Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2016-03-31, n. 201601262

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2016-03-31, n. 201601262
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201601262
Data del deposito : 31 marzo 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 09935/2015 REG.RIC.

N. 01262/2016REG.PROV.COLL.

N. 09935/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9935 del 2015, proposto dalla s.r.l. Mediofactor, in persona del legale rappresentante pro-tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato Fabio D'Aniello, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale dei Parioli, n. 67;

contro

L’Azienda Sanitaria Locale Napoli 1 Centro, in persona del Direttore generale pro-tempore ;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per la Campania, sede di Napoli, sezione IV, n. 2754 del 15 maggio 2015.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 25 febbraio 2016 il Cons. Paola Alba Aurora Puliatti e nessuno presente per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.- Con ricorso r.g.n. 4971/2011, la s.r.l. Mediafactor chiedeva al T.a.r. per la Campania, sede di Napoli, l’ottemperanza ai decreti ingiuntivi nn. 3988/10, 11255/09, 9267/09, 10419/09, 9271/09, 11137/09, 9890/09 con cui il Tribunale di Napoli aveva condannato l’ASL Napoli 1 al pagamento in suo favore di complessivi euro 74.892,89, quale compenso per prestazioni effettuate per conto del servizio sanitario.

2.- All’udienza del 14 maggio 2014, la difesa di parte ricorrente dichiarava che la propria pretesa era stata soddisfatta, con conseguente cessazione della materia del contendere, e insisteva solo per le spese del giudizio.

3.- La sentenza in epigrafe dichiarava la cessazione della materia del contendere e condannava l’ASL Napoli 1 al pagamento delle spese di lite nella misura di euro 750,00 oltre spese ed accessori di legge, nonché alla restituzione del contributo unificato nella misura effettivamente versata.

4.- Con l’appello in esame, la società deduce di aver depositato nel corso del giudizio di primo grado la nota spese, redatta secondo le tabelle professionali, per un importo di euro 15.358.93;
di aver depositato, su richiesta del giudice, n.7 certificati di non proposta opposizione avverso i decreti ingiuntivi, versando euro 112 di marche da bollo all’ufficio cronologico del Tribunale di Napoli, e di aver partecipato a quattro camere di consiglio.

4.1.- L’appellante lamenta l’erroneità del criterio di determinazione delle spese di giudizio, in contrasto col DM n. 55/2014, anche con riferimento all’art. 14 c.p.c.;
il difetto di motivazione, perché il primo giudice non ha tenuto conto che il valore della causa supera 75.000 euro e, pertanto, andrebbe applicato lo scaglione di riferimento (compreso tra 52.000 e 260.000 euro);
la mancata valutazione dell’attività professionale del difensore, con conseguente vantaggio economico per la parte che ha perpetrato il ritardato pagamento.

4.2.- La società ha aggiunto che, sebbene il potere del giudice ex art. 91 c.p.c. di liquidare le spese sia discrezionale, esso deve essere ancorato al principio di cui all’art. 2233, comma secondo, c.c., ovvero il compenso deve essere proporzionale all’importanza dell’opera professionale e al valore economico della controversia.

4.3.- L’appelante, infine, lamenta la violazione dell’art. 93 c.p.c. e la carenza di motivazione, avendo il difensore fatto richiesta che le spese gli fossero attribuite, avendole anticipate.

5.- Il Collegio ritiene che l’appello vada accolto, con le precisazioni che seguono.

5.1- In materia di spese, vige la regola generale della condanna alle spese del giudizio della parte soccombente, ex art. 91 c.p.c., applicabile nel processo amministrativo per espresso rinvio dell’art. 26, comma 1, c.p.a..

5.2.- Qualora, come nella fattispecie, sopravvenga nel corso del giudizio il comportamento o il provvedimento integralmente satisfattivo delle ragioni dell’istante, con conseguente dichiarazione di cessazione della materia del contendere, il giudice, in mancanza di un espresso accordo delle parti sulla compensazione delle spese, non può esimersi dal verificare, alla stregua del criterio della soccombenza virtuale, le ragioni della parte che abbia visto soddisfatta la sua pretesa solo dopo l'introduzione del giudizio (Consiglio di Stato, sez. V, 7 luglio 2015, n. 3348).

5.3.- La giurisprudenza consolidata ritiene che la sindacabilità in appello della condanna alle spese comminata in primo grado, in quanto espressiva della discrezionalità di cui dispone il giudice in ogni fase del processo, è limitata solo all’ipotesi in cui venga modificata la decisione principale, salvo la manifesta abnormità ( ex multis , cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 28 ottobre 2015, n. 4936;
Consiglio di Stato, sez. III, 21 ottobre 2015, n. 4808).

5.4.- Ritiene il Collegio che sussiste quest’ultima evenienza di “abnormità” della decisione, sicché la liquidazione delle spese può ritenersi illogica, se ed in quanto l'ammontare delle singole partite computate (spese per atti del procedimento, onorari e diritti) sia sproporzionato rispetto alle spese documentate o in relazione all’impegno professionale profuso, secondo un criterio di proporzionalità e ragionevolezza che si desume dall’art. 2233, comma secondo, c.c..

5.5.- Quanto alla misura delle spese, secondo una prassi consolidata del giudice amministrativo di procedere alla liquidazione di spese e onorari in misura forfetaria, senza pedissequamente attenersi ai limiti minimi/massimi della tariffa professionale, in applicazione di criteri di equità solitamente non esplicitati in sentenza (prassi cui si è adeguata anche quella degli avvocati di non allegare la nota degli onorari e delle spese con riferimento alle singole voci della tabella), va rilevato che solitamente i criteri di liquidazione vengono rinvenuti non tanto nel raffronto fra la tariffa professionale e il valore economico della causa, quanto piuttosto in circostanze eterogenee, intrinseche all'intero giudizio, variabili di volta in volta, quali la maggiore o minore complessità delle questioni affrontate, l'applicazione di precetti giurisprudenziali consolidati, la natura della pretesa di cui si chiede l'affermazione, il comportamento tenuto dall'amministrazione nel caso concreto, etc. (Consiglio di Stato, sez. V, 5 luglio 2013, n. 3587).

5.6.- Orbene, nel caso in esame, facendo applicazione dei richiamati consolidati principi, la misura delle spese liquidate in primo grado appare eccessivamente ridotta, perché non proporzionata all’attività svolta dal difensore, che, per quanto non comportante la soluzione di questioni giuridiche complesse o la redazione di atti difensivi di particolare impegno (trattandosi della proposizione di un ricorso per l’esecuzione di decreti ingiuntivi), ha pur sempre richiesto lo studio preliminare della questione, la redazione del ricorso, vari adempimenti di segreteria e la partecipazione a quattro camere di consiglio.

6.- Ritiene, pertanto, il Collegio che non possa accogliersi la domanda di liquidazione dell’importo recato dalla nota spese, redatta dal difensore in applicazione rigorosa del criterio di corrispondenza dell’attività professionale al valore economico della causa;
tuttavia, in considerazione dell’attività professionale svolta, di non particolare complessità, il capo di sentenza impugnato vada riformato e, conseguentemente, l’amministrazione deve essere condannata alle spese di entrambi i gradi di giudizio nella misura di euro 5.000,00 oltre accessori di legge (15% a titolo di rimborso spese generali, i.v.a. e c.p.a.), nonché alla refusione del contributo unificato versato per il primo e il secondo grado, distraendo le somme in favore del difensore che ne ha fatto istanza, ai sensi dell’art. 93 c.p.c.

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