Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-07-11, n. 202205802

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-07-11, n. 202205802
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202205802
Data del deposito : 11 luglio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/07/2022

N. 05802/2022REG.PROV.COLL.

N. 01844/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sull’appello n. 1844 del 2022, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato E S D L H, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Machiavelli, n. 25;

contro

il Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore , non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sede di Roma (Sezione Prima), n. -OMISSIS-, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le istanze di data 4 e 7 luglio 2022, con cui l’appellante ha chiesto che sia deferita all’esame dell’Adunanza Plenaria la questione se – nel caso devoluto all’esame della Sezione – il TAR possa compensare tra le parti le spese del giudizio.

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 7 luglio 2022 il pres. L M;

Vista la nota di data 4 luglio 2022, con cui l’appellante ha insistito nelle già formulate conclusioni ed ha chiesto il passaggio in decisione della causa;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

-1. Con il ricorso di primo grado n. -OMISSIS-(notificato in data 31 maggio 2021), l’appellante ha impugnato il silenzio serbato dal Ministero dell’Interno sulla sua istanza di concessione della cittadinanza italiana, presentata in data 10 gennaio 2017, ed ha chiesto l’accertamento dell’obbligo del Ministero di concludere il procedimento.

Nel corso del giudizio di primo grado, il Ministero ha depositato l’atto con cui in data 27 luglio 2021 è stato trasmesso alla Prefettura il decreto di data 21 luglio 2021, di conferimento della cittadinanza italiana, per la notifica all’interessato.

2. Il TAR, con la sentenza n. -OMISSIS-, ha rilevato che vi è stata la cessazione della materia del contendere ed ha compensato tra le parti le spese del giudizio.

In particolare, il TAR ha tenuto conto:

- del termine di 48 mesi applicabile al procedimento, ai sensi dell’art. 14 del decreto legge n. 113 del 2018;

“ dell’ulteriore sospensione di 82 giorni di tutti i termini per effetto del combinato disposto dell’art. 103 del d.l. 7 marzo 2020, n. 18 (convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27), e dell’art. 37 del d.l. 8 aprile 2020, n. 23 (convertito con modificazioni dalla legge 5 giugno 2020, n. 40), che ha infatti sospeso tutti i termini dei procedimenti pendenti al 23 febbraio 2020 (o iniziati successivamente a questa data) per tutto il periodo intercorrente tra il 23 febbraio 2020 e il 15 maggio 2020”.

Il TAR ha precisato che, in conseguenza della soccombenza virtuale dell’Amministrazione (in ragione del fatto che il procedimento si è concluso dopo il decorso di 48 mesi), va rimborsato all’interessato il contributo unificato pagato per la proposizione del ricorso di primo grado.

3. Con l’appello in esame, è stato chiesto che, in parziale riforma della sentenza impugnata, il Ministero sia condannato al pagamento delle spese del giudizio di primo grado.

L’appellante ha dedotto la violazione dell’art. 26 del c.p.a. e degli articoli 91 e 92 del c.p.c., lamentando la mancata motivazione della sentenza impugnata e rilevando che il procedimento si è concluso in ritardo rispetto al termine fissato dalla legge, ed ha richiamato alcuni precedenti di questo Consiglio, sulla spettanza del rimborso delle spese in materia, anche nel caso di declaratoria della cessazione della materia del contendere (v. le sentenze n. 640 del 2015;
n. 2346 del 2018;
nn. 756 e 757 del 2021).

Con istanze depositate in data 4 e 7 luglio 2022, l’appellante ha rilevato che sulla questione sollevata con l’atto d’appello si è formata una giurisprudenza variegata ed ha chiesto che la sua definizione sia rimessa all’esame dell’Adunanza Plenaria, ai sensi dell’art. 99 del codice del processo amministrativo.

L’Amministrazione appellata non si è costituita nel corso del secondo grado del giudizio.

4. Ritiene la Sezione che l’appello risulta infondato e va respinto.

Di conseguenza, non sussistono i presupposti per disporre che sulla questione controversa si debba pronunciare l’Adunanza Plenaria, ai sensi dell’art. 99 del codice del processo amministrativo.

La Sezione condivide e fa proprio l’orientamento (pacificamente seguito in diversi settori del diritto amministrativo, tra cui anche quelli concernenti le istanze d’accesso, quelli volti ad ottenere i permessi di soggiorno, quelli volti all’esecuzione dei giudicati formatisi ai sensi della legge n. 89 del 2001 e, più di recente, anche quelli concernenti le definizioni tardive dei procedimenti per la concessione della cittadinanza italiana) per il quale il TAR ha ampi poteri discrezionali in ordine alla statuizione sulle spese e, se del caso, al riconoscimento, sul piano equitativo, dei giusti motivi per far luogo alla compensazione delle spese giudiziali, ovvero per escluderla (Cons. Stato, Ad. Plen., 24 maggio 2007, n. 8), con il solo limite, in pratica, che non può condannare alle spese la parte risultata vittoriosa in giudizio o disporre statuizioni abnormi (per tutte, Consiglio Stato, Sez. III, 17 maggio 2022, n. 3909;
Sez. III, 6 maggio 2022, n. 3565 e n. 3566;
Sez. IV, 17 gennaio 2022, n. 278;
Sez. IV, 27 gennaio 2020, n. 654;
Sez. IV, 24 dicembre 2019, n. 8766;
Sez. IV, 28 novembre 2019, n. 8148;
Sez. IV, 9 ottobre 2019, n. 6887;
Sez. IV, 8 ottobre 2019, n. 6797;
Sez. IV, 23 settembre 2019, n. 6352;
Sez. V, 28 ottobre 2015, n. 4936;
Sez. III, 9 novembre 2016, 4655;
Sez. IV, 3 novembre 2015, n. 5012;
Sez. VI, 9 febbraio 2011, n. 891;
Sez. IV, 22 giugno 2004, n. 4471;
Sez. IV, 27 settembre 1993, n. 798).

Anche in considerazione dei principi enunciati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 77 del 2018, il giudice – nel gestire il contenzioso al suo esame, pure in tema di ritardo nell’esercizio del potere pubblico - ben può tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto, tra cui possono avere rilievo anche le questioni di carattere organizzativo quando si tratti di giudizi sostanzialmente di carattere seriale, l’esistenza di un diffuso contenzioso in materia, la scopertura degli organici degli uffici amministrativi, l’assenza delle risorse nell’attuale congiuntura economica, la proposizione nel medesimo periodo di tempo di un numero notevole di ricorsi nei confronti della medesima Amministrazione e la difficoltà di disporre tempestivamente delle risorse umane ed economiche necessarie per definire i procedimenti.

Quando esamina il ricorso di chi lamenti la mancata tempestiva conclusione del procedimento amministrativo, il TAR ben può tenere conto della sussistenza di tali difficoltà e - nell’esercizio dei propri poteri discrezionali, quando accoglie un ricorso, o lo dichiara improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse o per cessazione della materia del contendere - può compensare le spese del giudizio, con una valutazione insindacabile in sede d’appello.

Tale decisione di per sé non incide sul diritto alla effettività della tutela giurisdizionale (poiché le regole sulla statuizione sulle spese coesistono con le altre regole, miranti alla effettività della tutela) e neppure incide sulla dignità e sul decoro della professione forense, in quanto non comporta di per sé una valutazione sull’operato del difensore o sulla qualità dei suoi scritti e attiene esclusivamente agli aspetti processuali sopra indicati.

Nel caso di specie, ad avviso del Collegio, per di più il TAR non irragionevolmente ha tenuto conto del superamento in concreto del termine di durata del procedimento.

Infatti, la sentenza impugnata ha evidenziato che:

- per legge il procedimento sarebbe potuto durare 4 anni e 82 giorni;

- l’istanza originaria risaliva al 10 gennaio 2017 e l’Amministrazione ha emesso in data 21 luglio 2021 il decreto di concessione della cittadinanza (rispetto alla data ultima del 2 aprile 2021, per la conclusione del procedimento).

Ad avviso della Sezione, tale superamento non può essere considerato abnorme e comunque ragionevolmente, oltre che motivatamente, la sentenza appellata ha ritenuto insussistenti i presupposti per condannare l’Amministrazione al pagamento delle spese.

D’altra parte, la sentenza impugnata – nella sua complessiva valutazione – ha ben potuto tenere anche conto:

- dei dati frequentemente forniti dal Ministero nei suoi atti difensivi depositati nei giudizi di primo grado proposti in materia al TAR per il Lazio (dati resi pubblici e comunque da considerare come fatto notorio nell’ambito degli operatori del settore), sul numero delle istanze di rilascio della concessione della cittadinanza italiana, formulate nel corso degli anni (90.529 nel 2020, 117.002 nel 2019, 139.419 nel 2018, 138.735 nel 2017, 131.764 nel 2016, 117.178 nel 2015);

- del fatto che nel corso dei relativi procedimenti si devono doverosamente disporre complessi accertamenti istruttori e vanno valutate le relative risultanze (in termini, Consiglio di Stato, Sez. III, 11 maggio 2022, n. 3729;
Sez. III, 17 maggio 2022, n. 3909).

8. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto.

Nulla per le spese del secondo grado, non essendosi costituita in giudizio l’Amministrazione appellata.

Tenuto conto della data di proposizione dell’atto d’appello, la Sezione ritiene che non sussistono nel caso in esame i presupposti per disporre la condanna dell’appellante, ai sensi dell’art. 26, comma 2, del codice del processo amministrativo.

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