Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-10-17, n. 202309019

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-10-17, n. 202309019
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202309019
Data del deposito : 17 ottobre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/10/2023

N. 09019/2023REG.PROV.COLL.

N. 06126/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6126 del 2022, proposto dal sig. -OMISSIS-, in proprio e in qualità di legale rappresentante dell’omonima ditta individuale, rappresentato e difeso dall'avvocato P D I, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ufficio Territoriale del Governo Cosenza, Ministero dell'Interno, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Comune -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato L M C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Ufficio Territoriale del Governo Cosenza, del Ministero dell'Interno e del Comune -OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 settembre 2023 il Cons. G P e viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. In data 19 marzo 2021 il sig. -OMISSIS-, nella qualità di legale rappresentante dell’omonima ditta individuale, ha presentato presso l’ufficio SUAP del Comune -OMISSIS- una richiesta volta all’apertura di una “attività -OMISSIS- ”.

1.1. In data 10 giugno 2021 il sunnominato ha presentato presso il medesimo ufficio un’ulteriore richiesta avente ad oggetto la “ -OMISSIS- ”.

1.2. Con comunicazione protocollata al n. -OMISSIS- del 10 giugno 2021 e notificata in data 15 giugno 2021, la Prefettura di Cosenza ha avvisato il sig. -OMISSIS- dell’emissione nei suoi confronti di una comunicazione antimafia attestante, ex artt. 67 e 84 comma 2 del decreto legislativo 6 settembre 2011 n. 159, la sussistenza di una delle cause di decadenza, sospensione e divieto di cui all’art. 67 del medesimo d.lgs..

L’adozione del provvedimento prefettizio è scaturita quale effetto automatico, ai sensi del citato art. 67 comma 2, della pregressa sottoposizione del -OMISSIS-, negli anni -OMISSIS-, alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza.

1.3. Con ordinanza -OMISSIS- luglio 2021 notificata il giorno 15 luglio 2021, il Comune -OMISSIS- ha pertanto disposto nei confronti dell’odierno appellante “ la cessazione immediata di ogni attività ”.

2. Avverso i summenzionati provvedimenti il sig. -OMISSIS- ha presentato ricorso al T.A.R. Catanzaro, poi definito con la sentenza qui impugnata -OMISSIS- del 2022.

3. La tesi svolta dal ricorrente nel giudizio di primo grado, ma disattesa dal T.A.R., punta a contestare l’illegittima applicazione retroattiva del citato art. 67 del d.lgs. n. 159 del 2011 in violazione del successivo art. 117, ai sensi del quale “ 1. Le disposizioni contenute nel libro I non si applicano ai procedimenti nei quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, sia già stata formulata proposta di applicazione della misura di prevenzione. In tali casi, continuano ad applicarsi le norme previgenti ”.

L’argomento del ricorrente trae spunto dal fatto che la misura di prevenzione della sorveglianza speciale è stata disposta per la durata -OMISSIS-, con decreto emesso dal Tribunale di Cosenza in data -OMISSIS-, ed è stata poi prorogata di -OMISSIS-, con successivo decreto emesso in data -OMISSIS-, giungendo a scadenza in data -OMISSIS-.

3.1. Su questa premessa fattuale si innestano e divaricano le due soluzioni ermeneutiche fatte proprie dal ricorrente e dal T.A.R..

Quest’ultimo, infatti:

-- da un lato, ha riconosciuto l’inapplicabilità al caso di specie dell’art. 67 del d.lgs. n. 159 del 2011, stante l’avvenuta espiazione della misura di prevenzione in epoca precedente al 13 ottobre 2011, data di entrata in vigore del predetto d.lgs. n. 159 del 2011 (pubblicato in G.U il 28 settembre 2011);

-- dall’altro, ha affermato la piena legittimità della misura di prevenzione antimafia in quanto correttamente fondata sul combinato disposto delle previgenti disposizioni di cui agli artt. 10 della Legge 31 maggio 1965 n. 575 (avente contenuto identico, per quanto qui rileva, al vigente art. 67) e 19 della legge 22 maggio 1975 n. 152.

3.2. All’opposto, il ricorrente sostiene che al momento di emissione dell’interdittiva (10 giugno 2021):

-- le norme applicate (art. 10 della legge 575 del 1965 e art. 19 della legge 152 del 1975) erano state abrogate e conservavano (proprio per effetto del citato art. 117 del d.lgs. 159 del 2011) un margine applicativo limitato ai soli casi dei soggetti già destinatari di una proposta di applicazione della misura di prevenzione;

-- questo margine applicativo nel caso di specie non sussisteva poiché alla data del 13 ottobre 2021 (entrata in vigore del d.lgs. 159 del 2011) l’efficacia della misura di prevenzione era già scaduta (al -OMISSIS-) e non era stata avanzata alcuna proposta volta alla sua ulteriore estensione temporale.

4. La causa d’appello, a seguito della reiezione dell’istanza cautelare (ordinanza n. -OMISSIS- 2022), è passata in decisione all’udienza pubblica del 21 settembre 2023.

5. La tesi del ricorrente, riproposta nella presente sede di appello con rinnovato sforzo argomentativo, è infondata e va respinta.

5.1. Essa muove da un assunto fallace, secondo il quale alla data di emissione del provvedimento interdittivo (10 giugno 2021) le norme applicate (art. 10 della legge 575 del 1965 e art. 19 della legge 152 del 1975) risultavano già abrogate.

Si legge alle pagine 3 e 5 dell’atto di appello: “ La sentenza di primo grado avrebbe pertanto dovuto annullare l’impugnato provvedimento prefettizio, poiché emanato sulla base di una normativa (art. 10 della Legge 575/1965 e art. 19 della Legge 152/1975) non più in vigore al momento dell’emissione dell’atto amministrativo ”.

5.2. La tesi, come detto, è errata, poiché i menzionati artt. 10 e 19 sono stati abrogati dall’art. 120 primo comma lettere b) e d) del d.lgs n. 159 del 2011, pubblicato in GU il 28 settembre 2021 ed entrato in vigore il 13 ottobre 2021.

Dunque, alla data di emissione del provvedimento prefettizio (giugno 2021) gli artt. 10 della legge 575 del 1965 e 19 della legge 152 del 1975 erano ancora in vigore.

5.3. Risulta conseguentemente pleonastico e inutilmente problematizzante il riferimento che l’appellante fa all’art. 117 del d.lgs. n. 159 del 2011: è certamente vero, infatti, che tale disposizione ha fatto salva un’applicazione ultrattiva degli artt. 10 e 19, condizionandola alla già avvenuta proposta di applicazione della misura di prevenzione (sicché anche dopo il 13 ottobre 2021 gli artt. 10 e 19 hanno potuto trovare applicazione nei limitati casi individuati dall’art. 117).

E’ del tutto evidente, tuttavia, che questo meccanismo di salvezza non ha minimamente inciso o interferito con misure prefettizie interdittive già regolarmente emesse (come nel caso di specie), ovvero adottate allorquando gli artt. 10 della legge 575 del 1965 e 19 della legge 152 del 1975 erano ancora pienamente efficaci, non essendo ancora entrato in vigore il d.lgs. n. 159 del 2011.

5.4. In sostanza, la tesi di parte appellante fa perno su una erronea ricostruzione della successione temporale delle fonti e su di essa imposta una disputa interpretativa viziata a monte e tale da risultare priva di fondamento.

5.5. Al più, il ricorrente avrebbe potuto dolersi della erronea menzione nel contenuto dell’atto di una norma (l’art. 67 del d.lgs. n. 159 del 2011) diversa da quella legittimante l’esercizio del potere (l’art. 10 della legge 575 del 1965);
ma anche in questo caso si sarebbe trattato di deduzione non accoglibile ai sensi dell’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990, poiché le due disposizioni normative che si sono succeduto nel tempo presentano identico contenuto e, dunque, al di là della loro corretta menzione, il tenore dispositivo dell’atto amministrativo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

6. Stante l’infondatezza del primo motivo, non può essere accolto neppure il secondo motivo d’appello, riferito ad una supposta ingiustizia della condanna alle spese di lite disposta nel giudizio di primo grado in virtù di un’erronea valutazione di inconsistenza dei dedotti vizi di illegittimità.

7. La natura delle questioni poste e il tenore delle difese in atti giustificano, invece, la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

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