Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2019-02-26, n. 201901328

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2019-02-26, n. 201901328
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201901328
Data del deposito : 26 febbraio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/02/2019

N. 01328/2019REG.PROV.COLL.

N. 06047/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6047 del 2018, proposto da
Liomatic s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato R P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Placidi s.r.l. in Roma, via Barnaba Tortolini n. 30;

contro

Asl Roma 2, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato Francesco Dell'Orso, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Ivs Italia s.p.a., non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 04054/2018, resa tra le parti


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Asl Roma 2;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 gennaio 2019 il Cons. E F e uditi per le parti gli Avvocati Attilio Biava su delega di R P e Francesco Dell'Orso;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

Con la sentenza (in forma semplificata) appellata, il T.A.R. Lazio ha dichiarato l’improcedibilità del ricorso proposto dall’odierna appellante avverso il bando della gara indetta dalla ASL Roma 2 ai fini dell’affidamento del servizio di somministrazione di bevande calde, fredde, ed altri prodotti alimentari dolci e salati preconfezionati, mediante l'installazione manutenzione e rifornimento di distributori automatici presso la medesima Azienda sanitaria.

Il T.A.R., premesso che le deduzioni attoree avevano ad oggetto l’impossibilità per la ricorrente di formulare l’offerta a causa della mancata indicazione del fatturato generato dalla concessione, in violazione dell’art. 167 del decreto legislativo n. 50/2016, ed evidenziato che la stazione appaltante aveva rappresentato in giudizio che, all’indomani della proposizione del ricorso, era stato pubblicato sull’Albo Pretorio il chiarimento n. 3, con il quale si indicava il fatturato relativo all’ultimo triennio di attività della ditta uscente dall’appalto in questione, e che essa aveva anche provveduto a prorogare i termini di scadenza per la presentazione delle offerte, ha fatto discendere, dal fatto che la ridetta integrazione non aveva formato oggetto di “specifica e formale contestazione ad opera della difesa di parte ricorrente né mediante rituale proposizione di motivi aggiunti né direttamente alla odierna camera di consiglio (in occasione della quale non ha in alcun modo anticipato l’esercizio di una simile prerogativa processuale ai sensi dell’art. 60, comma 1, c.p.a.)”, la “sostanziale acquiescenza alle ridette integrazioni apportate dalla stazione appaltante alla regolamentazione di gara”, con la conseguente “inevitabile declaratoria di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse a coltivare il presente gravame ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 35, comma 1, lettera c), c.p.a.”.

Mediante i motivi di appello, la parte appellante si duole della statuizione di improcedibilità recata dalla sentenza appellata, evidenziando, in chiave critica, che l’integrazione della lex specialis operata dalla stazione appaltante con il predetto chiarimento era da considerarsi inammissibile perché tardiva, che, in assenza del dato relativo al fatturato, l’Amministrazione non avrebbe potuto determinare il canone concessorio né la durata della concessione, che la pubblicazione del fatturato era avvenuta solo in data 22.3.2018 con la concessione di appena 10 giorni per formulare l’offerta, in contrasto con il termine minimo previsto dalla legge e in violazione della par condicio , avendo i concorrenti, come il gestore uscente, goduto di un termine maggiore, che al momento della pubblicazione del fatturato era altresì scaduto il termine per effettuare il sopralluogo obbligatorio, che i “chiarimenti” della stazione appaltante non potrebbero assolvere ad una funzione integrativa della disciplina di gara, né gli stessi avrebbero potuto costituire oggetto di impugnazione mediante motivi aggiunti, come erroneamente ritenuto dal T.A.R., essendo privi di efficacia lesiva e vincolante.

Infine, la parte appellante reitera la domanda risarcitoria per perdita di chance , formulata in primo grado.

La ASL Roma 2 si è costituita in giudizio per opporsi all’accoglimento dell’appello.

Tanto sinteticamente premesso, ritiene la Sezione che la sentenza di primo grado meriti di essere confermata.

Deve osservarsi, in via preliminare, che le deduzioni difensive della ASL appellata, secondo cui il bando oggetto di gravame non sarebbe finalizzato alla indizione di una gara nuova e diversa rispetto a quella avviata con bando pubblicato sulla G.U.R.I. n. 135 del 21 novembre 2016 (ed impugnato dall’odierna appellante dinanzi al T.A.R. Lazio con il ricorso n. 15426/2016, ivi tuttora pendente), essendosi la stazione appaltante limitata, con il bando pubblicato in data 12 febbraio 2018, a prorogare il termine per la presentazione delle offerte, non possono essere condivise: basti a tal fine sottolineare che, sebbene l’Amministrazione abbia apparentemente proceduto alla pedissequa ripubblicazione del bando originario, da esso non si evince la finalizzazione dell’atto ripubblicato alla mera rinnovazione del termine predetto piuttosto che all’indizione di un nuovo procedimento di gara (senza trascurare, a riprova della proiezione dei due atti verso l’attivazione di due distinte procedure selettive, sebbene aventi il medesimo oggetto, la diversità del C.I.G. con il quale i due bandi sono contrassegnati).

Quanto al merito del giudizio, deve ritenersi che, non essendo controversa la mancata indicazione, nel bando impugnato, del valore stimato della concessione, al chiarimento n. 3 del 22 marzo 2018, con il quale la stazione appaltante avrebbe inteso procedere alla integrazione del bando, emendandolo della omissione lamentata dalla parte ricorrente, deve ascriversi un effettivo contenuto dispositivo, tale da imporre – come ritenuto dal T.A.R., che ha fatto derivare dal mancato assolvimento del suddetto onere processuale la statuizione di improcedibilità del ricorso promosso avverso il bando – la proposizione di una nuova ed autonoma impugnazione, nella forma dei motivi aggiunti.

In primo luogo, infatti, ai sensi dell’art. 167, commi 1 e 2, d.lvo n. 50/2016, rispettivamente, “il valore di una concessione, ai fini di cui all’articolo 35, è costituito dal fatturato totale del concessionario generato per tutta la durata del contratto, al netto dell’IVA, stimato dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore, quale corrispettivo dei lavori e dei servizi oggetto della concessione, nonché per le forniture accessorie a tali lavori e servizi” e “il valore stimato è calcolato al momento dell’invio del bando di concessione o, nei casi in cui non sia previsto un bando, al momento in cui l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore avvia la procedura di aggiudicazione della concessione”.

E’ quindi evidente che la comunicazione del fatturato maturato dal gestore uscente per il triennio precedente costituisce la modalità con la quale la stazione appaltante ha ritenuto di assolvere, sebbene a posteriori , alla suddetta prescrizione: esso infatti integra, sebbene in forma elementare, il “metodo oggettivo” sulla scorta del quale la stazione appaltante deve indicare, nel bando, il “valore stimato” della concessione.

A tale proposito, il predicato effetto integrativo (del bando originario) non potrebbe essere escluso alla luce della funzione meramente informativa dei chiarimenti, e della loro intrinseca inidoneità a modificare (quindi, potrebbe sostenersi per estensione, integrare) la lex specialis .

In primo luogo, infatti, l’indicazione del “valore stimato” della concessione attiene alla componente “dichiarativa” della disciplina di gara, piuttosto che a quella strettamente dispositiva, intesa a formulare le regole per lo svolgimento del procedimento selettivo: sì che i chiarimenti, per la loro funzione tipicamente informativa, si prestano proprio a veicolare i dati di cui il bando fosse eventualmente ed ab origine carente.

Inoltre, la funzione integrativa del bando - e la connessa insorgenza, a carico del soggetto leso, dell’onere di impugnare il contenuto introdotto ex post nella disciplina di gara - prescinde dalla forma dell’atto con il quale venga esercitata, dovendo aversi primario riguardo al suo contenuto: sì che, laddove, come nella specie, il chiarimento sia contenutisticamente idoneo a colmare la lacuna originaria, esso non può non generare, a carico del soggetto pregiudicato, l’onere di contestarlo nelle forme prescritte dall’ordinamento processuale.

Del resto, ad ulteriore conferma di tale necessità, deve porsi attenzione al fatto che la lesione generata dal “chiarimento” è qualitativamente diversa da quella correlata al bando originario: mentre, infatti, il vizio fatto valere nei confronti di quest’ultimo aveva rilievo essenzialmente omissivo, il “chiarimento” viene contestato dalla parte appellante (sebbene in chiave meramente deduttiva, non avendo proposto, come si è detto, tempestivi motivi aggiunti) sotto profili diversi, connessi alla insufficienza della proroga del termine per la presentazione delle offerte, alla mancata applicazione di un “metodo oggettivo” per la determinazione del valore della concessione ed alla intrinseca non integrabilità a posteriori del bando, attesa la stretta connessione ravvisabile tra le sue singole componenti (e che avvincerebbe, nella specie, il valore della concessione, da un lato, al prezzo a base di gara ed alla durata della concessione, dall’altro).

Per le ragioni esposte, quindi, la sentenza appellata deve essere integralmente confermata, mentre la peculiarità dell’oggetto della controversia giustifica la compensazione delle spese di giudizio.

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