Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-06-28, n. 201602885

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-06-28, n. 201602885
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201602885
Data del deposito : 28 giugno 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02292/2010 REG.RIC.

N. 02885/2016REG.PROV.COLL.

N. 02292/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2292 del 2010, proposto dai signori P F, P A, P A, P M, F A, rappresentati e difesi dagli avvocati G B e R B, con domicilio eletto presso Antonia De Angelis in Roma, via Portuense, 104;

contro

Comune di Castellammare di Stabia, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato D C, con domicilio eletto presso la Segreteria della IV Sezione del Consiglio di Stato, in Roma, p.za Capo di Ferro, 13;

nei confronti di

Angelo Malafronte, rappresentato e difeso dall'avvocato Michele Costagliola, con domicilio eletto presso l’avvocato Leopoldo Di Bonito in Roma, via Arenula, 21;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per la Campania – Napoli - Sezione VII, n. 6825 del 3 novembre 2009, resa tra le parti, concernente annullamento in autotutela di concessione edilizia relativa a campo sportivo.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Castellammare di Stabia e e del signor Angelo Malafronte;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 marzo 2016 il Cons. Andrea Migliozzi e udito per la parte appellante l’avvocato R B;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Il Comune di Castellamare di Stabia rilasciava al sig. Pane Ferdinando, dante causa degli attuali appellanti, la concessione edilizia n. 18 del 26/7/1985 per la realizzazione di un campo sportivo, spogliatoi e servizi su un’area sita in via Napoli, contrassegnata da particelle ricadenti urbanisticamente alcune in zona F7 (verde pubblico attrezzato) e altre in zona C4-E (agricola).

1.1. A seguito di esposto prodotto da un vicino, il sig. Malafronte Angelo che lamentava la non conformità urbanistica dell’autorizzato intervento edilizio, il suindicato Comune con ordinanza n. 37/86 (rimasta inoppugnata) disponeva la sospensione dei lavori;
successivamente la situazione rimaneva ferma per un discreto periodo di tempo, finché nel dicembre 1988 lo stesso sig, Malafronte diffidava l’Amministrazione comunale a procedere all’annullamento del rilasciato titolo edilizio.

1.2. A fronte dell’inerzia serbata su detta diffida, l’interessato provvedeva ad impugnare il relativo silenzio e il Tar con sentenza n. 9287/2006 accoglieva il predetto gravame, con l’ordine per il Comune di provvedere a concludere il procedimento attivato ad istanza di parte.

1.3. In espressa ottemperanza a tale decisum l’Ente, con provvedimento dirigenziale n. 9 del 9 marzo 2008, disponeva l’annullamento in autotutela della concessione edilizia n.18/85, in quanto illegittima.

Nel predetto provvedimento si metteva in rilievo il contrasto del titolo edilizio con la normativa dettata per la zona agricola nonché con il regime urbanistico vigente che vedeva l’intervento de quo ricadere in zona F16, zona a parcheggi a raso.

All’adottato provvedimento di autotutela faceva quindi seguito il provvedimento n. 70431 del 4/12/2008 con cui si ingiungeva agli eredi del sig. Pane, ai sensi dell’art. 31 del DPR n. 380/2001, la demolizione delle opere abusive e il ripristino dello stato dei luoghi.

2. Gli eredi del sig. Pane hanno impugnato innanzi al TAR della Campania, sede di Napoli, gli anzidetti provvedimenti comunali con ricorso introduttivo (contro il provvedimento di autotutela) e atto di motivi aggiunti (contro l’ordinanza di rimessa in pristino).

3. L’adito Tribunale amministrativo partenopeo, con sentenza n. 6825/2009, in parte accoglieva il gravame complessivamente presentato e in altra parte lo respingeva.

In particolare, il primo giudice annullava i provvedimenti gravati, rispettivamente, nella parte in cui era stata annullata in toto la concessione edilizia n.18/85 e non limitatamente alle opere in muratura ricadenti in zona agricola ed era stato altresì disposto il ripristino dello stato dei luoghi con riferimento ad opere che non avevano comportato “ una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio” .

4. Il sigg.ri Pane hanno impugnato tale sentenza per la parte a loro sfavorevole deducendo a sostegno del proposto appello i seguenti motivi:

a) Error in iudicando per violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato;
difetto di motivazione;
violazione degli artt.24, 97, 11 e 113 Cost;
mancata e falsa applicazione dell’art. 21 nonies legge n. 241/90 nonché della strumentazione urbanistica attualmente vigente nel Comune di Castellammare di stabia e dei principi generali in materia di autotutela;
eccesso di potere per travisamento, erroneità nei presupposti;
illogicità;
mancata ponderazione della situazione contemplata ;
manifesta ingiustizia , sotto altri aspetti;

b) Error in iudicando su alcuni motivi di ricorso;
violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato;
violazione degli artt. 34,97, 111 e 113 Cost;
eccesso di potere per travisamento, erroneità nei presupposti;
illogicità;
mancata ponderazione della situazione contemplata, manifesta ingiustizia, sotto altri aspetti;

c) Error in iudicando per violazione e mancata applicazione dell’art. 13 comma 6 bis DPR n. 115/2002;
eccesso di potere per travisamento;
erroneità;
mancata ponderazione della situazione contemplata;
manifesta ingiustizia.

5. Si sono costituiti in giudizio il Comune di Castellammare di Stabia e il sig. Malafronte Angelo che hanno contestato la fondatezza del gravame, chiedendone la reiezione.

6. Questa Sezione, con ordinanza n. 1799 del 21 aprile 2010, ha sospeso gli effetti della impugnata sentenza stante l’opportunità nelle more del giudizio di merito di “ non consentire la demolizione di strutture edificate in epoca risalente ”.

7. All’udienza pubblica del 31 marzo 2016 la causa è stata introitata per essere decisa.

DIRITTO

8. L’appello (volto a veder riformata la parte sfavorevole del decisum ) è infondato e va conseguentemente respinto.

Preliminarmente il Collegio osserva che:

a) l’oggetto della controversia è il provvedimento n. 9/2008 con cui il Comune di Castellammare di Stabia ha annullato in via di autotutela la concessione edilizia n. 18/85 avente ad oggetto la realizzazione di un campo sportivo e di locali adibiti a spogliatoio e servizi su terreni siti in zona destinata a verde pubblico attrezzato e agricola, in quanto non conforme alla normativa urbanistica vigente;

b) con la sentenza oggetto dell’odierna impugnativa il TAR ha statuito che il campo di calcio in sé è compatibile con le su indicate destinazioni d’uso impresse alla zona, mentre altrettanto non può dirsi per le opere murarie costituiti dai locali adibiti a spogliatoio e servizi che mal si conciliano con la zona agricola;

c) in sintonia con la relativa eccezione sollevata dal controinteressato (pagina 9 della memoria conclusionale) che le censure sollevate per la prima volta in questo grado sono inammissibili per violazione del divieto dei nova sancito dall’art. 345 c.p.c. ratione temporis vigente (oggi art. 104 c.p.a.).

8.1. Con il primo, articolato motivo parte appellante censura in primo luogo il potere di autotutela come esercitato dall’Amministrazione comunale sotto vari profili così riassumibili:

a) manca nella specie un interesse concreto ed attuale all’annullamento tenuto conto in particolare che la struttura sportiva sarebbe comunque conforme alle sopravvenute prescrizioni urbanistiche (B3);

b) l’autoannullamento non è accompagnato dalla necessaria motivazione sull’interesse pubblico all’esercizio del potere discrezionale ;

c) è stata obliterata la pur rilevante posizione del privato e in particolare l’affidamento di quest’ultimo costituito dalla legittimità del titolo all’epoca della realizzazione delle opere e dagli investimenti effettuati al riguardo;

d) i provvedimenti gravati non recano alcuna valutazione dell’apporto partecipativo del privato formulato con le prodotte osservazioni.

Inoltre si lamenta la mancata applicazione della sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 38 del DPR n. 380/01 in luogo della irrogata demolizione.

8.1.1. I profili di doglianza non appaiono condivisibili.

Le suddette censure, da esaminarsi congiuntamente, sono rivolte non già a criticare l’ an dell’esercitato potere di autotutela, bensì la motivazione su cui si fonda lo ius poenitendi posto in essere dal Comune.

Ebbene, si osserva che in giurisprudenza è largamente prevalente il principio secondo il quale il provvedimento di annullamento di concessione edilizia illegittima è da ritenersi in re ipsa correlato alla necessità di curare l’interesse pubblico concreto ed attuale al ripristino della legalità violata, atteso che il rilascio del titolo edilizio comporta la sussistenza di una permanente situazione contra legem e di conseguenza ingenera nell’Amministrazione il potere- dovere di annullare in ogni tempo la concessione illegittimamente assentita (Cons. Stato, Sez. V, n. 2060 del 2014 sulla limitata portata dell’obbligo di motivazione dell’autotutela in materia edilizia;
Sez. IV, 8291 del 2010 e 5/2/1998 n.198, circa il rilievo dell’interesse pubblico all’interno dei presupposti generali in tema di autotutela edilizia).

Ciò detto, anche a voler “scendere” per assurdo sul piano argomentativo fatto valere dalla parte appellante, non può condividersi l’assunto che le opere de quibus sarebbero conformi all’attuale destinazione urbanistica di zona (B3) e tale compatibilità farebbe venir meno ogni esigenza di tutela del pubblico interesse sottesa all’adottato provvedimento di autotutela.

Invero, al di là del fatto che l’istituto dell’annullamento d’ufficio a differenza della revoca è ancorato al passato, nel senso che il giudizio di illegittimità è collegato al momento del rilascio del titolo illegittimamente rilasciato, nondimeno non sussiste conformità urbanistica nemmeno all’attualità posto che l’area ricade per la gran parte in zona F16 “ zona a parcheggi a raso” e solo in parte in B3 per la quale sussistono le limitazioni imposte dalla L.R. Campania n.35/87 ( c.d. PUT Area Costiera Sorrentino- Amalfitana).

Quanto poi alla lamentata violazione delle c.d garanzie partecipative, per non essere state riscontrate dall’Amministrazione le prodotte osservazioni, vale osservare che il dovere di esame delle memorie prodotte dall’interessato a seguito di comunicazione dell’avvio del procedimento non comporta la necessità di confutazione analitica delle allegazioni presentate essendo sufficiente che il provvedimento amministrativo sia corredato da una motivazione che renda nella sostanza percepibile la ragione del mancato adeguamento da parte della P.A. alle deduzioni difensive del privato (Cons. Stato Sez. V, 10/12/2012 n. 2701;
5/10/2005 n. 5365;
10/972009 n. 5424), cosa che nel caso di specie emerge agevolmente dalla lettura dell’atto impugnato.

Gli esponenti poi a proposito dell’ordinanza di riduzione in pristino stato, lamentano la violazione dell’art.38 del testo unico sull’edilizia, in quanto l’Amministrazione anziché disporre la riduzione in pristino avrebbe dovuto valutare l’applicabilità della norma invocata che pure prevede in taluni casi a seguito dell’annullamento del titolo edilizio l’irrogazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella ripristinatoria.

La doglianza non ha pregio, posto che l’attività di repressione degli abusi edilizi, dopo il loro accertamento deve reputarsi vincolata per l’Amministrazione senza che quest’ultima debba di propria iniziativa valutare la possibilità della sanzione alternativa.

In ogni caso siamo in presenza di una difformità in senso sostanziale che impedisce il mantenimento delle opere illegittimamente assentite ed eseguite, non essendo, in particolare rimuovibili i vizi del titolo ad aedificandum (cfr. sul punto specifico Cons. Stato, Sez. V, n. 2194 del 2014;
Sez. V, n. 1687 del 2007 circa la prevalenza dell’interesse alla tutela dell’ambiente e del paesaggio;
Sez. V, n. 5926 del 2001, circa la doverosità dell’autotutela edilizia in caso di contrasto con la destinazione di zona).

8.2. Col secondo motivo di gravame parte appellante insiste in primo luogo sulla pretesa carenza di motivazione in ordine alla comparazione tra l’interesse pubblico all’annullamento e il sacrificio imposto al privato.

8.2.1. Al riguardo si rimanda a quanto già osservato in tema di vincolatività dell’atto di autotutela che non lascia margini di discrezionalità in ordine alla possibilità di operare scelte diverse dalla rimozione dell’atto contra ius , risultando sicuramente recessive le esigenze del privato a fronte appunto dell’interesse pubblico sotteso alla doverosità dell’esercizio dello ius poenitendi.

Parte appellante poi denuncia la violazione del principio del contrarius actus in ragione del fatto che non sono stati acquisiti i preventivi pareri della Commissione edilizia, della Commissione edilizia integrata, della Soprintendenza per i Beni culturali e anche quello dell’Ufficio sanitario presenti al momento del rilascio dell’annullata concessione edilizia.

La doglianza non ha pregio.

A prescindere dal fatto, quanto al parere CEC, che la Commissione edilizia non risulta presente presso la struttura comunale per effetto della abolizione avvenuta in applicazione dei decreti attuativi della c.d. legge Bassanini, in ogni caso, non v’è spazio per valutazioni di tipo tecnico- discrezionale, sicché l’organo decidente può legittimamente può rinunciare all’apporto dell’organo consultivo (Cons. Stato, Sez. V, 3/7/2003 n. 3974).

Per non dire poi, relativamente agli altri pareri, che l’annullamento è stato disposto in virtù di ragioni di natura strettamente urbanistico- edilizie, senza che abbiano rilevanza alcuna sull’originaria illegittimità gli aspetti di natura paesaggistica e sanitaria.

8.3. Col terzo ed ultimo motivo d’impugnazione parte appellante critica, infine, la decisione del primo giudice di compensare tra le parti le spese del giudizio in ragione della intervenuta reciproca soccombenza.

La censura non merita positivo apprezzamento.

Secondo un consolidato e prevalente orientamento giurisprudenziale, il giudicante nella delibazione delle spese di causa può valutare ogni elemento al fine di emettere la relativa statuizione senza dover indicare in particolare, in modo articolato le ragioni della compensazione (Cons. Stato sez. IV 24/4/2012 n. 2356;
6/11/2007 n. 2007;
28/5/2009 n. 3349).

Non senza dire, infine, che la decisione di compensare le spese non appare abnorme o manifestamente ingiusta.

9. Conclusivamente il ricorso va respinto.

10. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art.112 c.p.c. , in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.

11. Le spese seguono la regola della soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo tenuto conto dei parametri stabiliti dal regolamento 10 marzo 2014 n. 55.

12. Il Collegio rileva, infine, che l’accertamento dell’infondatezza dell’appello si basa, come dianzi illustrato, su ragioni manifeste, in modo da integrare i presupposti applicativi dell’art. 26, comma 1, cod. proc. amm. secondo l’interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. sez. V, 21 novembre 2014, nr. 5757;
id., 11 giugno 2013, nr. 3210;
id., 31 maggio 2011, nr. 3252;
id., 26 marzo 2012, nr. 1733, cui si rinvia ai sensi degli artt. 74 e 88, comma 2, lettera d ), cod. proc. amm. anche in ordine alle modalità applicative ed alla determinazione della misura indennitaria).

Le conclusioni cui è pervenuta la giurisprudenza del Consiglio di Stato sul punto in esame sono state, nella sostanza, recepite dalla novella recata all’art. 26 cod. proc. amm. dal decreto-legge 24 giugno 2014, nr. 90, e in particolare:

a ) l’art. 26, comma 1, che rinviava (e rinvia) all’art. 96 cod. proc. civ., prevedeva la condanna, su istanza di parte, al risarcimento del danno se la parte ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave (art. 96, comma 1, cod. proc. civ.), nonché la condanna anche d’ufficio in favore dell’altra parte, di una somma equitativamente determinata;

b ) il d.l. nr. 90 del 2014 ha inciso sia sull’art. 26, comma 1, cod. proc. amm., in termini generali applicabile per tutti i riti davanti al giudice amministrativo, sia sull’art. 26, comma 2, cod. proc. amm., in termini specifici applicabile solo per il rito in materia di appalti;

c ) sebbene l’art. 26, comma 1, cod. proc. amm. continui a richiamare l’art. 96 cod. proc. civ. in tema di lite temeraria, esso detta ora una regola più specifica, stabilendo che in ogni caso il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata, comunque non superiore al doppio delle spese liquidate, in presenza di motivi manifestamente infondati.

La condanna degli originari ricorrente ai sensi dell’art. 26 cod. proc. amm. rileva, infine, anche agli effetti di cui all’art. 2, comma 2- quinquies , lettere a ) e f ), della legge 24 marzo 2001, nr. 89, come da ultimo modificato dalla legge 28 dicembre 2015, nr. 208.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi