Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2013-05-23, n. 201302810

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2013-05-23, n. 201302810
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201302810
Data del deposito : 23 maggio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 09440/2011 REG.RIC.

N. 02810/2013REG.PROV.COLL.

N. 09440/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9440 del 2011, proposto da:
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro-tempore e Consiglio Provinciale di Disciplina della Questura di Verbano C Ossola, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

P C, rappresentato e difeso dall'avv. E M, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Tacito N. 50;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE I TER, n. 05006/2011, resa tra le parti, concernente destituzione dal servizio con decorrenza 17 aprile 2008.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di P C;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 gennaio 2013 il Cons. Paola Alba Aurora Puliatti e uditi per le parti l’avvocato Mazzola e l’avvocato dello Stato Bacosi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Il 17.2.2008, il Sig. C, agente in servizio presso la Polizia di frontiera di Domodossola, veniva trovato, da personale operante presso il Commissariato di P.S. “ Madonna di Campagna” della Questura di Torino, alla guida di autovettura di proprietà di un amico, in compagnia del medesimo, intenti ad acquistare una modica quantità di cocaina da uno spacciatore, che veniva tratto in arresto.

Sottoposto a procedimento disciplinare e ad accertamenti sanitari, in data 14 marzo 2008 veniva riscontrata una modesta positività alla cocaina.

Con decreto del Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, n. 333-D/14317 del 10.7.2008, gli veniva, quindi, irrogata la sanzione della destituzione a decorrere dal 17.4.2008.

2. Il Sig. C proponeva ricorso al TAR Lazio, che annullava il provvedimento di destituzione per carenza di istruttoria e difetto di motivazione, per avere l’Amministrazione “trascurato una circostanza ‘rilevante’, ossia “l’uso non terapeutico di sostanze stupefacenti da parte del ricorrente” ( pag. 14 della sentenza impugnata).

3. Con decreto del 30.6.2011, il Ministero annullava il decreto di destituzione e gli atti del procedimento, di cui disponeva il rinnovamento a partire dalla contestazione degli addebiti, con riammissione in servizio del dipendente e, altresì, verifica della permanenza dei requisiti psico-attitudinali.

4. All’esito dell’accertamento, in data 6.12.2011, il Sig. C è stato ritenuto non idoneo, con conseguente adozione del provvedimento di cessazione dal servizio, a decorrere dal 7.12.2011 (atto impugnato con autonomo ricorso N. R.G. 211/2012, pendente al TAR Piemonte).

5. Con l’appello in esame, il Ministero censura la sentenza in epigrafe per mancata applicazione del principio di insindacabilità dell’adeguatezza della sanzione disciplinare, ribadendo che i fatti addebitati al Sig. C connotano una condotta incompatibile con l’esercizio delle delicate funzioni di agente di polizia, in violazione dei doveri di fedeltà e rispetto della legalità assunti col giuramento, e sostiene la completezza dell’istruttoria condotta.

Richiama un precedente di questa Sezione relativo a caso analogo ( C.d.S., Sez. III, n. 3371 del 6.6.2011).

6. Resiste in giudizio il Sig. C che ha anche riproposto i motivi dichiarati assorbiti in primo grado.

7. All’udienza del 29 gennaio 2013, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è fondato.

1.1. In relazione alla questione in esame, va chiarito che la condotta contestata al ricorrente e sanzionata col provvedimento impugnato non concerne la semplice assunzione di stupefacenti, ma un comportamento più complesso, consistente: a) nella trasgressione ai compiti istituzionali, in quanto l’agente “invece di vigilare sull’osservanza delle leggi e reprimere reati, assisteva passivamente alla consumazione di un reato ed anzi partecipava fattivamente all’acquisto di sostanza stupefacente”;
b) nel grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento, dolosamente violati, inerenti la funzione e da osservarsi anche fuori dal servizio, concernenti l’obbligo di “non frequentare locali o compagnie non confacenti alla dignità della funzione e persone dedite ad attività immorali, contro il buon costume o pregiudicate”;
c) nel grave pregiudizio arrecato all’Amministrazione “vanificando gli sforzi che la Polizia di Stato e i suoi uomini e donne compiono quotidianamente per riscuotere la stima, la fiducia e il rispetto della collettività” (Cfr. contestazione degli addebiti del 13.3.2008, nr. 320/pers. Cat. B 1.A.B-8).

1.2. Il “fatto” addebitato è consistito nel coinvolgimento del ricorrente in una “operazione antidroga posta in essere dal Commissariato di P.S. ‘Madonna di Campagna’ di Torino, culminata con l’arresto in flagranza di uno spacciatore di nazionalità senegalese ed il sequestro di due involucri di cellophane contenenti sostanza stupefacente del tipo cocaina per un peso lordo di gr. 1,29”.

Il ricorrente, alla guida dell’autovettura di un amico, è stato sorpreso, insieme a quest’ultimo, in zona di Torino frequentata da spacciatori, fermi in attesa di contatto con un uomo di colore che “si avvicinava dal lato del guidatore e dopo un breve conciliabolo riceveva del denaro e consegnava qualcosa in cambio”. Contestualmente il senegalese veniva arrestato.

1.3. Ad avviso di questo Collegio, il TAR ha riduttivamente ricostruito i fatti accaduti, concentrandosi sulla circostanza, invero secondaria, dell’uso di modica quantità di sostanza stupefacente da parte del ricorrente, in cui andrebbe incluso il fatto del “procacciamento”;
viceversa, l’uso della cocaina non rientra tra i fatti contestati, e nella contestazione degli addebiti, così come nell’istruttoria condotta, si pone come semplice occasione e scenario di perpetrazione della ben più grave violazione ai doveri istituzionali e agli obblighi assunti col giuramento, oggetto di contestazione e sanzione.

L’Amministrazione ha valutato la gravità della condotta tenuta dall’agente in occasione dell’episodio occorso il 17.2.2008, sopra riferito, che non è consistito, si ribadisce, nel mero uso personale di sostanze stupefacenti, ritenendo che la condotta “denota un basso profilo morale” e si pone “in stridente contrasto con le funzioni istituzionali demandate dall’ordinamento ad ogni operatore di polizia”, come emerge dalla stessa motivazione del provvedimento impugnato.

Non è condivisibile, pertanto, la considerazione del primo giudice, secondo cui nella fattispecie andrebbe applicato l'art. 6, comma 8, del D.P.R. n. 737 del 1981, solo perché tale norma prevede la sanzione della sospensione dal servizio nel caso di accertato uso non terapeutico di sostanze stupefacenti.

Va considerato, innanzitutto, che tale disposizione trova applicazione in casi di modesta gravità, mentre nei casi più gravi anche per l'uso di sostanze stupefacenti, secondo la giurisprudenza, può essere certamente applicata la sanzione della destituzione dal servizio (C.d.S., Sez. III, 6.6.2011, n. 3371).

L'amministrazione, nella fattispecie, ha dato correttamente rilievo alla gravità complessiva della condotta dell'agente, come sopra sintetizzata, e sulla base di tutte le circostanze di fatto rilevate ha legittimamente inquadrato la fattispecie nell'art. 7 del D.P.R. 25.10.1981, n. 737, secondo cui la destituzione è inflitta per atti che siano in contrasto con i doveri assunti con il giuramento (n. 2).

Le modalità attraverso le quali il ricorrente si è procacciato la dose, per sé e per l’amico, aggravate dalla circostanza di essere stato riscontrato in un luogo pubblico da colleghi di altro Commissariato di P.S. in operazione “antidroga” e l'uso della stessa sostanza ammesso dall’interessato, concretano, infatti, una violazione dei doveri di correttezza e di lealtà assunti con il giuramento prestato e con le funzioni istituzionalmente di competenza dell’agente, consistenti nella repressione dei reati, alla cui commissione, invece, l’appellante non solo assisteva, ma cui partecipava attivamente.

1.4. Peraltro, deve aggiungersi che la richiamata giurisprudenza, più rigorosa, ha avuto modo di ritenere legittima la destituzione dal servizio di un agente della Polizia di Stato anche nel caso in cui questi abbia semplicemente fatto uso di sostanze stupefacenti, considerando che “tale uso altera certamente l'equilibrio psichico, inficia l'esemplarità della condotta, si pone in contrasto con i doveri attinenti allo stato di militare e al grado rivestito, influisce negativamente sulla formazione militare e lede il prestigio del Corpo”(Consiglio di Stato, sez. VI, 29 febbraio 2008, n. 763;
sez. VI, 31 maggio 2006, n. 3306;
sez. IV, 25 maggio 2005, n. 2705;
Sez. III, 6.6.2011, n. 3371).

Non potrebbe, pertanto, anche sotto tale profilo, considerarsi illegittimo il provvedimento di destituzione impugnato, come viceversa ritenuto dal TAR, per violazione dell’obbligo di graduazione e proporzione della sanzione.

Sui principi della tipicità delle infrazioni (“indicazione per ciascuna sanzione delle trasgressioni per le quali è inflitta”), e della gradualità (“graduazione delle sanzioni rispetto alla gravità delle trasgressioni”), ispiratori del D. P.R. n. 737/1981, ha avuto modo questa Sezione di pronunciarsi recentemente in modo approfondito ( sentenza n. 5915 del 21.11.2012).

La Sezione ha rilevato che, l’elenco delle fattispecie tipiche di illecito disciplinare non è completo, né esaustivo, e che quelle indicate al n. 1 e al n. 2 dell’art. 7 (fattispecie relativamente indeterminate) hanno una funzione residuale e “di chiusura” (si tratta degli «atti che rivelino mancanza del senso dell'onore o del senso morale» e degli «atti che siano in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento»), soffermandosi in una disamina comparativa al fine di attribuire un contenuto non contraddittorio al concetto elastico di “gravità” del comportamento sanzionabile nella massima misura.

Se alla luce di tale disamina, è, pertanto, dubitabile che le ipotesi indeterminate di maggiore gravità possano essere utilizzate per sanzionare comportamenti che rientrano con sufficiente esattezza nella descrizione delle fattispecie tipiche ( come per il caso, sic et simpliciter, di «uso non terapeutico di sostanze stupefacenti o psicotrope risultante da referto medico legale», trattandosi di fattispecie tipica prevista dall’art. 6, n. 8, con la pena della sospensione) tuttavia, in ipotesi contrassegnate, come nella fattispecie in esame, da più comportamenti concomitanti, che denotano grave contraddittorietà con gli obblighi e doveri assunti verso l’Amministrazione e la collettività, specie con riguardo alla repressione di reati, si ritiene possibile applicare la maggior pena della destituzione richiamando i numeri 1 o 2 dell’articolo 7.

1.5. In ogni caso, la valutazione circa la gravità o meno del comportamento ai fini disciplinari e circa la proporzione tra la gravità dei fatti contestati e la sanzione disciplinare irrogata costituisce, pur sempre, manifestazione di un discrezionale apprezzamento dell'Amministrazione che è suscettibile di sindacato di legittimità soltanto per evidenti vizi logici, che non sussistono nel caso di specie.

1.6. L'appello proposto dall'Amministrazione risulta, pertanto, fondato.

2. Anche le ulteriori censure del ricorso di primo grado, assorbite dal TAR e riproposte in appello dal Sig. C, risultano infondate alla luce delle considerazioni che seguono:

- si è già detto della insussistenza della denunciata violazione dei principi di tipicità delle infrazioni e di gradualità delle sanzioni rispetto alla gravità delle trasgressioni, in quanto la condotta del Sig. C, nella sua complessità e gravità, è stata correttamente inquadrata dall’Amministrazione nella fattispecie di cui all’art. 7 D.P.R. 737/1981;

- il richiamo dell’art. 13 del DPR 737/1981, contenuto nel preambolo dell’atto impugnato, non è di mero stile, in quanto l’Amministrazione afferma testualmente “ LETTO l’art. 13 del D.P.R. 737/1981 e ritenuto che le circostanze valutabili a favore del dipendente in esso enunciate dopo attenta disamina di ciascuna di esse, non siano sufficienti a sminuire la gravità della condotta addebitata al soggetto e conclamata dagli elementi accertati in fase istruttoria”;

- non vi è stata violazione del giusto procedimento nè degli artt. 24, 97 e 111 Cost., ed è irrilevante che la documentazione relativa ai controlli tossicologici non abbia fatto parte del fascicolo, in quanto la contestazione di addebiti non concerne il “consumo personale di droga”;

- non sussiste la violazione dell’art. 7 n. 4 del DPR 737/1981 per difetto di motivazione in ordine alla “lesione all’immagine dell’Amministrazione” che possa derivare dal “modico uso personale di sostanze stupefacenti”, perché, per quanto già sopra esposto, oggetto del procedimento disciplinare non è il “consumo di sostanze stupefacenti”, ma la trasgressione ai compiti e doveri istituzionali, cui è connessa la compromissione del “buon nome, del prestigio e dell’onorabilità dell’amministrazione” per la conoscenza dell’episodio diffusasi in diversi uffici e per la probabilità, se non la certezza, che l’episodio, avvenuto alla presenza di un estraneo all’Amministrazione, venga appreso dalla cittadinanza (cfr. relazione conclusiva dell’inchiesta disciplinare datata 22.4.2008 della Questura del Verbano C Ossola).

3. Conclusivamente, l’appello va accolto e, per l’effetto, va annullata la sentenza del T.A.R. Lazio – Roma, Sezione I ter, n. 5006/2011.

4. In considerazione della natura della questione trattata si ritiene di poter disporre la compensazione integrale fra le parti delle spese e competenze di giudizio.

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