Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-02-02, n. 202200732

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-02-02, n. 202200732
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202200732
Data del deposito : 2 febbraio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/02/2022

N. 00732/2022REG.PROV.COLL.

N. 06477/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6477 del 2019, proposto da Vodafone Italia spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati G L P e F C, con domicilio digitale come da PEC da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio F C in Roma, via Vittoria Colonna 32;

contro

Autorità garante della concorrenza e del mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, R Z, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 04922/2019, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 2 dicembre 2021 il Cons. R R;

Nessuno è comparso per le parti;

Vista l’istanza di passaggio in decisione depositata da Vodafone il 26 novembre 2021;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con sentenza del TAR Lazio, Roma, sez. I, 16 aprile 2019, n. 4922 è stato respinto il ricorso proposto da Vodafone Italia S.p.A. per l’annullamento del provvedimento dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (in prosieguo indicata come “l’AGCM”) del 21 dicembre 2016, n. 26307, adottato a conclusione del procedimento PS10497 e notificato in data 29 dicembre 2016, con il quale l’Autorità ha sanzionato Vodafone Italia S.p.A. (nel prosieguo indicata solo come “Vodafone”) per due asserite violazioni degli artt. 20, 24 e 25 del Codice del consumo, irrogandole una sanzione amministrativa complessiva di euro 1.000.000,00.

2. Le condotte che hanno generato l’anzidetto provvedimento sono collegate alla decisione di Vodafone, risalente al marzo e maggio 2016, di ridurre il periodo di fatturazione da 30 a 28 giorni, sia per il servizio di telefonia mobile, ricaricabile e in abbonamento, sia per il servizio di telefonia fissa. Tale decisione, preventivamente sottoposta alla valutazione dell’AGCOM, che non ha sollevato rilievi, è stata comunicata agli utenti di telefonia mobile a mezzo di un SMS, e in fattura, quanto ai clienti di telefonia fissa.

2.1. In particolare, con tale comunicazione Vodafone:

(i) ha ricordato agli utenti di telefonia mobile, che se avevano acquistato a rate dei prodotti e se avessero deciso: “ di recedere e hai un offerta con telefono, tablet, Internet Key o Mobile Wi Fi pagherai, a seconda dell’offerta, le eventuali rate residue, che saranno sempre inferiori o pari al valore dell’oggetto al momento in cui l’hai acquistato ”;
quanto ai clienti che al momento dell’attivazione del servizio di telefonia mobile avevano ottenuto uno sconto legato ad una permanenza minima contrattuale (Piani Relax ricaricabile e clienti in abbonamento), Vodafone ha comunicato loro che, qualora avessero esercitato il diritto di recesso prima della scadenza del vincolo contrattuale, avrebbero dovuto versare il c.d. “corrispettivo di recesso anticipato” previsto dalle condizioni generali di contratto;

(ii) ha ricordato agli utenti di telefonia fissa che: “ Se decidi di recedere pagherai, a seconda dell’offerta, le eventuali rate residue del contributo di attivazione ”.

3. L’AGMC, dopo aver ricevuto segnalazioni da parte di utenti, ha avviato nei confronti di Vodafone un procedimento sanzionatorio, contestando ad essa le seguenti due pratiche commerciali, ritenute in violazione degli artt. 20, 24 25 del Codice del consumo:

a) nei casi in cui la riduzione del periodo di rinnovo da 30 a 28 gg. ha interessato offerte di servizi di telefonia mobile voce e/o dati ricaricabile e in abbonamento abbinate alla vendita a rate di prodotti, la previsione da parte del professionista dell’addebito in un’unica soluzione del saldo delle rate residue a scadere per il prodotto e/o del corrispettivo di recesso anticipato, a carico di coloro che, a seguito della modifica de quo, hanno esercitato il diritto di recesso ex articolo 70, co. 4, cod. com. elettr .”;

b) nei casi in cui la riduzione del periodo di rinnovo da 30 a 28 gg. ha riguardato offerte di servizi di telefonia fissa caratterizzate dalla rateizzazione del costo di attivazione, l’addebito in un’unica soluzione del saldo delle rate residue del predetto costo, a carico di coloro che, a seguito della modifica de quo, hanno esercitato il diritto di recesso ex art. 70, co. 4, cod. com. elettr .”.

3.1. In ambedue le condotte AGCM ha ravvisato tratti di aggressività per il fatto che l’esercizio del diritto di recesso, “ comportando un aggravio economico per il cliente che non intenda accettare le modifiche predisposte unilateralmente dalla società, sulla base di una autonoma e libera iniziativa commerciale, risulterebbero integrare gli estremi di una coercizione o di un indebito condizionamento idoneo a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore rispetto all’esercizio del diritto de quo, facendogli assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso ”.

3.2. Vodafone, nel corso del procedimento, si è difesa deducendo: (i) di avere, in base all’art. 70, comma 4, del Codice delle comunicazioni, il diritto di effettuare modifiche unilaterali alle condizioni contrattuali, e ciò nei confronti dell’intera platea dei propri clienti e senza limitazioni di sorta, purché al consumatore venga dato un congruo preavviso, siano fornite informazioni complete e il diritto di recesso non comporti penali né oneri di disattivazione;
(ii) di aver dato avviso ai clienti della modifica del periodo di fatturazione oltre 30 giorni prima che questa entrasse in vigore;
(iii) che i clienti, sottoscrivendo il contratto, erano consapevoli che in caso di recesso avrebbero perso il beneficio della rateizzazione o dello sconto sul prezzo di attivazione;
(iv) che quanto ricordato ai clienti, circa l’obbligo di saldare le rate residue o di pagare il prezzo di attivazione inizialmente scontato, non dipenderebbe da una scelta estemporanea della Società finalizzata a coartare la volontà dei clienti, ma sarebbe ma attuazione di una previsione contrattuale espressamente e consapevolmente accettata e sottoscritta dal cliente, nell’ambito del rapporto negoziale instaurato con la Società ed in linea con il citato articolo 70, comma 4, cod. com. elett. e con la delibera AGCOM n. 519/15/CONS.

3.3. Vodafone, pertanto, nel corso del procedimento ha chiesto all’AGCM di chiarire se la pratica commerciale aggressiva consistesse (i) nell’aver inserito nel contratto la previsione della decadenza dai benefici della rateizzazione per l’acquisto degli apparecchi o dagli sconti in caso di recesso anticipato, o (ii) nell’aver ricordato al cliente l’esistenza di tale previsione contrattuale in sede di esecuzione della manovra attuata posteriormente, o (iii) nell’aver dato attuazione alla predetta clausola sulla decadenza presente nelle condizioni generali di contratto. L’AGCM, tuttavia, si è limitata a chiarire che le pratiche commerciali scorrette contestate “ sarebbero state poste in essere nell’ambito delle manovre di riduzione del periodo di rinnovo delle offerte da 30 a 28 gg concernenti le diverse offerte descritte in avvio ”.

3.4. Nel corso del procedimento è stato raccolto il parere dell’AGCOM che, limitando le proprie valutazioni all’attitudine dello specifico mezzo di comunicazione utilizzato nonché ai profili attinenti alla completezza ed alla trasparenza delle informazioni fornite, nonché alle modalità di esercizio del diritto di recesso in caso di mancata accettazione di variazioni contrattuali, ha ritenuto che la manovra di rimodulazione oggetto del giudizio – come del resto quella decisa anche da molti altri operatori di telefonia – fosse conforme alla disciplina di riferimento, ovvero alla direttiva n. 2002/22/CE e agli articoli 70 e 71 del Codice delle comunicazioni elettroniche.

3.4. L’AGCM, all’esito dell’istruttoria, ha tuttavia mantenuto l’avviso secondo cui l’aggravio economico per l’utente, insito nell’obbligo di pagare, in unica soluzione, le rate residue relative all’acquisto di prodotti o il contributo di attivazione, sarebbe idoneo ad esercitare sull’utente medesimo un condizionamento tale da limitare considerevolmente la libertà di scelta, facendogli assumere una decisione commerciale che non avrebbe altrimenti preso. In particolare – si legge nel provvedimento impugnato ai paragrafi 44 e 45 – “ Mediante l’imposizione unilaterale di tali scelte assunte sulla base di una autonoma e libera iniziativa commerciale da parte del professionista, quest’ultimo, sfruttando la propria posizione di supremazia, ha esercitato una pressione idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta e di comportamento del consumatore medio in relazione alla fruizione di servizi per i quali è stato richiesto, in corso di rapporto, un aumento di costo rispetto alla tariffa pattuita. Difatti, come evidenziato dai denuncianti, la riduzione del periodo di rinnovo da 30 a 28 gg. comporta l’addebito su base annua dell’equivalente di circa una mensilità in più, ovvero, a parità di costo e traffico disponibile per ciascun periodo di rinnovo, essendosi quest’ultimo ridotto, un aumento del costo giornaliero rispetto a quello precedente ”.

3.5. Secondo l’AGCM, inoltre (paragrafi 47 e seguenti del provvedimento), non varrebbe ad escludere l’aggressività della condotta l’argomentazione che fa leva sul fatto che gli addebiti in esame non costituirebbero un quid novi per il consumatore, in quanto contrattualmente previsti: infatti “ oggetto del presente provvedimento non è l’aggressività della previsione contrattuale in sè, ma la circostanza che l’addebito delle rate residue del prodotto (offerte mobili ricaricabili) o del costo di attivazione (offerte telefonia fissa) nonché l’eventuale corrispettivo per il recesso anticipato (offerte mobili in abbonamento e offerte fissa Dual Pay), siano stati previsti e richiesti anche a fronte dell’esercizio del diritto di recesso dal contratto che consegue non ad un’iniziativa del singolo contraente, ma discende da una scelta unilateralmente imposta dal professionista ”, tenendo conto del fatto che la rimodulazione tariffaria è stata decisa “ nella consapevolezza che sia le offerte Vodafone che quelle degli altri principali competitors per le nuove attivazioni, avevano un periodo di validità di 28 gg. e dunque in un contesto di mercato e secondo tempistiche che, considerati nel loro complesso, vanificano la previsione di legge contribuendo ulteriormente a incidere sulla decisione dei sottoscrittori di offerte abbinate alla vendita a rate del se esercitare o meno il relativo diritto di recesso ”.

3.6. Quanto alla diligenza richiesta ad un operatore come Vodafone, l’AGCM ha ritenuto che “ la contrarietà alla diligenza professionale si riscontra nella misura in cui il professionista risulta aver considerato l’esercizio del diritto di recesso di cui all’articolo 70, comma 4, cod. com. elettr. da parte dei clienti destinatari delle modifiche che avevano sottoscritto offerte di telefonia mobile abbinate alla vendita a rate di prodotti (sub a) ovvero offerte di telefonia fissa con rateizzazione del costo di attivazione (sub b) alla stregua di un inadempimento contrattuale applicandone le relative conseguenze quando, in realtà, nel caso di specie, l’esercizio del diritto di recesso e il conseguente scioglimento del rapporto contrattuale, rappresenta la conseguenza diretta e garantita dalla norma di una scelta autonoma e unilaterale imposta dal professionista al consumatore ”.

3.7. Quanto al trattamento sanzionatorio l’AGCM, considerato un fatturato di oltre 6 miliardi di euro, il tasso di penetrazione delle pratiche e la sussistenza di altro provvedimento sanzionatorio a carico di Vodafone, ha quantificato in €. 500.000,00 la sanzione relativa ciascuna delle condotte sanzionate, delle quali ha anche vietato la continuazione.

4. Avverso l’indicato provvedimento Vodafone ha proposto ricorso, deducendo l’incompetenza dell’AGCM a sanzionare condotte conformi al codice delle comunicazioni elettroniche ed alla specifica regolazione dettata dalla AGCOM, l’assenza di una pratica commerciale scorretta e aggressiva, e, in subordine, l’erroneità del calcolo della sanzione.

5. Il ricorso è stato respinto con la sentenza in epigrafe indicata, i cui passaggi argomentativi si riassumono come segue:

(i) l’aggressività della condotta sarebbe insistita nel fatto che l’addebito delle rate residuo, o il rimborso in unica soluzione del contributo di attivazione, sono stati richiesti anche in presenza di una modifica contrattuale imposta unilateralmente: in tal caso l’esercizio del diritto di recesso dal contratto non discende da una libera iniziativa del singolo contraente, o da una causa a lui imputabile in termini di responsabilità, ma da una scelta unilateralmente imposta dal professionista, ossia l’esercizio dello ius variandi ;

(ii) la scelta commerciale di Vodafone, di chiedere il pagamento del prezzo del dispositivo acquistato a rate ovvero il rimborso dello sconto ricevuto, si è quindi risolta nello sfruttamento di una posizione di potere rispetto al consumatore, per esercitare una pressione in modo da limitarne la capacità di assunzione di una decisione consapevole: fattispecie riconducibile alla definizione di “ indebito condizionamento ” di cui all’art. 18, lett. l), del Codice del consumo;

(iii) la ritenuta aggressività della condotta, come sopra indicata, è sostenuta da una motivazione esaustiva, logica e adeguata;

(iv) la pratica aggressiva oggetto di esame nel presente giudizio presenta i connotati della pratica commerciale “aggressiva”, indicati nella sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 13 settembre 2018, nelle cause C-57/17 e C-55/17, applicabili anche al caso di specie;
tale pronunciamento, peraltro, ha anche affermato la competenza dell’AGCM nel sanzionare pratiche commerciali, anche se commesse nel campo delle comunicazioni elettroniche, se aventi caratteristiche di scorrettezza;

(v) il TAR ha infine ritenuto che l’importo delle sanzioni irrogate nel caso di specie sia congruo, proporzionato e determinato in applicazione di criteri avallati dalla giurisprudenza.

6. Vodafone ha proposto appello, insistendo, per i motivi che verranno infra esaminati, per la totale riforma della sentenza e per il conseguente annullamento dell’atto sanzionatorio.

6.1. Con il primo motivo d’appello Vodafone ha censurato il capo della sentenza che ha ritenuto la sussistenza della competenza dell’AGCM a sanzionare le condotte descritte nel provvedimento impugnato: secondo Vodafone, tali condotte troverebbero diretta e completa disciplina nella direttiva 2002/22/CE e nel Codice della comunicazioni elettroniche, la vigilanza della quale normativa sarebbe deferita in via esclusiva all’AGCOM, alla quale soltanto spetterebbe il potere di irrogare sanzioni per la relativa violazione, ai sensi dell’art. 98, comma 16, del CCE.

In ogni caso proprio l’esercizio dello ius variandi unilaterale, da parte di un operatore di comunicazioni elettroniche, sarebbe disciplinato in maniera esaustiva dall’art. 20, par. 4, della Direttiva 2002/22, e ciò proprio a tutela dei consumatori: tale disciplina, consentendo agli operatori di telefonia di variare unilateralmente le condizioni contrattuali senza altri limiti se non quelli di darne comunicazione preventiva e di mantenere indenne l’utente da penali e da costi di disattivazione, rende lecita la manovra tariffaria assunta, nel caso di specie, a base delle condotte contestate dalla AGCM, impedendo di rimproverare Vodafone per violazione dei doveri di diligenza professionale.

6.2. Con il secondo motivo d’appello Vodafone ha contestato l’appellata sentenza per non aver rilevato che il provvedimento sanzionatorio impugnato sarebbe in ogni caso illegittimo nella parte in cui ritiene che le condotte di Vodafone siano qualificabili come due pratiche commerciali aggressive.

L’appellante ha ricordato che le pratiche commerciali oggetto di contestazione presuppongono l’esistenza di un contratto di telefonia mobile al quale accede un contratto di vendita di prodotti (come tablets, smartphone, etc), oppure un contratto di telefonia fissa: in questi contratti il cliente viene beneficiato tramite sconto sul prezzo dei prodotti o tramite la possibilità di pagarli ratealmente, o tramite uno sconto sul costo di attivazione dell’impianto fisso;
poiché tali benefici rappresentano, per Vodafone, costi che richiedono un certo periodo di tempo per essere ammortizzati, nel contratto di telefonia è inserita una clausola che prevede, in caso di recesso anticipato, la decadenza del cliente dal beneficio del pagamento rateale del prodotto, oppure la decadenza del beneficio costituito dallo sconto sul prezzo del prodotto o sul costo di attivazione: tale sconto viene recuperato , in caso di recesso, mettendolo a carico del cliente sotto forma di “ corrispettivo per recesso anticipato ”.

Vodafone assume, pertanto, che quanto da essa prospettato nelle comunicazioni inviate ai clienti prima della modifica della fatturazione - da mensile a 28 giorni - non costituiva altro che il richiamo alle condizioni contrattuali, la cui intrinseca correttezza ed equilibrio sinallagmatico non sono mai state contestate.

Tenuto conto della conformità della manovra tariffaria alla normativa di settore, nonché della conformità al regolamento contrattuale, le condotte contestate a Vodafone non potrebbero ritenersi caratterizzare da difetto di diligenza professionale.

Piuttosto, deduce l’appellante, con il provvedimento impugnato l’AGCM avrebbe inteso introdurre una misura di regolazione volta a specificare gli obblighi già fissati dal legislatore e da AGCom in relazione allo ius variandi , introducendo un vero e proprio divieto di esercitare la facoltà di cui all’art. 70, comma 4, CCE nei confronti di quei consumatori che, per libera scelta, hanno deciso di aderire ad agevolazioni di pagamento o a sconti da parte dell’operatore: con ciò facendo l’AGCM avrebbe, come dedotto con il primo motivo d’appello, esercitato una competenza che fa capo all’AGCOM.

7. L’AGCM si è costituita in giudizio, resistendo all’appello con memoria.

7.1. Circa la sussistenza della competenza dell’AGCM a perseguire le condotte contestate con il provvedimento impugnato, l’Autorità ha ricordato che, secondo quanto statuito dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, nella sentenza del 13 settembre 2018, resa nelle cause C-54/17 e C-55/17, la disciplina di settore è applicabile in via esclusiva solo se sia individuabile un «contrasto» insanabile con quella di cui alla normativa generale contemplata a livello UE dalla direttiva 2005/29/CE e nell’ordinamento nazionale dal codice di consumo. Secondo la Corte UE, infatti, il contrasto sussiste solo quando disposizioni di stretta derivazione UE, disciplinanti aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, « impongono ai professionisti, senza alcun margine di manovra, obblighi incompatibili con quelli stabiliti dalla direttiva 2005/29/CE » (cfr. §§ 60 e 61 della richiamata sentenza 13 settembre 2018), dando vita ad una divergenza insanabile che non ammette la coesistenza di entrambi i plessi normativi. Dunque, il criterio di risoluzione di una possibile concorrenza di norme che disciplinano la condotta contestata è costituito non dal “criterio di specialità” ma dal “criterio di incompatibilità”: mentre il primo criterio presuppone che le due discipline presentino aspetti comuni e aspetti differenti il secondo presuppone che tra le due discipline sussista una complessiva divergenza di contenuti che non ne consenta neanche l’astratta coesistenza.

Alla luce di tali considerazioni non si potrebbe dubitare, secondo l’Autorità, del fatto che l’AGCM sia sempre competente a perseguire pratiche commerciali che si assumono “scorrette” per le finalità di cui alla direttiva 2005/29/CE, residuando la competenza delle Autorità di settore solo per i singoli aspetti che siano disciplinati, dalle norme settoriali, in modo specifico.

7.2. Quanto al merito, l’Autorità ha ribadito, nelle proprie difese che il “ puntcum dolens ” sarebbe rappresentato dalla decadenza dal beneficio di rateizzazione quale conseguenza automatica (e pregiudizievole) subita dal consumatore che esercita il diritto riconosciuto dall’art. 70 d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni digitali): il fatto che la predetta decadenza automatica sia prevista dal contratto stipulato dall’utente non sarebbe dirimente in quanto la sussistenza di una pratica commerciale scorretta o aggressiva si potrebbe apprezzare a prescindere dalla disciplina contrattuale prevista dallo specifico rapporto negoziale;
la previsione di tale decadenza automatica, peraltro, comporta l’effetto di condizionare indebitamente il consumatore, che può essere indotto a non esercitare il recesso, pur a fronte del preannunciato mutamento delle condizioni contrattuali, proprio per non dover affrontare gli obblighi derivanti dalla decadenza dal beneficio della rateizzazione, o dello sconto sul costo di attivazione.

Nel caso specifico, poi, la manovra tariffaria era significativa, perché l’accorciamento del periodo di fatturazione determinava l’addebito, in un anno, di poco meno di una mensilità in più.

L’AGCM ha quindi concluso insistendo per la conferma dell’appellata sentenza.

8. La causa è stata chiamata alla pubblica udienza del 2 dicembre 2021, in occasione della quale è stata trattenuta in decisione.

9. Il Collegio ritiene opportuno, prima di procedere alla disamina dei motivi d’appello, analizzare le condotte contestate dall’AGCM, onde enuclearne la reale portata, tenendo conto del fatto che è sostanzialmente incontestato tra le parti (i) il fatto che la manovra tariffaria che sta all’origine della contestazione sia conforme alle norme di settore, nonché (ii) il fatto che la disciplina contrattuale relativa al recesso dell’utente - disciplina che prevede la decadenza automatica dell’utente dal beneficio della rateizzazione del prezzo di prodotti o del costo di attivazione, o la decadenza dalle promozioni accordate sul costo di attivazione – si estende anche alla ipotesi di recesso determinato dall’esercizio, da parte di Vodafone, dello ius variandi che l’art. 70 del Codice delle comunicazioni elettroniche prevedeva sino alle modifiche apportate con il D. L.vo n. 207/2021.

9.1. Ebbene, secondo quanto emerge dal provvedimento impugnato, nonché dalle stesse difese giudiziali dell’AGCM, le pratiche commerciali aggressive contestate a Vodafone non attengono al modo in cui è stato formulato il regolamento contrattuale, e in particolare non hanno di mira il fatto che anche il recesso dell’utente determinato dall’esercizio dello ius variandi , unilaterale, da parte di Vodafone, non sia soggetto a una diversa regolamentazione;
né, peraltro, l’AGCM deduce che l’obbligo di pagare le rate residue di prezzo dei prodotti, o le rate del costo di attivazione, o il costo di attivazione inizialmente scontato, costituisca una “penale” vietata dall’art. 70, comma 4, del D. L.vo 259/2003 (nella versione applicabile ratione temporis ). A Vodafone si rimprovera, invece, di aver esteso la manovra tariffaria indistintamente a tutti gli utenti, e quindi anche a quelli che, avendo in corso un piano di pagamento rateale, o avendo fruito di uno sconto sul costo di attivazione, sono esposti al rischio di decadere automaticamente dai predetti benefici. L’AGCM, quindi, ritiene che per evitare di incorrere in pratica commerciale aggressiva Vodafone avrebbe dovuto implementare la manovra tariffaria in maniera “selettiva”.

9.2. Vodafone oppone che l’art. 70, comma 4, del Codice delle comunicazioni elettroniche consentiva di esercitare lo ius variandi senza distinzione di sorta tra gli utenti, ove fosse garantito il diritto di recesso senza pagamento di penali o di costi di disattivazione, ciò che nella specie non è materia di contestazione. Oppone, inoltre, l’appellante che ogni utente, sottoscrivendo il regolamento contrattuale, ha consentito anticipatamente alla decadenza automatica dai benefici sopra ricordati, anche nel caso di esercizio dello ius variandi unilaterale: e tale proposizione, come già precisato, non è contestata dall’AGCM.

9.3. Dunque, per concludere sul punto, nel presente giudizio: a) non è controverso l’obbligo degli utenti di corrispondere, esercitando il recesso in dipendenza delle modifiche alle condizioni contrattuali unilateralmente decise da Vodafone, le rate residue di pagamenti rateali o il contributo del costo di attivazione inizialmente scontato, e ciò in unica soluzione;
e b) non è controversa la qualificazione giuridica di tali esborsi, quali somme non sussumibili nel concetto di “penali” o di “costi di disattivazione” vietate dall’art. 70, comma 4, CCE.

10. Ciò premesso il Collegio osserva che il fatto che l’art. 70 del Codice delle comunicazioni elettroniche non dia alcuna indicazione circa gli utenti ai quali possono essere indirizzate le modifiche unilaterali ai contratti di utenza, e segnatamente il fatto che la norma non precluda l’esercizio dello ius variandi nei confronti di utenti che abbiano fruito di benefici simili a quelli sopra descritti - i quali essenzialmente comportano una durata minima del contratto di utenza per consentire all’operatore economico di assorbire i costi della promozione - significa che il predetto articolo 70, considerato quale norma settoriale, di per sé consente l’esercizio dello ius variandi indistintamente nei confronti di tutti gli utenti, ma non obbliga affatto gli operatori economici ad esercitare lo ius variandi in maniera, appunto, indistinta e generalizzata.

10.1. La considerazione che precede dimostra, allora, che contrariamente a quanto assume l’appellante, non sussiste tra l’art. 70, comma 4, CCE, che è la norma settoriale, una “ incompatibilità insanabile ” con le norme in materia consumeristica, le quali, nella tesi dell’AGCM, imponevano di esercitare lo ius variandi in maniera selettiva. Una “ incompatibilità insanabile ” sarebbe stata ravvisabile, invece, ove l’art. 70 CCE, oltre a prevedere il diritto dell’operatore economico a modificare le clausole contrattuali in corso di esecuzione del contratto medesimo, avesse previsto, tra le condizioni legittimanti, anche il fatto di estendere le modifiche a tutti gli utenti: in tali condizioni è evidente che il rilievo dell’AGCM avrebbe in pratica precluso a Vodafone di esercitare un diritto che, invece, la norma settoriale le riconosceva: l’inconciliabilità tra la norma settoriale e quella, atipica, in tal caso sarebbe stata evidente e quindi – come chiarito dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nel precedente sopra citato – avrebbe determinato l’applicazione della sola norma settoriale, con conseguente diritto di Vodafone ad implementare la manovra nei confronti di tutti gli utenti, quindi anche di quelli che avevano in corso piani rateali di pagamento o promozioni, dai quali sarebbero decaduti nel caso di esercizio del diritto di recesso.

10.2. Peraltro, l’applicabilità della sola norma settoriale, in ipotesi di “incompatibilità assoluta”, si ricaverebbe, comunque, anche dal principio generale dell’ordinamento “di non contraddizione”, in ossequio al quale non può ritenersi vietato dall’ordinamento ciò che questo esplicitamente autorizza.

10.3. Come precisato, tuttavia, l’art. 70, comma 4, CCE, non ha mai limitato l’esercizio dello ius variandi alla condizione che fosse esercitato contemporaneamente e indistintamente nei confronti di tutti gli utenti.

11. Quanto precede vale a dimostrare l’infondatezza del primo motivo d’appello: infatti la non assoluta inconciliabilità tra la norma settoriale (art. 70, comma 4, CCE) e quella enucleabile nel caso di specie a tutela del consumatore consente di “ritagliare” uno spazio di competenza dell’AGCM, relativamente a quel profilo della condotta che essa AGCM assume lesivo del diritto del consumatore di autodeterminarsi in maniera liberamente e che non può ritenersi incondizionatamente consentito dall’art. 70, comma 4, CCE.

12. Passando all’esame del secondo motivo d’appello il Collegio ritiene che debba essere ridimensionata l’importanza dell’adesione dell’utente al regolamento contrattuale, che appunto disciplina in modo unitario le conseguenze del recesso da parte dell’utente, indipendentemente dalle cause che l’hanno determinato.

12.1. Va detto, in primo luogo, che in realtà le condizioni di contratto (cfr. docc. prodotti come doc. 8 del fascicolo Vodafone di primo grado) non sono così chiare al proposito, poiché non contengono una clausola in cui si preveda espressamente che anche nel caso in cui l’utente eserciti il diritto di recesso a seguito di modifiche al contratto imposte unilateralmente da Vodafone, tale recesso comporta la decadenza automatica da piani rateali o da sconti precedentemente fruiti dal cliente: in verità le clausole contrattuali che richiamano lo ius variandi di Vodafone si limitano ad affermare che l’utente potrà esercitare il recesso senza penali né costi di disattivazione, mentre le conseguenze del recesso sono disciplinate da altre clausole, che non richiamano espressamente l’esercizio dello ius variandi unilaterale di Vodafone.

12.2. In secondo luogo si deve rilevare, riprendendo quanto già osservato ai paragrafi che precedono, che Vodafone in effetti non aveva l’obbligo di attuare la manovra tariffaria nei confronti di tutti gli utenti, e proprio per questa ragione essa avrebbe potuto attuarla in maniera “chirurgica”.

12.3. In quanto “professionista”, e profondo conoscitore del regolamento contrattuale, Vodafone avrebbe anche dovuto prefigurarsi che per certe categorie di utenti, ovvero i fruitori di piani rateali o di sconti, l’eventuale decisione di recedere dal contratto sarebbe stata scoraggiata dalla prospettiva di dover pagare, in unica soluzione, le rate residue dei piani rateali o gli sconti già fruiti.

12.4. Infine va rilevato che Vodafone non ha mai fornito una spiegazione “tecnico-giuridica” delle ragioni che l’hanno indotta ad estendere le modifiche del periodo di fatturazione anche agli utenti indicati.

12.5. Vodafone, in sostanza, era in condizioni di rendersi conto della posizione di debolezza in cui taluni clienti si sarebbero trovati a seguito delle modifiche del periodo di fatturazione, era parimenti in condizioni di escluderli da tali modifiche, ma non sembra essersi posta il problema di ricercare per essi una differente soluzione, e in ogni caso Vodafone non ha addotto valide giustificazioni a supporto della scelta di esercitare lo ius variandi indistintamente nei confronti di tutti gli utenti.

12.6. Per tali ragioni il Collegio ritiene dimostrata sia l’aggressività della condotta di Vodafone, oggetto di contestazione, che la mancanza della diligenza esigibile dal professionista, e dal che consegue l’infondatezza anche del secondo motivo d’appello.

13. Conclusivamente l’appellata sentenza merita di essere confermata.

14. Sussistono giusti motivi per compensare le spese della presente fase, in considerazione della peculiarità delle questioni portate all’attenzione del Collegio.

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