Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-05-13, n. 201402446
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N. 02446/2014REG.PROV.COLL.
N. 02636/2003 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2636 del 2003, proposto dalla società Costruzioni Edili Paolo Filippi s.r.l., in persona del legale rappresentante
pro tempore,
rappresentata e difesa dagli avvocati P A C e M T, con domicilio eletto presso l’avvocato F G in Roma, via Crescenzio n. 62;
contro
Provincia Autonoma di Trento, in persona del presidente
pro tempore,
rappresentata e difesa dall'avvocato F L, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via del Viminale n. 43;
nei confronti di
Festi Commerciale s.r.l., non costituita;
per la riforma
della sentenza del T.r.g.a. del Trentino Alto – Adige, sede di Trento, n. 381 del 18 novembre 2002.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della provincia autonoma di Trento;
Viste le memorie difensive e di replica depositate rispettivamente dalla provincia autonoma di Trento (in data 14 marzo 2014) e dall’appellante (in data 25 marzo 2014);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 aprile 2014 il consigliere Vito Poli e udito per la parte appellata l’avvocato Lorenzoni;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’oggetto del presente giudizio è costituito dalla determinazione del dirigente del Servizio artigianato della provincia autonoma di Trento – n. 351 del 3 agosto 2000 – recante la revoca parziale del finanziamento a suo tempo concesso all’impresa artigiana V. Z. di Zeni Vittorio &C. s.n.c. (successivamente ditta V. Z. Innovazioni Tecnologiche per il risparmio Energetico s.r.l. e quindi Costruzioni Edili Paolo Filippi s.r.l., in prosieguo ditta Filippi), per inadempimento degli obblighi assunti da quest’ultima nell’atto di impegno accessivo alla richiesta del contributo (cfr. domanda e atto d’obbligo del 29 gennaio 1988), obblighi rivenienti dalla speciale normativa di settore (cfr. in particolare artt. 11 e 12, l. p. n. 13 del 1987 modificata dalla l. p. n. 18 del 1993 e successive modifiche).
2. L’impugnata sentenza - T.r.g.a. del Trentino Alto – Adige, sede di Trento, n. 381 del 18 novembre 2002 - ha respinto, con dovizia di argomenti, tutti i motivi posti a sostegno del ricorso compensando le spese di lite.
3. Con ricorso notificato il 21 marzo 2003 e depositato il successivo 28 marzo, la ditta Filippi ha interposto appello reiterando criticamente le censure articolate in prime cure.
4. Il 6 maggio 2003 si è costituita l’amministrazione provinciale eccependo l’inammissibilità e l’infondatezza del gravame.
5. Con memoria notificata in data 6 marzo 2014 e depositata il successivo 14 marzo, la provincia autonoma di Trento ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo alla luce del consolidato indirizzo delle sezioni unite della Corte di Cassazione e dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, maturato nelle more del processo di appello.
6. La ditta Filippi ha depositato memoria di replica, senza nulla osservare in punto di giurisdizione, insistendo, nel merito, per l’accoglimento della domanda di annullamento del provvedimento impugnato.
7. All’udienza pubblica del 15 aprile 2014, la causa è stata trattenuta in decisione.
8. Il collegio ritiene fondata l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla difesa dell’appellata amministrazione.
8.1. Trattandosi di un appello proposto anteriormente all’entrata in vigore del nuovo codice del processo amministrativo (il 16 settembre 2010), non può trovare applicazione retroattiva la norma sancita dall’art. 9, co. 1, c.p.a., che ha reso indefettibile, ai fini del rilievo della questione di giurisdizione davanti al Consiglio di Stato, la proposizione di specifico mezzo di impugnazione anche in presenza di statuizione implicita negativa.
Come affermato dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. sez. V, 21 giugno 2013, n. 3409;sez. VI, 15 dicembre 2010, n. 8925, cui si rinvia a mente dell’art. 88, co. 2, lett. d), c.p.a.), in base al principio tempus regit actum , deve escludersi che il giudice possa dichiarare inammissibile un’eccezione che, rispetto alla normativa in vigore al momento della proposizione del gravame, risulta senz’altro ritualmente proposta, risultando pacifico, anche alla luce della decisione dell’adunanza plenaria 30 agosto 2005 n. 4 che - prima dell’entrata in vigore del codice - l’eccezione di difetto di giurisdizione poteva essere riproposta in appello anche con semplice memoria (come avvenuto appunto nel caso di specie);diverso è il caso in cui l’eccezione di difetto di giurisdizione non risultasse in alcun modo proposta (neanche con semplice memoria): in questo caso, lo stesso principio tempus regit actum impedirebbe al giudice d’appello, anche con riferimento agli appelli proposti anteriormente al 16 settembre 2010, di rilevare d’ufficio il difetto di giurisdizione (nel caso di specie, l’eccezione di difetto di giurisdizione è stata formulata con memoria notificata, non è stata contrastata dalla controparte, sicché deve ritenersi che il giudice abbia il dovere di pronunciare sulla stessa, non potendosi applicare retroattivamente l’art. 9 del codice).
Inoltre, all’epoca della proposizione dell’appello:
a) era pacifico, ai sensi dell’art. 37 c.p.c. e soprattutto dell’art. 30, co. 1 e 2, l. T.a.r., il rilievo officioso, da parte del Consiglio di Stato, della questione di giurisdizione in presenza di una statuizione implicita e comunque era consentito alla parte di sollevare la questione con semplice memoria in appello;
b) non era ancora intervenuto il drastico indirizzo delle sezioni unite che hanno proposto una esegesi assai riduttiva della portata applicativa dell’art. 37 c.p.c. (cfr. Cass., sez. un., 9 ottobre 2008, n. 24883), stabilendo la possibilità di formazione di un giudicato implicito sulla giurisdizione tale per cui, indipendentemente dalla pronuncia espressa sulla giurisdizione da parte del giudice di primo grado, l’omessa contestazione di quest’ultima in sede di appello ne implica il definitivo radicamento innanzi al plesso giurisdizionale originariamente adito;
c) l’esportazione, nel processo amministrativo, del principio affermato dalle sezioni unite nel 2008, è stata ripudiata da una parte della giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. sez. V, 5 dicembre 2008, n. 6049).
8.2. Scendendo all’esame della dedotta questione di giurisdizione, il collegio ritiene di dover confermare il tradizionale e consolidato indirizzo giurisprudenziale, condiviso sia dalle sezioni unite della Corte di cassazione (cfr. Cass. sez. un., ordinanza 25 gennaio 2013, n. 1776;Cass. Sez. un., 24 gennaio 2013, n. 1710;Cass. Sez. un., 7 gennaio 2013, n. 150;Cass. Sez. un. 20 luglio 2011, n. 15867;Cass. Sez. un., 18 luglio 2008, n. 19806;Cass. Sez. un., 26 luglio 2006, n. 16896;Cass. Sez. un., 10 aprile 2003, n. 5617), sia dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (cfr., da ultimo, Ad. plen., 29 gennaio 2014, n. 6;Ad. plen., 29 luglio 2013, n. 13), secondo cui il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in materia di controversie riguardanti la concessione e la revoca di contributi e sovvenzioni pubbliche, deve essere attuato sulla base del generale criterio fondato sulla natura della situazione soggettiva azionata, con la conseguenza che:
a) sussiste sempre la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, mentre alla pubblica amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l’effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l’ an , il quid , e il quomodo dell’erogazione;
b) qualora la controversia attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto di un addotto inadempimento del beneficiario alle condizioni statuite in sede di erogazione o dall’acclarato sviamento dei fondi acquisiti rispetto al programma finanziato, la giurisdizione spetta al giudice ordinario, anche se si faccia questione di atti formalmente intitolati come revoca, decadenza o risoluzione, purché essi si fondino sull'inadempimento alle obbligazioni assunte di fronte alla concessione del contributo. In tal caso, infatti, il privato è titolare di un diritto soggettivo perfetto, come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario, attenendo la controversia alla fase esecutiva del rapporto di sovvenzione e all'inadempimento degli obblighi cui è subordinato il concreto provvedimento di attribuzione;
c) viceversa, è configurabile una situazione soggettiva d’interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, solo ove la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse, ma non per inadempienze del beneficiario.
8.3. Nel caso di specie non viene in rilievo il generale potere di autotutela pubblicistica (fondato sul riesame della legittimità o dell’opportunità dell’iniziale provvedimento di attribuzione del contributo e sulla valutazione dell’interesse pubblico), ma lo speciale potere di autotutela privatistica dell’Amministrazione (di cui peraltro l’ordinamento conosce altre tassative ipotesi, le più importanti delle quali si riscontrano nell’esecuzione dei contratti pubblici: cfr. le ipotesi di recesso e risoluzione di cui agli artt. 134-136 d.lgs. 12 aprile 2006 recante Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE ), con il quale, nell’ambito di un rapporto ormai paritetico, l’Amministrazione fa valere le conseguenze derivanti dall’inadempimento del privato alle obbligazioni assunte per ottenere la sovvenzione. L’atto in questione si configura come declaratoria della sopravvenienza di un fatto cui la legge ricollega l’effetto di determinare la decadenza dal diritto di godere del beneficio e trova ragione non già in una rinnovata ponderazione tra l’interesse pubblico e quello privato, ma nell’asserito inadempimento degli obblighi imposti al beneficiario e nella verifica dei presupposti di esigibilità del credito. Ne deriva che le contestazioni che investono l’esercizio di tale forma di autotutela sono sottratte alla giurisdizione del giudice amministrativo e sono devolute a quella del giudice ordinario.
9. In conclusione deve essere dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario ai sensi dell’art. 11, co. 1, c.p.a.;a tanto consegue la riforma dell’impugnata sentenza e l’inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
10. Nella peculiarità della vicenda contenziosa in trattazione, il collegio ravvisa, a mente del combinato disposto degli artt. 26, co. 1, c.p.a. e 92, co. 2, c.p.c., eccezionali ragioni per l’integrale compensazione degli onorari e spese di giudizio.