione (1994-2005);

- avrebbe ritenuto provata l’esistenza di un sistematico scambio di informazioni e di un parallelismo delle variazioni dei listini fra le società interessate dall’intesa, in assenza di un valido supporto probatorio.

La società Liquigas (appellante nel giudizio n. 2065/2011) ha affidato il proprio ricorso a un complesso motivo rubricato:

A) Violazione e falsa applicazione degli articoli 101 e 102 del TFUE e degli articoli 2 e 15 della legge n. 287 del 1990 – Violazione della delibera AGCM del 15 febbraio 2007, n. 16472 – Eccesso di potere per travisamento ed errore nei presupposti giuridici e di fatto per difetto di motivazione, illogicità, incongruenza, irragionevolezza, contraddittorietà ed ingiustizia manifesta sotto molteplici profili.

B) Violazione e falsa applicazione degli articoli 101 e 102 del TFUE e degli articoli 2 e 15 della legge n. 287 del 1990 – Eccesso di potere per travisamento ed errore nei presupposti di fatto e di diritto – Difetto di istruttoria e di motivazione – Illogicità, incongruenza, irragionevolezza, contraddittorietà ed ingiustizia manifesta sotto ulteriori molteplici profili.

Ebbene, con un primo ordine di argomenti la società appellante sostiene che, se per un verso la sentenza in questione afferma in modo corretto che non esiste una prova certa dell’accordo collusivo, per altro verso essa afferma l’esistenza di elementi indiziari – per così dire – ‘esogeni’ i quali dimostrerebbero per altra via l’esistenza dell’accordo in questione (ci si riferisce, in particolare: i ) ai presunti incontri al livello di vertice fra le tre società; ii ) all’omogeneità dei comportamenti commerciali – listini dei prezzi – in assenza di valide ragioni giustificatrici alternative; iii ) alla documentata esistenza di scambi di informazioni rilevanti fra i soggetti coinvolti).

Allo stesso modo, la sentenza in questione risulterebbe censurabile per la parte in cui ha ritenuto che la ‘prova logica’ dell’accordo collusivo sarebbe ex se evincibile dall’assenza di una ragionevole spiegazione alternativa ( i.e .: diversa dall’esistenza di un accordo) atta a giustificare l’accentuato parallelismo fra i diversi operatori di mercato.

Al riguardo, l’Autorità prima e il Tribunale poi avrebbero omesso di considerare che:

- il listino dei prezzi non ha pressoché alcuna valenza concorrenziale, in particolare nelle ipotesi in cui (come nel mercato del GPL in bombole) la presenza di rivenditori indipendenti agisce sul prezzo effettivo di vendita con dinamiche autonome e quasi totalmente svincolate dal riferimento al prezzo di listino;

- in presenza di mercati estremamente frammentati sul territorio e caratterizzati dalla presenza di centinaia di operatori dotati di una verta autonomia, l’effettivo prezzo finale di vendita non è preventivabile di fatto in alcun ambito;

- il mercato nazionale del GPL è stato caratterizzato fino al 1991 circa da un sistema di prezzi amministrati dal CIP, per poi muovere verso un sistema di prezzi sorvegliati (fino al 1994) e infine muoversi verso un sistema di prezzi liberalizzati (dopo il 1994). In tale assetto, l’esistenza di comportamenti omogenei fra i diversi operatori rappresenterebbe un portato storico della struttura stessa del mercato, piuttosto che il frutto (o l’indizio) di un accordo collusivo, nella comune consapevolezza per cui l’unica effettiva variabile concorrenziale sarebbe rappresentata dal prezzo finale di vendita (variabile in relazione alla quale il prezzo di listino sortirebbe un’influenza di fatto marginale);

- nell’ambito del sistema appena descritto, i prezzi di listino rappresentavano soltanto una “ base tendenziale per la competizione reciproca ”, il cui parallelismo non fornirebbe una prova neppure indiretta circa l’esistenza del contestato accordo collusivo;

- nel concreto assetto del mercato ( rectius : dei mercati) in questione, il parallelismo dei listini non costituirebbe altro, se non il frutto di un “ intelligente allineamento delle condotte a quelle dei rispettivi concorrenti ”, nella comune consapevolezza per cui solo il prezzo finale (determinato dalla scontistica operata in modo indipendente da ciascun operatore finale) avrebbe l’effetto di influenzare la concorrenza fra gli operatori. Del resto, il prezzo finale non viene quasi mai determinato applicando una percentuale di sconto fissa sul prezzo di listino, ma viene determinata in base a numerose variabili, mutevoli nello spazio e nel tempo;

- la pubblicazione mensile di listini di prezzi non costituirebbe altro, se non “ il portato di una vecchia consuetudine, che da tempo ha perso rilevanza pratica, soprattutto per via dei rivenditori promiscui che costringono Liquigas a contrattare il prezzo di vendita in occasione di ciascuna fornitura ”;

- l’esistenza di un parallelismo fra i listini, di per sé, non prova in alcun modo l’esistenza dell’accordo.

In definitiva, l’Autorità prima e il T.A.R. si sarebbero soffermati su un dato noto (l’esistenza del parallelismo), mentre non avrebbero in alcun modo dimostrato: a ) che l’omogeneità dei listini fosse davvero idonea ad influenzare i prezzi finali di vendita; b ) che la clientela fosse poco contendibile, in tal modo consentendo agli operatori di mercato di traslare sull’acquirente finale gli effetti svantaggiosi delle politiche di prezzo concordate al livello centrale;

- l’Autorità prima e il T.A.R. poi avrebbero omesso di rilevare che l’esistenza di listini omogenei consentisse di individuare una spiegazione alternativa (che non fosse quella dell’esistenza di un’intesa segreta, come aprioristicamente sostenuto dal Tribunale);

- l’Autorità prima e il T.A.R. poi avrebbero affermato in modo apodittico che sarebbe “ impensabile ” che ad ogni variazione del listino possa conseguire una rinegoziazione delle migliaia di contratti ‘a valle’. Questo approccio non terrebbe conto della realtà dei fatti, nel cui ambito la rideterminazione del prezzo finale è continua, così come è continua la rinegoziazione delle condizioni di vendita fra distributori e rivenditori. Allo stesso modo, tale approccio non terrebbe conto del fatto che le diverse unità territoriali hanno grande autonomia nel determinare i propri prezzi di vendita del prodotto;

- l’Autorità prima e il T.A.R. poi avrebbero omesso di considerare: i ) che i clienti finali sono molto contendibili sulla base del prezzo finale di vendita; ii ) che il prezzo finale di vendita viene determinato ‘sul territorio’ sulla base di numerose variabili temporali e geografiche, solo in parte influenzate dal prezzo di listino;

- la stessa Autorità, in una precedente decisione dell’ottobre del 2009, aveva riconosciuto che, nel mercato della distribuzione del GPL, la presenza dei rivenditori c.d. ‘promiscui’ (ossia, rivenditori che trattano i prodotti di diversi produttori) costituisce una “ importante fonte di pressione concorrenziale ”. Si tratterebbe di un dato di fatto in contraddizione con quanto ritenuto dalla medesima Autorità nella valutazione del caso in esame.

Con un secondo ordine di argomenti, la società Liquigas lamenta che l’Autorità prima e il T.A.R. poi avrebbero erroneamente ritenuto la sussistenza di alcuni elementi – per così dire – ‘esogeni’, rivelatori dell’esistenza di un’intesa vietata. Ci si riferisce, in particolare: a ) agli incontri fra i vertici delle tre società coinvolte dall’indagine; b ) al parallelismo dei listini; c ) allo scambio di informazioni rilevanti nel periodo 1994-2001.

Al riguardo l’appellante osserva che:

- l’esistenza di incontri (peraltro, nella maggior parte dei casi non dimostrati) fra i vertici delle tre società rinviene agevolmente spiegazioni alternative rispetto all’esistenza di un accordo collusivo. Del resto, i vertici di tali società hanno innumerevoli ragioni operative e professionali per intrattenere nelle più diverse sedi contatti e relazioni;

- l’omogeneità dei listini, per le ragioni ampiamente esaminate in precedenza, non costituisce ex se prova dell’esistenza di un accordo collusivo;

- la documentata esistenza di scambi di fax relativi ai volumi delle vendite per il periodo fino al 2001 non costituisce a sua volta prova dell’accordo collusivo. Al riguardo l’appellante osserva che lo scambio di dati in parola coinvolgeva anche altre società, sì da rendere inverosimile che l’accesso a determinate informazioni presentasse una valenza – per così dire – ‘asimmetrica’, rappresentando per alcune di esse (quelle estranee all’intesa) un mero strumento conoscitivo, e per altre di esse (quelle partecipi dell’intesa) uno strumento di monitoraggio dell’accordo collusivo;

- nel caso in esame non vi è traccia degli strumenti di monitoraggio e dei meccanismi ritorsivi che tipicamente si accompagnano alle intese segrete relative alla determinazione congiunta dei prezzi di vendita e alla compartimentazione dei mercati

Con un terzo ordine di argomenti (articolato in via gradata), la società Liquigas osserva che, anche ad ammettere che nel caso in questione possa ritenersi dimostrata l’esistenza di un’intesa ai sensi dell’articolo 101 del TFUE, l’Autorità prima e il T.A.R. poi avrebbero compiuto un errore relativo alla sua qualificazione giuridica.

Al riguardo, essi avrebbero dovuto rilevare che, a tutto concedere, si trattava di un’intesa avente ad oggetto la fissazione dei prezzi massimi (ossia, una tipologia di intesa di cui non si può presumere l’illegittimità, la quale deve essere piuttosto dimostrata caso per caso sulla base degli elementi della fattispecie).

In presenza di una siffatta tipologia di accordo, l’Autorità e il Tribunale avrebbero dovuto dimostrare (con onere della prova a loro carico) che l’accordo in questione, per le sue caratteristiche oggettive, fosse idoneo ad alterare la concorrenza.

Ma vi sono almeno due circostanze le quali dimostrerebbero in modo invincibile l’inidoneità del presunto accordo ad alterare gli assetti concorrenziali:

- in primo luogo, il fatto che non sussiste alcuna ‘correlazione forte’ fra i prezzi di listino e quelli di vendita, al punto che – addirittura – dopo la cessazione del presunto accordo, i prezzi delle bombole erano addirittura aumentati rispetto al periodo in cui l’accordo sarebbe stato operativo;

- in secondo luogo, il fatto che nel corso degli anni gli sconti percentuali praticati sui prezzi di listino sarebbero tendenzialmente aumentati, mentre sarebbero via via diminuiti i margini di profitto realizzati (secondo una logica evidentemente antitetica rispetto a quella che tipicamente anima i soggetti partecipi a un’intesa anticoncorrenziale).

Con un quarto ordine di argomenti (articolato in via ancora gradata), la soc. Liquigas lamenta l’erroneità della sentenza in epigrafe per la parte in cui ha ritenuto la complessiva congruità della sanzione irrogata all’odierna appellante.

Al riguardo, il Tribunale avrebbe omesso di considerare che:

- per quanto riguarda la gravità dell’illecito, un eventuale accordo sui prezzi di listino era di per sé inidoneo (per le ragioni già esposte) a determinare reali effetti anticoncorrenziali, incidendo su variabili inidonee ad alterare gli equilibri di mercato;

- contrariamente a quanto affermato dall’Autorità e dal T.A.R., le tre società coinvolte non sarebbero le uniche ad operare sul mercato nazionale. Anche questo dato contribuirebbe ad attenuare la complessiva gravità dell’intesa nel suo complesso e delle condotte ad essa sottese;

- la durata dell’illecito sarebbe significativamente inferiore rispetto a quella valutata dall’Autorità e confermata dal T.A.R. Al riguardo, non si era tenuto adeguatamente conto della radicale assenza di prove documentali relative al periodo gennaio 1995 – ottobre 1996 (in relazione al quale, pure, la contestazione è stata mossa);

- il coinvolgimento quantitativo e qualitativo dell’odierna appellante era certamente marginale, sia in considerazione del ruolo centrale sortito nella vicenda dalla società leader di mercato (ENI), sia in considerazione del numero limitato di incontri cui avrebbero partecipato i rappresentanti della soc. Liquigas;

- buona parte dell’impianto accusatorio tenuto presente dall’Autorità era basato su circostanze non provate o su affermazioni apodittiche.

Si è costituita in giudizio l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, la quale ha concluso nel senso della reiezione di entrambi gli appelli.

Si è, altresì, costituita in giudizio la società ENI, la quale ha a propria volta concluso nel senso della reiezione degli appelli.

All’udienza pubblica del 10 gennaio 2012 i ricorsi sono stati trattenuti in decisione.

DIRITTO

1. Giungono alla decisione del Collegio i ricorsi in appello proposti da due società attive nel settore della vendita del gas GPL in bombole e sfuso in piccoli serbatoi, avverso la sentenza del T.A.R. del Lazio con cui sono stati respinti i loro ricorsi avverso il provvedimento dell’A.G.C.M. con cui tali società erano state sanzionate all’esito di un procedimento per intese restrittive della concorrenza ai sensi dell’art. 2 della l. 10 ottobre 1990, n. 287.

2. In primo luogo, il Collegio ritiene di disporre la riunione dei ricorsi in epigrafe, sussistendo evidenti ragioni di connessione oggettiva e in parte soggettiva (art. 70, c.p.a.).

La riunione deve, altresì, essere disposta trattandosi di impugnazioni avverso la medesima sentenza (art. 96, c.p.a.).

3. Ad avviso del Collegio, la risoluzione della res controversa impone di statuire sulle seguenti questioni dibattute dalle parti:

3.1. In primo luogo occorre interrogarsi se sussista la prova diretta ed immediata in ordine all’esistenza di un’intesa segreta di carattere orizzontale fra le società appellanti e la denunciante ENI e quale sia il valore probatorio da riconoscere alle dichiarazioni provenienti dal soggetto denunciante nell’ambito dei programmi di clemenza di cui al comma 2- bis dell’articolo 15 della l. 287 del 1990.

3.2. In secondo luogo (e più in generale) occorre domandarsi se, al fine di conseguire la prova dell’illecito antitrust , sia metodologicamente corretto procedere alla valutazione parcellizzata degli elementi a disposizione (come viene fatto dalle odierne appellanti, le quali hanno posto in dubbio l’attendibilità di numerosissimi fra i presupposti in fatto e in diritto tenuti presenti ai fini della decisione), ovvero se, ai medesimi fini, debba procedersi a una valutazione di carattere – per così dire - complessivo e sintetico , nella consapevolezza dell’estrema difficoltà (tipica del settore delle intese segrete) di disporre di un quadro probatorio univoco e del tutto omogeneo.

3.3. In terzo luogo occorre domandarsi se, nel caso di specie, l’Autorità e, in seguito, il T.A.R. abbiano correttamente apprezzato l’esistenza di elementi di carattere ‘esogeno’ rivelatori dell’intesa (ossia, di elementi univocamente indizianti desumibili dall’oggettiva consistenza di fatti storici, quali – ad esempio -: a ) il parallelismo delle condotte commerciali, b ) l’esistenza e frequenza degli incontri, c ) l’idoneità delle condotte poste in essere ad influenzare le variabili concorrenziali determinanti, d ) le quote di mercato congiuntamente detenute dalle imprese coinvolte, e ) l’esistenza di sistemi di monitoraggio e controllo dell’intesa).

3.4. In quarto luogo occorre domandarsi se, nel caso di specie, l’Autorità e, in seguito, il T.A.R. abbiano altresì apprezzato in modo corretto l’esistenza di elementi di carattere ‘endogeno’ rivelatori dell’intesa (ossia, in sintesi, l’impossibilità di spiegare il parallelismo delle condotte in altro modo, se non presupponendo l’esistenza di un’intesa vietata).

3.5. In quinto luogo occorre chiedersi se l’Autorità e, in seguito, i primi Giudici abbiano commesso un errore nella qualificazione giuridica dell’intesa, le cui caratteristiche oggettive sarebbero piuttosto quelle di un’intesa meramente finalizzata alla fissazione dei prezzi massimi di vendita.

3.6. In sesto luogo occorre interrogarsi in ordine alla congruità della sanzione irrogata dall’Autorità, avendo riguardo segnatamente alla gravità della condotta realizzata, alla sua durata e alla sua idoneità a ledere o porre in pericolo gli interessi concorrenziali oggetto di tutela.

4. Nell’ambito dell’ ordo quaestionum dinanzi sinteticamente richiamato, assume un rilievo preliminare l’indagine relativa al se nel caso di specie sussista una prova diretta ed immediata circa l’esistenza di un’intesa segreta di carattere orizzontale fra le società appellanti e la denunciante ENI e relativa all’effettivo valore probatorio da riconoscere alle dichiarazioni provenienti dal soggetto denunciante nell’ambito dei programmi di clemenza di cui al comma 2- bis dell’articolo 15 della l. 287 del 1990 (come introdotto dal comma 2 dell’articolo 14 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223).

Al riguardo, la sentenza in epigrafe ha condivisibilmente affermato che il pur corposo apparato documentale e probatorio raccolto nel corso del procedimento istruttorio non consenta di affermare il raggiungimento di una prova piena in ordine all’esistenza di un’intesa limitativa della concorrenza ai sensi dell’articolo 101 del TFUE.

Nondimeno, la sentenza in questione ha correttamente richiamato l’orientamento giurisprudenziale comunitario e nazionale secondo cui lo strumento dei programmi di clemenza (o: leniency programmes ) ha per legge acquisito una fondamentale importanza per fronteggiare le intese orizzontali segrete (le quali costituiscono talune fra le più gravi minacce al libero gioco concorrenziale), con la conseguenza che gli strumenti offerti agli operatori nazionali e comunitari per farvi fronte debbano ampliare in massimo grado le effettive potenzialità dello strumento, sia pure entro i limiti della sua complessiva tenuta sistemica.

Sotto tale profilo, l’idoneità delle dichiarazioni - offerte dall’ applicant nell’ambito di un programma di clemenza a dare atto dell’effettiva esistenza dell’intesa vietata - deve essere valutata operando un accorto bilanciamento fra – da un lato – l’esigenza di non estendere oltre misura gli strumenti presuntivi e – dall’altro – l’esigenza di supplire alle difficoltà istruttorie tipiche di una tipologia di condotte anticoncorrenziali nel cui ambito è tipicamente assente qualunque prova documentale.

Riconducendo i princìpi in parola al versante probatorio della questione, si è condivisibilmente affermato che, pur non potendosi ritenere che le dichiarazioni del denunciante nell’ambito di un programma di clemenza possano costituire di per sé prova piena dell’esistenza dell’accordo collusivo, nondimeno a tali dichiarazioni deve essere riconosciuto un valore probatorio non trascurabile (in tal senso: TPG, sentenza 13 luglio 2011 in causa T-59/07, Polimeri Europa ).

La giurisprudenza del Tribunale di primo grado ha stabilito che le dichiarazioni di un soggetto qualificato nell’ambito dell’organizzazione di uno dei soggetti coinvolti nell’ambito dell’intesa (nel caso all’esame del Collegio: l’amministratore delegato di Agip Gas al tempo dei fatti) devono essere considerate come “ elementi di prova particolarmente affidabili ” (in tal senso: TPG, sentenza 8 luglio 2004 in causa T-68/00, JFE Engineering )

Concludendo sul punto, occorre osservare che, nel caso di specie, le allegazioni fornite nel corso del procedimento istruttorio dal denunciante ENI, pur non risultando a tal punto dettagliate e suffragate da elementi concreti da poter fornire una prova piena dei fatti denunciati, risultavano comunque caratterizzate da quel quid minimum che, ai sensi della pertinente disciplina nazionale (delibera AGCM del 15 febbraio 2007 sulla non imposizione e sulla riduzione delle sanzioni ai sensi dell’articolo 15 della l. 287 del 1990) e comunitaria (Comunicazione della Commissione europea dell’8 dicembre 2006 relativa all’immunità dalle ammende o alla riduzione del loro importo nei casi di cartelli fra imprese – c.d. ‘programma di clemenza UE’ -) consentono di fornire “ informazioni o evidenze (…) decisive per l’accertamento dell’infrazione, eventualmente attraverso un’ispezione mirata ”.

5. La seconda questione su cui il Collegio ritiene di soffermarsi concerne il se, al fine di conseguire la prova dell’illecito antitrust , sia metodologicamente corretto procedere alla valutazione – per così dire – ‘atomistica’ degli elementi a disposizione (come nei fatti viene fatto dalle odierne appellanti al fine di porre in dubbio l’attendibilità di numerosissimi fra i presupposti in fatto e in diritto tenuti presenti ai fini della decisione), ovvero se, ai medesimi fini, debba procedersi a una valutazione di carattere – per così dire - complessivo e sintetico , nella consapevolezza dell’estrema difficoltà (tipica del settore delle intese segrete) di disporre di un quadro probatorio univoco e del tutto omogeneo.

5.1. Al riguardo il Collegio ritiene che nel caso in esame debba farsi applicazione dell’orientamento il quale riconosce che la prova di un'intesa anticoncorrenziale quasi mai può essere diretta, in quanto difficilmente esistono, o sono comunque rinvenibili, i suoi simboli (documenti) e altrettanto difficilmente possono essere acquisite testimonianze (che dovrebbero provenire dagli stessi autori dell'illecito).

Ma la circostanza che la prova sia indiretta (o indiziaria) non comporta necessariamente che la stessa sia meno forte (in tal senso: Cons. Stato, VI, 25 marzo 2009, n. 1794).

Allo stesso modo si ritiene che debba nel caso in esame trovare conferma l’orientamento secondo cui, dal momento che in materia di intese vietate è ben rara l’acquisizione di una prova piena (il cd. smoking gun : il testo dell'intesa;
documentazione inequivoca della stessa;
atteggiamento confessorio dei protagonisti) e dal momento che un atteggiamento di eccessivo rigore finirebbe per vanificare nella pratica le finalità perseguite dalla normativa antitrust, può reputarsi sufficiente (e necessaria) l’individuazione di indizi, purché gravi precisi e concordanti, circa l'intervento di illecite forme di concertazione e coordinamento (in tal senso: Cons. Stato, VI, sent. 17 gennaio 2008, n. 102).

Impostati in tale modo i termini concettuali della questione e dato atto della complessità del quadro fattuale ed indiziario che tipicamente caratterizza le indagini in tema di intese orizzontali segrete, consegue che le determinazioni dell’Autorità - le quali abbiano vagliato l’apparato probatorio a disposizione - potranno dirsi attendibili ed esenti da censure quante volte esse rappresentino una sintesi attendibile e documentata del complesso delle risultanze in atti, non essendo necessario (e invero, neppure possibile) che esse scaturiscano dalla mera sommatoria di elementi del tutto univoci nella rispettiva portata indiziante.

A ben vedere, infatti, laddove si ritenesse che la probatio dell’accordo collusivo presupponga sempre e comunque un quadro conoscitivo chiaro, univoco e privo di qualunque zona d’ombra, si finirebbe nella pratica per vanificare la ratio stessa dell’accertamento fondato su presupposti indiziari e per rendere di fatto non perseguibili condotte il cui tratto tipico e caratterizzante è rappresentato dalla segretezza e dall’ontologica difficoltà di disporre di un apparato probatorio pieno e incontroverso.

Ebbene, anche sotto tale aspetto il Collegio ritiene che la risoluzione della controversia possa basarsi sul consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, al fine di individuare gli elementi costitutivi di una condotta collusiva di carattere anticoncorrenziale, occorre distinguere fra:

– da un lato, gli elementi indiziari di carattere ‘endogeno’ (ossia collegati alla stranezza intrinseca della condotta o alla mancanza di spiegazioni alternative nel senso che, in una logica di confronto concorrenziale, il comportamento delle imprese sarebbe stato sicuramente o almeno plausibilmente diverso da quello in pratica riscontrato) e

– dall’altro, gli elementi indiziari di carattere ‘esogeno’ (ossia i riscontri esterni ed oggettivi circa l'intervento di un'intesa illecita al di là della fisiologica stranezza della condotta in quanto tale, quali – ad esempio - i contatti fra imprese e gli scambi di informazioni non altrimenti spiegabili un contesto di sano confronto concorrenziale e, quindi, sintomatici di un'intesa illecita) (in tal senso: CGCE, sentenza 31 marzo 1993 in causa C-89/85 – Woodpulp -).

6. Ebbene, rinviando al prosieguo l’indagine circa la sussistenza dei richiamati requisiti indiziari di carattere endogeno, occorre qui domandarsi se l’Autorità e, in seguito, i primi Giudici abbiano correttamente individuato e valutato gli elementi di carattere esogeno i quali deponevano nel senso della sussistenza di un’intesa orizzontale segreta..

Come si è anticipato in precedenza, l’Autorità ha ritenuto, sulla base delle risultanze istruttorie, che sussistessero numerosi elementi di carattere indiziario ed ‘esogeno’ i quali testimoniavano l’esistenza di un’intesa di tale genere.

Fra tali elementi indiziari si citeranno: a ) il parallelismo delle condotte commerciali; b ) l’esistenza e la frequenza degli incontri fra i vertici delle società coinvolte; c ) l’idoneità delle condotte poste in essere ad influenzare le variabili concorrenziali determinanti; d ) le quote di mercato congiuntamente detenute dalle imprese coinvolte; e ) l’esistenza di sistemi di monitoraggio e controllo dell’intesa.

A ciascuno di tali elementi verrà dedicato un esame di dettaglio, sussistendo evidenti divergenze fra la ricostruzione dell’Autorità (ritenuta ragionevole dal T.A.R.) e quella delle società appellanti.

6.1.a. Ad avviso del Collegio, sussiste il parallelismo fra le condotte commerciali delle tre società coinvolte per ciò che riguarda la determinazione dei prezzi di listino.

Si tratta, a ben vedere, di una circostanza pacifica fra le parti in causa (le quali ammettono senza riserve l’esistenza di un accentuato parallelismo in sede di determinazione dei listini di vendita del GPL in bombole e sfuso in piccoli serbatoi).

Appare quindi provato che, nel corso dell’intero periodo in considerazione, le società in questione abbiano operato nella stragrande maggioranza dei casi scelte sovrapponibili per ciò che riguarda: a ) il se operare o meno modifiche del listino (ossia, l’ an della variazione); b ) il momento storico in cui operare la modifica (ossia, il quando della variazione);
c) l’ammontare specifico della modifica (ossia, il quantum della variazione).

Ora, mentre le tre società in questione ammettono sostanzialmente e senza riserva alcuna l’esistenza del richiamato parallelismo, le rispettive tesi divergono invece – e in modo profondissimo – da quelle dell’Autorità per quanto riguarda il significato da attribuire a tali condotte.

Ed infatti, mentre l’Autorità (e con essa, il T.A.R.) ha ritenuto che tale parallelismo rappresentasse un indizio preciso dell’esistenza dell’accordo collusivo oggetto di indagine, al contrario, le società appellanti affermano che esso fosse altrimenti giustificabile sulla base della struttura stessa dei mercati di cui si tratta (tesi B), ovvero in base a un “ intelligente allineamento delle condotte a quelle dei rispettivi concorrenti ” (tesi Liquigas).

Sul tema si avrà modo di tornare nel prosieguo (quando verrà esaminata la questione degli indizi di carattere endogeno, relativi all’individuazione di una possibile spiegazione alternativa per il richiamato parallelismo).

Al riguarrdo, deve già sottolinearsi che è incontestata in atti la circostanza per cui, nel corso del periodo oggetto di indagine (1995-2005), la determinazione dei listini di vendita da parte delle società interessate dall’indagine dell’Autorità presentasse un carattere di accentuato parallelismo e che l’andamento della serie dei listini adottati dalle società in questione fosse di fatto svincolato dall’andamento dei prezzi di riferimento della materia prima (prezzi desumibili dall’indice FOB Bethouia).

Dalle elaborazioni svolte dall’Autorità (grafici 5 e 6 del provvedimento impugnato dinanzi al T.A.R.), emerge che, nel corso del periodo 1996-2005, la curva dell’andamento diacronico dell’indice FOB Bethouia - da un lato - e le curve dell’andamento dei prezzi di listino delle tre società in questione per il GPL in piccoli serbatoi e in bombole – dall’altro – mostra un’accentuata divaricazione.

Si intende con ciò dire che, mentre i trend di ciascun periodo sono in massima parte sovrapponibili (nel senso che a un aumento dell’indice FOB Bethouia corrispondeva nella stragrande maggioranza dei casi un aumento dei prezzi di listino e a una diminuzione del primo corrispondeva una diminuzione dei secondi), le due curve tendono nel corso del tempo a divaricarsi, pur restando le seconde in funzione della prima: segno evidente che, in caso di aumento del prezzo di riferimento, la risposta delle società era nel senso di reagire con aumenti di listino più che proporzionali rispetto agli aumenti proporzionali del FOB Bethouia, mentre in caso di diminuzione del prezzo di riferimento, la risposta delle società era nel senso di ammortizzare la diminuzione con riduzioni dei prezzi di listino men che proporzionali rispetto all’andamento del prezzo della materia prima.

Nel prosieguo della presente decisione (par. 7) si trarranno le conseguenze di tale andamento per ciò che attiene elementi indiziari di carattere endogeno circa l’esistenza di un’intesa orizzontale segreta.

6.1.b. Allo stesso modo, il Collegio ritiene che l’Autorità abbia dimostrato in modo adeguato già col provvedimento impugnato l’esistenza di frequenti contatti fra i vertici (in particolare: amministratori delegati) delle tre società interessate nel corso del periodo in contestazione.

Al riguardo si osserva che:

- il provvedimento dell’Autorità documenta in modo analitico l’esistenza di incontri frequenti fra gli amministratori delegati delle tre società in diversi contesti (presso le sedi delle società, a latere dei consigli di amministrazione delle società congiuntamente partecipate e a latere degli incontri presso le associazioni di categoria);

- pur in presenza di un quadro probatorio comprensibilmente incompleto e pur avendo l’Autorità basato il proprio operato su un approccio prudenziale, risulta dimostrata in atti l’esistenza di frequenti incontri, concentrati nei lassi temporali a ridosso dell’adozione delle determinazioni relative alle variazioni di prezzo conseguenti alle variazioni mensili dell’indice FOB Bethouia;

- il dato storico in questione è stato correttamente desunto da alcuni indici rivelatori nell’esclusiva disponibilità delle società interessate (es.: note spese delle trasferte degli amministratori delegati;
agende degli impegni degli stessi;
rilevazioni degli ingressi presso le sedi sociali), ragione per cui è del tutto verosimile ipotizzare che le concrete occasioni di incontro siano state molto più numerose di quelle riscontrate;

- in base alla metodologia prudenziale dinanzi richiamata, risultano accertati nel corso del periodo in contestazione ben 228 incontri (bilaterali o trilaterali, con una prevalenza per questi ultimi), di cui 84 si erano svolti nell’ambito di incontri presso Assogasliquidi ovvero a latere dei consigli di amministrazione delle società partecipate;

- attraverso un’analisi basata sulle evidenze fattuali, l’Autorità ha potuto ricostruire alcune serie storiche che pongono in comparazione gli incontri bi- o tri-laterali potenzialmente rilevanti ai fini delle determinazioni relative ai prezzi e le determinazioni effettivamente adottate (contatti a ridosso delle decisioni sul listino). Ebbene, dall’esame diacronico in questione emerge che le decisioni di prezzo precedute da incontri ‘rilevanti’ fossero in numero elevato e significativo nell’intero periodo oggetto di indagine (6 su 13 nel corso del 1996, 4 su 13 nel corso del 1997, 6 su 12 nel corso del 1998, 7 su 15 nel corso del 1999, 8 su 15 nel corso del 2000, 10 su 12 nel corso del 2001, 9 su 13 nel corso del 2002, 8 su 12 nel corso del 2003, 3 su 12 nel corso del 2004 e 3 su 7 nel corso del 2005). I dati in questione assumono valenza tanto più significativa ai fini del decidere in considerazione del carattere prudenziale della metodologia di indagine utilizzata.

6.1.b.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi