Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-06-20, n. 201803782

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-06-20, n. 201803782
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201803782
Data del deposito : 20 giugno 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/06/2018

N. 03782/2018REG.PROV.COLL.

N. 08122/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8122 del 2017, proposto da:
Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato A B, con domicilio eletto presso lo studio Emiliano Benzi in Roma, viale dell'Università, 11;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LIGURIA – GENOVA, SEZIONE I, n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente rimpatrio con foglio di via obbligatorio da alcuni Comuni della Liguria;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 maggio 2018 il Cons. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti l’avvocato Arturo Salerni su delega di A B e l'avvocato dello Stato Tito Varrone;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La controversia origina dal provvedimento di allontanamento dal Comune di Ventimiglia, con diffida dal fare ritorno in detto Comune ed in altri Comuni viciniori del Ponente ligure senza preventiva autorizzazione (foglio di via obbligatorio) per un periodo di anni tre, adottato dalla Questura di Imperia in data 5 agosto 2016 nei confronti dell’odierno appellato.

2. Il provvedimento si inserisce nell’ambito delle iniziative di prevenzione e contrasto delle attività del c.d. presidio (o movimento) “no borders”, costituitosi nel mese di giugno del 2015 a sostegno della protesta dei migranti respinti dalla Francia nei dintorni della frontiera di Ventimiglia.

Gli aderenti a detto presidio, nella primavera-estate del 2016, avrebbero organizzato o partecipato anche in maniera estemporanea a manifestazioni e cortei non autorizzati e blocchi stradali, coinvolgendo in tali attività i migranti ed inducendoli a parteciparvi in gruppo suscitando in loro timori di attività falsamente definite come persecutorie da parte delle Forze di Polizia.

3. Il TAR Liguria, con la sentenza appellata (I, n. -OMISSIS-), ha accolto il ricorso, annullando il provvedimento, per difetto di motivazione sulla sussistenza dei presupposti richiesti dagli artt.

1-2 del d.lgs. 159/2011 (oltre che per sproporzione nell’estensione territoriale del divieto e per immotivata carenza della comunicazione di avvio procedimentale).

Il TAR ha in particolare ritenuto che nessun comportamento pericoloso o di rilievo fosse stato dimostrato a carico del ricorrente rispetto agli episodi avvenuti in Ventimiglia (quantomeno in termini diversi rispetto all’esercizio di attività connesse alla libertà di manifestare il pensiero e di associarsi), peraltro in mancanza di (documentati) precedenti penali – essendo viceversa necessario che la pericolosità sia argomentata sulla base di elementi di fatto che, sia pure sulla base di indizi e presunzioni, valgano a rendere conto dell'obiettiva proclività del soggetto a porre in essere comportamenti delittuosi che, per le loro caratteristiche obiettive, assumono piena valenza sintomatica della condizione, concreta e attuale, di antisocialità.

4. La sentenza è appellata dal Ministero dell’interno.

Nell’appello, dopo una ricostruzione puntuale delle vicende (tuttavia, in massima parte riferita alle attività dei “no borders” complessivamente considerate, e con alcune considerazioni sulla condotta dell’appellato che integrano quanto riportato nel provvedimento), si prospetta che:

(a) – in realtà, sussistono i presupposti per applicare l’art. 2 del d.lgs. 159/2011, alla luce dei comportamenti dell’appellato, del “complesso contesto degli attivisti “no borders” nel quale … abitualmente opera” e dei precedenti penali o di polizia che su di esso gravano;

(b) - non si tratta di un episodio isolato, ma di ripetuti gravi comportamenti chiaramente sintomatici di pericolosità sociale;

(c) – il foglio di via obbligatorio, nonostante sia esteso anche ad altri Comuni viciniori a Ventimiglia, è adeguato e proporzionato, alla luce dell’estensione territoriale dei fatti delittuosi posti in essere;

(d) – non era necessaria la comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di provvedimento di natura cautelare ed urgente (e non rileva dunque che le ragioni dell’omissione non siano state indicate – cfr. Cons. Stato, III, n. 3451/2011 e VI n. 3079/2008);

In sintesi, il TAR avrebbe errato a ritenere che gli elementi disponibili componessero un quadro soggettivo non riconducibile a quello dell’individuo socialmente pericoloso, ai sensi dell’art. 1, lettera c), del d.lgs. 159/2011.

5. Con memoria finale, l’appellato sottolinea che l’Amministrazione non ha dimostrato neanche in giudizio i fatti contestati e che, secondo la sentenza CEDU in data 27 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia, l’art. 1 della legge 1423/1956 è contrario all’art. 2, comma 3, del Protocollo n. 4 della CEDU, a causa dell’imprevedibilità della norma, non essendo definiti con sufficiente precisione e chiarezza le persone alle quali sono applicabili le misure di prevenzione, ed alla stessa conclusione non può sottrarsi l’omologa previsione dell’art. 1 del d.lgs. 159/2011 (cfr. opinione dissenziente giudice Pinto De Albuquerque).

6. Ad avviso del Collegio, l’appello non riesce a mettere in discussione le valutazioni del TAR concernenti la mancanza di un’adeguata motivazione in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’adozione del foglio di via obbligatorio.

6.1. Il Collegio ritiene di poter al riguardo richiamare i precedenti di questa Sezione (Cons. Stato, III, n. 4742/2017 e n.767/2018), che hanno confermato sentenze del TAR Liguria di accoglimento dei ricorsi proposti avverso alcuni provvedimenti analoghi, per contenuto e contesto di riferimento, a quello adottato nei confronti dell’appellato.

In particolare, in dette pronunce, sul piano dei principi e dell’individuazione dell’estensione del potere esercitato, è stato in sostanza affermato che:

- il combinato disposto degli artt. 1, comma 1, lett. c), e 2, del d.lgs. 159/2011 (nella formulazione antecedente alle integrazioni disposte dal d.l. 14/2017, applicabile ratione temporis ) richiede, ai fini dell’emissione del foglio di via obbligatorio, che il destinatario, “per il suo comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto … dedito alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica”;
appare, quindi, evidente che il provvedimento debba fondarsi necessariamente su circostanze concrete che, oltre ad essere provate, devono altresì potersi, se considerate nel complesso, ritenere significative e concludenti ai fini del giudizio di pericolosità sociale del destinatario del provvedimento;

- la sola adesione al presidio dei “no borders” non appare sufficiente per giustificare l’adozione del foglio di via obbligatorio, dal momento che, per l’adottabilità del provvedimento, sono richiesti elementi di fatto, attuali e concreti, in base ai quali può essere formulato un giudizio prognostico sulla probabilità che il soggetto commetta reati che offendono o mettono in pericolo la tranquillità e sicurezza pubblica;
diversamente, si finirebbe a fondare la misura sulla responsabilità collettiva per fatti addebitabili ad anonimi esponenti del movimento, il che non appare ammissibile;

- in particolare, assumono rilievo centrale, sul piano istruttorio e motivazionale, il profilo soggettivo, relativo alla “dedizione” del soggetto alla commissione di reati, e quello oggettivo, inerente alla attitudine offensiva dei medesimi reati nei confronti dei beni nominativamente individuati dal legislatore (ovvero, per quanto di interesse, quelli della “sicurezza” e della “tranquillità pubblica”);
la misura preventiva in questione si presenta, sul piano della sua tipizzazione normativa, fortemente caratterizzata in termini penalistici, nel senso che entrambi i predetti profili, soggettivo ed oggettivo, devono essere ricostruiti, da un lato, attingendo al vissuto criminale del soggetto interessato (nei suoi risvolti pregressi ed in quelli prognostici), dall’altro lato, analizzando il potenziale offensivo insito nelle condotte criminose alle quali il medesimo risulti essere dedito (il quale, come si è detto, deve essere connotato da una precisa direzionalità lesiva, quanto ai beni esposti a pregiudizio).

6.2. Anche la sentenza appellata risulta in linea con tali orientamenti.

Infatti, nel caso in esame, nei confronti dell’appellato viene contestato che:

- in data 5 agosto 2016 “veniva identificato … unitamente ad altri soggetti in zona -OMISSIS- in un estemporaneo presidio lì allestito da attivisti del movimento autodenominatosi “no borders”, del quale fa sicuramente parte, unitamente ad innumerevoli cittadini migranti lì stanziatisi nella giornata odierna e condotti in tale luogo dagli attivisti di cui sopra …”;

- a partire dal 2009 senza soluzione di continuità si sia reso responsabile più volte, in distinte situazioni, di reati contro il patrimonio, contro la persona, contro la pubblica amministrazione, contro la tutela dell’ordine pubblico … nonché sottoposto a misura cautelare, diversa dalla detenzione, sino al maggio del 2015”;

Su tale base, si conclude nel senso che l’appellato, nei Comuni oggetto del f.v.o. “non ha residenza né alcuna regolare occupazione lavorativa, analizzate le circostanze emerse in occasione della sua identificazione, valutati i precedenti sopra elencati, è da ritenersi dedita alla commissione di reati e pericolosa per la sicurezza pubblica, rientrando nell’ambito delle categorie di persone indicate dall’art. 1 lettera “c” ” del d.lgs. 159/2011.

Nell’appello (così come nella nota della Questura di Imperia nota prot. 18578 in data 12 dicembre 2016) vengono indicati i reati per i quali l’appellato è stato denunciato, nel periodo 2009-2015, e viene sottolineato che in data 5 marzo 2012 è stato sottoposto ad obbligo di dimora e divieto di allontanamento senza autorizzazione del GIP di Genova.

L’appellato ribatte che gran parte di queste denunce si sono risolte con assoluzioni, archiviazioni o proscioglimenti.

6.3. Va al riguardo considerato (sempre nel solco delle pronunce sopra richiamate) che:

- non risulta che l’appellato abbia riportato condanne penali;

- la mera menzione delle denunce che hanno riguardato l’appellato non è sufficiente a denotare la sua consolidata propensione alla commissione di reati, quale deve ritenersi insita nel concetto di “dedizione”;

- in ogni caso, dette denunce sono menzionate nel provvedimento impugnato in primo grado come del tutto avulse dal contesto generale (quello relativo al movimento ed alle proteste “no borders”) e dalle modalità, anche allarmanti sul piano della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica (come evidenziato in sede difensiva dall’Amministrazione), che lo hanno caratterizzato: sì che la stessa connessione logico-argomentativa tra la parte “storica” del provvedimento (intesa a descrivere le precedenti vicende giudiziarie che hanno coinvolto l’interessata) e quella “preventiva” (incentrata sull’esigenza di impedire alla suddetta l’ulteriore partecipazione alle manifestazioni organizzate dal movimento) si presenta inespressa e, quindi, sostanzialmente evanescente;

- le ulteriori considerazioni, invero pressoché limitate all’esplicitazione analitica di quanto indicato nel provvedimento, indicazioni contenute nell’appello costituiscono motivazione postuma, come tale non ammissibile, ma comunque non sono utili a condurre a diversa valutazione.

6.4. Occorre dunque concludere che, alla luce dei parametri suddetti, le circostanze e le argomentazioni riportate nel provvedimento impugnato non possono essere considerati sufficienti a giustificare il foglio di via obbligatorio.

Sarebbe stato quindi onere dell’Amministrazione enucleare ulteriori “elementi di fatto”, anche attinenti alle modalità di consumazione delle condotte criminose oggetto di denuncia ovvero al contesto in cui sono maturate, idonee a sostenere, sul piano motivazionale, la qualificazione dell’appellato come persona “dedita” alla commissione di (determinate tipologie di) reati;
ed operare in relazione ad essi una valutazione prognostica di pericolosità per i beni della sicurezza e della tranquillità pubblica, eventualmente insita nel comportamento pregresso dell’interessato, la quale possa essere disinnescata impedendole di accedere ai luoghi in cui essa si sia in precedenza manifestata.

Ma ciò, si ripete, non risulta avvenuto.

6.5. L’appello deve pertanto essere respinto.

Resta salvo il potere dell’Amministrazione di rinnovare l’esercizio del potere, previa valutazione di tutte le circostanze rilevanti, esternandone gli esiti nella motivazione del provvedimento conclusivo.

7. La peculiarità dell’oggetto della controversia giustifica la compensazione delle spese della fase di giudizio.

Infine, va accolta, ai sensi dell’art. 126, comma 3, del d.P.R. 115/2002, l’istanza dell’appellato di ammissione al patrocinio a spese dello Stato – con distrazione delle somme a favore del difensore dichiaratosi antistatario - sussistendone, per quanto esposto ed alla luce della documentazione reddituale presentata, i presupposti.

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