Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-06-03, n. 202003468

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-06-03, n. 202003468
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202003468
Data del deposito : 3 giugno 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/06/2020

N. 03468/2020REG.PROV.COLL.

N. 07383/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7383 del 2019, proposto dall’impresa Vodafone Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati P G B, M S e M P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

il Comune di Bolzano, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati G A, A M e B M G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
la Provincia autonoma di Bolzano, non costituita in giudizio nel presente grado;

per la riforma

della sentenza del Tribunale regionale di giustizia amministrativa - Sezione autonoma di Bolzano, n. 141/2019, resa tra le parti e concernente domanda di annullamento dei seguenti atti:

1) del provvedimento del 1° ottobre 2018 del Sindaco del Comune di Bolzano, con la quale lo stesso ha ordinato « il rilascio di parte del tetto e del garage nr. 27 (p.ed 508 in CC Gries), situati presso il compendio immobiliare di proprietà comunale sito in via Vittorio Veneto 5 a Bolzano e la liberazione degli stessi da persone e cose, anche interposte, consegnando le chiavi di tali spazi al responsabile dell’Ufficio Patrimonio o a un suo delegato, entro e non oltre il giorno 20 dicembre 2018 alle ore 09,30, presso l’immobile stesso »;

2) della deliberazione del consiglio comunale di Bolzano nr. 97 del 21 dicembre 2017 e della delibera della giunta provinciale nr. 1452 del 19 dicembre 2017;

3) della nota del Comune di Bolzano del 4 ottobre 2017 prot. 141296 a firma della direttrice dell’ufficio patrimonio;

4) della nota del Comune di Bolzano del 30 novembre 2017, a firma della direttrice dell’ufficio patrimonio, con la quale è stato comunicato che « in mancanza di un titolo, o anche solo di una trattativa in merito, il procedimento per il rilascio dell’immobile di proprietà comunale di via Vittorio Veneto 5, avviato con nota prot. 97506 del 19.07.2017, deve pertanto ritenersi confermato »;

5) della deliberazione del consiglio comunale di Bolzano n. 85 del 2 ottobre 2013 e ss.mm.ii. e del regolamento con la medesima approvato, se e nella parte in cui escluda l’applicazione del regime COSAP;

6) della delibera del consiglio comunale di Bolzano n. 18 del 7 febbraio 2012 e ss.mm.ii. e del regolamento con la medesima approvato, se e nella parte in cui esclude l’applicazione del regime COSAP;

7) dell’art. 9, comma 4, dell’allegato B del regolamento edilizio del Comune di Bolzano approvato con deliberazione consigliare n. 117/90959 del 5 dicembre 2006 e ss.mm.ii.;

di tutti gli atti presupposti, connessi e/o conseguenti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Bolzano;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 23 gennaio 2020, il consigliere B L e uditi, per le parti, gli avvocati A G e B P G;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale regionale di giustizia amministrativa - Sezione autonoma di Bolzano respingeva (in rito e nel merito) il ricorso n. 267 del 2018, proposto dall’impresa Vodafone Italia S.p.A. avverso l’ordinanza del 1° ottobre 2018 del Sindaco del Comune di Bolzano (e gli atti presupposti e connessi), con la quale le era stato ordinato il rilascio del bene oggetto della concessione-contratto del 19 dicembre 2011 intercorsa tra le parti, costituito da parte del tetto e dal garage nr. 27 dell’immobile tavolarmente identificato dalla p.ed. 508 in C.C. Gries e sito in Bolzano, via Vittorio Veneto n. 5, appartenente al patrimonio indisponibile del Comune, concesso in uso alla ricorrente allo scopo di installarvi un impianto di telefonia mobile, per la durata di anni sei (con decorrenza dal 15 marzo 2011 e scadenza al 14 marzo 2017) e verso un canone annuo di euro 18.018,63.

Il provvedimento di rilascio era fondato sui centrali rilievi che l’immobile, appartenente al patrimonio indisponibile del Comune, sin dal 15 marzo 2017 era occupato senza titolo dalla ricorrente, la quale peraltro al 31 agosto 2018 versava in una situazione di morosità per il mancato pagamento del canone per un importo di euro 5.909,08, e che il Comune aveva urgente necessità di rientrare nel possesso dell’immobile.

In particolare, il TRGA adìto provvedeva come segue:

(i) respingeva l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla presente controversia, versandosi in fattispecie di esercizio del potere di autotutela esecutiva, da parte dell’amministrazione, di un bene del patrimonio indisponibile, cui si contrapponeva una posizione di interesse legittimo del privato, con la conseguente sussistenza della giurisdizione amministrativa in applicazione del criterio generale di riparto;

(ii) dichiarava inammissibili sia la domanda di accertamento del diritto della ricorrente alla concessione in uso degli immobili di cui è causa ex artt. 88 e 93 del d.lgs. n. 259/2003, ritenendo che nel processo amministrativo l’azione di mero accertamento fosse esercitabile solamente nei casi tipicamente definiti dal legislatore o enucleabili dal contesto della disciplina di tutela, nel caso di specie non ravvisabili, sia la domanda di annullamento delle (asserite) presupposte norme regolamentari comunali, per genericità e inconcludenza, non disciplinando le stesse la gestione del patrimonio comunale;

(iii) affermava la legittimità dell’ordinanza di rilascio in relazione alle motivazioni postevi a fondamento, emanata nell’esercizio della potestà di autotutela ex art. 823 cod. civ., escludendo la configurabilità di un diritto di insistenza del concessionario uscente, il quale, in sede di eventuale rinnovo, era posto su un piano di parità con gli altri operatori del settore eventualmente interessati a una nuova concessione, sicché l’intervenuta scadenza del rapporto di concessione doveva ritenersi autonomamente sufficiente a sorreggere l’ordinanza di rilascia, mentre nessuna influenza sul presente giudizio poteva attribuirsi all’esito del separato giudizio pendente tra le parti in ordine alla legittimità, o meno, del diniego di rinnovo.

2. Avverso tale sentenza interponeva appello l’originaria ricorrente, deducendo i motivi come di seguito rubricati:

a) « Violazione e falsa applicazione degli artt. 31, 34 e 133 c.p.a.. Travisamento dei presupposti. Erroneità della motivazione », con la conseguente erronea declaratoria di inammissibilità della domanda di accertamento del diritto della ricorrente alla concessione in uso degli immobili in questione ai sensi degli artt. 88 e 93 d.lgs. n. 259/2003;

b) « Violazione degli artt. 7 e 88 c.p.a.. Falsità ed erroneità della motivazione. Travisamento dei presupposti di fatto e diritto. Illogicità e contraddittorietà. Violazione dei principi generali dell’ordinamento in materia di autotutela, ragionevolezza e buon andamento », con la conseguente erronea esclusione dell’incidenza dell’esito del separato giudizio instaurato avverso il diniego comunale di rinnovo del 30 novembre 2017 sul presente giudizio;

c) « Violazione degli artt. 7, 31, 34 e 88 c.p.a.. Travisamento dei presupposti di fatto e diritto. Falsità e/o erroneità della motivazione. Contraddittorietà », essendosi il TRGA illegittimamente sostituito all’amministrazione comunale nell’individuazione di una presunta ragione impeditiva alla rinnovazione del rapporto concessorio (necessità di avviare una procedura competitiva di evidenza pubblica), mai addotta dal Comune, il quale per contro nelle note del 4 ottobre 2017 e del 30 novembre 2017 aveva acconsentito alla stipula di una nuova convenzione (per due anni e, rispettivamente, per diciotto mesi) alla sola condizione che Vodafone accettasse di corrispondere un canone annuo di euro 18.000,00;

d) « Violazione degli artt. 7 e 88 c.p.a.. Falsità e/o erroneità della motivazione. Travisamento dei presupposti di fatto e diritto. Violazione degli artt. 4, 25, 86, 89 e 93 D.Lgs. 259/2003 », con la conseguente erronea esclusione del diritto al rinnovo della concessione;

e) « Violazione degli artt. 7 e 88 c.p.a., 112 c.p.c.. Falsità e/o erroneità della motivazione. Travisamento dei presupposti di fatto e di diritto. Illogicità e contraddittorietà », con la conseguente erronea esclusione dei dedotti vizi di carenza di motivazione dell’ordinanza di rilascio, rispettivamente per omessa pronuncia sulla dedotta illegittimità della motivazione provvedimentale incentrata sull’urgenza di rientrare in possesso dell’immobile, a fronte della compatibilità del mantenimento dell’impianto con gli obiettivi di uso pubblico prospettati dal Comune;

f) « Violazione degli artt. 7 e 88 c.p.a.. Falsità e/o erroneità della motivazione. Violazione dell’art. 115 c.p.c.. Travisamento dei presupposti di fatto e di diritto. Illogicità e contraddittorietà », con riferimento all’interpretazione della deliberazione del consiglio comunale relativa alla cessione dell’immobile in questione alla Provincia;

g) « Violazione degli artt. 7 e 88 c.p.a., 112 c.p.c.. Falsità e/o erroneità della motivazione. Travisamento dei presupposti. Illogicità ed irragionevolezza », con la conseguente erronea reiezione dell’ottavo motivo del ricorso di primo grado ed esclusione di un onere motivazionale nella determinazione del termine per il rilascio dell’immobile;

h) « Violazione degli artt. 7 e 88 c.p.a., 112 c.p.c.. Falsità e/o erroneità della motivazione », con il conseguente erroneo omesso esame delle censure di invalidità derivata in relazione al diniego di rinnovo impugnato con il separato ricorso n. 287 del 2017: a proposito, l’appellante riproponeva espressamente i relativi motivi.

La società appellante chiedeva pertanto, previa sospensione della provvisoria esecutorietà dell’impugnata sentenza e in sua riforma, l’accoglimento del ricorso di primo grado.

3. Si costituiva in giudizio il Comune appellato, contestando la fondatezza dell’appello e chiedendone la reiezione.

4. All’udienza pubblica del 23 gennaio 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.

5. Premesso che non risulta impugnata la statuizione sub 1.(i), affermativa della giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere della presente controversia, con la conseguenza che ogni relativa questione è ormai coperta da giudicato interno ed esula dai limiti oggettivi del devolutum , si osserva nel merito che l’appello è infondato.

5.1. Le censure di natura processuale dedotte con i motivi d’appello sub 2.a), 2.b), 2.c) e 2.h) devono, ormai, ritenersi superate dalla sentenza emanata da questo Collegio nella separata causa d’appello sub r.g. n. 6881/2019, promossa avverso la precedente sentenza n. 124/2019 del TRGA e pure trattenuta in decisone all’odierna udienza, vertente sulla legittimità, o meno, del diniego di rinnovo della concessione-contratto in questione comunicato con la nota comunale del 30 novembre 2017 e della clausola di determinazione del canone, avendo questo Collegio, con la sentenza pronunciata nel giudizio parallelo (che, secondo l’assunto dell’odierna appellante, assumerebbe natura pregiudiziale rispetto al presente giudizio), ormai acclarato che:

- il menzionato diniego di rinnovo si fondava sul duplice rilievo che non era stato raggiunto alcun accordo sull’ammontare del canone e che, a fronte della necessità di eseguire « importanti lavori di ristrutturazione » (anche in relazione agli accordi di cessione dell’immobile intercorsi con la Provincia), comunque sarebbe stato possibile il rinnovo per un periodo massimo di diciotto mesi;

- il TRGA, con la sentenza n. 124/2019, aveva correttamente respinto la domanda di accertamento del diritto di Vodafone Italia a conseguire il rinnovo della concessione, in quanto, a fronte dell’intervenuta scadenza del rapporto concessorio costituito nel 2011, per decorso della durata ivi stabilita, non era configurabile un diritto di insistenza del concessionario uscente, privo di base legale e, in ogni caso, in contrasto con i principi generali di imparzialità, trasparenza e parità di trattamento di derivazione europea che impongono all’amministrazione concedente di beni pubblici di porre in essere una procedura di evidenza pubblica, sicché il concessionario di un bene demaniale non può vantare alcuna aspettativa al rinnovo del rapporto, essendo lo stesso, in sede di rinnovo, posto sullo stesso piano di qualsiasi altro soggetto richiedente lo stesso titolo;

- alla luce dell’intervenuta scadenza del rapporto di concessione, doveva ritenersi sufficiente la motivazione del diniego, fondata sul mancato raggiungimento di un nuovo accordo sulle condizioni economiche di un eventuale rinnovo (peraltro, per una durata alquanto ridotta rispetto alle richieste di Vodafone);

- non si verte in fattispecie di messa a disposizione, da parte del Comune, di opere e impianti infrastrutturali, bensì di concessione in uso di un garage e di una parte della copertura dell’edificio, acquisibili anche sul libero mercato, con conseguente inapplicabilità dell’art. 88, comma 6, d.lgs. n. 259/2003 (e, quindi, inconfigurabilità dell’interruzione di un servizio di pubblica utilità);

- l’art. 93 d.lgs. n. 295/2003, laddove per l’esecuzione delle opere di cui al Codice delle comunicazioni elettroniche o per l’esercizio dei relativi servizi di comunicazione ha sancito per gli enti territoriali il divieto d’imporre qualsiasi « altro onere finanziario, reale o contributo », diversi dalla TOSAP o, alternativamente, COSAP, e dal contributo una tantum per spese di costruzione delle gallerie di cui all’articolo 47, comma 4, d.lgs. n. 507/1993, ha posto un limite al potere impositivo unilaterale degli enti territoriali, ma non ha contemplato minimamente eventuali canoni pattuiti convenzionalmente nell’ambito di concessioni-contratto aventi ad oggetto beni demaniali o patrimoniali indisponibili (quali, nel caso di specie, le porzioni dell’edificio oggetto della concessione-contratto del 19 dicembre 2011, costituite dal garage n. 27 e da parte del tetto dell’immobile di proprietà comunale sito in Bolzano, via Vittorio Veneto 5, facente parte del patrimonio indisponibile del Comune e adibito a sede di varie associazioni);

- tale ricostruzione normativa è, peraltro, conforme al diritto unionale, lasciando, in particolare, il ‘Considerando’ 22, seconda parte, della direttiva 2002/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 marzo 2002 – che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (direttiva quadro) – impregiudicate « le disposizioni nazionali vigenti in materia di espropriazione o uso di una proprietà, normale esercizio dei diritti di proprietà, normale uso dei beni pubblici »: infatti, secondo l’art. 345 TFUE « i trattati lasciano del tutto impregiudicati il regime di proprietà esistente negli Stati membri », sicché la disciplina dello statuto della proprietà, sia privata che pubblica, resta, in linea generale, di competenza degli Stati membri;

- alla concessione-contratto in questione trova pertanto applicazione il regolamento per la gestione del patrimonio immobiliare del Comune di Bolzano approvato con deliberazione del consiglio comunale n. 85 del 2 ottobre 2003, secondo cui la concessione in uso temporaneo a terzi di beni demaniali o patrimoniali indisponibili è effettuata nella forma della concessione amministrativa il cui assetto economico-patrimoniale (canone, durata, ecc.) forma oggetto della convenzione accessiva all’atto di concessione.

L’infondatezza nel merito delle censure mosse avverso il diniego di rinnovo, ormai accertata con sentenza definitiva nella causa parallela sub r.g. n. 6881/2019, e l’ivi contenuta reiezione della correlativa domanda di accertamento e della censura di invasione del merito amministrativo, comportano l’infondatezza delle censure di invalidità derivata e il conseguente superamento delle questioni processuali sollevate con i motivi all’esame.

5.2. Le considerazione sopra svolte valgono anche a respingere il motivo d’appello sub 2.d), attesa, per un verso, la mancanza di una base legale per il reclamato diritto di insistenza del concessionario uscente di un bene pubblico, e stante, per altro verso, la non confondibilità tra il regime autorizzatorio alla realizzazione di una stazione radio base e della relativa infrastruttura, e il regime delle concessioni per l’uso dei beni demaniali o patrimoniali indisponibili, quale, nella specie, il garage e parte della copertura dell’edificio in questione;
infatti, come già sopra precisato, trattasi di locali e superfici non costituenti, in sé considerati, infrastrutture delle comunicazioni elettroniche, bensì parti ‘normali’ di un edificio, ‘neutre’ sotto un profilo funzionale, e, in quanto tali, non assoggettate alle disciplina speciale di cui all’art. 88, comma 6, d.lgs. n. 259/2003, per cui il Comune « può mettere a disposizione, direttamente o per il tramite di una società controllata, infrastrutture a condizioni eque, trasparenti e non discriminatorie ».

Considerazioni sostanzialmente identiche valgono, altresì, ad escludere l’applicabilità, alla concessione-contratto de qua , delle altre disposizioni del Codice delle comunicazioni invocate dall’odierna appellante nel contesto del motivo all’esame, precisamente degli artt. 4 ( Obiettivi generali della disciplina di reti e servizi di comunicazione elettronica ), 25 ( Autorizzazione generale per le reti e i servizi di comunicazione elettronica ), 86 ( Infrastrutture di comunicazione elettronica e diritti di passaggio ), 89 ( Coubicazione e condivisione di infrastrutture ) e 93 ( Divieto di imporre altri oneri ), a prescindere dalla genericità del richiamo operato a tali articoli di legge.

5.3. In reiezione dei motivi d’appello sub 2.e), 2.f) e 2.g), tra di loro connessi e da esaminare congiuntamente, si rileva che:

- la situazione di occupazione sine titulo , oltre la data di scadenza pattuita tra le parti, nonché la grave situazione di morosità (conseguente alla autoriduzione arbitraria del canone da parte della concessionaria), addotte a base dell’ordinanza di rilascio, integrano ragioni autonomamente sufficienti a sorreggere l’esercizio dell’autotutela esecutiva ex art. 823, comma 2, cod. civ. (secondo consolidato orientamento giurisprudenziale applicabile anche ai beni del patrimonio indisponibile) e ad adottare l’impugnata ordinanza di rilascio, dichiaratamente emanata nell’esercizio di tale potere;

- irrilevante è l’avvio di trattative tra le parti per il rinnovo della concessione-contratto, essendo incontestato che le stesse sono fallite e che, quindi, non si è perfezionato alcun vincolo contrattuale;

- del pari, alla luce della sopra rilevata autosufficienza motivazionale sia del riferimento all’occupazione sine titulo , sia del richiamo alla situazione di morosità, ad azionare lo strumento dell’autotutela esecutiva, non occorreva un’ulteriore motivazione in ordine alla compatibilità, o meno, della persistenza dell’impianto con l’uso del bene immobile che ne avrebbe fatto in futuro la Provincia promissaria acquirente;

- ne consegue, altresì, che irrilevante diviene l’interpretazione del contenuto che, secondo le previsioni della deliberazione del consiglio comunale n. 97 del 21 dicembre 2017, avrebbe dovuto assumere l’atto di cessione stipulando con la Provincia (in particolare, con riguardo alla clausola per cui « gli immobili vengono ceduti […] nello stato di fatto e di diritto in cui si trovano al momento della cessione »);

- né, infine, occorreva una motivazione specifica circa l’individuazione della data del rilascio, stabilita nella gravata ordinanza al 20 dicembre 2018, trattandosi di data comunque ampiamente successiva alla scadenza del rapporto, maturata il 14 marzo 2017.

5.4. Per le considerazioni sopra svolte, in reiezione dell’appello s’impone la conferma dell’impugnata sentenza, con il conseguente assorbimento di ogni altra questione, ormai irrilevanti ai fini della decisione.

6. In applicazione del criterio della soccombenza, le spese del presente grado di giudizio, come liquidate nella parte dispositiva, devono essere poste a carico dell’appellante.

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