Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-03-30, n. 202202333

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-03-30, n. 202202333
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202202333
Data del deposito : 30 marzo 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 30/03/2022

N. 02333/2022REG.PROV.COLL.

N. 05473/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5473 del 2018, proposto dal signor
M M, rappresentato e difeso dall’avvocato M D, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

contro

Ministero della difesa, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima) n. 960/2017, resa tra le parti, concernente richiesta di risarcimento del danno


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 febbraio 2022 il Cons. Carla Ciuffetti, udito l’Avvocato dello Stato Luigi Simeoli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La controversia in esame riguarda la richiesta di risarcimento del danno patrimoniale che l’appellante avrebbe subito, quale perdita di esercizio dell’impresa da lui cogestita, durante il periodo della leva militare obbligatoria. La sottoposizione alla leva militare aveva fatto seguito al decreto n. 5447, in data 1 agosto 1995, di annullamento, da parte della competente Amministrazione, del decreto n. 5339, in data 12 maggio 1995, di ammissione dell’interessato a prestare il servizio civile in luogo di quello militare. Il decreto n. 5447/1995 era stato in seguito annullato in sede giurisdizionale (T Marche, sez. I, 17 maggio 2010, n. 384).

2. La sentenza in epigrafe ha respinto la richiesta del ricorrente, non avendo questi fornito alcun principio di prova in merito alla pretesa perdita di esercizio per 25 mila euro. Secondo il T - posto che, se non fosse stato emanato il decreto n. 5447/1995, l’interessato avrebbe dovuto comunque svolgere il servizio civile e che quest’ultimo era equiparato a quello militare ai sensi della l. n. 772/1972 -, non era ravvisabile alcun elemento per supporre, come prospettato invece dal ricorrente senza fornire alcun principio di prova, che questi avrebbe potuto prestare una maggiore attività lavorativa svolgendo il servizio civile. In particolare, non potevano costituire un principio di prova del danno subito “ le semplici affermazioni del ricorrente secondo cui il servizio civile, all’epoca, si sarebbe svolto nel luogo di residenza e con scarso impegno orario, per la mancanza di enti disposti ad accogliere gli obiettori”, trattandosi di “affermazioni meramente ipotetiche prive di qualunque principio di prova ”.

3. Il primo motivo di gravame è rubricato “ error in procedendo - vizio della motivazione ”, con riferimento: sia alla pretesa assenza di spiegazioni da parte del T circa la mancanza di un principio di prova, dato che, nel giudizio di primo grado, sarebbe stato chiarito che il servizio militare e quello civile, pur formalmente equiparati, di fatto si sarebbero svolti in modo differente;
sia alla pretesa mancanza di motivazione del richiamo agli artt. 7 e 11 della l. n. 772/1972 contenuto nella sentenza.

Il secondo motivo di gravame, rubricato “ error in iudicando - violazione e falsa applicazione dell’art. 11 e dell’art. 7 l. 772/1972. violazione e falsa applicazione art. 2043 c.c. eccesso di potere per ingiustizia, sviamento, illogicità, travisamento, falso apprezzamento dei presupposti, erroneità manifesta ” è diretto a sottolineare l’irrilevanza, ai fini di cui è controversia, dell’equiparazione stabilita dall’art. 11 della l. n. 772/1972 “ ad ogni effetto civile, penale, amministrativo, disciplinare, nonché nel trattamento economico ”, dei soggetti ammessi a svolgere il servizio civile con quelli che prestano il servizio militare di leva. Nella fattispecie avrebbe dovuto solo stabilirsi se l’aver svolto il servizio militare in luogo del servizio civile avesse prodotto un danno per l’appellante. Sarebbe erroneo il richiamo formulato dal T all’ art. 7 l. n. 772/1972, poiché l’appellante non possedeva i requisiti necessari per chiedere la dispensa dal servizio militare, non essendo l’unico titolare dell’impresa e non essendo iniziata da oltre due anni la relativa attività, come richiesto dall’art. 7, co. 3, d.lgs. n. 504/1997. La diversità delle circostanze di svolgimento del servizio civile e del servizio di leva militare, nonché la lontananza dalla residenza delle sedi di svolgimento del servizio militare di leva costituirebbero un fatto notorio. In particolare, sarebbe “ notorio che la gran parte degli obiettori di coscienza o non prestavano alcuna attività, all’epoca dei fatti ossia nel 1995, oppure erano assegnati a svolgere dei compiti in ambito locale presso degli enti, pertanto lo svolgimento dell’attività lavorativa non era impossibile ”. Dunque, se avesse svolto il servizio civile, l’appellante avrebbe potuto “ prestare pienamente l’attività lavorativa, qualora non fosse stato chiamato da alcun ente, o comunque avrebbe potuto svolgerla in modo riduttivo, qualora avesse avuto un impegno vicino alla propria residenza ”. Invece, il T avrebbe considerato provato che, se il ricorrente avesse svolto il servizio civile, “ lo avrebbe dovuto fare in una sede incompatibile con la prestazione anche parziale dell’attività lavorativa propria ”.

Il danno subito, per il quale si conferma la quantificazione proposta in primo grado di 25 mila euro, secondo l’appellante potrebbe essere determinato con consulenza contabile o liquidato in via equitativa.

4. Il Ministero della difesa ha chiesto il rigetto dell’appello.

5. La causa, chiamata all’udienza del 15 febbraio 2022, è stata trattenuta in decisione.

6. L’appello è infondato.

Il richiamo agli artt. 7 e 11 della l. n. 772/1972 è formulato nella sentenza in epigrafe nell’ambito della ricognizione del quadro normativo di riferimento, contenuto nel n. 1 della stessa pronuncia, in particolare con riguardo all’equiparazione del servizio civile a quello militare di leva. Perciò, in tale richiamo non sono ravvisabili né profili di erroneità, né lacune motivazionali, come si pretende con entrambi i motivi del gravame.

L’affermazione dell’appellante secondo la quale il T avrebbe considerato provato che, se il ricorrente avesse svolto il servizio civile, “ lo avrebbe dovuto fare in una sede incompatibile con la prestazione anche parziale dell’attività lavorativa propria ” è erronea. Il T si è limitato a rilevare la mancanza di elementi per supporre che l’interessato avrebbe potuto lavorare di più per la propria impresa se avesse potuto svolgere il servizio civile.

Tale rilievo deve essere condiviso perché gli elementi dai quali evincere una simile supposizione non possono essere considerati oggetto di fatto notorio, come si pretende con il secondo motivo del gravame. Infatti, “ il fatto notorio, derogando al principio dispositivo delle prove e al principio del contraddittorio, va inteso come fatto acquisito alle conoscenze della collettività, con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile ” (Cass. civ., Sez. V, ord., 21 febbraio 2020, n. 4661). Nella fattispecie, le circostanze rappresentate dall’appellante - che “ gli obiettori di coscienza fossero chiamati solo in alcuni casi e comunque svolgevano l’attività presso la sede di residenza o presso località vicine ” e che, non essendo sufficienti gli enti disponibili ad accoglierli, “ molti di loro, di fatto, non svolgevano alcuna attività ” - non può essere considerata un fatto acquisito alle conoscenze della collettività. Essa è solo una tesi dell’interessato rimasta sfornita di supporto probatorio. Perciò, in applicazione della regola dell’onere della prova ex art. 2697 c.c., gravante sulla parte che asserisce di essere stata danneggiata, la pretesa dell’appellante non può essere considerata fondata, non essendo stata dimostrata una correlazione tra i danni lamentati e l’operato dell’Amministrazione.

Dall’infondatezza dei motivi di gravame discende l’insussistenza dei presupposti per disporre la richiesta consulenza tecnica.

7. In conclusione, per quanto sopra esposto, l’appello deve essere considerato infondato e deve essere respinto.

Il regolamento processuale delle spese del grado di giudizio, liquidate nel dispositivo, segue la soccombenza.

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