Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-01-22, n. 201900532
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Testo completo
Pubblicato il 22/01/2019
N. 00532/2019REG.PROV.COLL.
N. 02366/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2366 del 2010, proposto da
U R, rappresentato e difeso dall'avvocato R R, con domicilio eletto presso lo studio Righi in Roma, via G. Carducci, 4;
contro
Comune di Quarrata, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato M G, con domicilio eletto presso lo studio Studio Grez &Associati S.R.L. in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza) n. 00032/2009, resa tra le parti, concernente diniego concessione edilizia
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Quarrata;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 gennaio 2019 il Cons. Antonino Anastasi e uditi per le parti gli avvocati Emanuela Paoletti su delega di R R;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Nel febbraio del 2003 la signora Masti presentò al comune di Quarrata una domanda di permesso di costruire avente ad oggetto opere di ristrutturazione ( con cambio destinazione d’uso da cantina ad abitazione) di un seminterrato collocato in un annesso della villa Befani.
In data 19 settembre 2003 il comune ha respinto la richiesta in quanto l’intervento avrebbe comportato un aumento di unità immobiliare non consentito dalla disciplina di zona.
Il sig. Ronchi ( nella qualità di promissario acquirente della costruenda abitazione) ha impugnato tale diniego avanti al TAR Toscana il quale con la sentenza in epigrafe indicata ha respinto il gravame.
A sostegno del deciso il Tribunale ha rilevato che ai sensi delle nta in zona risultava precluso l’aumento delle unità immobiliari senza previa approvazione di un piano di recupero.
La sentenza è stata impugnata con l’atto di appello oggi in esame dal soccombente il quale ne ha chiesto l’integrale riforma deducendo a tal fine tre motivi di impugnazione.
Si è costituito in resistenza il comune di Quarrata.
Le Parti hanno depositato memorie.
Il comune ha tra l’altro eccepito il sopravvenuto difetto di interesse alla decisione, essendo nelle more del giudizio infruttuosamente spirato il termine finale previsto nel preliminare per la stipula del contratto definitivo.
Il comune ha altresì rilevato che in epoca successiva ai fatti in controversia la proprietaria ottenne il titolo edilizio per l’intervento ma preferì non darvi corso per ragioni personali.
L’appellante ha depositato memoria di replica.
All’udienza del 10 gennaio 2019 l’appello è stato trattenuto in decisione.
L’eccezione di improcedibilità dell’appello versata dal comune deve essere disattesa, in quanto l’appellante ha espressamente dichiarato per un verso di avere tuttora interesse alla decisione ai fini risarcitori ( art. 34 comma 3 c.p.a.);per l’altro di considerare evento causativo del danno asseritamente patito proprio il diniego comunale di rilascio del titolo.
In tale contesto la prospettazione dell’appellante – a prescindere dalla sua fondatezza nel merito – radica in capo a questi un perdurante interesse a veder definita in giudizio la vicenda contenziosa.
Tanto premesso l’appello è però manifestamente infondato e va come tale respinto.
Con il primo motivo l’appellante deduce che ha errato il TAR nel ritenere che l’art. 12 delle NTA precludesse la realizzazione di un intervento di ristrutturazione.
A ciò deve aggiungersi, secondo l’appellante, che dal punto di vista sostanziale l’intervento di che trattasi sarebbe in realtà ascrivibile al risanamento conservativo.
Il mezzo non è persuasivo.
In primo luogo è da evidenziare che – alla luce della normativa statale e regionale ratione temporis vigente – l’intervento edilizio di cui si discute era incontestabilmente qualificabile come ristrutturazione edilizia, accompagnandosi il cambio di destinazione d’uso ad opere volte ad incidere, in modo più o meno pesante, sulla configurazione della preesistente pertinenza.
Del resto il permesso fu proprio richiesto per procedere alla ristrutturazione della cantina e non al suo risanamento.
Tanto chiarito, è pacifico che l’immobile in controversia fosse ricompreso nell’allegato B al piano, quale edificio di valore ambientale, come afferma il comune senza specifiche contestazioni di controparte.
Ai sensi dell’art. 12 delle NTA per gli edifici in allegato B risultavano ammessi gli interventi individuati dall’art. 9 come di tipo I o di tipo II.
Ora, ai sensi dell’art. 9 la ristrutturazione “con creazione una tantum di una nuova unità immobiliare” rientra obiettivamente nel tipo di interventi III e non nel tipo II.
Questo tipo infatti prevede ( oltre alla manutenzione e al restauro) soltanto la riorganizzazione funzionale delle unità immobiliari, e quindi ammette la ristrutturazione ma non consente la creazione di una nuova unità.
Il mezzo quindi va disatteso, perché le NTA ove rettamente interpretate non consentivano l’incremento del numero delle unità immobiliari, come esattamente evidenziato dal TAR.
Con il secondo motivo l’appellante deduce, se ben si comprende, che la definizione degli interventi contenuta nello strumento urbanistico deve ritenersi integrata dall’evoluzione della normativa regionale succedutasi nel tempo.
In particolare l’art. 4 della legge regionale n. 52 del 1999 ( come modificato dall’art. 4 della legge regionale n. 43 del 2003) identifica gli interventi di ristrutturazione edilizia in modo assai più ampio di quello in precedenza previsto dalla normativa regionale recepita nel prg di Quarrata: ne consegue, secondo l’appellante, che le previsioni di piano devono intendersi sostituite o integrate dalle nuove definizioni normative.
Il mezzo è completamente da disattendere.
In primo luogo non si comprende – né l’appellante fornisce al riguardo delucidazioni – in che modo la l.r. 43/2003, entrata in vigore il 13 ottobre 2003, possa risultare applicabile ad un diniego formulato dal comune nel settembre dello stesso anno, e dunque nella vigenza della precedente normativa.
Infatti, secondo l’insegnamento di granitica giurisprudenza, la legittimità del provvedimento amministrativo finale deve essere accertata con riferimento alla normativa vigente al momento della sua adozione, in ossequio al principio "tempus regit actum ", risultando irrilevanti nel giudizio impugnatorio le modifiche normative successivamente intervenute. ( cfr. per tutte V Sez. 2790 del 2018).
A ciò deve aggiungersi nel merito che – come ben eccepito dal comune - nemmeno l’art. 4 della citata legge ( come novellato) sembra consentire tout court ( e cioè a prescindere dalle previsioni di piano) le ristrutturazioni comportanti aumento delle unità immobiliari.
In tal senso depone infatti ( comma 2 lettera d) n. 3) la disposizione che qualifica come ristrutturazione il rialzo del sottotetto al fine di renderlo abitabile, purchè non si costituiscano nuove unità immobiliari.
Con il terzo motivo l’appellante osserva che in ogni caso le nta consentivano l’aumento delle unità immobiliari nel contesto di un piano di recupero: pertanto il comune, invece di limitarsi al diniego, avrebbe dovuto in alternativa invitare l’istante a presentare un progetto di piano attuativo.
Il mezzo non ha pregio, in primo luogo perché l’omesso invito a presentare il piano attuativo non vizia certo la legittimità del diniego di rilascio del permesso diretto.
Più in generale, comunque, non si ravvisa alcuna omissione imputabile al comune in quanto – attesa la inequivocabile chiarezza delle norme tecniche – era preciso onere della dante causa dell’odierno appellante quello di attivarsi sottoponendo appunto all’approvazione comunale un progetto di piano.
Infatti – come si ricava dall’art. 30 della legge n. 457 del 1978 – l’iniziativa privata in materia di piani di recupero è del tutto libera, configurandosi in sostanza come una forma di spontanea collaborazione all’avvio dell’attività pianificatoria attuativa dell’ente locale.
Sulla scorta delle considerazioni che precedono l’appello va perciò respinto, con integrale conferma della sentenza gravata.
Le spese di questo grado del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.