Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-04-26, n. 202203177
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Pubblicato il 26/04/2022
N. 03177/2022REG.PROV.COLL.
N. 00408/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 408 del 2015, proposto da
Azienda Agricola Benedetti Pietro e Angelo S.S., B D in persona dell'O T, B A in persona dell'O T, C G e Lorenzino S.S. in proprio e quale Lr Rappresentante, C F in persona dell'O T, C S in persona dell'O T, C A e Paolo S.S. in persona del Lr Rappresentante, D P S e M T S.S. in persona del Lr Rappresentante, D B B in persona dell'O T, D A in persona dell'O T, Az.Agr.F.Lli B S.S. in persona del Lr Rappresentante, Farelli Antonio in persona dell'O T, Soc.Agr.Fogal S.S. di Fogal Marino,Michele e Paolo in persona del Lr Rappresentante, Fontana Alberto in persona dell'O T, Fontana Marcello in persona dell'O T, Giacomello Dario in persona dell'O T, Guerra Giuseppe in proprio e quale Titolare dell'Omonima Az.Agr., Miolo Fortunato in persona dell'O T, Munaretto Renato in persona dell'O T, Novello Alessandro in proprio e quale Titolare dell'Omonima Az.Agr., Orsato Silvano in persona dell'O T, Rebesco Antonio e Guerrino in persona del Lr, Rigo Valentino in persona dell'O T, Seganfreddo Francesco,Saverio,Camillo e Gaetano S.S. in persona del Lr, Sonda Emiliano in persona dell'O T, Strazzabosco Aldo in proprio e quale Lr dell'Az. Agr., Strazzabosco Nereo Socio dell'Az.Agr., Terreran Mario in persona dell'O T, Trevisan Francesco in persona dell'O T, Vivaldo Emilio e Pierino S.S. in persona del Lr, Zanettin Giuseppe in proprio e E Quale Titolare dell'Omonima Az.Agr., Barutta Livio in persona dell'O T, Bressan Giovanni in persona dell'O T, Brotto Giovanni in persona dell'O T, Corrà Santo in proprio e quale Titolare dell'Omonima Az.Agr., Cusinato Giulio in persona dell'O T, Mancon Gianni in persona dell'O T, Az.Agr.Milan di Milan Mauro e Maurizio S.S. in persona del Lr, Simioni Luciano in persona dell'O T, Sperotto Tiziano in persona dell'O T, Benetti Silvano in persona dell'O T, Baldisseri Fabio in persona dell'O T, Guerra Giuseppe - Deceduto, Elisa Parise, Sabrina Guerra, Giordano Guerra, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Maddalena Aldegheri, con domicilio eletto presso lo studio Angela Palmisano in Roma, via Nizza 59;
contro
Agea-Agenzia per Le Erogazioni in Agricoltura, Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 05270/2014, resa tra le parti, concernente quote latte - ris.danni
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Agea-Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura e di Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 30 marzo 2022 il Cons. O M C e uditi per le parti gli avvocati viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Il contenzioso in esame concerne i provvedimenti di compensazione retroattiva riferiti alle annate lattiere 2001/2002, con contestuale assegnazione anche dei quantitativi di riferimento individuali (QRI), quanto alla seconda delle annualità citate con validità di assegnazione provvisoria per il 1999/2000. In particolare, l’appellante ha ricevuto dall’Azienda di Stato per gli interventi nel mercato agricolo (AIMA, cui è poi subentrata l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura, AGEA) la comunicazione ex art. 1, comma 1, del d.l. n. 43/1999, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 118/1999.
2. Il T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, sez. II, con sentenza 5270/2014 ha respinto tutte le censure proposte, compensando le spese di giudizio.
3. Con il ricorso in appello i ricorrenti (d’ora in avanti, solo l’Azienda agricola) eccepisce in via preliminare (motivo sub A) la nullità della sentenza per omessa pronuncia su tutti i motivi di doglianza. Nel merito (motivi sub B) rileva l’illegittimità comunitaria per violazione e falsa applicazione dei Regolamenti CEE n. 3950/92 del Consiglio e n. 536/93 della Commissione, essendo stato il Q.R.I. determinato retroattivamente, sulla base di dati inattendibili (motivo 2) e per ripartizione dello stesso in due quote (“A” e “B”) solo per i produttori associati, con mancanza di motivazione relativamente alla riduzione della quota “B” (motivo 3);illegittimità degli atti in quanto attuativi di un decreto ministeriale (d.m. 17 febbraio 1998) che non avrebbe rispettato le regole procedurali di cui all’art. 17 della l. n. 400 del 1988 (motivo 4);violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione nonché del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni, anche alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 520 del 1995 (motivo 5);profili vari di illegittimità comunitaria delle disposizioni normative italiane in materia di quote latte e delle conseguenti determinazioni dell’AIMA (motivo 6), essendo stati violati i principi di certezza del diritto, non discriminazione e protezione del diritto all’esercizio della propria attività economica, nonché costituzionale, per contrasto con gli artt. 3, 4, 40, 42 e 97 della Costituzione. Da ultimo, riproponeva la richiesta di rimessione alla Corte di Giustizia ex art. 177, lett. b) del Trattato UE, sia di questioni di validità della normativa comunitaria in materia di quote latte, che non garantirebbe il rispetto delle finalità PAC;sia di quella nazionale che non stralcia dal contingentamento la produzione lattiero-casearia per la produzione di formaggi D.O.P. ai sensi del Regolamento CEE n. 2081 del 1992 e di quello sulle produzioni biologiche n. 2092/1991;nonché alla Corte costituzionale, per i molteplici profili di contrasto già richiamati.
4. Si è costituita l’amministrazione per resistere, con atto meramente di stile.
5. L’azienda appellante ha versato in atti la copiosa giurisprudenza, nazionale e comunitaria, nel frattempo intervenuta sulla vicenda, nonché l’ordinanza del GIP di Roma del 5 giugno 2019 che ha sostanzialmente riconosciuto la «totale inattendibilità e falsità dei dati del sistema», pronunciandosi nell’ambito di un procedimento penale conseguito alla medesima vicenda. Con successiva memoria in data 28 ottobre 2021, ha ribadito le proprie prospettazioni, ricordando come nelle more del presente procedimento non solo è intervenuta la richiamata ordinanza del GIP di Roma, che avrebbe confermato, in sede penale, che la reale produzione italiana anche per il periodo di cui è causa era inferiore alla produzione dichiarata in sede UE, ma soprattutto, in sede comunitaria, la sentenza della Corte di Giustizia UE del 27 giugno 2019 in causa C-348/18, che ha sancito chiaramente la necessità che gli Stati membri che scelgono di quantificare il prelievo dovuto dai produttori previa compensazione tra le maggiori quantità prodotte con le quote inutilizzate, eseguano l’operazione in via lineare tra tutti, in base all’unico criterio stabilito dall’art. 2, par. 1 del Reg. (CEE) n. 3950/92, ossia «proporzionalmente ai quantitativi di riferimento a disposizione di ciascun produttore».
All’udienza del 30 marzo 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
6. Il giudice di prime cure ha dichiarato il ricorso infondato sulla base di considerazioni già svolte in numerose sentenze precedenti e riguardanti questioni analoghe. La tecnica redazionale utilizzata, basata per relationem sul rinvio ai numerosi precedenti intervenuti sulla materia delle quote-latte, consente la completa ricostruzione della cornice giuridica della vicenda, comunque effettuata, in quelli evocati in termini.
7. Nel merito, il Collegio ritiene superfluo ripercorrere nuovamente i passaggi salienti della vicenda giuridica delle quote latte, della quale non solo il giudice di prima istanza, ma anche questo Consiglio si è occupato più volte funditus, risolvendo pienamente anche le questioni sollevate nell’attuale controversia, nel lungo tempo in cui queste ultime sono state proposte, in ogni possibile combinazione argomentativa. Proprio la modalità di effettuazione del computo del QRI in relazione alle annate lattiere successive a quella 1995/1996 è stata oggetto nello specifico di analitica ricostruzione da parte di questo Consiglio, dalle cui risultanze in termini di correttezza non si ravvisano motivi per discostarsi (cfr. ex plurimis, Cons. Stato, Sez. III, 15 ottobre 2014, n. 5150). È stato in particolare affermato che «il QRI non si può adesso, né si poté dire allora sconosciuto per nessuno dei produttori e per tutto il tempo intercorrente tra l’entrata in vigore del regol. n. 3950 e la definizione dei QRI per le annate lattiere dal 1995/96 in poi, fossero costoro aderenti o no ad una delle associazioni di categoria». Invero, infatti, essi ne ebbero buona e seria consapevolezza, almeno in relazione alla loro produzione “storica”, secondo l’art. 4 del Regolamento n. 3950/92/CE, con riguardo al quantitativo disponibile in azienda al 31 marzo 1993, poi al 31 marzo 1994 e via via con le proroghe fino al 2000, oltre che sulla scorta del rispettivo patrimonio bovino a disposizione. «Questo, ad avviso non del Collegio, ma della giurisprudenza più volte citata ed enfatizzata dall’appellante (cfr. C. giust. CE, 25 marzo 2004, cause riunite nn. 480/2000 e ss., parr. nn. 46/51 e 65/70), se non rende irrilevante, certo fa sbiadire la violazione del principio di tutela del legittimo affidamento» (Cons. Stato, n. 5150/2014, cit.;sulla presunzione di conoscenza del dato generata dalla sua ‘storicizzazione’, cfr. anche Cons. Stato, sez. III, 15 ottobre 2014 n. 5141, nonché id., 15 ottobre 2014, n. 5149). Le riconosciute difficoltà, per le autorità competenti, di ricostruire tempestivamente le quote individuali applicabili ed i quantitativi effettivamente prodotti, trattandosi di grandezze necessariamente influenzate da variabili quali la verifica sulla veridicità delle dichiarazioni e le frequenti cessioni di quote da un produttore ad un altro, che per loro natura tendono a protrarsi in un arco di tempo più esteso rispetto all'esercizio di riferimento, richiedono di accettare correttivi, tra i quali la possibilità di imposizioni retroattive, onde non frustrare nei fatti gravemente l'effettività dell'intero sistema. La possibile erroneità del dato di partenza, dunque, peraltro falsato proprio per lo più dalla certificazione da parte dei produttori, e finanche da fenomeni truffaldini, non può non imporre comunque la ricerca di metodiche anche induttive funzionali a determinare il dato richiesto, ferma restando una rigorosa azione di accertamento delle responsabilità dei singoli che a vario titolo hanno ostacolato il corretto funzionamento del sistema. In ordine al taglio della quota B), la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che solo la diminuzione del quantitativo di latte imputabile alla quota A) deve essere adeguatamente giustificata (Cons. Stato, sez. VI, n. 3847/2009), ferma restando la ritenuta legittimità del sistema della bipartizione in quote. Riguardo al d.m. 17 febbraio 1998, con il quale sono state disciplinate le modalità di applicazione delle disposizioni normative primarie in materia di quote latte, a tutto concedere alla tesi dell’appellante, il Collegio ha già avuto modo di evidenziare il carattere della generalità di analogo provvedimento (d.m. 19 aprile 2001), ma non anche quello dell’astrattezza. Il decreto, infatti, in quanto attuativo delle previsioni dell’art. 2, comma 10, del citato d.l. n.411/97, nel disciplinare «le modalità per l’istruttoria dei ricorsi di riesame e le altre modalità di applicazione», detta una disciplina provvisoria espressamente riferibile solo alla rideterminazione delle quote latte per i periodi 1995-1996 e 1996-1997, sicché non ha attitudine all’applicazione ripetuta;esso va pertanto considerato quale atto sì generale, ma non normativo di natura regolamentare, sicché non può configurarsi rispetto allo stesso la violazione dell’art. 17 della l. n.400 del 1988 (cfr. sul punto Cons. Stato, sez. VI, 28 giugno 2007, n. 3777;T.A.R. per il Lazio, n. 6184/2011 con riguardo al precedente, analogo d.m. 17 febbraio 1999). L’art. 2, comma 10, del citato d.l. n.411 del 1997, inoltre, non attribuisce al decreto in questione solo l’obiettivo di disciplinare le modalità per l’istruttoria dei ricorsi per il riesame, ma anche quello di stabilire «le altre modalità di applicazione» dello stesso, sicché, contrariamente a quanto dedotto dall’appellante, non gli era precluso dettare previsioni attuative di criteri e modalità di determinazione delle quote latte spettanti nei vari connessi livelli di accertamento. D’altra parte, l’assunto del motivo di appello, qui in esame, non specifica in quali parti e con riferimento a quali previsioni legali detto decreto avrebbe ampliato la sfera delle limitazioni contenute nel decreto-legge, risultando la censura del tutto generica ed indeterminata. Esso, peraltro, è passato indenne al vaglio della Corte Costituzionale in sede di conflitto di attribuzione conseguito proprio alla sua adozione (v. Corte Cost., n. 324/2005).
In ordine al mancato coinvolgimento delle Regioni nell’assegnazione delle quote ai produttori dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 520 del 1995, oltre a richiamare le considerazioni già svolte dalla giurisprudenza di questo Consiglio, il Collegio rileva che il più volte citato d.l. 1 dicembre 1997, n. 411, convertito in legge 28 gennaio 1998, n. 5 (art. 2), nel disciplinare la procedura di accertamento della produzione di latte a partire dalle annate 1995/96 e 1996/97 (finalizzata poi all’assegnazione individuale delle relative quote - QRI), ha previsto il pieno coinvolgimento delle Regioni e delle Province autonome in tale fase di accertamento, come dimostra il ruolo centrale dalle stesse rivestito nella fase istruttoria e decisoria dei ricorsi per il riesame sull’accertamento della produzione e sull’assegnazione dei QRI presentati dalle aziende produttrici sulla base della normativa da ultimo citata. Invero, come risulta dal contenuto dei decreti ministeriali 17 febbraio 1998, 15 luglio 1999 n. 309 e 10 agosto 1999 n. 310, adottati in attuazione del citato d.l. n. 411 del 1997 e del d.l. n. 43 del 1999, le Regioni e le Province autonome sono gli enti a cui sono stati totalmente demandati, in sede di riesame, l’accertamento della produzione commercializzata dalle ditte interessate e l’indicazione dell’ammontare delle QRI alle stesse assegnate. Ne deriva che le nuove modalità di accertamento della produzione e di individuazione delle QRI da assegnare ai produttori rispettano i dettami espressi dalla Corte Costituzionale n. 520 del 1995 sul coinvolgimento degli enti territoriali nella procedura di assegnazione delle QRI.
8. Non risulta invece conforme a normativa comunitaria la fase di determinazione del prelievo supplementare a seguito dell’avvenuta compensazione nazionale, in quanto la normativa nazionale applicata impatta inevitabilmente con i principi di recente affermati dalla Corte di Giustizia U.E. (sez. VII, 27 giugno 2019) in esito a quesito formulato da questo Consiglio di Stato (ordinanza n. 3074 del 2018). Nello specifico, il meccanismo di compensazione basato su categorie prioritarie, cui si riferisce il richiamato art. 1, comma 8, del d.l. n. 43 del 1° marzo 1999, convertito, con modificazioni, dalla l. 118/1999, si pone in palese contrasto con l’art. 2 del Reg. n. 3950/1992.
9. La Corte di Giustizia infatti ha riconosciuto che, sebbene, il regolamento lasciasse agli Stati Membri la scelta se procedere o meno ad una riassegnazione della parte inutilizzata del quantitativo di riferimento complessivo a favore dei produttori che avevano effettuato delle consegne eccedentarie, ciò non comportasse una libertà dello stesso nell’individuazione delle modalità con cui procedere alle riassegnazioni, che con riguardo al periodo fino al 2001 doveva essere effettuata in modo proporzionale e non secondo criteri di priorità fissati dallo stato membro.
10. La Corte ha affermato (ai paragrafi 35-37) quanto di seguito testualmente si riporta:«[…] risulta dall’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 3950/92, nonché dall’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento n. 536/93 che lo Stato membro dispone della facoltà di procedere alla riassegnazione dei quantitativi di riferimento inutilizzati alla fine del periodo, o a livello nazionale, direttamente ai produttori interessati, o a livello degli acquirenti affinché detti quantitativi vengano ripartiti tra i produttori in questione. Tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto dal governo italiano, l’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 3950/92, pur concedendo agli Stati membri la facoltà di riassegnare i quantitativi di riferimento inutilizzati alla fine del periodo, non li autorizza a decidere in base a quali criteri tale riassegnazione debba essere effettuata. Infatti, risulta dalla formulazione stessa della disposizione suddetta che, qualora uno Stato membro decida di procedere alla riassegnazione dei quantitativi di riferimento inutilizzati, tali quantitativi vengono ripartiti in modo “proporzionale ai quantitativi di riferimento a disposizione di ciascun produttore».
11 E’ stata in tal modo smentita la tesi prospettata dallo Stato italiano circa l’indifferenza dell’utilizzazione di altri criteri rispetto ai principi europei di proporzionalità, di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento, sottolineando (ai paragrafi da 38 a 46 della sentenza) quanto segue: «L’argomento del governo italiano, secondo cui la disposizione summenzionata non stabiliva nulla circa i criteri della riassegnazione stessa e menzionava il criterio proporzionale soltanto ai fini di regolare i calcoli che l’acquirente avrebbe dovuto operare qualora fosse spettato a lui applicare il prelievo a carico dei produttori, è espressamente contraddetto dalla giurisprudenza della Corte. Infatti, la Corte ha già statuito che risulta chiaramente da tutte le versioni linguistiche dell’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 3950/92 che è senz’altro la ripartizione dei quantitativi di riferimento inutilizzati, vale a dire la riassegnazione di tali quantitativi, a dover essere effettuata in modo “proporzionale ai quantitativi di riferimento a disposizione di ciascun produttore” e che il contributo dei produttori al pagamento del prelievo dovuto è, quanto ad esso, stabilito in base al superamento del quantitativo di riferimento di cui dispone ciascun produttore (sentenza del 5 maggio 2011, Kurt und Thomas Etling e a., C-230/09 e C-231/09, EU:C:2011:271, punto 64)».
12. Dalle statuizioni della Corte di Giustizia discende dunque che il meccanismo di “compensazione-riassegnazione” applicato dall’Amministrazione italiana è stato alterato dall’utilizzazione di un criterio normativo nazionale non conforme al dettato europeo.
13. Nel caso di specie, tuttavia, l’Azienda appellante non ha invocato specificamente tale motivo di doglianza, chiedendo la rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea dell’intero sistema avuto riguardo in particolare alle disattese esigenze di certezza del diritto asseritamente correlate alle modalità di ricostruzione dei dati nonché alla retroattiva assegnazione dei QRI.
14.Si pone pertanto la questione se sia possibile nel presente giudizio procedere a una disapplicazione ex officio per non essere stato formulato uno specifico motivo di appello volto a lamentare l’illegittimità de iure communitario delle richiamate disposizioni nazionali sotto il profilo specificamente evidenziato e a chiederne conseguentemente la disapplicazione. Ciò avuto riguardo anche al necessario principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 cod. proc. civ.
15. Anche di tale aspetto, con specifico riferimento al sistema delle quote latte, la Sezione ha già avuto modo di occuparsi (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. II, 14 gennaio 2020, n. 360).
Come affermato, infatti, dall’Adunanza Plenaria nella decisione n. 9 del 25 giugno 2018, in caso di norme in contrasto con il diritto eurounitario, non risulta predicabile alcuna preclusione per il Giudice amministrativo nel rilevare la non applicabilità della disposizione. Anche la giurisprudenza costituzionale ha ammesso la disapplicazione ex officio della norma interna in contrasto con il diritto UE, conformemente – del resto – a consolidati orientamenti della Corte di giustizia dell’UE medesima. Ne consegue che il problema dei limiti alla disapplicazione officiosa della regolamentazione interna illegittima risulta al più confinato alle ipotesi - che qui, per quanto ampiamente esposto sopra, non ricorrono - in cui il profilo di illegittimità derivi da profili diversi dal contrasto con il diritto UE (cfr. Corte Cost. 10 novembre 1994, n. 384).
16. In definitiva, «la piena applicazione del principio di primauté del diritto eurounitario comporta che, laddove una norma interna (anche di rango regolamentare) risulti in contrasto con tale diritto, e laddove non risulti possibile un’interpretazione di carattere conformativo, resti comunque preclusa al Giudice nazionale la possibilità di fare applicazione di tale norma interna» (cfr. Cons. Stato, A.P. n. 8/2018, cit. supra).
17. Va precisato che, contrariamente a quanto dedotto dalla Azienda appellante, la violazione del diritto comunitario implica soltanto un vizio di legittimità con conseguente annullabilità dell’atto amministrativo, in quanto l’art. 21 septies l. 241/90 ha codificato in numero chiuso le ipotesi di nullità del provvedimento, senza includervi la violazione del diritto comunitario, salva l’ipotesi in cui ad essere in contrasto con il precetto del diritto dell’unione europea sia la norma attributiva del potere, e non – come nel caso in esame – le modalità di applicazione di essa
18. I princìpi appena richiamati risultano tanto più pregnanti nelle ipotesi in cui - come nel caso in esame - non solo il Giudice nazionale debba astenersi dal dare applicazione nell’ordinamento interno a una disposizione in contrasto con il diritto UE, ma per di più possa (e anzi, debba) riconoscere diretta applicazione a una disposizione i cui contenuti sono stati chiariti dalla Corte di Giustizia nel senso del non ammettere, ove si opti per la compensazione nazionale nell’accezione esplicitata ai paragrafi precedenti, la postergazione, o per meglio dire, la preferenza di taluni imprenditori rispetto ad altri.
19. Le considerazioni sin qui esposte rivestono valenza assorbente rispetto agli ulteriori motivi di impugnazione dedotti dall’appellante.
In dipendenza di tutto quanto detto e in riforma della sentenza qui impugnata, la disciplina della compensazione nazionale contenuta nell’art. 1, del d.l. 1°marzo 1999, n. 43, convertito, con modificazioni, dalla l. 27 aprile 1999, n. 118, va pertanto disapplicata agli effetti della risoluzione della presente controversia, e - conseguentemente – i provvedimenti impugnati in primo grado devono essere annullati in parte qua, salve e riservate restando le ulteriori determinazioni di competenza dell’Amministrazione appellata.
20. Le difficoltà interpretative della disciplina nazionale e comunitaria, nonché l’oscillamento giurisprudenziale e la complessità della materia costituiscono giusto motivo per compensare le spese del doppio grado di giudizio.