Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2021-06-15, n. 202104642

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2021-06-15, n. 202104642
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202104642
Data del deposito : 15 giugno 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 15/06/2021

N. 04642/2021REG.PROV.COLL.

N. 10278/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale -OMISSIS--OMISSIS- del 2020, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato A G O, con domicilio digitale come da registri di Giustizia;

contro

Presidenza della Repubblica, Presidenza del Consiglio dei ministri, Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, Consiglio di Stato, in persona dei rispettivi Presidenti pro tempore , tutti rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, 12;
Presidente del Consiglio di Stato, non costituito in giudizio;

nei confronti

-OMISSIS-, non costituito in giudizio;

per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio – Roma, II, 9 marzo 2020, n. -OMISSIS-, resa tra le parti


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza della Repubblica, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa e del Consiglio di Stato;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 aprile 2021, tenuta in collegamento da remoto, il Cons. Giovanni Grasso e uditi per le parti l’avvocato Orofino e l’avvocato dello Stato De Socio;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.- Con istanza in data 25 novembre 2015, il consigliere di tribunale amministrativo -OMISSIS-chiedeva al Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa di subentrare nell’organo in sostituzione del cons. -OMISSIS-, decaduta dalla carica per dimissioni il 17 novembre 2015, mediante scorrimento della graduatoria risultante dalle elezioni tenutesi il -OMISSIS-, in virtù della sua posizione di primo dei non eletti.

L’istanza veniva respinta, con delibera del 4 dicembre 2015, dal Consiglio di presidenza, sull’assunto che – all’esito delle modifiche alla legge 27 aprile 1982, n. 186, introdotte dal d.lgs. 7 febbraio 2006, n. 62 – il sistema elettorale non prevedesse più lo “ scorrimento della graduatoria ” del corrispondente gruppo elettorale, ma postulasse l’indizione di nuove “ elezioni suppletive ”.

2.- Con ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo per il Lazio, il cons. -OMISSIS-impugnava la detta determinazione, prospettando, inter alia , l’illegittimità costituzionale della sopravvenuta disposizione normativa che ne era stata posta a fondamento.

In pendenza di lite, con decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. -OMISSIS- del 22 gennaio 2016 venivano indette elezioni suppletive per il giorno 13 marzo 2016, all’esito delle quali risultava eletto il cons. -OMISSIS-.

Sia la determinazione indittiva che il risultato elettorale erano contestati per aggiunzione di motivi.

3.- L’ordinanza n. -OMISSIS- del 13 giugno 2016 del Consiglio di Stato, resa in riforma della misura cautelare reiettiva di prime cure, riteneva sussistenti i denunciati profili di incostituzionalità, investendo la Corte costituzionale del relativo scrutinio. Respingeva, nondimeno, l’istanza cautelare, sull’assunto che, per un verso – “ in seguito alla ricomposizione dell’organo di autogoverno ” – dovesse darsi prevalenza all’esigenza di “ assicurare la stabilità delle sue deliberazioni ” e, per altro verso, la relativa istanza trascendesse “ il limitato ambito di controllo diffuso di costituzionalità esercitabile a fini meramente cautelari ”.

4.- Con sentenza n. -OMISSIS- del 30 gennaio 2018, la Corte costituzionale dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, d.lgs. 7 febbraio 2006, n. 62 ( Modifica della disciplina concernente l’elezione del Consiglio di presidenza della Corte dei conti e del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa, a norma dell’articolo 2, comma 17, della legge 25 luglio 2005, n. 150 ), nella parte in cui aveva modificato l’art. 9, terzo comma, della l. 27 aprile 1982, n. 186 ( Ordinamento della giurisdizione amministrativa e del personale di segreteria ed ausiliario del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi regionali ), prevedendo che « in caso di dimissioni o di cessazione di uno o più membri elettivi dall’incarico per qualsiasi causa nel corso del quadriennio, [fossero] indette elezioni suppletive tra i magistrati appartenenti al corrispondente gruppo elettorale per designare, per il restante periodo, il sostituto del membro decaduto o dimessosi », e nella parte in cui aveva, correlativamente, disposto l’abrogazione del comma 4 dell’art. 7 della l. n. 186 del 1982.

5.- A seguito della pronuncia della Corte costituzionale, previa rituale riassunzione del giudizio, l’odierno appellante sollecitava l’adozione di misure cautelari propulsive, che il Consiglio di Stato disponeva con ordinanza n. 935 del 2 marzo 2018, sull’argomentato rilievo: a ) che “ ogni ulteriore ritardo nella surroga del posto di consigliere […] determina [sse] un pregiudizio irreparabile, aggravato dall’intervenuta scadenza naturale dell’organo di autogoverno e conseguente regime di prorogatio”; b ) che non fosse, a tal fine, ostativa l’intervenuta proclamazione del controinteressato, di cui disponeva, per l’effetto, l’interinale sospensione dell’efficacia; c ) che si giustificasse, in definitiva, l’ordine all’organo di procedere sollecitamente alla surroga, salva l’eventuale sussistenza di distinti profili ostativi.

All’esito della misura cautelare, il d.P.R. 28 marzo 2018, registrato il 4 aprile 2018, nominava l’appellante componente effettivo del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa per il quadriennio 2013 - 2017, “ con effetto dalla data provvedimento ”.

6.- Con ulteriori motivi aggiunti, l’odierno appellante impugnava, con dichiarato intento tuzioristico, sia il detto decreto di nomina del 28 marzo 2018, sia il verbale del Consiglio di presidenza in data 8 marzo 2018, che lo aveva preceduto, qualora se interpretati nel senso che, anche i fini giuridici e economici – e non solo, quindi, ai fini del perfezionamento del necessario iter procedimentale – il subingresso fosse stato considerato irretroattivo.

Con i medesimi motivi aggiunti egli chiedeva, inoltre, il risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale, subito in ragione dell’illegittimo diniego di surroga del 18 dicembre 2015, e per il conseguente ritardo con il quale era stato poi nominato componente effettivo del Consiglio di Presidenza;
in via subordinata, invocava l’attribuzione della indennità di carica, ove non riconosciuta a titolo risarcitorio.

7.- Con sentenza n. -OMISSIS- del 9 marzo 2020, il Tribunale amministrativo per il Lazio, pronunciandosi sul ricorso e motivi aggiunti, definiva la controversia accogliendo il ricorso introduttivo, unitamente ai primi e secondi motivi aggiunti (e disponendo, per l’effetto, l’annullamento degli atti impugnati), ma respingendo gli ulteriori motivi aggiunti e la connessa domanda risarcitoria, con integrale compensazione delle spese di giudizio.

8.- Con atto di appello, notificato nei tempi e nelle forme di rito, il cons. -OMISSIS-insorge, per quanto di ragione, avverso detta sentenza, di cui lamenta – relativamente a disconoscimento della pretesa risarcitoria e alla pretermissione della gradata pretesa indennitaria – l’erroneità e l’ingiustizia, domandandone la riforma in parte qua .

Nella resistenza della Presidenza della Repubblica, della Presidenza del Consiglio dei ministri, del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa e del Consiglio di Stato, alla pubblica udienza del 15 aprile 2021 la causa è stata riservata per la decisione.

DIRITTO

1.- L’appello non è fondato e va respinto.

2.- In via preliminare, deve essere dichiarato, in accoglimento dell’eccezione formulata dalla difesa erariale, il difetto di legittimazione passiva della Presidenza della Repubblica, avendo la controversia ad oggetto provvedimenti di alta amministrazione adottati con decreto presidenziale su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, che controfirma l'atto assumendosene la responsabilità politica ed amministrativa (cfr., in termini, Cons. Stato, V, 31 ottobre 2018, n. 6184).

L’eccezione non è, per contro, fondata in relazione alla Presidenza del Consiglio dei ministri, che è evocata in giudizio in relazione alle esposte ragioni di responsabilità per l’adozione di atti normativi rivelatisi incostituzionali.

3.- Con il primo motivo di doglianza, l’appellante lamenta che la sentenza ha dichiarato inammissibile l’impugnazione del decreto di surroga del 28 marzo 2018 (e del relativo, presupposto, verbale consiliare dell’8 marzo 2018), con cui l’Amministrazione – in dichiarata attuazione della misura cautelare di cui all’ordinanza del Consiglio di Stato n. 935 del 2 marzo 2018 – aveva disposto il subentro quale componente dell’organo di autogoverno “ per il quadriennio 2013-2 017 ” e “ con effetto dalla data del presente provvedimento ”.

L’impugnazione è, peraltro, proposta in via meramente cautelativa, per la sola eventualità che il decreto non fosse inteso in termini di mera ed interinale esecuzione dell’ordinanza cautelare (palesandosi prospetticamente non preclusivo delle pretese sostanziali, basate sull’attitudine retroattiva dell’annullamento dei provvedimenti impugnati in via principale), ma come non condivisa “ manifestazione della tesi della non retroattività degli effetti della surroga ”.

3.1.- Il motivo è, nei sensi e con le precisazioni che seguono, infondato.

Vale osservare che l’appellata sentenza ha qualificato l’atto come “ meramente esecutivo di un’ordinanza cautelare ”, perché limitato a disporre la nomina del ricorrente “ con riserva ” della definizione della controversia nel merito (come era incidentalmente dato evincere, peraltro, dalla raccomandazione di sollecitare la rapida decisione, formulata in seno allo stesso organo di autogoverno): come tale, esso era “ destinato a produrre unicamente effetti temporanei, necessari ad assicurare provvisoriamente la tutela dell’interesse del ricorrente, senza consegnargli definitivamente il bene della vita ambito ”.

Non trattandosi, per tal via, di autonoma (e definitiva ) determinazione provvedimentale (scelta che l’organo di autogoverno aveva inteso, pur avendone il potere, di non adottare alla luce della complessità della vicenda, conseguente alla declaratoria di incostituzionalità della norma di riferimento), ne discendeva la ritenuta inammissibilità delle doglianze miranti che denunziavano l’illegittimità del provvedimento per violazione e/o elusione dell’ordinanza cautelare del Consiglio di Stato, trattandosi di questioni che potevano essere proposte (nei formali termini dell’ inidonea od insufficiente attuazione : cfr. art. 59 Cod. proc. amm.) solo davanti al giudice (d’appello) che aveva reso la pronuncia.

3.2.- Per il profilo in questione, la sentenza appare corretta.

Vero è, nondimeno, che la decisione non si è, a questo punto, fatta carico della questione - che pure l’appellante aveva sollevato - della retroattività correlata all’annullamento degli atti impugnati con il ricorso principale, in conseguenza della sentenza costituzionale. Posto che l’atto impugnato con i terzi motivi aggiunti costituiva mera (e provvisoria) esecuzione dell’ingiunzione cautelare, restava da valutare (anche ai distinti fini delle rivendicazioni risarcitorie e indennitarie) la ( definitiva e contestata ) legittimità della surroga non retroattiva .

3.3.- Ciò posto, per questo profilo – da esaminare perché devoluto – l’appello non è fondato.

Vale invero osservare, in termini generali, che la nomina e l’ investitura , ancorché in via di surroga, in un organo collegiale elettivo con funzioni onorarie, non può per sua natura – anche se fa seguito, in conformazione, a un primo ed illegittimo diniego – operare in via retroattiva .

A differenza di quanto è dato rilevare nel (distinto) caso dei provvedimenti costitutivi di un rapporto di impiego , per i quali – ancorché in termini meramente virtuali o figurativi – è, in via di principio, dato modulare i profili di decorrenza economica e/o giuridica , qui non sussiste alcuna anzianità di ruolo e/o di funzioni che possa essere ipoteticamente salvaguardata;
né esiste un’anzianità a fini economici che possa essere astrattamente ricostruita. Invero, si tratta di una carica elettiva rappresentativa, che per sua natura non genera un rapporto di impiego ma solo ha la funzione di concorrere a dar corpo alla rappresentatività (parziale) dell’organo di autogoverno. Sicché l’ investitura appare (in disparte gli eventuali residui risarcitori) da correlare, nel tempo, soltanto all’ effettiva immissione nelle funzioni. In altri termini, la natura del munus è tale che non si può configurare una sua attivazione anche de praeterito , ma solo d’ora in avanti.

Questa naturale irretroattività – che bene nelle valutazioni del Consiglio di presidenza risulta affidata alla necessaria procedimentalizzazione della vicenda surrogatoria, la quale non può essere vista come una mera presa d’atto – incontra il limite naturale alla rappresentatività, in sé non superabile, del factum infectum . Vale a dire, non si può oggi, per allora, rappresentare ciò che allora era rappresentato, a giusto o non giusto titolo, da altri.

4.- Con il secondo motivo di censura, l’appellante lamenta il rigetto della domanda di risarcimento del danno “ per illecito del legislatore delegato ”.

Segnatamente, pur nella ribadita consapevolezza del diffuso orientamento contrario alla possibilità di riconoscere il diritto al risarcimento del danno illecito di diritto interno e non comunitario, l’appellante ritiene:

a ) che qui non sussisterebbe l’usuale limite del rispetto dell’insindacabile libertà dei fini del legislatore: il Governo, avendo operato in chiaro eccesso di delega , avrebbe, in realtà, abusivamente conculcato un diritto “ alla surroga ” che era già preesistente e perfetto , e normativamente garantito;

b ) che, sotto concorrente profilo, essendo l’attività legislativa delegata puntualmente vincolata al rispetto della legge delega , il Governo, operando quale legislatore delegato , avrebbe violato in via mediata la norma costituzionale, senza la necessaria copertura “ politica ”: con il che, in sostanza, la vicenda, in giustizia, non differirebbe in modo significativo dall’adozione, ad opera del Governo-amministratore , di un regolamento illegittimo meramente attuativo di una norma di legge (per il quale non sussistono obiezioni di principio alla imputazione di responsabilità);

c ) che, in altri termini, non essendo (per definizione) “ libera nei fini ”, la disposizione normativa delegata non poteva essere acquisita come “ atto politico ”, come tale sottratto al sindacato giurisdizionale, quand’anche in via rimediale;

d ) che, in definitiva, non si tratterebbe di ordinaria attività legislativa formalmente imputabile al Parlamento, ma di attività soggettivamente e materialmente imputabile al Governo : questo, violando il limite della legge di delega, avrebbe leso un diritto soggettivo perfetto, non suscettibile di riparazione se non per equivalente, in ragione del tempo trascorso che aveva definitivamente conculcato il ius ad officium ;

e ) che allora – avendo il Governo arbitrariamente sostituito la propria volontà a quella del Parlamento, in materia coperta da disciplina legislativa completa e esaustiva, alterando in concreto i meccanismi di rappresentanza della magistratura amministrativa in seno all’organo di autogoverno – non avrebbe dovuto parlarsi, a rigore, di “ danno da provvedimento legislativo ” (atteso che, come accertato dalla Corte costituzionale, neppure sussisteva il potere legislativo in capo al Governo per introdurre le modifiche normative): non di cattivo uso del potere legislativo si sarebbe trattato, ma di radicale carenza di potere legislativo , sicché il danno prodotto non avrebbe potuto esservi ricondotto;

f ) che, per giunta, l’assenza di discrezionalità, la chiarezza dei limiti della delega evidenziati dalla sentenza Costituzionale, la lunga tradizione normativa parlamentare contraria alle modifiche introdotte, la loro contrarietà alla ratio della complessiva riforma in cui erano state arbitrariamente inserite costituivano, complessivamente acquisiti, elementi tali da deporre anche per una manifesta colpa del Governo, tale da legittimare l’imputazione del cagionato danno;

g ) che, infine, il diniego della (residuale) tutela risarcitoria sarebbe in contrasto con il canone di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale, garantito non meno a livello costituzionale che eurounitario e convenzionale.

4.1.- Il motivo non è fondato.

Importa anzitutto rammentare, in termini generali, che la giurisprudenza, dalla quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, non riconosce un danno da “ illecito legislativo ”.

Invero, la funzione legislativa, essenzialmente “ politica ”, è per definizione – salvi i limiti costituzionali - “ libera nei fini ”: ne segue la naturale insussistenza di una possibile qualificazione del danno come “ ingiusto ”, perché – diversamente che di fronte all’azione amministrativa – davanti all’attività legislativa non vi sono situazioni soggettive dei singoli protette dall’ordinamento (cfr. Cass., III, 22 novembre 2016, n. 23730, nonché Cons. Stato, V, 14 aprile 2015, n. 18652).

Va perciò rimarcata la diversità della fattispecie della responsabilità dello Stato per inadempimento degli obblighi comunitari (peraltro diffusamente qualificata “ di natura indennitaria per attività non antigiuridica ” in ragione della postulata distinzione tra ordinamento giuridico interno ed ordinamento unionale, ai fini della qualificazione dell’evento lesivo). Solo nel caso di ritardata o mancata attuazione di obblighi comunitari è possibile, invero, rinvenire un’adeguata base legale alla responsabilità dello Stato-legislatore, con correlato diritto del singolo attivabile direttamente dinanzi all’autorità giudiziaria (Cass., lav., 24 dicembre 2019, n. 34465).

4.2.- Non porta a diverse conclusioni il rilievo che, nella specie, il Governo – operando quale legislatore delegato – non avrebbe esercitato l’ ordinaria attività legislativa (imputabile al Parlamento e, nei sensi chiariti, insindacabile e libera nei fini), ma un’attività vincolata dalla legge delega , da cui limiti avrebbe, in concreto, abusivamente esorbitato.

L’assunto non è fondato, posto che l’attribuzione, in via di delega, di una funzione legislativa al Governo ha testuale base nell’art. 76 Cost. e nei caratteri che, per tale disposizione, deve avere la legge di delega: il che rende il potere legislativo delegato come un potere limitato e non libero nei fini, com’è (nei limiti costituzionali) quello parlamentare.

Infatti il decreto legislativo delegato può essere sottoposto al sindacato di legittimità costituzionale ex art. 134 Cost., quanto a rispetto dei limiti derivanti non solo dalle norme costituzionali, ma anche di quelli stabiliti dalla legge di delega: sicché la validità del decreto legislativo dipende, oltre che dalla validità della legge di delega, dal rispetto dei limiti da essa prefissati.

In questo senso, la legge di delega può essere considerata come norma interposta tra la norma costituzionale dell'art. 76 e il singolo decreto legislativo. Come ha, infatti, affermato la Corte costituzionale fin dalla sentenza n. 3 del 1957, “ sia il precetto costituzionale dell'art. 76, sia la norma delegante costituiscono la fonte da cui trae legittimazione la legge delegata ”, con la conseguenza che l'eventuale sua violazione determina l'incostituzionalità del decreto legislativo per indiretta violazione dell'art. 76 Cost..

Da questo peculiare rapporto tra legge delega e legge delegata non può però trarsi il corollario dell’assoggettamento ad un diverso regime di responsabilità , il quale finirebbe per assimilare l’attività legislativa delegata a una mera attività amministrativa a contenuto normativo, come è per le fonti secondarie.

Non è, dunque, in discussione il rango primario di entrambe le fonti di produzione e la forza e il valore di legge del decreto legislativo, capaci di abrogare norme di pari rango primario. Sicché il decreto legislativo rimane – malgrado i limiti connessi alla sua natura non originaria ma derivata - un atto politico insindacabile (o meglio, sindacabile nelle sole forme del controllo di costituzionalità) ed insuscettibile di costituire, di suo, la base per una responsabilità risarcitoria per fatto legislativo illecito .

Non si può dunque configurare una responsabilità del legislatore delegato per illecito costituzionale interno.

5.- Con il terzo motivo di censura, l’appellante lamenta il rigetto della formalizzata domanda risarcitoria (anche) ai sensi dell’articolo 112, comma 3, Cod. proc. amm., secondo i principi espressi da Cons. Stato, Ad. plen., 12 maggio 2017, n. 2.

5.1.- Il motivo è infondato.

L’istituto che il ricorrente invoca, attraverso un’interpretazione “ costituzionalmente orientata ”, prevede , stando a detta decisione – una forma di “ ottemperanza per equivalente ” […] che sostituisce l’ottemperanza in forma specifica nei casi in cui questa non sia più possibile. Essa si traduce nel riconoscimento dell’equivalente in denaro del bene della vita che la parte vittoriosa avrebbe avuto titolo di ottenere in natura in base al giudicato. Si ha, quindi, un rimedio alla impossibilità di esecuzione in forma specifica della sentenza, in un’ottica, per l’appunto, “rimediale” della tutela, quale si è andata delineando a partire dalle sentenze n. 204 del 2004 e n. 191 del 2006 della Corte costituzionale ”.

Si tratta di un istituto che, per opinione pacifica, opera sub specie di ottemperanza, sicché non appare pertinente a un’ipotesi, come quella in esame, dove un giudicato non si è ancora formato, perché solo si tratta di apprezzare la fondatezza della domanda risarcitoria.

Sono situazioni obiettivamente incomparabili: nel caso dell’art. 112, comma 3, l’ordinamento autorizza il ristoro quanto meno per equivalente di situazioni soggettive illegittimamente compromesse dall’azione amministrativa, nell’obiettiva impossibilità di dare conformativo e satisfattivo seguito al giudicato, con esito specificamente reintegratorio della posizione del privato.

Nel caso di specie, invece, la non risarcibilità discende, prima che da una pratica impossibilità operante in executivis alla luce della dinamica dell’azione amministrativa, dall’assenza del presupposto dell’ ingiustizia del danno. Sicché si tratta di questione di ordine sostanziale , non solo remediale .

Appare dunque irrilevante il prospettato dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 112, comma 3, Cod. proc. amm. (proprio perché non applicabile all’impossibilità della prestazione in corso di giudizio, non a seguito di giudicato): si tratta, in effetti, di situazioni diverse e non comparabili.

6.- Con una quarta doglianza, l’appellante censura la sentenza nella parte in cui ha omesso di pronunciarsi, in subordine, sulla domanda di riconoscimento del diritto all’indennità di carica non corrisposta dal momento dell’illegittimo diniego di surroga “ a titolo di obbligazione ex lege retroattivamente connessa alla necessaria retrodatazione della nomina ”.

6.1.- Il motivo è infondato.

Ai componenti del Consiglio di presidenza per la giustizia amministrativa, l’art. 42, comma 2 del Regolamento recante l’esercizio dell’autonomia finanziaria da parte della Giustizia Amministrativa , approvato con Decreto del Presidente del Consiglio di Stato 6 febbraio 2012 , riconosce, “ in sostituzione di ogni altra utilità economica corrisposta a titolo di partecipazione a sedute, di attività istruttoria, di studio, di ricerca una “ indennità di funzione onnicomprensiva ”, che mira a ristorare la gravosità dell’incarico, il quale non esonera integralmente, benché attenui, i doveri di ufficio.

Trattandosi di trattamento economico correlato ad un munus onorario e non ad una prestazione lavorativa, lo stesso non ha natura retributiva ma funzione meramente indennitaria e compensativa (non è, con ciò, utile a fini pensionistici): ed è dovuto solo a fronte dell’ effettivo svolgimento dell’attività.

Vale rammentare come, per risalente tradizione giuridica (cfr. Paul., Dig . 50.16.18), il munus (a differenza dell’ officium ) conserva l’originario significato di una doverosità essenzialmente non remunerata (e perciò, al più, compensata in quanto si riveli gravosa). Sicché, in definitiva, resta fermo che l’ immunis (qui nullo fungitur officio ) non può, per definizione, rivendicare un compenso per un’attività, di fatto, non esercitata.

6.2.- L’appellante rivendica, altresì, il danno non patrimoniale, da liquidarsi in via equitativa, in ragione del “ mancato rafforzamento della propria immagine e stima goduta nella categoria ” e nel mancato arricchimento “ ai massimi livelli ” della “ propria esperienza ” e delle “ proprie competenze ”.

Di là dal rilievo che, trattandosi di pretesa risarcitoria, la stessa va negata alla luce delle considerazioni appena svolte in relazione all’insussistenza dei presupposti per la responsabilità da illecito legislativo, vale evidenziare che questi profili hanno trovato – e con la naturale irretroattività che si è vista - ristoro in forma specifica con l’immissione del ricorrente nell’organo di autogoverno, sia pure negli ultimi mesi della precedente consiliatura: sicché non sussistono pregiudizi di ordine non patrimoniale da ristorare.

7.- Con il quinto motivo, proposto in estremo subordine, l’appellante censura la sentenza nella parte in cui ha respinto la domanda di risarcimento del danno formulata in primo grado, per l’ingiustificato ritardo con cui l’Amministrazione avrebbe disposto la nomina a membro effettivo del Consiglio di Presidenza, pure dopo il deposito in cancelleria della sentenza n. -OMISSIS- del 2018 della Corte costituzionale, avvenuto il 30 gennaio 2018.

In sostanza, l’appellante rivendica il risarcimento del pregiudizio derivante dal mancato esercizio delle funzioni a far immediata data dal deposito della sentenza costituzionale sino all’immissione effettiva in data 12 aprile 2018.

7.1.- Il motivo è infondato.

Di là da ogni altro rilievo vale osservare, in fatto, che tra il 30 gennaio 2018 e il giorno in cui il Consiglio di presidenza assunse la delibera di surroga dell’appellante (approvata il giorno 8 marzo 2018), risultano trascorsi trentotto giorni.

Se si aggiunge che la pronunzia cautelare del Consiglio di Stato n. 935/2018 è intervenuta il 2 marzo 2018 e che il Consiglio di presidenza avviava, il successivo 8 marzo 2018, il procedimento amministrativo necessario per il subentro, è dato osservare che si tratta di tratti di tempo del tutto congruenti con la naturale complessità del procedimento, che coinvolge più Amministrazioni e consta di più fasi. Sicché appare condivisibile l’assunto della sentenza per cui “ la nomina del ricorrente nel posto spettante in seno all’organo di autogoverno non poteva avvenire semplicemente sulla base della lettura della sentenza della Corte, così come l’atto di proclamazione, a seguito di svolgimento delle elezioni non è stato sufficiente all’insediamento del controinteressato. In entrambi i casi è necessaria l’intermediazione di un atto amministrativo, adottato a seguito di un procedimento che richiede l’intervento di ben tre distinte autorità (deliberazione dell’organo di autogoverno, emanazione con DPR, controllo della Corte dei Conti), per cui può produrre i suoi effetti solo una volta perfezionato il complesso iter procedimentale ”.

Nemmeno sono stati dedotti elementi di fatto o ragioni giuridiche per contestare la tempistica procedimentale, a dimostrare che il provvedimento avrebbe potuto essere ragionevolmente adottato in un termine più breve.

8.- L’appello va dunque complessivamente respinto.

Sussistono giustificati motivi per disporre, tra le parti costituite, l’integrale compensazione di spese e competenze di lite.

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