Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-09-18, n. 201204942
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N. 04942/2012REG.PROV.COLL.
N. 03275/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3275 del 2012, proposto da:
Pasticceria Picena dei F.Lli Bruni Snc, in persona del legale rappresentante pro termpore rappresentato e difeso dall'avv. G M, con domicilio eletto presso Luca Spingardi in Roma, via Civinini, 12;
contro
Ministero Infrastutture e Trasporti-Dip.Per i Trasporti La Navigaz. E i Sistemi Informativi e Statistici, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
per la riforma
della sentenza non definitiva del T.A.R. delle MARCHE – Sede di ANCONA - SEZIONE I n. 00761/2011, resa tra le parti, concernente silenzio-inadempimento serbato dall'amministrazione - risarcimento danni - sentenza non definitiva
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero delle Infrastutture e dei Trasporti-Dip.Per i Trasporti La Navigaz.E Sistemi Informativi e Statistici;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2012 il Cons. Fabio Taormina e uditi per le parti l’ Avvocato G M e l’Avvocato dello Stato Anna Collabolletta;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado era stato chiesto dalla società odierna appellante Pasticceria Picena dei F.Lli Bruni S.n.c., la declaratoria di illegittimità del preteso silenzio-inadempimento, serbato dal Ministero odierno appellato, sul ricorso dalla stessa presentato in data 1.6.2004 ai sensi degli artt. 37 del D.Lgs. n. 285/1992 e 74 del DPR n. 495/1992, e la richiesta di emissione del conseguenziale ordine di provvedere, nonché il risarcimento del danno asseritamente alla stessa cagionato.
Erano stati prospettati numerosi motivi di censura incentrati sui vizi di eccesso di potere e violazione di legge.
Il Tribunale Amministrativo Regionale delle Marche – Sede di Ancona- con la impugnata sentenza resa all’adunanza camerale del 16 settembre 2011 ha analiticamente e partitamente esaminato le doglianze proposte e le ha respinte con sentenza non definitiva, disponendo la successiva prosecuzione del giudizio, con rito ordinario, relativamente all’istanza risarcitoria.
In particolare, il primo giudice ha affermato la infondatezza del petitum con riferimento denunciata situazione di silenzio-inadempimento o di inerzia del Ministero convenuto alla stregua della considerazione per cui quantomeno con la nota prot. n. 711 del 9.2.2011, poi ribadita con la nota prot. 2203 del 19.4.2011, l’amministrazione odierna appellata aveva compiutamente spiegato le ragioni del non luogo a procedere nella definizione del ricorso amministrativo a suo tempo presentato.
Tali provvedimenti, ad avviso del primo giudice, esprimendo la volontà dell’Amministrazione e comportando, di conseguenza, un definitivo arresto del procedimento, determinavano la conseguenza che quest’ultimo dovesse ritenersi quindi formalmente concluso con l’adozione di un provvedimento espresso (ancorché non satisfattivo per gli interessi della odierna appellante).
Il primo giudice, peraltro, ha ulteriormente precisato che, in ogni caso, nnonostante l’intervenuta definizione in rito, il Ministero, attraverso detti provvedimenti, avesse anche illustrato le ragioni di ritenuta infondatezza delle censure di cui all’originario ricorso presentato in data 1.6.2004 ( valutazioni che avrebbero certamente dato luogo alla reiezione del gravame nel merito): ne conseguiva l’inesistenza di alcuna situazione di silenzio-inadempimento o di inerzia tutelabile con il ricorso di cui agli artt. 31 e 117 del D.Lgs. n. 104/2010.
Avverso la sentenza in epigrafe la società originaria ricorrente ha proposto un articolato appello evidenziando che la motivazione della impugnata decisione era apodittica ed errata.
L’appellante ha in via preliminare chiarito le tappe del risalente contenzioso avviato con l’Amministrazione,ed ha evidenziato che nessuna risposta era alla stessa pervenuta con riguardo al ricorso amministrativo proposto.
La impugnata decisione, peraltro, aveva obliato la circostanza che nel corpo della nota prot. 2203 del 19.4.2011 (comunque resa ben oltre i termini per la decisione del ricorso) era stato affermato che la omessa risposta dipendeva dalla circostanza che l’odierna appellante aveva proposto ricorso giurisdizionale innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale, con ciò implicitamente confermandosi che ci si trovava al cospetto di un ingiustificato silenzio protrattosi per un periodo abnorme.
Alla odierna camera di consiglio del 18 settembre 2012 la causa è stata posta in decisione.
DIRITTO
1.L’appello non è meritevole di accoglimento.
Stabilisce il d.Lvo 30 aprile 1992, n. 285, all’art. 37, che “ L'apposizione e la manutenzione della segnaletica, ad eccezione dei casi previsti nel regolamento per singoli segnali, fanno carico:
a) agli enti proprietari delle strade, fuori dei centri abitati;
b) ai comuni, nei centri abitati, compresi i segnali di inizio e fine del centro abitato, anche se collocati su strade non comunali;
c) al comune, sulle strade private aperte all'uso pubblico e sulle strade locali;
d) nei tratti di strade non di proprietà del comune all'interno dei centri abitati con popolazione inferiore ai diecimila abitanti, agli enti proprietari delle singole strade limitatamente ai segnali concernenti le caratteristiche strutturali o geometriche della strada. La rimanente segnaletica è di competenza del comune.
2. Gli enti di cui al comma 1 autorizzano la collocazione di segnali che indicano posti di servizio stradali, esclusi i segnali di avvio ai posti di pronto soccorso che fanno carico agli enti stessi. L'apposizione e la manutenzione di detti segnali fanno carico agli esercenti.
2-bis. Gli enti di cui al comma 1 possono utilizzare, nei segnali di localizzazione territoriale del confine del comune, lingue regionali o idiomi locali presenti nella zona di riferimento, in aggiunta alla denominazione nella lingua italiana.
Contro i provvedimenti e le ordinanze che dispongono o autorizzano la collocazione della segnaletica è ammesso ricorso, entro sessanta giorni e con le formalità stabilite nel regolamento, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, che decide in merito.”.
L’art. 74 del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495 (recante Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada) prevede invece che “Il ricorso, previsto dall'articolo 37, comma 3, del codice è proposto, nel termine di sessanta giorni, da chi abbia interesse alla apposizione della segnaletica, in relazione alla natura del segnale apposto. Il ricorso deve contenere, oltre all'indicazione del titolo da cui sorge l'interesse a proporlo, le ragioni dettagliate dell'opposizione al provvedimento o all'ordinanza, con l'eventuale proposta di modifica o di aggiornamento. Il ricorso è notificato, a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento, all'Ispettorato generale per la circolazione e la sicurezza stradale del Ministero dei lavori pubblici, e all'ente competente all'apposizione della segnaletica, giusta quanto dispone l'articolo 37 del codice.
La proposizione del ricorso sospende l'esecuzione del provvedimento impugnato, salvo che ricorrano ragioni di urgenza, nel qual caso l'ente competente può deliberare di dare provvisoria esecuzione al provvedimento impugnato. L'esecuzione provvisoria è comunicata, con raccomandata con avviso di ricevimento, al ricorrente e all'Ispettorato generale per la circolazione e la sicurezza stradale del Ministero dei lavori pubblici.
Il ricorso è deciso, a seguito di istruttoria dell'Ispettorato generale per la circolazione e la sicurezza stradale, dal Ministro dei lavori pubblici entro sessanta giorni dalla notificazione dello stesso. La decisione è comunicata dal Ministro al ricorrente e all'ente competente, che è tenuto a conformarsi ad essa.”.
Il primo giudice ha escluso la ricorrenza di un silenzio inadempimento affetto da illegittimità alla stregua della considerazione per cui l’adito Ministero con la nota prot. n. 711 del 9.2.2011, poi ribadita con la nota prot. 2203 del 19.4.2011 aveva compiutamente chiarito le ragioni del non luogo a procedere nella definizione del ricorso amministrativo a suo tempo presentato.
Il Collegio non ravvisa motivi per discostarsi dalle conclusioni cui è giunto il Tribunale amministrativo.
3. Va premesso che il ricorso previsto dal comma 3 dell’art. 37 del d.Lvo 30 aprile 1992, n. 285 ha natura di ricorso amministrativo “improprio” e rientra nel genus dei ricorsi gerarchici disciplinati dall’ormai abrogato dPR 24 novembre 1971 n. 1199.
Allo stesso possono pertanto applicarsi gli approdi raggiunti dalla giurisprudenza amministrativa in materia, ivi compresi quelli per cui la decisione del ricorso amministrativo costituisce un dovere (e non una mera facoltà) per l’amministrazione e che tale espressa pronuncia può essere ottenuta attivando il meccanismo processuale del c.d. silenzio-inadempimento (o silenzio non significativo) ex art. 21 bis della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 (oggi: art. 31 del codice del processo amministrativo).
Si è detto pertanto in passato che (Consiglio Stato , sez. III, 28 ottobre 2010 , n. 3397)
“il decorso del termine di novanta giorni previsto dall'art. 6 del d.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199, entro il quale il ricorso gerarchico deve essere deciso dall'Autorità amministrativa, non ha effetti sostanziali ma processuali giacché abilita il ricorrente gerarchico a scegliere fra la proposizione del ricorso giurisdizionale contro il provvedimento nei termini di decadenza, una volta formatosi il silenzio-rigetto, ovvero la proposizione dello stesso ricorso avverso la successiva decisione amministrativa, con la conseguenza che, anche se si è formato il silenzio-rigetto, l'Amministrazione non viene privata della potestà di decidere il ricorso gerarchico né il privato della legittimazione ad insorgere contro il provvedimento di rigetto dello stesso.”
Consegue quale corollario della superiore affermazione la fondatezza, in via di principio, della tesi dell’appellante secondo cui essa avrebbe avuto diritto ad ottenere un espresso provvedimento decisorio in ordine al ricorso proposto e la non accoglibilità delle affermazioni formulate in primo grado dall’amministrazione odierna appellata secondo cui l’avvenuto decorso del termini abilitava unicamente l’appellante alla proposizione del ricorso giurisdizionale.
3.1. Senonchè, avuto riguardo alle circostanze di fatto acquisite al processo ritiene il Collegio che debba affermarsi che l’appellante interpreta tale dovere incombente in capo all’Amministrazione in termini formalistici affatto condivisibili.
Invero la ratio sottesa al rito speciale che prevede la impugnabilità del silenzio è strettamente legata al principio di trasparenza e di motivazione, e garantisce che il cittadino istante non abbia ad attendere sine die - senza neppure conoscere l’intendimento dell’autorità cui si è rivolto- le determinazioni amministrative.
E’ questo il principio che costituisce la ragion d’essere dell’istituto, e che, peraltro è stato a più riprese affermato dalla giurisprudenza amministrativa (ex multis:”con l'azione avverso il silenzio, l'interessato può chiedere solo l'accertamento della sussistenza dell'obbligo di provvedere e può spingersi a chiedere l'accertamento della fondatezza della pretesa solo se si tratti di attività vincolata, o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall'Amministrazione.”
-Consiglio Stato , sez. VI, 16 febbraio 2011 , n. 996-)
Se così è, occorre immediatamente rilevare che tale negativa evenienza non ricorre affatto nel caso di specie, laddove l’Amministrazione ha espressamente chiarito, seppure nel contesto di un provvedimento non recante espressamente la dizione “reiezione” le ragioni della non condivisibilità della prospettazione dell’odierna parte appellante (nota prot. n. 711 del 9.2.2011, poi ribadita con la nota prot. 2203 del 19.4.2011).
Costituisce peraltro approdo consolidato della giurisprudenza quello per cui
“l'esatta qualificazione di un provvedimento va effettuata tenendo conto del suo effettivo contenuto e della sua causa reale, anche a prescindere dal nomen iuris formalmente attribuito dall'amministrazione. L'apparenza derivante da una terminologia, eventualmente imprecisa o impropria, utilizzata nella formulazione testuale dell'atto stesso non è vincolante, né può prevalere sulla sostanza e neppure determina di per sé un vizio di legittimità dell'atto, purché ovviamente sussistano i presupposti formali e sostanziali corrispondenti al potere effettivamente esercitato.”
(T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 06 febbraio 2006 , n. 1623).
3.2. Nella specie è da osservare che le note sopraindicate - pur non indicandolo espressamente nel proprio dispositivo- presentano tutti i caratteri ascrivibili a provvedimenti reiettivi corrispondendo, nei loro tratti essenziali, a determinazioni che hanno lo scopo di chiarire al privato le ragioni di non condivisibilità (e pertanto di non favorevole delibabilità) della posizione dallo stesso espressa.
Contrariamente a quanto sostenutosi nel ricorso in appello, infatti, l’appellata amministrazione non si è limitata a fare generico riferimento ad ostacoli di natura procedimentale, ma ha espressamente affermato (nota del 19 aprile 2011 nella quale si ribadisce il contenuto della nota n. 711/2011 e della quale si riporta di seguito un passaggio essenziale) che “le censure mosse dalla Pasticceria non sono apprezzabili in quanto via Cupra, anche se utilizzata da sempre dalla Pasticceria Picena, risulta essere una strada aperta all’uso pubblico, come più volte affermato dal Comune di Ascoli Piceno…e in quanto tale il Comune era ed è legittimato ad emettere provvedimenti di regolamentazione della circolazione stradale..Aggiungasi che la cennata ordinanza non presenta elementi di illegittimità né di irrazionalità in quanto la circolazione in via Cupra è stata regolamentata dal Comune di Ascoli Piceno per sopravvenute esigenze di tutela della sicurezza stradale come previsto dal Codice della Strada”.
3.3. Ne consegue che non può ravvisarsi alcuna fattispecie di silenzio non significativo;che, come rettamente osservato dal primo giudice, la complessiva attività dell’amministrazione era ben idonea a determinare un arresto procedimentale e che, conclusivamente, il gravame proposto non risulta accoglibile, non potendo, per le già chiarite ragioni, il ritardo nella definizione del ricorso connotare autonomamente di illegittimità la detta deliberazione, posto che l’Amministrazione non perde il potere di provvedere a cagione del decorso del tempo (ma potendo semmai, eventualmente, essere apprezzato in chiave risarcitoria, ove ne ricorrano i presupposti, nel prosieguo del giudizio di primo grado) .
4.La natura e la particolarità della controversia consentono di compensare tra le parti le spese processuali sostenute.