Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-01-27, n. 201400408
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N. 00408/2014REG.PROV.COLL.
N. 02605/2001 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2605 del 2001, proposto da:
B W in proprio e quale rappresentante della F.lli Bonaldo &C S.n.c., rappresentato e difeso dagli avv.ti G C e R D G, con domicilio eletto presso G C in Roma, via A. Bennicelli, 27;Bonaldo Fanie;Bonaldo Gianpietro;
contro
Comune di Orsago, rappresentato e difeso dagli avv.ti V G e M C, con domicilio eletto presso M C in Roma, viale Bruno Buozzi N. 87;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Veneto - Venezia: Sezione II n. 00057/2001
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 ottobre 2013 il Cons. A B e uditi per le parti gli avvocati Andrea Manzi, per delega dell'Avvocato R D G, e M C;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I signori B W, Fanie e Gianpietro sono proprietari di un’area sita nel Comune di Orsago nella quale insiste un fabbricato con destinazione produttiva, in cui svolge la propria attività artigianale la ditta B W &C s.n.c.
Per ragioni connesse all’incremento dell’attività produttiva, con istanza in data 2.7.1999, i signori Bonaldo domandavano l’autorizzazione all’installazione di un “ tunnel mobile di protezione ”, in prolungamento rispetto al corpo di fabbrica esistente, destinato alla protezione delle materie prime e delle merci.
Nonostante il Comune avesse rigettato la domanda con atto del 16.8.1999, la ditta installava ugualmente il manufatto.
Pertanto, con atto prot. n. 3656 del 14.4.2000, il Comune di Orsago intimava la sospensione dei lavori e successivamente, con ordinanza prot. n. 8844 del 29.9.2000, ingiungeva la demolizione del tunnel mobile e di una tettoia, anch’essa realizzata senza titolo.
Ritenendo illegittimi tali provvedimenti, i signori Bonaldo proponevano ricorso al Tar Veneto chiedendone l’annullamento.
Con sentenza n. 57/2001, il tribunale adito rigettava il gravame.
Avverso detta sentenza i signori Bonaldo hanno quindi interposto l’odierno appello, chiedendone l’integrale riforma.
Il Comune di Orsago si è costituito in giudizio, chiedendo la reiezione del gravame siccome infondato.
Alla pubblica udienza del 22 ottobre 2013 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. Va esaminata in via preliminare l’eccezione di improcedibilità formulata dagli appellanti con la memoria del 19.9.2013.
Assumono questi ultimi che, come risulta dal verbale della Polizia Municipale in data 12.12.2012, le opere oggetto dell’ordinanza n. 35/2000 (tunnel mobile e tettoia) sarebbero state demolite dalla proprietà in esecuzione degli atti impugnati, con susseguente venir meno dell’interesse alla decisione dell’odierna controversia .
1.1. L’eccezione non è condivisibile.
Ed invero, osserva il Collegio come il manufatto in questione, rimosso all’atto del sopralluogo della Polizia Municipale del 12.12.2012, risultasse tuttavia, come reso possibile dalle sue caratteristiche strutturali (tunnel mobile retraibile), smontato e depositato nei pressi dell’attività produttiva (cfr. relazione del Responsabile Servizio Urbanistica del 12.4.2013).
Peraltro, nel successivo sopralluogo effettuato pochi giorni dopo (in data 19.12.2012), il medesimo organo di vigilanza constatava la reinstallazione del manufatto in questione ed accertava, quindi, la riedizione dello stesso abuso edilizio che, di conseguenza, veniva ancora una volta sanzionato dall’Amministrazione comunale con una ulteriore ordinanza di sospensione lavori (n. 42 del 21.12.2012).
Per quanto sopra, non può che rilevarsi la sostanziale permanenza e continuità dell’abuso in questione.
Gli appellanti, infatti, hanno prima installato, poi rimosso e quindi immediatamente reinstallato lo stesso manufatto, mantenendo così fermo nella sostanza l’abuso commesso che, conseguentemente, deve essere riguardato e giudicato in modo unitario e nella sua originaria consistenza.
Diversamente ritenendo, del resto, gli appellanti ben potrebbero eludere qualsivoglia ulteriore provvedimento sanzionatorio dell’Amministrazione, ponendo in essere una artata attività di rimozione ed immediata reinstallazione del manufatto in questione, e ciò in palese contrasto con i più elementari principi ordinamentali.
A ciò aggiungasi, che congiuntamente all’azione di annullamento, gli appellanti hanno proposto anche domanda di risarcimento dei danni, per il caso di rimozione delle opere realizzate. Pertanto, anche a voler ritenere che sia venuto meno l’interesse ad una pronuncia di annullamento a seguito della temporanea rimozione del manufatto in questione, residua in ogni caso l’interesse ad una pronuncia sulla domanda risarcitoria e, pertanto, ad una valutazione, seppur incidentale, in ordine alla legittimità degli atti impugnati.
Ne consegue l’infondatezza dell’eccezione.
2. Nel merito l’appello è infondato.
3. Con una prima censura, l’appellante lamenta l’omessa comunicazione di avvio del procedimento con conseguente privazione del diritto di presentare memorie e documenti.
Contesta, sul punto, la decisione del Tar che ha ritenuto assolto l’obbligo partecipativo con l’emanazione dell’ordine di sospensione dei lavori in precedenza impartito.
3.1.La doglianza non merita condivisione
Ed invero, ai sensi dell’art. 4 della L.n. 47/1985 all’epoca vigente (oggi art. 27, comma 3, D.P.R. n. 380/2001), l’ordine di sospensione dei lavori è preordinato all’emanazione dei definitivi provvedimenti sanzionatori conseguenti alla tipologia di abuso contestato.
Ne consegue che, a seguito della notifica di tale atto, il destinatario viene compiutamente edotto sul piano sia formale che sostanziale dell’esistenza del procedimento sanzionatorio, il cui avvio coincide con la sospensione dei lavori intimata, del contenuto del procedimento stesso e dei suoi preannunciati esiti.
La finalità sostanziale di cui all’art. 7 L. n. 241/1990, quindi, può nella specie ritenersi soddisfatta con la comunicazione dell’ordine di sospensione dei lavori effettuata dall’Amministrazione agli interessati, come correttamente ritenuto dal primo giudice.
4. Con un secondo ordine di censure gli appellanti sostengono che il “ tunnel retrattile ” non avrebbe determinato ampliamento dello stabilimento artigianale, costituendo al contrario semplice impianto tecnologico.
Assumono, altresì, che la sua utilizzazione non si sarebbe potuta definire “ stabile ”, essendo destinata alla mera protezione dalle intemperie delle materie prime e dei prodotti finiti, per il tempo strettamente necessario al loro avviamento alla produzione (le prime) ed alla spedizione alla clientela (i secondi).
Deducono,quindi, che erroneamente il primo giudice non avrebbe censurato i provvedimenti impugnati, siccome assunti sul presupposto che il manufatto in questione necessitasse di specifica concessione edilizia (oggi permesso a costruire ) .
4.1. La censura è priva di fondamento.
Ed invero, osserva il Collegio come il manufatto in questione sia di dimensioni oggettivamente consistenti (oltre 300 mq di superficie utile complessiva) e venga stabilmente utilizzato per i bisogni ordinari dell’azienda, quale locale per lo stoccaggio delle merci e dei prodotti finiti.
Ne consegue, all’evidenza, che una siffatta struttura, seppur realizzata con materiali e caratteristiche che (come si è visto) ne consentono il rapido smontaggio e rimontaggio , non può comunque essere ricondotta nel novero dei meri impianti tecnologici, che notoriamente nulla hanno a che vedere con le caratteristiche e funzioni sopra precisate.
5. Con l’ultimo ordine di censure, gli appellanti sostengono la natura pertinenziale delle opere realizzate, nonché l’irrilevanza della destinazione agricola dell’area su cui insistono ( posto che alle pertinenze si applicherebbe la medesima disciplina del bene principale), con conseguente assoggettamento delle stesse al regime autorizzatorio (e non concessorio) che non contempla in caso di abusivismo la sanzione demolitoria, ma semplicemente quella pecuniaria.
5.1 La doglianza non ha pregio.
Ed invero, come risulta dalla relazione del Responsabile Servizio Urbanistica del 12.4.2013 (non contraddetta dagli appellanti), le opere in questione hanno una volumetria ampiamente superiore al 20% del volume del fabbricato asseritamente ritenuto “ principale ”.
Ne consegue che, a prescindere da ogni valutazione in ordine alle caratteristiche del manufatto ed alla destinazione urbanistica dell’area su cui lo stesso insiste, l’intervento edilizio realizzato dagli appellanti deve essere qualificato come “ di nuova costruzione ”, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 3 lett. e.6) del DPR n. 380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia), con conseguente assoggettamento al regime concessorio e non di certo autorizzatorio, come preteso dagli appellanti.
Infatti, il richiamato art.3 del Testo Unico dell’Edilizia, anche se sopravvenuto nel 2001, ha fissato un limite oggettivo di natura quantitativa per l’individuazione in ambito edilizio degli interventi pertinenziali, che non può non fungere da parametro di riferimento anche per le fattispecie pregresse, avendo sostanzialmente positivizzato i consolidati principi giurisprudenziali da tempo formatisi in materia.
In conclusione le opere in questione rientrano nel regime della concessione edilizia (oggi permesso di costruire) e, come tali, sono state correttamente sanzionate dall’Amministrazione comunale.
6. Per le ragioni esposte l’appello si appalesa infondato e, pertanto, da respingere.
7. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente grado di giudizio.