Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2015-05-26, n. 201502648

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2015-05-26, n. 201502648
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201502648
Data del deposito : 26 maggio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02694/2014 REG.RIC.

N. 02648/2015REG.PROV.COLL.

N. 02694/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2694 del 2014, proposto da:
S V, rappresentato e difeso dall’avvocato A L, con domicilio eletto presso Vincenzo Sanguigni in Roma, via di Priscilla 106;

contro

Università degli Studi di Napoli “Parthenope”, in persona del Rettore pro tempore , rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata presso gli uffici di quest’ultima in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Cza F;

per la riforma

della sentenza 6 febbraio 2014, n.775, del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Napoli, Sezione II.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi di Napoli “Parthenope”;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 aprile 2015 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti gli avvocati Luigi Adinolfi e l'avvocato dello Stato Fabio Tortora.


FATTO e DIRITTO

1.– Il prof. S V è professore ordinario di economia e gestione delle imprese presso l’Università “Parthenope” di Napoli. A seguito di accertamenti della Guardia di Finanza, effettuati su delega della Corte dei conti, è risultano che il prof. Sanguigni, pur avendo optato per il regime a tempo pieno, svolgeva attività esterna senza alcuna autorizzazione da parte dell’ente di appartenenza.

L’interessato, in presenza delle suddette contestazioni, aveva espresso la volontà di restituire la somma indebitamente percepita di euro 43.582,00, pari alla differenza tra il trattamento economico di professore a tempo pieno e il corrispondente trattamento economico di professore a tempo definito.

Nondimeno, l’Università ha iniziato il procedimento disciplinare e ha irrogato al prof. Sanguigni la sospensione dall’ufficio e dallo stipendio per un anno e, contestualmente, ha chiesto la restituzione dei corrispettivi indebitamente percepiti.

La parte ha impugnato la sanzione innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, eccependo la prescrizione del diritto di credito alla restituzione dei predetti corrispettivi e prospettando talune illegittimità afferenti al procedimento disciplinare.

1.1.– Il Tribunale amministrativo, con sentenza 6 febbraio 2014, n.775, ha ritenuto infondata l’eccezione di prescrizione, rilevando come nella fattispecie concreta la prescrizione ha la durata di dieci anni in quanto « la pretesa dell’Ateneo è correlata all’inosservanza di un divieto normativamente stabilito prima ancora che all’inadempimento di un obbligo contrattualmente assunto ».

In relazione ai vizi dedotti relativi alla sanzione, il Tribunale ha ritenuto fondato soltanto quello relativo al difetto di motivazione per non avere l’amministrazione indicato le ragioni per le quali, nella specie, ha applicato, con riferimento alla tipologia di sanzione applicata, l’entità massima prevista dalla legge. Sul punto si aggiunge che la stessa amministrazione sarebbe incorsa in un errore in quanto nel verbale dell’8 gennaio 2013 essa ha affermato che è stata applicata la « sanzione minima per un comportamento che certamente lede l’onore e la dignità professionale ».

2.– Il ricorrente in primo grado ha proposto appello avverso la suddetta sentenza, rilevando la sua erroneità nella parte in cui ha ritenuto che il diritto di credito dell’Università si prescrive in dieci anni e non in cinque anni. In particolare, si sottolinea come « nel caso di specie si tratta di recupero derivante dal rapporto di lavoro stabile e quindi trova applicazione l’art. 2948 n. 4 cod. civ. e non anche l’art. 2946 c.c .».

2.1.– Si è costituita in giudizio l’Università, chiedendo che l’appello venga dichiarato infondato e proponendo appello incidentale finalizzato a contestare il capo della sentenza che ha rilevato il difetto di motivazione del provvedimento sanzionatorio. Tale capo, si sottolinea, conterrebbe valutazioni erronee in quanto l’amministrazione ha applicato la sanzione all’esito di una attenta istruttoria, rispettando il principio di proporzionalità. Il riferimento, contenuto nel citato verbale, alla sanzioni minima andrebbe riferito non all’entità della sanzione ma alla tipologia di sanzione.

3.– La causa è stata decisa all’esito della discussione pubblica del 21 aprile 2015.

4.– L’appello principale è infondato.

L’art. 2934 cod. civ. prevede che « ogni diritto si estingue per prescrizione quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge ».

L’art. 2946 cod. civ., con norma di carattere generale, prescrive che « salvi i casi in cui la legge dispone diversamente i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni ».

L’art. 2943 cod. civ. individua i casi in cui il termine di prescrizione si interrompe.

Infine, l’art. 2948, n. 4, Cod. civ. dispone, con norma particolare, che il tempo di prescrizione è di cinque anni nel caso in cui vengono in rilievo « interessi e, in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi ».

Nella fattispecie in esame l’appellante ha stipulato con l’Università un contatto a tempo indefinito. La sua prestazione avrebbe, pertanto, dovuto avere natura esclusiva. A fronte di tale impegno l’amministrazione avrebbe dovuto corrispondere una determinata somma a titolo di retribuzione. L’appellante ha pacificamente violato il contratto e le norme che lo disciplinano, in quanto, pur percependo una retribuzione per l’attività a tempo pieno, ha svolto di fatto una attività a tempo definito.

A seguito di tale accertato inadempimento, la parte che ha rispettato il vincolo contrattuale (l’Università) ha diritto di agire con l’azione di restituzione contrattuale o, alternativamente, con l’azione di ripetizione dell’indebito (2033 Cod. civ.): azioni finalizzate ad ottenere la restituzione, appunto, di quanto l’altra parte ha ricevuto senza averne titolo.

Da quanto esposto è evidente come si tratti di azioni che soggiacciono al regime generale del tempo della prescrizione, che è, come riportato, di dieci anni.

L’art. 2948 Cod. civ., evocato dall’appellante, prevede il termine di cinque anni per tutte le prestazioni di natura periodica che una parte si impegna a versare all’altra parte. Ma nel caso specie si è al di fuori di questo perimetro, in quanto, come detto, non viene in rilievo lo svolgimento fisiologico di un rapporto contrattuale che presuppone adempimenti periodici ma la fase patologica del rapporto che presuppone un’inadempimento contrattuale cui segue l’esercizio di azioni personali di restituzione dell’indebito che soggiacciono alle regole generali.

5.– L’appello incidentale è anch’esso infondato.

L’art. 87 del regio decreto 31 agosto 1993 n. 1592 ( Approvazione del testo unico delle leggi sull'istruzione superiore ) prevede che: « Ai professori di ruolo possono essere inflitte, secondo la gravità delle mancanze, le seguenti punizioni disciplinari: 1) la censura;
2) la sospensione dall'ufficio e dallo stipendio ad un anno;
3) la revocazione;
4) la destituzione senza perdita del diritto a pensione o ad assegni;
5) la destituzione con perdita del diritto a pensione o ad assegni
».

L’Università ha applicato la sanzione di cui al numero due.

Nel verbale dell’8 gennaio 2003 l’Università, nel rispondere al rilievo della parte relativo alla eccessiva severità della sanzione, ha rilevato che tale rilievo non è giustificato « in quanto si tratta della sanzione minima per un comportamento che certamente lede l’onore e la dignità del professore ».

Tale motivazione, come correttamente rilevato dal primo giudice, appare oscura nella parte in cui si riferisce alla « sanzione minima »;
e comunque non è adeguata perché non esplicita analiticamente le ragioni per le quali si applica, nell’ambito della individuata tipologia di sanzione, la misura massima. Deve in concreto trovare rigorosa applicazione il principio di proporzionalità e di questo va data ragione.

La statuizione contenuta nella sentenza impugnata è, pertanto, immune dai vizi denunciati.

6.– L’esito della controversia, con soccombenza reciproca, giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese anche del presente grado di giudizio.

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