Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-12-02, n. 201405965

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-12-02, n. 201405965
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201405965
Data del deposito : 2 dicembre 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05287/2014 REG.RIC.

N. 05965/2014REG.PROV.COLL.

N. 05287/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5287 del 2014, proposto da:
Associazione Religiosa Istituti Socio-Sanitari - ARIS, rappresentata e difesa dall'avv. G P, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, corso Rinascimento n.11;

contro

Ministero della Salute e Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
Regione Lazio, rappresentata e difesa dall'avv. R M P, domiciliata in Roma, Via Marcantonio Colonna n. 27 presso l’Avvocatura regionale;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA - SEZIONE III QUATER n. 10985/2013, resa tra le parti, concernente remunerazione delle prestazioni di assistenza ospedaliera per acuti, assistenza ospedaliera di riabilitazione e lungodegenza post acuzie e di assistenza specialistica ambulatoriale


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Salute, del Ministero dell'Economia e delle Finanze, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Presidente della Regione Lazio quale Commissario ad acta per la sanità della Regione Lazio e della Regione Lazio;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 novembre 2014 il Cons. V S e uditi per le parti gli avvocati Pellegrino e Privitera e l’avvocato dello Stato Varrone;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.1. Parte appellante ha a suo tempo impugnato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, il decreto del Ministero della Salute, adottato di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, del 18 ottobre 2012, recante “Remunerazione delle prestazioni di assistenza ospedaliera per acuti, assistenza ospedaliera di riabilitazione e lungodegenza post acuzie e di assistenza specialistica ambulatoriale”, premettendo che i precedenti decreti del Ministero della Salute del 1996 e del 12 settembre 2006, recante “Ricognizione e primo aggiornamento delle tariffe massime per la remunerazione delle prestazioni sanitarie”, erano stati annullati dal T.A.R. Lazio, con sentenze confermate dalla IV e V Sezione del Consiglio di Stato (sentenze nn. 1839/2001 e 1205/2010) per mancanza di un’analitica istruttoria.

Nelle more della definizione delle nuove tariffe è intervenuto il decreto legge 6 luglio 2012 n. 95, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 135, che ha introdotto disposizioni per la revisione e il controllo della spesa pubblica e in particolare per la “razionalizzazione e riduzione della spesa sanitaria”.

L’art. 15, c. 15 (Titolo III “Razionalizzazione e riduzione della spesa sanitaria”), ha stabilito che: “In deroga alla procedura prevista dall’articolo 8-sexies, comma 5, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, in materia di remunerazione delle strutture che erogano assistenza ospedaliera ed ambulatoriale a carico del Servizio Sanitario Nazionale, il Ministero della Salute, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Provincie autonome di Trento e di Bolzano, con proprio decreto, entro il 15 settembre 2012, determina le tariffe massime che le Regioni e le Province autonome possono corrispondere alle strutture accreditate, di cui all’articolo 8-quater del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni, sulla base dei dati di costo disponibili e, ove ritenuti congrui ed adeguati, dei tariffari regionali, tenuto conto dell’esigenza di recuperare, anche tramite la determinazione tariffaria, margini di inappropriatezza ancora esistenti a livello locare e nazionale”;
il successivo comma 17 dispone che gli importi tariffari fissati dalle singole Regioni, nelle misure superiori alle tariffe massime stabilite ai sensi del detto c. 15, sono posti a carico dei bilanci regionali, e le Regioni sottoposte ai piani di rientro non possono derogare agli importi massimi stabiliti dal decreto ministeriale ivi contemplato.

Con l’impugnato decreto ministeriale del 18 ottobre 2012 sono state adottate, con il parere negativo della Conferenza Stato-Regioni, le tariffe massime per la remunerazione delle prestazioni di assistenza ospedaliera per acuti, di riabilitazione e lungodegenza post acuzie e specialistica ambulatoriale secondo gli importi e le prestazioni contenuti negli allegati 1, 2 e 3, e sono stati determinati nuovi valori soglia dei ricoveri per il settore della riabilitazione e lungodegenza post acuzie, valevoli dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto, e cioè dal 28 gennaio 2013, al 31 dicembre 2014.

Parte ricorrente sostiene che, nell’allegato 3 al decreto impugnato, le tariffe delle prestazioni hanno subito una notevole riduzione e comunque sono stati tali da non remunerare adeguatamente i costi di produzione per cui i laboratori di analisi accreditati ed i professionisti ad essi addetti, sono o saranno costretti, a breve, a cessare la propria attività non potendo continuare ad operare in perdita senza coprire i costi di produzione ed ancor meno senza potere conseguire alcun utile.

Sono state sviluppate quindi, con ampie argomentazioni, censure di: violazione ed erronea applicazione, da parte del citato D.M. del 2012, dell’art. 15, c. 15, del suddetto decreto legge n. 95/2012;
violazione di norme di rango costituzionale (in specie artt. 41 e 97 Cost.);
eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare per carenza di istruttoria e di motivazione, in quanto non sarebbe stato tratto un campione rappresentativo dei dati di costo dei laboratori di analisi pubblici e privati operanti in tutte le Regioni;
illegittimità derivata, in quanto nel testo del D.M. contestato sono stati richiamati anche i precedenti Decreti Ministeriali, del 1996 e del 2006, annullati dal giudice amministrativo;
contraddittorietà e vizi del procedimento, non essendo state sentite le organizzazioni sindacali e professionali nonché violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regione ex art. 120, c. 2, Cost., in quanto il D.M. nulla avrebbe motivato in relazione al parere negativo, sullo schema di decreto, espresso dalla Conferenza Stato-Regioni;
vizi del procedimento per mancato inserimento della Commissione ai fini della formulazione di proposte di cui all’art. 17 bis introdotto con il D.L. n. 158/2012 convertito nella legge n. 189/2012.

1.2. Il T.A.R. dopo avere disposto incombenti istruttori a carico dei Ministeri competenti, ha respinto tutte le censure dedotte con il ricorso e i motivi aggiunti di cui sopra con sentenza n. 10985 del 3 dicembre 2013 depositata il 19 dicembre 2013, compensando le spese di giudizio.

Il giudice di prime cure ha infatti sottolineato il carattere eccezionale e temporaneo dell’art. 15, c. 15, del decreto legge n. 95/2012, ispirato a ragioni di contenimento della spesa sanitaria ed alla necessità e urgenza di stabilire su tutto il territorio nazionale tariffe uniformi in tempi così ravvicinati che consentiva, entro un termine sì ordinario ma comunque pressante, alla Amministrazione il legittimo ricorso “a dati disponibili”, come elemento da utilizzare temporaneamente sino al 31 dicembre 2014, per una immediata formazione del nuovo tariffario, così “colmando” un prolungato vuoto in materia tariffaria grazie al temporaneo sacrificio della certezza che tali tariffe fossero effettivamente adeguate a remunerare le prestazioni erogate, e superando nella contingenza le eventuali possibili carenze della istruttoria effettuata.

Si richiama la giurisprudenza costituzionale e amministrativa circa la comparazione fra gli interessi pubblici e privati attribuita al legislatore nazionale e alle Regioni, con l’impegno di tutte le componenti del S.S.N. e del settore (operatori, utenti, strutture sanitarie pubbliche e private, fornitori di servizi e prestazioni) a ottemperare agli interventi, dovuti anche a livello comunitario e volti al rientro dal disavanzo sanitario, alla riduzione dei costi e delle spese, ai vincoli di bilancio e alle effettive disponibilità finanziarie, alla “utilità sociale” dell’iniziativa economica privata, condizionando senza compromettere i livelli essenziali di assistenza sanitaria nella quantità e nella qualità, con la conseguenza che comunque gli imprenditori possono valutare la convenienza di continuare a operare o meno con il S.S.R..

Vengono disattese anche le censure rivolte avverso i valori soglia per ricoveri quale struttura di alta specialità riabilitativa che svolge anche attività di ricerca, circostanza ininfluente sulle patologie e sulla durata dei ricoveri in generale per tutte le strutture, tenuto conto anche degli studi dell’OCSE del 2009 che hanno evidenziato un numero maggiore e ingiustificato di ricoveri in Italia.

2. Con atto notificato il 17 giugno 2014 e depositato il 24 giugno 2014 l’ARIS ha proposto appello, con domanda di sospensiva, riproponendo sostanzialmente i motivi di primo grado e censurando la sentenza per contraddittorietà ed errata interpretazione del nominato D.L. n. 95/2012 convertito in legge n. 135/2012.

Si sostiene invero che quella normativa, seppure eccezionale e temporanea, in ogni caso prevedeva la determinazione delle tariffe sulla base dei costi disponibili e, ove ritenuti congrui e adeguati, dei tariffari regionali esistenti e rappresentativi di tutto il territorio nazionale secondo un campione sufficientemente rappresentativo della intera realtà delle strutture pubbliche e private presenti ed operanti in tutte le regioni d’Italia, e comunque a tal fine l’Amministrazione era tenuta a espletare una specifica istruttoria con conseguente motivazione delle tariffe così determinate.

Il Ministero invece, nel D.M. impugnato, non ha esternato i criteri seguiti nella rideterminazione delle tariffe, né indicato quali e quanti dati hanno in sede istruttoria giustificato le scelte operate, né le linee di studio e di approfondimento attivate dal gruppo di lavoro, né le rilevazioni campionarie, trascurando per di più altri dati provenienti dai contratti collettivi nazionali e dagli indici ISTAT.

Il T.A.R., oltre a non esprimersi affatto sulle tariffe – censurate – per la branca di riabilitazione, asseritamente non basate neanche sulla normativa derogatoria (tariffari regionali e loro adeguatezza), ha contraddittoriamente riconosciuto che i dati non erano adeguati e non caratterizzati dalla necessaria certezza e significatività e, nel contempo, affermato che la eccezionalità dell’iter, come prefigurato dal legislatore, giustificava tariffe anche non realistiche e sottodimensionate, mentre la norma faceva riferimento ai dati di costo sì disponibili ma solo se congrui ed adeguati, impegnando quindi l’Amministrazione a formulare un giudizio di congruità ed adeguatezza, che nella fattispecie è mancato, ed anzi si è fatto riferimento anche ai precedenti Decreti Ministeriali del 1996 e del 2006, che tuttavia erano stati annullati dal giudice amministrativo proprio per carenza di istruttoria.

D’altra parte, i limiti derivati dalla scarsità delle risorse, in base a principi di buon andamento e ragionevolezza e secondo gli approdi ai quali è pervenuta la giurisprudenza amministrativa, potevano incidere sul totale della spesa del settore e cioè sui cd. budget di spesa a livello nazionale, ma non sulle tariffe spettanti agli operatori di settore per singole prestazioni che, per effetto del D.M. impugnato, sono state rese non remunerative;
né giustificava la carenza istruttoria il termine assegnato all’Amministrazione dal legislatore sia pure di natura ordinaria o sollecitatoria, come peraltro ritenuto dalla stessa Amministrazione, che ha adottato il D.M. comunque con ritardo rispetto alla data indicata all’atto della conversione del decreto legge.

Nello stigmatizzare l’accenno alla possibilità di “uscire” anche dal S.S.R., si sottolinea ancora come anche la Conferenza permanente dei rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Provincie autonome aveva reso parere negativo, e nessuna ragione è stata esplicitata in proposito dallo stesso D.M., e, a supporto della asserita incongruità delle tariffe, si riproducono i dati forniti da uno studio condotto dalla Università

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