Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2023-02-27, n. 202301990

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2023-02-27, n. 202301990
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202301990
Data del deposito : 27 febbraio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/02/2023

N. 01990/2023REG.PROV.COLL.

N. 05766/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro generale 5766 del 2022, proposto da
S Z, rappresentata e difesa dall’avvocato S S, con domicilio digitale come da

PEC

Registri di Giustizia;

contro

Comune di Venezia, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati N O, F T e S G, con domicilio digitale come da

PEC

Registri di Giustizia;

nei confronti

A V, rappresentato e difeso dagli avvocati Giampaolo Cortellazzo-Wiel e A C, con domicilio digitale come da

PEC

Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto (Sezione prima) n. 675/2022, resa tra le parti.


Visto il ricorso in appello;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Venezia;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di A V;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del 23 febbraio 2023 il Cons. A B e preso atto delle richieste di passaggio in decisione depositate in atti dagli avvocati Sacchetto, Gattamelata, Ongaro, Trento, Cortellazzo-Wiel e Cimino;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La signora S Z, proprietaria di una unità immobiliare sita in un palazzo del centro storico di Venezia prospiciente al Rio di Sant’Agostino e dotato di una porta d’acqua, impugnava con ricorso proposto innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Veneto il provvedimento del 6 agosto 2021, con cui il Comune di Venezia, sulla base degli accertamenti eseguiti dopo la presentazione di un esposto da parte del signor A V, proprietario nello stesso palazzo di altre unità immobiliari, ha disposto la decadenza della concessione di uno specchio acqueo di cui era titolare.

Il provvedimento si è fondato sul mancato rispetto della distanza minima di tre metri tra lo spazio acqueo occupato e la porta d’acqua altrui, in carenza del nulla osta di cui all’art. 4 comma 9 del regolamento comunale in materia (“ Nel caso di rive d’acqua private o porte d’acqua, la distanza dell’occupazione, da parte di terzi non proprietari o non aventi titolo all’utilizzo, non potrà essere inferiore a m 3,00 da ciascun lato misurabile dal limite della riva d’acqua privata o dallo stipite della porta d’acqua ”).

La ricorrente sosteneva in giudizio l’inapplicabilità della norma regolamentare, non essendo essa “terza” rispetto alla porta d’acqua, costituente un bene condominiale, e rappresentava comunque l’avvenuto ripristino della distanza di salvaguardia.

2. Con la sentenza in epigrafe il Tar adito, nella resistenza del Comune di Venezia e del controinteressato, respingeva il ricorso e compensava tra le parti le spese del giudizio.

3. L’interessata ha impugnato la sentenza. Ha dedotto con un unico motivo: error in iudicando ;
violazione e falsa applicazione dell’art. 4 del regolamento per la circolazione nelle acque del Comune di Venezia e dell’art. 1117 Cod. civ., carenza di presupposto e travisamento del fatto.

Il Comune di Venezia e il controinteressato si sono costituiti in resistenza confutando i motivi di appello.

4. Alla camera di consiglio del 25 agosto 2022, su accordo delle parti, la domanda cautelare formulata nell’atto di appello è stata abbinata al merito.

5. La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 23 febbraio 2023.

6. Rileva il Collegio che tutte le parti costituite hanno fatto constare con le memorie da ultimo depositate che, nelle more del giudizio, il Comune di Venezia ha rilasciato all’appellante una nuova concessione di occupazione dello spazio acqueo (in atti).

L’appellante ha quindi rappresentato che il provvedimento sopravvenuto ha determinato la cessazione della materia del contendere ovvero l’improcedibilità dell’appello per sopravvenuta carenza di interesse (memorie 23 gennaio e 2 febbraio 2023).

A tale impostazione ha aderito la difesa del Comune (memoria 12 gennaio 2023).

Il controinteressato, invece, evocata l’illegittimità della nuova concessione, ha esposto che, al più, potrebbe ritenersi sopravvenuta la carenza di interesse dell’appellante, e ha chiesto la decisione del gravame con conferma della sentenza impugnata (memoria 23 gennaio 2023).

7. Per la giurisprudenza, in caso di espressa dichiarazione della parte ricorrente di non aver più alcun interesse alla decisione del ricorso, il giudice non può decidere la controversia nel merito, né procedere d’ufficio, né sostituirsi al ricorrente nella valutazione dell’interesse ad agire, ma solo adottare una pronuncia in conformità alla dichiarazione resa, poiché nel processo amministrativo, in assenza di repliche e di diverse richieste ex adverso , vige il principio dispositivo in senso ampio, nel senso, cioè, che la parte ricorrente, sino al momento in cui la causa è trattenuta in decisione, ha la piena disponibilità dell’azione e può dichiarare di non avere interesse alla decisione, in tal modo provocando la presa d’atto del giudice, che può solo dichiarare l’improcedibilità del ricorso (Cons. Stato, V, 15 febbraio 2023, n. 1599;
II, 4 gennaio 2023, n. 120;
III, 21 maggio 2021, n. 3981;
V , 21 settembre 2020, n. 5486;
2 gennaio 2020, n. 38;
VI, 25 febbraio 2019, n. 1278;
IV, 12 settembre 2016, n. 3848).

8. Alla luce delle citate coordinate, non resta al Collegio che dichiarare l’improcedibilità del gravame per sopravvenuta carenza di interesse, ai sensi dell’art. 35 comma 1 Cod. proc. amm., che stabilisce che “ Il giudice dichiara, anche d’ufficio, il ricorso […] c) improcedibile quando nel corso del giudizio sopravviene il difetto di interesse delle parti alla decisione ”.

E’ del resto indubbio, anche nella prospettazione del controinteressato, che per effetto del provvedimento sopravvenuto anche l’eventuale accoglimento dell’appello non sarebbe più suscettibile di arrecare una qualche utilità all’appellante.

Sussistono giusti motivi, in considerazione dell’andamento della vicenda controversa, per disporre la compensazione tra le parti delle spese del grado.

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