Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-05-17, n. 202203850

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-05-17, n. 202203850
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202203850
Data del deposito : 17 maggio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/05/2022

N. 03850/2022REG.PROV.COLL.

N. 04509/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4509 del 2020, proposto da
Allianz S.p.A., S B, M F P B, O B, A C, M D, M N, C P, G P, G R, Klaus-Peter Röhler, C S, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati F C, M H, M S, L C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato M S in Roma, viale Parioli, 180;

contro

COVIP - Commissione Vigilanza Fondi Pensione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 01303/2020, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della COVIP - Commissione Vigilanza Fondi Pensione;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 aprile 2022 il Cons. Roberta Ravasio e uditi per le parti gli avvocati, dello Stato Pietro Garofoli, e L C;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Nel corso dell’anno 2016 la Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione (in prosieguo indicata solo “COVIP”), ha effettuato accertamenti ispettivi presso la Allianz S.p.A., che gestisce il fondo di previdenza complementare “Orizzonte Previdenza”.

2. Nel corso di tale ispezione sono state esaminate – inter alia – 50 pratiche di anticipazione liquidate nel primo quadrimestre 2014 ai sensi dell’art. 11, lett. a) e b) del D. L.vo 252/2005, ed all’esito dell’ispezione COVIP ha ritenuto che in un numero significativo delle pratiche controllare fossero state commesse irregolarità, in sostanza tutte riconducibili alla liquidazione della prestazione in difetto di prova sulla sussistenza delle situazioni (necessità di sostenere spese sanitarie, spese di ristrutturazione, etc. etc.) in presenza delle quali la normativa consente l’anticipata liquidazione della prestazione previdenziale : COVIP ha infatti riscontrato (i) l’avvenuta liquidazione dell’anticipazione sulla base di documentazione insufficiente, (ii) la mancata successiva acquisizione dei documenti giustificativi delle spese e delle ragioni addotte a fondamento della richiesta, (iii) la mancata acquisizione dei giustificativi di spesa corrispondenti al totale degli importi erogati, (iv) la mancanza di solleciti o di altri interventi correttivi durante tutta la durata dell’ispezione.

3. Pertanto all’esito del procedimento, nel corso del quale la società e le singole persone fisiche interessate sono state ammesse alla produzione di osservazioni ed è stato acquisito il parere del 5 luglio 2017 del Comitato per l’esame delle irregolarità, con provvedimenti del 12 luglio 2017 la COVIP, ritenuta la sussistenza di un coefficiente soggettivo di colpevolezza in capo a tutte le persone sottoposte al procedimento, ha sanzionato la Allianz S.p.A., i componenti del Consiglio di Amministrazione ed i componenti del Collegio sindacale ai sensi del combinato disposto degli artt. 11, lett. a) e b) e 19 quater , comma 2, lett. b) del D. L.vo 252/2005, irrogando a ciascuno degli otto componenti il Consiglio di Amministrazione una pena pecuniaria di €. 1.000,00, e per l’effetto, a carico della Allianz S.p.A., una sanzione di €. 8.000,00, quale soggetto obbligato in solido;
ed inoltre una sanzione di €. 500,00 a carico di ciascuno dei tre componenti il Collegio sindacale, e per l’effetto una sanzione di €. 1.500,00 a carico di Allianz S.p.A., quale soggetto obbligato in solido.

4. Con due distinti ricorsi sono stati impugnati, avanti al TAR per il Lazio, i due provvedimenti del 12 luglio 2017 nonché il presupposto “Regolamento in materia di procedure sanzionatorie” adottato dalla COVIP.

5. Previa riunione dei medesimi il TAR, con la sentenza in epigrafe indicata, li ha respinti.

6. La decisione è stata impugnata, per i motivi che in prosieguo saranno esaminati, con ricorso proposto dalla società Allianz e dalle 11 persone fisiche destinatarie delle sanzioni.

7. La COVIP si è costituita in giudizio per resistere al gravame.

8. La causa è stata chiamata alla pubblica udienza del 7 aprile 2022, in occasione della quale è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

9. Con il primo motivo di ricorso è contestato il capo della sentenza impugnata che ha ritenuto che le sanzioni irrogate con gli atti impugnati non hanno natura “penale” nel senso indicato dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti Umani, in particolare nel caso “Grande Stevens”, e che, su tale presupposto, ha ritenuto legittimo il procedimento sanzionatorio implementato dalla COVIP, ancorché il medesimo non sia idoneo a rispettare tutte le garanzie imposte dall’art. 6, par. 1, della Convenzione EDU.

9.1. Più in dettaglio, il TAR:

- ha ritenuto che le sanzioni oggetto del giudizio non tutelano “ interessi generali della società normalmente tutelati dal diritto penale ”, non sono quindi connotate da carattere “afflittivo”, nel senso inteso dalla citata giurisprudenza della Corte EDU nel caso “Grande Stevens”, e possono essere legittimamente irrogate all’esito di un procedimento amministrativo sanzionatorio in cui l’Autorità procedente è “ vincolata solo al rispetto dei principi di eguale trattamento, imparzialità e buon andamento dell’Amministrazione, nonché al principio di legalità ”;

- ha rammentato che la stessa Corte EDU ha ritenuto compatibile con l’art. 6, par. 1, della Convenzione il fatto che sanzioni “penali” siano imposte, in prima istanza, da un organo amministrativo a conclusione di una procedura che non offra garanzie procedurali piene di effettività del contraddittorio, purché sia assicurata una possibilità di ricorso dinnanzi ad un giudice munito di poteri di “piena giurisdizione”, ciò comportando che le garanzie previste dalla disposizione in questione possano attuarsi compiutamente quanto meno in sede giurisdizionale: la pienezza di un tale sindacato può riconoscersi, appunto, al Giudice Amministrativo, che istituzionalmente esercita sui provvedimenti della COVIP un sindacato che involve la verifica diretta dei fatti posti a fondamento del provvedimento impugnato nonché dei profili tecnici il cui esame sia necessario per giudicare della legittimità di tale provvedimento, e che si estende anche al merito della decisione, per quanto attiene alla quantificazione della sanzione;

- ha, infine, escluso che nel caso di specie vi sia stata lesione del contraddittorio o assenza di adeguate garanzie partecipative, con particolare riferimento alla composizione della Commissione consultiva nonché alla possibilità di accedere al relativo parere, presupposto alle sanzioni impugnate: infatti, (i) la partecipazione di funzionari COVIP alla seduta della Commissione consultiva, stigmatizzata dai ricorrenti, non potrebbe considerarsi elemento viziante, avendo il TAR già chiarito (sentenze n. 6925 e n. 6941 del 13 giugno 2017) che “ la presenza del direttore generale e di altri dirigenti dei servizi amministrativi alla riunione della commissione che ha deliberato il provvedimento sanzionatorio non costituisce un vizio del procedimento, trattandosi di presenza necessaria affinché l’organo decidente potesse essere informato con pienezza e completezza di tutti gli elementi acquisiti nella fase istruttoria ”, (ii) il parere della Commissione sarebbe stato disponibile a seguito di istanza di accesso, (iii) e, in ogni caso, non v’è prova del fatto che la mancata contestazione della proposta sanzionatoria direttamente alla Commissione, senza il “filtro” degli Uffici procedenti, abbia menomato le difese dei ricorrenti o modificato il corso della decisione finale.

9.2. Contro tali argomenti gli odierni appellanti hanno richiamato l’art. 24, comma 1, del D. L.vo 262/2005, che, con esplicito riferimento ai procedimenti della Banca d’Italia, della Consob, dell’Isvap e della Covip, ha affermato la necessità di applicare, in quanto compatibili, i principi sull'individuazione e sulle funzioni del responsabile del procedimento, sulla partecipazione al procedimento e sull’accesso agli atti amministrativi recati dalla legge 7 agosto 1990, 241, e successive modificazioni, richiamando, con specifico riferimento ai procedimenti di controllo a carattere contenzioso e ai procedimenti sanzionatori, i principi della facoltà di denunzia di parte, della piena conoscenza degli atti istruttori, del contraddittorio, della verbalizzazione nonché della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie rispetto all’irrogazione della sanzione.

9.2.1. Ciò precisato gli appellati, riproponendo i motivi posti a fondamento del primo motivo di ricorso di primo grado, hanno ribadito la non conformità, agli indicati principi, del procedimento sanzionatorio che si svolge innanzi alla COVIP, in considerazione del fatto che: (i) non vi sarebbe distinzione tra funzioni istruttorie e decisorie;
(ii) non è previsto il contraddittorio sulla proposta sanzionatoria degli Uffici e del Comitato, prima che questa sia presentata alla Commissione, la quale, pertanto, prima di decidere ha modo di esaminare solo gli argomenti favorevoli alla sanzione;
(iii) il soggetto interessato è impossibilitato a far valere le proprie difese nella fase finale del procedimento.

9.2.2. La possibilità di proporre opposizione innanzi al Giudice Amministrativo non costituirebbe una soluzione conforme a principi di civiltà giuridica, posto che in tal modo il soggetto attinto dalla sanzione è costretto ad affrontare un ulteriore contenzioso, subendo nel frattempo gli effetti della sanzione, senza la garanzia che essi siano poi totalmente cancellati;
in ogni caso, continuano gli appellanti, la legislazione nazionale impone di applicare i principi del giusto procedimento alle sanzioni irrogate dalla COVIP, dalla CONSOB, dalla Banca d’Italia, già nella fase procedimentale, e proprio per tale ragione la CONSOB e la Banca d’Italia hanno modificato, da tempo, i rispettivi regolamenti sanzionatori, prevedendo, tra l’altro, la preventiva comunicazione ai soggetti interessati della proposta per l’organo deliberante in merito alla sussistenza e alla gravità delle violazioni contestate e la possibilità per gli interessati di presentare memorie difensive scritte sulla proposta del competente Ufficio direttamente all’organo decidente, permettendo così l’interlocuzione diretta tra l’organo decidente stesso e il soggetto interessato, destinatario della decisione finale;
non sarebbe un caso che il legislatore, con l’art. 1, comma 26, del D. L.vo 147/2018, ha introdotto nel corpo del D. L.vo 252/2005 l’art. 19 quinquies , con la finalità di dettare principi generali per il procedimento sanzionatorio che si svolge innanzi alla COVIP, prevedendo che questa adotti un conforme regolamento.

9.2.3. Oppone la COVIP, nelle memorie difensive, che le sanzioni da essa comminate non mutuano la medesima natura delle sanzioni irrogate dalla CONSB, dalla Banca d’Italia o dall’ISVAP, e non sarebbero minimamente paragonabili per tipologia, severità, incidenza patrimoniale e personale, a quelle irrogate da tali Autorità: l’art. 24 del TUB, invocato dagli appellanti, si sarebbe limitato a dettare solo dei principi generali, senza codificare la necessità di un “doppio livello di contraddittorio”, che, all’attualità, non è richiesto neppure dall’art. 19 quinques, introdotto nel corpo del D. L.vo 252/2005 dal D. L.vo 147/2018;
il Comitato per l’esame delle irregolarità fungerebbe da raccordo fra i vari Uffici coinvolti nella fase istruttoria, in modo da garantire l’analisi congiunta delle fattispecie all’atto di predisporre gli atti conclusivi del procedimento;
la Commissione rimane del tutto estranea al procedimento fino al momento della conclusione dell’istruttoria, proprio al fine di garantire la separazione tra le funzioni istruttorie e decisorie, e di fatto decide in modo libero e autonomo, rispetto alle indicazioni degli Uffici (tant’è che nella specie ha deliberato anche l’archiviazione di alcune posizioni);
gli appellanti non potrebbero comunque lamentare una lesione dei diritti di difesa, non avendo neppure esercitato il diritto di accesso agli atti, che la L. 241/90 ed il Regolamento adottato dalla COVIP il 28 novembre 2008 avrebbero loro consentito, né avendo gli appellanti, nel corso del giudizio, prospettato argomenti difensivi aggiuntivi rispetto a quelli prospettati nel corso del procedimento: gli appellanti, in definitiva, non avrebbero dimostrato che, cambiando le regole del procedimento, i provvedimenti sanzionatori non sarebbero stati adottati o sarebbero stati diversi.

9.2.4. In ogni caso, sottolinea ancora la COVIP, la contenuta entità delle sanzioni oggetto del giudizio impedisce di qualificarle quali sanzioni “penali” o “afflittive” nei termini della “giurisprudenza Grande Stevens”.

Il Collegio ritiene che, per quanto la articolata doglianza in esame evidenzi aspetti di dubbia compatibilità del procedimento sanzionatorio che si svolge innanzi alla COVIP, rispetto ai principi del giusto processo ovvero del giusto procedimento (la difesa di parte appellante invoca entrambi i parametri, il primo declinato per lo più alla luce del diritto CEDU, il secondo del diritto interno, anche di matrice costituzionale), la censura non può trovare accoglimento, in primo luogo perché non si può predicare la natura “penale” delle sanzioni oggetto del presente giudizio.

9.3.1. Per quanto riguarda tale primo aspetto va menzionato, anzitutto, il Regolamento sanzionatorio della COVIP, adottato con delibera 30 maggio 2007 della Commissione, nell’intendimento dichiarato di recepire i principi di cui all’art. 145 del D. L.vo 383/93, e in particolare il principio di distinzione tra funzioni istruttorie e decisorie, nell’esercizio delle funzioni sanzionatorie, il principio della predeterminazione della durata massima del procedimento medesimo e il principio del contraddittorio.

9.3.2. In concreto il Regolamento prevede: che l’avvio del procedimento sia deliberato, e poi coordinato, dal Direttore generale;
che entro il termine indicato all’art. 3, comma 2, sia comunicato agli interessati l’atto di contestazione;
che gli interessati possono produrre entro i successivi 60 giorni delle controdeduzioni e chiedere di essere auditi;
infine, l’art. 5 prevede che “ Entro 180 giorni dal ricevimento delle controdeduzioni o dall’audizione, se successiva, ovvero, in difetto, dalla scadenza del termine per la presentazione delle controdeduzioni, la Commissione adotta la propria decisione, di archiviazione o di applicazione della sanzione, con provvedimento motivato .”. Null’altro di specifico prevede il Regolamento con riferimento alla fase istruttoria e deliberativa.

9.3.3. In concreto i provvedimenti sanzionatori oggetto dell’odierno giudizio sono stati deliberati previo parere del Comitato per le irregolarità: tale Comitato risulta essere stato costituito – secondo quanto si legge sul sito web della COVIP (https://www.covip.it/amministrazione-trasparente/organizzazione/articolazione-uffici/organigramma/direttore-generale) - ai sensi dell’art. 16, comma 2, del Regolamento di organizzazione;
esso “ esprime un parere sulle violazioni soggette a sanzione amministrativa che siano state accertate nel corso dell’attività di vigilanza o delle verifiche ispettive. Individua, inoltre, quelle irregolarità che, rilevate nell’esercizio dell’attività di vigilanza o delle verifiche ispettive, possono integrare circostanze di reato ”. Va ricordato, inoltre, che a mente dell’art. 16, comma 2, del Regolamento di organizzazione, “ Per particolari esigenze la Commissione può anche costituire comitati, i quali possono essere composti da dipendenti e da esperti esterni. I comitati sono, di norma, coordinati da un Componente la Commissione .”.

9.3.4. Si ha, dunque, che nel procedimento interviene anche il parere di un organo che, in sostanza, funge da organo consultivo della Commissione e che, tuttavia, non è caratterizzato da assoluta terzietà, essendo: istituito all’interno della COVIP, di diritto coordinato da uno dei membri della Commissione, e composto anche da dipendenti interni, in relazione ai quali non è dato sapere quanto siano distinti e separati (e quindi indipendenti) rispetto a quelli che istruiscono i procedimenti sanzionatori.

9.3.5. Il coinvolgimento nel procedimento di un simile organo consultivo, che non offre garanzie di separazione e di terzietà ed il cui intervento, per giunta, non è neppure previsto nel Regolamento sanzionatorio, costituisce in astratto un possibile rischio per l’ indipendenza ed autonomia della decisione finale della Commissione: per tale ragione quest’ultima avrebbe dovuto porsi il problema - nel momento in cui ha deliberato l’istituzione del Comitato per le irregolarità affidandole i compiti sopra individuati - di recepire l’intervento di tale organo nel Regolamento sanzionatorio, assicurando, inoltre, almeno uno specifico (momento di) contraddittorio degli interessati sul relativo parere;
fermo restando, peraltro, che il rispetto dei principi del giusto processo, di cui la terzietà e indipendenza dell’organo giudicante costituisce un corollario essenziale, appare difficilmente conciliabile con l’intervento nel procedimento di un organo formalmente consultivo ma che, in realtà, costituisce una promanazione dell’organo decidente.

9.3.6. Le indicate perplessità, che suscita il procedimento sanzionatorio che si svolge innanzi alla COVIP, tuttavia, non sono sufficienti a determinare nel caso concreto l’illegittimità delle sanzioni oggetto del presente giudizio, sia per la ragione che l’ordinamento assicura un successivo controllo giurisdizionale sulle sanzioni medesime, sia per la ragione che non si può predicare la natura penale ed afflittiva delle sanzioni inflitte dalla COVIP, sia infine perché, come efficacemente rilevato dalla difesa erariale (a p. 14 della sua memoria di costituzione), i ricorrenti non hanno specificamente indicato quale vulnus questa imperfezione del quadro regolamentare (e quindi della dinamica procedimentale) avrebbe in concreto loro arrecato;
in cosa la loro difesa sarebbe potuto essere diversa e migliore ove il regolamento COVIP avesse rispettato a pieno lo standard di contraddittorio fissato dal legislatore.

9.3.7. Nell’ordine appena tracciato, va rammentato che secondo il noto e risalente insegnamento della Corte EDU a partire dalla sentenza Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 Giugno 1976, §§ 81-83, vari criteri soccorrono per stabilire l’eventuale natura afflittiva/penale di una sanzione: essi sono tendenzialmente alternativi fra loro, ed il riscontro cumulativo viene utilizzato, per lo più, per risolvere situazioni di incertezza. Con specifico riguardo alle sanzioni pecuniarie, la Corte di Strasburgo considera la “gravità” della sanzione un indice della natura penale/afflittiva, e considera indici di “gravità” l’importo della sanzione, la menzione o meno di essa nel casellario giudiziale, la convertibilità in pena detentiva in caso di mancato pagamento e, più in generale, il complessivo effetto limitativo spiegato sulla sfera personale del destinatario, anche per quanto concerne le sue potenzialità relazionali, economiche e lavorative e quindi, in ultima analisi, il suo carattere “infamante” (c.d. degree of stigma ). Altro indice di natura afflittiva/penale della sanzione è desumibile dalla finalità di questa, quando si rilevi che tale finalità non sia meramente riparatoria/compensativa, ma sia anche, o solo, repressiva, deterrente o punitiva.

9.3.8. Ebbene, il Collegio osserva che: (i) tutte le sanzioni irrogabili dalla COVIP, secondo quanto previsto dall’art. 19 quater del D. L.vo 252/2005, sono punite con una sanzione pecuniaria che nell’importo massimo edittale non può superare i 25.000,00 euro, cioè una pena che non può considerarsi, ex se , impattante sul patrimonio del destinatario, tenuto conto che per definizione si tratta di persona di elevata competenza professionale, (ii) non è prevista l’irrogazione di pene accessorie in senso proprio né la possibilità che la pena sia commutata in detenzione;
(iii) il sistema sanzionatorio disciplinato dal D. L.vo 252/2005 sanziona la violazione di precetti individuati da varie norme contenute nel medesimo Decreto, funzionali a garantire una sana e prudente gestione delle forme di previdenza che erogano prestazioni pensionistiche complementari, norme che in tal senso svolgono un ruolo preventivo, rispetto ad eventi pregiudizievoli per i risparmiatori: si tratta, dunque, essenzialmente di illeciti “di mero pericolo”, e non “di danno”;
(iv) la finalità delle sanzioni in esame non è meramente punitiva, essendo certamente connotate, in misura prevalente, da una finalità deterrente e preventiva.

9.3.9. Ad avviso del Collegio gli indicati elementi debbono ritenersi, complessivamente considerati, indicativi della non “gravità” dei fatti e comportamenti sanzionati, considerato, inoltre, che l’irrogazione delle sanzioni in esame non è automaticamente idonea a precludere il conferimento, ai destinatari, di incarichi come esponenti aziendali di banche, di intermediari finanziari, di confidi, di istituti di moneta elettronica, di istituti di pagamento e di sistemi di garanzia dei depositanti, giusta previsioni dell’art. 4 del D.M. 23 novembre 2020 n. 169. Pertanto, pur non potendosi disconoscere che le sanzioni in esame non svolgono una funzione meramente risarcitoria o compensativa, ad avviso del Collegio non possono ritenersi “afflittive”, o “penali”, nel senso indicato dalla Corte di Strasburgo, a partire dal precedente Engel c/ Paesi Bassi, non essendo la finalità afflittiva o deterrente della sanzione un indice automaticamente indicativo della natura penale di una sanzione: si rileva, a tale riguardo, che nei precedenti della Corte di Strasburgo non si rintracciano affermazioni perentorie che assegnino alla finalità punitiva o deterrente la valenza di elemento ex se indicativo di gravità.

9.4. L’accertata natura non “penale” delle sanzioni irrogate dalla COVIP è la prima ragione che induce ad affermare l’irrilevanza delle pur rilevate criticità che connotano il procedimento sanzionatorio che si svolge innanzi alla Commissione della COVIP, come disciplinato a seguito della istituzione del Comitato delle irregolarità, tenuto conto del fatto che l’ordinamento assicura la possibilità di impugnare le sanzioni medesime innanzi ad una autorità indipendente (il Giudice Amministrativo) dotata di piena giurisdizione, legittimata, cioè, ad esercitare un sindacato pieno, nel contraddittorio con l’incolpato, che può riproporre ad essa autorità tutte le necessarie difese.

9.4.1. Il carattere non “grave” e non “afflittivo” delle sanzioni, infatti, stempera, almeno in una certa misura ed assumendo come parametro il diritto convenzionale, l’esigenza di assicurare, già nella fase del procedimento sanzionatorio che si svolge innanzi all’autorità amministrativa, l’osservanza di quei principi che l’art. 24 del T.U.B. impone di osservare anche nei procedimenti che si svolgono innanzi alla COVIP, in particolare i principi della distinzione tra funzioni istruttorie e decisorie rispetto all’irrogazione della sanzione.

9.4.2. Non di meno si deve convenire con gli appellanti che risponde ad un elementare principio di civiltà giuridica che il destinatario di una sanzione non debba essere costretto a proporre una opposizione, magari lunga e costosa, avanti ad un’altra autorità, per poter esercitare pienamente i propri diritti di difesa e per avere la garanzia di essere giudicato da un’autorità imparziale;
e un simile rilievo parrebbe dover prevalere su altre considerazioni, legate in particolare alle difficoltà organizzative che le Autorità amministrative possono incontrare nel dare attuazione ai ricordati principi nei procedimenti sanzionatori di loro competenza, e all’esigenza di istruire e concludere con celerità i procedimenti medesimi, anche nell’interesse dei soggetti interessati. Vale richiamare quanto da questo Consiglio, e proprio da questa Sezione, già in altre occasioni rilevato, nel senso che l’intervento legislativo del 2005 ha avuto come obiettivo “quello di imporre uno standard di contraddittorio più elevato rispetto a quello già assicurato dalla legge generale del procedimento amministrativo, un livello di contradditorio che, con riferimento a questa particolare tipologia di procedimenti, il legislatore ha voluto in parte assimilare a quello di matrice processuale” (v. Cons. St., VI, 1595/2015, al punto 28). Uno standard che si impone – giova sottolineare – a prescindere dalla inclusione del singolo procedimento sanzionatorio nella cornice della “materia penale” secondo i dettami della Corte EDU, derivando già per ciò solo dal diritto interno e dall’evoluzione che ha conosciuto.

Tanto riaffermato in linea generale, resta il fatto che nel caso di specie il limite regolamentare sopra evidenziato non si è tradotto (o, meglio, non vi è la prova che si sia tradotto) in un vizio della decisione del procedimento sanzionatorio nella misura in cui i ricorrenti non sono stati in grado di dimostrare e neppure prospettare, come sarebbe stato loro onere fare, quale sarebbe stato in concreto il vulnus da essi sofferto (che non sia la decisione in quanto tale);
in particolare quale difesa o quali ragioni avrebbero potuto efficacemente sostenere, e con quale possibile incidenza sulla decisione finale, nel contesto di un contraddittorio rafforzato.

9.5. La censura in esame, va conclusivamente respinta.

10. Il Collegio passa, a questo punto, all’esame del terzo motivo d’appello, a mezzo del quale si assume la violazione del principio del favor rei , in relazione alla circostanza che, a seguito della introduzione, nel corpo del D. L.vo 252/2005, dell’art. 19 quinquies , ad opera del D. L.vo 147/2018, i comportamenti che in concreto sono stati qui sanzionati non costituirebbero più illecito, posto che la citata norma sopravvenuta ha introdotto una clausola di non procedibilità dei procedimenti sanzionatori quando non sia assente un pregiudizio “ per il tempestivo esercizio delle funzioni di vigilanza o per gli interessi dei potenziali aderenti, degli aderenti, dei beneficiari e degli altri aventi diritto a prestazioni da parte della forma pensionistica complementare ”: l’impugnata sentenza, pertanto, sarebbe caduta nel vizio denunciato, avendo affermato che “ la disciplina vigente al momento di contestazione degli addebiti ai ricorrenti non prevedeva tale potere discrezionale, cosicché l’avvenuta contestazione, e successiva sanzione irrogata, era obbligatoria per la COVIP

10.1. Gli appellanti, sempre ribadendo la tesi circa la natura penale delle sanzioni loro irrogate, a causa della funzione punitiva da esse svolta e della idoneità della stesse ad incidere sulla reputazione, invocano l’insegnamento della Corte Costituzionale di cui alla sentenza n. 63/2019, secondo cui il principio di retroattività della lex mitior sopravvenuta si applica anche alle sanzioni amministrative.

10.2. Ebbene, la natura “non penale” delle sanzioni di cui si tratta nel presente giudizio preclude l’applicabilità del principio della lex mitior . Nella sentenza n. 193/2016 la Corte Costituzionale ha esaminato in modo approfondito la questione della soggezione delle sanzioni amministrative al principio della retroattività della legge più favorevole, principio che la Corte ha ritenuto non essere enunciato, a livello generalizzato, nel quadro normativo apprestato dalla CEDU, e che, inoltre, ha ritenuto non potersi enucleare - a livello generalizzato - neppure dall’art. 3 della Costituzione, “ rientrando nella discrezionalità del legislatore ‒ nel rispetto del limite della ragionevolezza ‒ modulare le proprie determinazioni secondo criteri di maggiore o minore rigore in base alle materie oggetto di disciplina (ordinanze n. 245 del 2003, n. 501 e n. 140 del 2002). ”. La sentenza n. 63/2019, infatti, ha esteso l’applicabilità del principio, ma solo alle sanzioni amministrative aventi carattere “punitivo”, poiché in tal caso l’applicazione del principio risulta coerente alla logica sottesa alla giurisprudenza costituzionale sviluppatasi relativamente alle sanzioni propriamente penali.

10.3. La censura in esame va, conclusivamente, respinta.

11. Con il secondo motivo d’appello si contesta il capo della sentenza che ha ritenuto fondate nel merito le contestazioni mosse dall’Autorità: in particolare gli appellanti assumono di essere stati sanzionati per il fatto che non sarebbe stata acquisita, dopo l’erogazione della prestazione, la documentazione comprovante la sussistenza delle condizioni stabilite dalla legge per far luogo alla prestazione medesima, e, rilevando che tale comportamento non sarebbe previsto come illecito dall’art. 11, comma 7, lett. a) e b), del D. L.vo 252/2005, ritengono di essere stati sanzionati in violazione del principio di legalità, non comprendendosi da dove derivi l’onere di recupero postumo della documentazione definitiva che sarebbe stato violato.

11.1. Secondo gli appellanti “ il tema dell'esigenza di aggiungere alla fase di verifica istruttoria una fase postuma di controllo documentale, si sviluppa non attorno alla norma primaria di riferimento bensì, a seguito delle ripetute aperture con cui COVIP ha finito per ammettere la possibilità di procedere alla liquidazione delle anticipazioni anche sulla base di preventivi o altra documentazione equipollente;
ciò al fine di non frustrare, ed anzi favorire, le esigenze di assistenza degli aderenti. I quali, se dovessero sostenere in proprio i costi e richiederne al fondo, solo in un secondo momento, il rimborso, forse non riuscirebbero a garantirsi le prestazioni di cui necessitano
”;
solo nel documento della COVIP del 10 febbraio 2011, si chiarisce la possibilità per i fondi pensione di poter procedere alla liquidazione delle anticipazioni anche in base a documentazione preventiva e non necessariamente “a consuntivo di spesa”, e solo in quella stessa sede si afferma l'esigenza “ di acquisire successivamente dall'iscritto la documentazione fiscale comprovante la spesa effettivamente sostenuta ”.

11.2. Sarebbe quindi errata l’affermazione del TAR secondo cui “ l’adozione dei predetti Orientamenti costituisce esercizio legittimo del potere di cui la COVIP è titolare, in forza della propria competenza istituzionale, di fornire indicazioni sui comportamenti e le prassi che essa considera conformi all’art. 11, comma 7, lett. a) e b), del D.Lgs. 252/2005, generando, così, il c.d. “effetto di liceità” dei comportamenti posti in essere dai soggetti vigilati in conformità alle indicazioni fornite” (cfr. sentenza I° Grado, pag. 20”).”.

11.3. Soggiungono gli appellanti che, comunque, gli aderenti al fondo sono titolari delle somme oggetto delle prestazioni in contestazione, ragione per cui, anche a voler ritenere che siano state erogate in difetto dei requisiti di legge , “sarebbe lecito dubitare che la stessa possa esser recuperata dal Fondo”, e comunque “ non sarebbe comunque consentito imporre al Fondo di promuovere iniziative coattive per recuperare in via postuma (non più le somme ma) i documenti confirmatori circa l'effettivo utilizzo dell'anticipazione in senso conforme a quanto indicato nella richiesta: ad impossibilia nemo tenetur, trattandosi di pezze giustificative (qualora esistenti ... ) il cui invio rimane nella sfera potestativa dell'aderente”.

11.4. Il Collegio osserva, preliminarmente, che non costituisce oggetto del presente giudizio stabilire se le prestazioni erogate in violazione delle condizioni indicate all’art. 11, comma 7, lett. a) e b) del Dl. L.vo 252/2005 possano essere chieste in restituzione, appartenendo al soggetto cui sono state erogate, né è in discussione la legittimità della nota della COVIP del 10 febbraio 2011, nella misura in cui consente al gestore del fondo di anticipare l’erogazione della prestazione sulla base di documentazione “provvisoria” e/o nella misura in cui impone di acquisire successivamente dall'iscritto la documentazione fiscale comprovante la spesa effettivamente sostenuta.

11.5. Si deve però evidenziare che le condizioni apposte dal legislatore alla erogazione di tali somme, in via anticipata, sono poste a garanzia degli aderenti alle forme di previdenza complementare, in quanto tendono ad evitare il depauperamento, in assenza di valida giustificazione, degli accantonamenti destinati a tal fine, depauperamento che finirebbe per ridurre significativamente le entrate dell’interessato in un successivo momento della sua vita. Per tale ragione, mentre va disattesa una lettura della norma citata che parta dal presupposto, o privilegi il fatto, che le somme oggetto di erogazione appartengono e sono nella disponibilità del beneficiario della prestazione, lettura che tradirebbe la ratio della norma, deve invece ritenersi assolutamente coerente con la ratio legis una interpretazione della norma di riferimento (cioè l’art. 11, comma 7, lett. a) e b) del D. L.vo 252/2005) che imponga al gestore del fondo l’adozione di prassi rigorose finalizzate alla verifica della sussistenza dei requisiti che consentono l’erogazione anticipata della prestazione previdenziale. Da questo punto di vista è evidente che la scelta del gestore del fondo di erogare la prestazione sulla base di documentazione “non definitiva” (come un contratto preliminare di vendita o un mero preventivo di spese sanitarie o di ristrutturazione) deve necessariamente essere supportata da una prassi - id est: da un iter procedimentale - che consenta al gestore del fondo di acquisire, anche in successivo momento, certezza assoluta circa il fatto che la prestazione erogata è effettivamente destinata a soddisfare una delle esigenze indicate dal legislatore: in mancanza di una tale dimostrazione non v’è la prova che la prestazione anticipata sia stata utilizzata per gli usi consentiti

11.6. Dunque, il gestore del fondo, ed i soggetti preposti alla corretta gestione ed alla vigilanza sulla corretta gestione, nel momento in cui si rendono disponibili ad erogare la prestazione anticipata sulla base di documentazione “non definitiva”, non possono poi giustificarsi - nel caso in cui ex post rimanga indimostrato l’utilizzo delle somme per sostenere spese della tipologia indicata dal legislatore - invocando l’impossibilità o la difficoltà di acquisire la documentazione “definitiva” dal beneficiario della prestazione.

11.7. Ciò chiarito, va detto che l’art. 11, comma 7, cit., ritaglia delle ipotesi derogatorie rispetto alla regola generale, dettata al precedente comma 2, secondo cui il diritto alla prestazione pensionistica si acquisisce al momento della maturazione dei requisiti di accesso alle prestazioni stabiliti nel regime obbligatorio di appartenenza: l’evento che la regola generale intende prevenire in linea di massima è, dunque, l’erogazione della prestazione previdenziale anticipata, cioé prima della maturazione dei requisiti di accesso alla prestazione pensionistica obbligatoria, e il comma 7 individua – come detto – delle ipotesi in cui tale preclusione, di erogare la prestazione anticipata, non opera.

11.8. Ebbene, che nel caso di specie siano state effettuate prestazioni anticipate è un fatto pacifico e il fatto che Allianz non abbia acquisito, in un numero significativo di pratiche, la documentazione comprovante la ricorrenza delle circostanze indicate all’art. 11, comma 7, lett. a) e b), è più che rilevante, perché non consente di ritenere provata la ricorrenza delle condizioni derogatorie previste da tale comma.

11.9. Dunque, il senso del richiamo, effettuato nel provvedimento impugnato, all’art. 11, comma 7, lett. a) e b), ed alla mancata acquisizione della documentazione comprovante la ricorrenza delle circostanze che avrebbero permesso e dunque reso del tutto lecita l’erogazione anticipata della prestazione, si spiega, e deve essere letto, in funzione della valenza “autorizzatoria” di tali circostanze, la cui sussistenza, confutata dalla Covip, non è stata dimostrata dagli appellanti.

11.10. In definitiva, contrariamente a quanto sostengono gli appellanti, essi non sono stati sanzionati per una condotta davvero omissiva, ( id est : non aver acquisito la documentazione comprovante la ricorrenza delle circostanze indicate all’art. 11, comma 7, lett. a e b), in tesi non prevista dalle norme richiamate o da qualsivoglia altra norma di legge, essendo invece stati sanzionati per una condotta che è al fondo commissiva, consistita nell’aver erogato la prestazione anticipata al di fuori dei casi consentiti ovvero in assenza o per meglio dire senza che fosse dimostrata la ricorrenza delle condizioni tassativamente ammesse dal legislatore. Pertanto non è sostenibile l’assunto secondo cui la sanzione sarebbe stata irrogata in violazione del principio di legalità.

12. In conclusione, alla luce delle considerazioni svolte, sono infondati tutti i motivi d’appello, ragione per cui l’appellata sentenza va confermata, sia pure con motivazione parzialmente sostitutiva.

13. La peculiarità della fattispecie portata all’attenzione del Collegio, e la parziale novità delle questioni trattate nonché la perfettibilità del quadro regolamentare, giustificano la compensazione delle spese della presente fase del giudizio.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi