Consiglio di Stato, sez. III, sentenza breve 2022-12-21, n. 202211147

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza breve 2022-12-21, n. 202211147
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202211147
Data del deposito : 21 dicembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 21/12/2022

N. 11147/2022REG.PROV.COLL.

N. 08066/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso numero di registro generale 8066 del 2022, proposto dalla signora -O-, rappresentata e difesa dall’avvocato G D M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

il Ministero dell’Interno e l’Ufficio Territoriale del Governo di Udine, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia, Sezione Prima, n. -O-, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e dell’Ufficio Territoriale del Governo di Udine;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 1° dicembre 2022 il Cons. Ezio Fedullo e udito l’Avvocato dello Stato Bruno Dettori;

Sentito lo stesso ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

L’appellante ha adito il T.A.R. per il Friuli-Venezia-Giulia per l’annullamento del provvedimento dichiarativo della inammissibilità dell’istanza di emersione dal lavoro irregolare prot. n. -O-, emesso dalla Prefettura di Udine in data -O-.

Il provvedimento si basava sul rilievo che il lavoratore da regolarizzare era risultato destinatario di una segnalazione di ‘inammissibilità’ Schengen emessa dalla Francia ed efficace fino all’-O-.

Il T.A.R., con l’impugnata sentenza in forma semplificata, ha respinto il ricorso – ed i successivi motivi aggiunti, evidenziando che:

- l’asserita errata identificazione del destinatario della ‘segnalazione di inammissibilità Schengen’ è rimasta del tutto indimostrata, convergendo invece plurimi elementi che inducono a ritenere ragionevolmente la riferibilità della predetta segnalazione al lavoratore da regolarizzare, per la cui emersione è stata presentata l’istanza respinta col provvedimento impugnato;

- corrispondono tutti gli elementi identificativi del soggetto (nome, cognome, data e paese di nascita, nome e cognome della madre, cognome del padre), eccezion fatta per il nome del padre, elemento che di per sé non è determinante, essendo l’incongruenza la conseguenza di un mero errore materiale;

- la stessa ricorrente non nega affatto il transito in Francia del lavoratore da regolarizare, né fornisce adeguati elementi o anche solo un principio di prova in ordine alla non riferibilità del provvedimento francese alla sua persona: la ‘segnalazione di inammissibilità Schengen’ è stata emessa dalla Francia in data 8 settembre 2016, in seguito ad una condanna da parte del Tribunale di Gap per il reato di uso di documenti falsi, e tale circostanza risulta coerente con quanto dichiarato dalla stessa ricorrente;

- il lavoratore da regolarizzare, infatti, è giunto in Italia nel 2016 provenendo proprio dalla Francia ed a nulla vale il rilievo secondo cui la sua permanenza transalpina sarebbe stata di brevissima durata, in quanto la commissione del reato per il quale egli è stato sottoposto a procedimento (possesso/utilizzo di documenti falsi) può anche essere istantanea e non richiede necessariamente la permanenza prolungata su un dato territorio;

- quanto al motivo di gravame relativo alla violazione delle regole sulla partecipazione procedimentale, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, la Prefettura resistente ha tenuto in adeguata considerazione quanto rappresentato dalla ricorrente con le osservazioni ex art. 10 bis l. 241/1990, reputandole correttamente non idonee a superare l’elemento ostativo consistente nella ‘segnalazione Schengen’ e incapaci di basare l’esigenza di un approfondimento istruttorio circa l’identità del segnalato;

- quanto alla censura relativa al difetto di motivazione, la cd ‘inammissibilità Schengen’ è idonea a determinare la non ammissione alla procedura di emersione, cosicché la relativa motivazione del provvedimento di diniego può limitarsi a riportare tale circostanza con l’indicazione degli estremi della segnalazione;

- nemmeno è condivisibile l’argomentazione della ricorrente secondo la quale, se la ‘segnalazione di inammissibilità Schengen’ a carico del lavoratore fosse realmente esistita, la commissione territoriale, cui è stata formulata l’istanza di protezione internazionale, se ne sarebbe accorta, poiché si sarebbe trattato di un elemento dirimente al fine del riconoscimento di ogni forma di tutela internazionale, atteso che la procedura di riconoscimento della protezione internazionale prevede che i reati commessi dal richiedente al di fuori del territorio italiano abbiano rilievo dirimente solo qualora integrino quanto previsto dagli artt. 10, comma 2, lett. b), e 16, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 251/2007, circostanza che nella presente fattispecie non risulta;

- il reato commesso in Francia dal lavoratore (possesso di documenti falsi) corrisponde nel nostro ordinamento alla fattispecie prevista dall’art. 497 bis cod.pen., che prevede una pena minima inferiore rispetto a quella cui fanno riferimento le citate disposizioni del d.lgs. n. 251/2007 per l’individuazione della gravità del reato ostativo alla concessione della protezione internazionale;

- né l’espulsione o l’a cd ‘inammissibilità Schengen’ costituiscono un elemento di per sé ostativo al riconoscimento della protezione internazionale;

- quanto all’aspetto relativo alla mancata considerazione del venire meno della efficacia della segnalazione francese, l’art. 103, comma 10, del d.l. n. 34/2020 dispone che “ Non sono ammessi alle procedure previste dai commi 1 e 2 del presente articolo i cittadini stranieri: […] b) che risultino segnalati, anche in base ad accordi o convenzioni internazionali in vigore per l’Italia, ai fini della non ammissione nel territorio dello Stato ”;

- l’assenza di tale elemento ostativo doveva pertanto sussistere in capo al lavoratore già all’atto della presentazione dell’istanza stessa, non assumendo alcun rilievo il venir meno dell’efficacia interdittiva della segnalazione nel corso del procedimento amministrativo, ciò tanto più nel caso di specie in cui lo speciale procedimento di emersione disciplinato dall’art. 103 cit. prevede un termine specifico per la presentazione della relativa istanza (cfr. comma 5: “ le istanze di cui ai commi 1 e 2 sono presentate dal 1° giugno 2020 al 15 agosto 2020 ”) e il possesso di determinati requisiti ad una data precisa, requisiti quindi che non possono acquisirsi nel corso del procedimento o in un secondo momento, ma che devono essere posseduti già al momento di presentazione della domanda di emersione;

- la sola circostanza che in ‘banca dati Schengen’ sussista a carico del lavoratore un provvedimento di segnalazione, ai fini della sua non ammissione, basta di per sé a giustificare la non ammissione alla procedura di emersione disposta nei suoi confronti;

- non v’è, infatti, ragione di discostarsi dall’orientamento giurisprudenziale formatosi sulla previgente disposizione - la cui compatibilità col sistema di garanzie costituzionali e convenzionali è già stata ampiamente verificata - basato “ sul principio della <non sindacabilità>
nel merito, salvi i casi eccezionali dell’errore materiale e/o del disguido burocratico , dei provvedimenti di non ammissione dello straniero, emessi da ciascun Stato aderente all’accordo di Schengen, in quanto l’appartenenza a tale accordo impone di evitare o ridurre al minimo le ipotesi in cui la valutazione compiuta da uno Stato estero possa essere vanificata o diversamente valutata da un altro Stato (C.d.S. sez. III n. 5735/2015, n. 4601/2014, n. 3573/2013 e n.2978/2013). Si tratta, qui, di applicare una regola europea che costituisce pilastro dello spazio comune di libera circolazione, all’interno del quale ciascun Paese membro ha il dovere di applicare segnalazioni o richieste provenienti da altro Paese membro. Diversamente opinando, le disposizioni del trattato sarebbero violate
(Cons. di Stato, n. 3421/2017;
in termini quanto al principio espresso si veda, da ultimo, T.A.R. Veneto, n. 288/2022)
”.

L’originaria ricorrente censura, con l’atto di appello in esame, la sentenza suindicata, di cui invoca la riforma ai fini dell’accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

Resistono all’appello le Amministrazioni appellate.

Con il primo motivo di appello, la parte appellante deduce che il giudice di primo grado non avrebe correttamente scrutinato la censura intesa ad evidenziare che la ‘segnalazione Schengen’ aveva perso efficacia alla data di adozione del provvedimento impugnato, confondendo il comma 8 (dedicato alle cause d’inammissibilità delle istanze di emersione) con il comma 10 (concernente le cause d’inammissibilità alle procedure di emersione) dell’art. 103 d.l. n. 34/2020, altresì evidenziando che, ai sensi dell’art. 21- bis l. n. 241/1990, ciò che rileva sarebbe la data di notifica del provvedimento limitativo.

Il motivo, ad avviso della Sezione, non è fondato.

Deve infatti osservarsi che, anche ammesso che la misura preclusiva, connessa all’esistenza di una ‘segnalazione Schengen’, abbia perso i suoi effetti in data 13 dicembre 2021 e non, come emerge dal modello -O-, in data -O-, il provvedimento impugnato risulta adottato comunque in data (-O-) anteriore al primo termine di scadenza dell’efficacia, non rilevando, sulla base del principio tempus regit actum , la data di notifica, incidente esclusivamente sulla produttività dei relativi effetti.

Con il successivo motivo di appello, la parte appellante lamenta il mancato esame da parte del giudice di primo grado del motivo aggiunto inteso a lamentare il contrasto del provvedimento impugnato con l’art. 8 della CEDU, il quale protegge il “ diritto al rispetto della propria vita privata ” (sotto il profilo lavorativo) che, per il secondo comma, non tollera ingerenza, salvo testuali casi di necessità rinvenibili in ragioni di salute e sicurezza pubbliche.

Il motivo deve essere dichiarato inammissibile, essendo stato formulato dalla parte ricorrente solo con i motivi aggiunti notificati in data 28 maggio 2022, laddove il provvedimento impugnato – dal quale già si evinceva che la declaratoria di inammissibilità dell’istanza di regolarizzazione derivava dall’esistenza di una ‘segnalazione di inammissibilità’ sul territorio Schengen inserita nella banca dati SIS II dalla Francia – è stato notificato già in data 10 febbraio 2022, con la conseguente tardività del motivo suindicato, in mancanza della specificazione dei documenti successivamente conosciuti dai quali sarebbero state desunte le ulteriori ragioni di illegittimità dedotte a carico del provvedimento impugnato.

Con il successivo motivo di appello, la parte appellante lamenta la carenza di ogni certezza di riferibilità ad esso della suddetta ‘segnalazione Schengen’, non avendo l’Amministrazione – sulla quale ricadrebbe il relativo onere probatorio – dimostrato che il lavoratore in questione sarebbe il reale destinatario della SIS in parola.

Essa deduce che la scheda attribuisce la segnalazione de qua al signor “-O-”, laddove il casellario centrale d’identità riporta il nominativo di “-O-”, identificativo quest’ultimo presente anche nel passaporto del dipendente della ricorrente e nella domanda di protezione internazionale a suo tempo presentata in Italia.

Deduce inoltre la parte appellante che la stessa scheda -O- non circostanzia il fatto reato iscritto, quanto alle relative coordinate spazio-temporali, rendendo impossibile ogni verifica.

Essa contesta inoltre l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui il transito del lavoratore in questione in territorio francese sarebbe sufficiente a riferire l’iscrizione a suo carico, deducendo in senso contrario che il transito su di un pullman diretto in Italia non consente alcun giudizio di compatibilità con un fatto reato, che deve essere circostanziato ed identificato in base a precise coordinate spazio-temporali.

L’appellante deduce altresì che è transitato attraverso la Francia il giorno 23 maggio 2016 e che il casellario centrale d’identità, seppur posteriore, non riporta alcuna traccia di tale passaggio, mentre - qualora avesse usato un’identità e dei documenti falsi - è ragionevole ritenere che egli sarebbe stato trattenuto e sottoposto a foto-segnalamento al fine di verificarne le generalità, dovendosi in caso contrario ammettersi che la Polizia francese abbia consentito l’espatrio in Italia.

Aggiunge la parte appellante che nessuna comunicazione o notificazione relativa ad un procedimento penale è stata fatta al dipendente della ricorrente e che, ove lo stesso fosse responsabile del reato ascritto, anche a voler escludere un arresto in flagranza e un fermo, cui ha fatto riferimento il Ministero, si sarebbe comunque dovuto applicare l’art. 98 del C.A.A.S., apparendo anomalo che la Francia apponga una SIS a seguito della condanna pronunciata da un suo Tribunale, senza interrogare il ‘sistema di informazione Schengen’ per notificare la citazione a comparire in giudizio e, quindi, la sentenza di condanna, ciò che lascerebbe supporre che gli obblighi informativi suindicati siano stati assolti, ma nei confronti di altro soggetto, vero responsabile del reato de quo .

Il motivo risulta infondato e va respinto.

In primo luogo, ha rilievo dirimente la corrispondenza dei dati identificativi dello straniero indicati nel modello -O- con quelli propri del lavoratore irregolare, non essendo stata specificamente censurata la sentenza appellata laddove ha ricondotto la discrepanza relativa al nominativo del padre (-O-nella segnalazione -O- nei documenti menzionati dalla parte appellante) ad un mero “ errore materiale ”: ciò non senza evidenziare che, per un fatto notorio e secondo la stessa Enciclopedia Treccani, il nome -O-(o -O-) è sinonimo di -O-.

In secondo luogo, le deduzioni di parte appellante – relative da un lato al fatto che risulterebbe anomalo che la Francia abbia consentito l’espatrio del suddetto nonostante la commissione del reato di uso di documenti falsi, dall’altro alla mancata ricezione di comunicazioni relative al procedimento penale conclusosi con la sentenza di condanna del Tribunale di Gap dell’8 settembre 2016 da cui è derivato l’” entry ban ” posto a fondamento del provvedimento impugnato – non sono idonee ad inficiare l’attendibilità della suddetta segnalazione, nella sua oggettiva riferibilità al lavoratore di cui è stata chiesta la regolarizzazione, atteso che, quanto alla prima, essa presuppone che la commissione del reato coincida con la data del suo ingresso in Italia (che, secondo la parte appellante, sarebbe stata impedita dalla scoperta in flagranza del reato), mentre, quanto alla seconda, la deduzione secondo cui il lavoratore non avrebbe ricevuto comunicazioni relative al procedimento penale, oltre a presupporre la sua reperibilità, fa riferimento ad una circostanza meramente dichiarata e sfornita di ogni dimostrazione. Del resto, il Ministero non ha affatto affermato nel giudizio di primo grado che il lavoratore sarebbe stato colto in flagranza del suddetto reato.

Né potrebbe sostenersi che l’Amministrazione sarebbe venuta meno al suo onere della prova in ordine alla coincidenza dello straniero con il destinatario dell’” entry ban ”, atteso che essa ha esaurientemente assolto al suddetto onere mediante l’acquisizione (e la produzione in giudizio) del modello -O-, da cui risulta la ‘segnalazione di inammissibilità’, mentre sarebbe stato onere dell’interessata fornire congrui elementi di segno contrario, atti ad inficiare l’attendibilità delle informazioni acquisite e poste a fondamento del provvedimento impugnato.

L’appello, in conclusione, deve essere respinto, mentre sussistono giuste ragioni per disporre la compensazione delle spese del giudizio di appello.

Quanto all’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, la stessa deve essere accolta, sussistendone i presupposti, ed il compenso spettante al difensore va liquidato in complessivi € 1.500,00, oltre spese generali e accessori di legge.

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