Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-01-25, n. 201900623
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Pubblicato il 25/01/2019
N. 00623/2019REG.PROV.COLL.
N. 01090/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1090 del 2018, proposto dalla signora M M, rappresentata e difesa dall’avvocato G I ed elettivamente domiciliata presso la dottoressa G I in Roma, via dei Leutari, n. 29;
contro
l’Istituto nazionale di astrofisica (INAF), in persona del rappresentante legale
pro tempore
, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, Sez. III- bis , 31 ottobre 2017 n. 10866, resa tra le parti.
Visto il ricorso in appello e i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio dell’istituto appellato;
Esaminati le ulteriori memorie e documenti prodotti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 26 giugno 2018 il Cons. Stefano Toschei e uditi per le parti l’avvocato Fabrizio Viola, in delega dell’avvocato G I, nonché l’avvocato dello Stato De Nuntis;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Premesso che la controversia, nella sede di primo grado, ha avuto ad oggetto la domanda di annullamento del parziale accoglimento da parte dell’Istituto nazionale di astrofisica-INAF, datore di lavoro della ricorrente, signora M M, della richiesta di accesso documentale avanzata dalla predetta, con istanza trasmessa all’INAF via pec in data 24 marzo 2017, al fine di ottenere tutta la documentazione utile alla propria difesa nell’ambito del procedimento disciplinare attivato dall’amministrazione datoriale nei suoi confronti;
Rilevato che la signora M con il ricorso di primo grado ha contestato che l’INAF, con nota 7 aprile 2017, n. prot. 1704, ha reso ostensibili soltanto alcuni dei documenti richiesti, privando nel contempo l’interessata della possibilità di accedere direttamente al fascicolo procedimentale, anche al fine di sincerarsi di quali fossero i documenti utili per stendere le proprie difese, chiarendo che prima della notifica dell’atto introduttivo del giudizio ella aveva rappresentato al direttore generale dell’INAF, attraverso deduzioni svolte nel corso del procedimento disciplinare, che la richiesta di accesso non era stata evasa completamente e compitamente, per come invece era dovuto, essendole stata impedita, così, la conoscenza degli atti presupposti e relativi al procedimento in atto;
Dato atto che l’INAF in epoca successiva rispetto alla proposizione del ricorso al Tribunale amministrativo regionale ha consentito l’accesso a tutti i documenti richiesti dalla signora M e che tale evento è confermato dalle dichiarazioni univoche sia della ricorrente oggi appellante sia dell’amministrazione datoriale, nonché acclarata dal giudice di primo grado nella sentenza n. 10866/2017;
Constatato che la signora M con l’appello qui in esame contesta, in via principale, la correttezza della sentenza del T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, Sez. III- bis , 31 ottobre 2017, n. 10866, nella parte in cui ha definito il giudizio di primo grado con la pronuncia “in rito” di improcedibilità del ricorso proposto “per sopravvenuto difetto di interesse”, compensando le spese di lite tra le parti, piuttosto che definire detto giudizio, più correttamente, con una pronuncia “nel merito” che dichiarasse “la cessazione della materia del contendere”, disponendo in ordine alle spese sulla scorta della “soccombenza virtuale” dell’amministrazione ed imponendo alla medesima l’obbligo di restituzione del contributo unificato in favore della ricorrente”;
Vista la costituzione nel giudizio di appello dell’INAF, che ha rilevato la correttezza e puntualità delle decisioni del giudice di primo grado, anche nelle formule processuali adottate;
Rilevato che è documentalmente provato come, in epoca successiva rispetto alla notifica del ricorso di primo grado, l’INAF abbia acceduto a consentire l’accesso di tutta la documentazione richiesta con l’istanza in data 24 marzo 2017 (la cui necessaria acquisizione è stata poi ribadita, in sede di procedimento disciplinare dalla dipendente interessata, in data 10 aprile 2017, in epoca - quindi - sempre antecedente rispetto alla notifica del ricorso di primo grado) e che detta documentazione dichiarata dall’INAF oggetto di ostensione con nota 12 maggio 2017, prot. n. 2292 (in epoca quindi successiva all’instaurazione del ricorso di primo grado) effettivamente corrisponde a quella richiesta dalla signora M, fin dall’inizio e reclamata successivamente al (primo) parziale accesso consentito;
Ritenuto, pertanto, che l’ostensione di tutta la documentazione richiesta dall’interessata ha determinato (in disparte la ovvia sopravvenuta carenza di interesse della ricorrente alla decisione del giudizio instaurato in primo grado, segnatamente alla domanda di accesso documentale), sotto il profilo processuale, “la cessazione della materia del contendere”;
Rammentato che :
- con la formula processuale “cessazione della materia del contendere” ci si intende, prevalentemente, riferire alla ipotesi in cui sia stato emesso, pendente iudicio , un atto dell'amministrazione resistente, il quale abbia dato piena soddisfazione al bene della vita azionato in giudizio. L’art. 35, comma 5, c.p.a. dispone, infatti che " Qualora nel corso del giudizio la pretesa del ricorrente risulti pienamente soddisfatta, il giudice dichiara la cessazione della materia del contendere ". La giurisprudenza precisa, in proposito, che nel processo amministrativo presupposto per dichiarare la cessazione della materia del contendere è che la pretesa del ricorrente, ovvero il bene della vita al quale egli aspira, abbia trovato piena e comprovata soddisfazione in via extragiudiziale, sì da rendere del tutto inutile la prosecuzione del giudizio (cfr., tra le tante, Cons. Stato, Sez. III, 22 febbraio 2018, n. 1135);
- diversamente, ai sensi dell'art. 35, comma 1, lett. c), c.p.a. " il giudice dichiara (...) il ricorso (...) improcedibile quando nel corso del giudizio sopravviene il difetto di interesse delle parti alla decisione ". È stato, in proposito, affermato che a tale declaratoria si perviene quando l'atto amministrativo impugnato ha cessato di produrre i suoi effetti per il mutamento della situazione di fatto o di diritto presente al momento della proposizione del ricorso che faccia venir meno l'effetto del provvedimento impugnato ovvero per l'intervenuta adozione di un nuovo provvedimento idoneo a ridefinire l'assetto degli interessi in gioco e, pur senza avere alcun effetto satisfattivo nei confronti del ricorrente, sia tale da rendere certa e definitiva l'inutilità della sentenza (cfr., ex multis , Cons. Stato, Sez. IV, 1° settembre 2015, n. 4098 e 12 febbraio 2015, n. 745).
Ritenuto che , nel caso di specie, ad avviso del Collegio, l’ostensione documentale avvenuta per effetto dell’atto dell’