Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2024-05-16, n. 202404343

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2024-05-16, n. 202404343
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202404343
Data del deposito : 16 maggio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 16/05/2024

N. 04343/2024REG.PROV.COLL.

N. 03297/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3297 del 2019, proposto da
L K, rappresentato e difeso dagli avvocati G D N, S P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Trieste, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati M F, A F, V F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio A F in Roma, via Emilio de' Cavalieri 11;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima) n. 00001/2019, resa tra le parti,


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Trieste;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 novembre 2023 il Cons. D C e viste le conclusioni delle parti come da verbale.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.Il sig. L K ha interposto appello avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia, sezione prima, 3 gennaio 2019, n. 1, con cui è stato rigettato il ricorso da Egli proposto per il risarcimento del danno patito a seguito dell’annullamento del verbale di gara del 6 settembre 2007, relativo alla vendita di un immobile di via Vigneti n. 105, di proprietà del Comune di Trieste, nonché a causa della determinazione del 25 settembre 2007, di revoca della precedente aggiudicazione a favore della signora Lucia Rosina e di conseguente nuova aggiudicazione a mezzo trattativa privata ai signori Alessandro Boschini e Roberta Bellini.

2. In tale procedura il ricorrente si era classificato terzo, ovvero ultimo degli offerenti, avendo offerto un aumento del prezzo a base d’asta (pari ad € 57.700,00) del 5,85% mentre il signor Corradin si classificava secondo, con l’offerta di un aumento del 10,6% e la prima classificata Lucia Rosina offriva l’aumento del 30%, per cui il bene veniva aggiudicato ad Ella al prezzo di euro settatacinquemiladieci/08.

2.1. Il Comune di Trieste, a seguito dell’inadempimento dell’originaria aggiudicataria, non dava seguito alla previsione dell’art. 6 del bando di gara e quindi allo scorrimento della graduatoria, procedendo alla vendita a trattativa privata, avuto riguardo anche alla intervenuta rivalutazione dell’immobile, trattativa cui veniva invitato anche il ricorrente che presentava offerta con riserva di impugnativa - assumendo l’illegittimità della procedura seguita – non risultando aggiudicatario neanche a seguito di questa procedura.

2.2. Il K interponeva dunque ricorso straordinario al Presidente della Repubblica che, con decreto del 6 ottobre 2009, veniva dichiarato irricevibile “ nella parte in cui sono impugnate le determinazioni del Comune di Trieste concernenti sia la revoca della procedura di aggiudicazione per pubblica asta per l'alienazione dell'immobile in questione, sia la sua successiva vendita mediante trattativa privata previa gara ufficiosa senza procedere all'aggiudicazione nei confronti del secondo della precedente graduatoria. Invero, il ricorso, notificato in data 24.4.2008, è tardivo rispetto alle menzionate determinazioni del Comune, compiutamente manifestate all'interessato (cfr. note del 8.12.2006, del 16.5.2007 e del 13.7.2007) ”.

Per contro, venivano ritenute “ fondate le residue censure prospettate avverso la successiva attività di alienazione dell'immobile, con particolare riferimento alla violazione degli art. 73 e 76 del R.D. n. 827/1924;
invero, l'avvenuta infruttuosa "consumazione" della primitiva procedura di gara, se poteva giustificare la revoca della medesima procedura, anche in considerazione dell'assorbente rilievo della intervenuta "rivalutazione" dell'immobile, non legittima per contrasto con le richiamate disposizioni e dei principi generali in tema di procedure alienative di immobili di proprietà pubblica, il ricorso alla vendita per trattativa privata, in quanto la procedura di gara pubblica è l'unica che garantisca contestualmente la massima trasparenza e la più diffusa partecipazione procedurale [
…]” (cfr. Cons. Stato, Sez. I, parere n. 100 del 2009).

2.3. Preso atto della pronuncia, l’Amministrazione dava corso all’asta pubblica, aggiudicando l’immobile all’unico offerente (che si identificava con il medesimo soggetto individuato a seguito della trattativa privata), all’importo di € 71.578,80, non avendo l’appellante più inteso partecipare alla nuova asta pubblica.

3. Il K presentava successivamente al Comune istanza risarcitoria, avuto riguardo alla declaratoria di illegittimità di cui al D.P.R. che aveva deciso il ricorso straordinario.

3.1. Segnatamente, nella richiesta di data 28 agosto 2012 presentata a mezzo del legale, rappresentava che: “ L’aver violato le norme procedurali e l’aver assegnato l’immobile a terzi a seguito della “gara ufficiosa”, poi annullata, ha di fatto dilatato i tempi, provocando un ingiustificato innalzamento del prezzo, tale da rendere l’acquisto non più di interesse per il mio assistito, il quale, nelle more, peraltro si vedeva costretto a reperire sul mercato immobiliare altra e meno vantaggiosa soluzione abitativa. Ed invero, quando egli prese parte all’originaria gara pubblica, indetta nel 2004, il prezzo base per l’alienazione era pari ad € 57.700,00. A quell’epoca il sig. K era seriamente e fermamente intenzionato ad acquistare l’immobile, in quanto intendeva farne la propria “prima casa”. Qualora, a seguito della mancata effettiva alienazione alla prima aggiudicataria, il Comune avesse agito secondo le procedure di legge – e quindi avesse tempestivamente provveduto all’integrale rifacimento della gara originaria, previa revoca della precedente aggiudicazione – il mio assistito avrebbe avuto la possibilità di acquistare l’immobile facendo la propria offerta a partire dal prezzo in origine fissato (ovvero, si ribadisce, 57.700,00 €). Poiché, come già cennato, l’amministrazione comunale ha illegittimamente seguito delle procedure “alternative”, il sig. K si è visto costretto a prendere atto che il prezzo base per l’asta svoltasi il 7 ottobre 2011 fosse di ben 70.800,00 €, per un differenziale pari a 13.100,00 € rispetto alla base stabilita nel 2003 .”

3.2. Con l’ulteriore comunicazione del 22 maggio 2014, il signor K chiariva nuovamente a mezzo legale che, a seguito dell’ingiustificato incremento di prezzo stabilito dal Comune, si era visto costretto “ ad attivarsi per reperire un immobile idoneo – peraltro dal costo ben maggiore rispetto all’immobile di via dei Vigneti – dopo ben 6 anni dall’originaria asta;
egli ha dovuto pertanto rimanere presso l’abitazione genitoriale per tutto il suddetto lasso di tempo, rimandando a lungo la propria autonomia abitativa ed indipendenza per ragioni non certo a sé imputabili. Il tutto ha comportato conseguenze ben intuibili che si sono riflesse sulla qualità della vita del sig. K, che nel 2004 aveva già 29 anni ed auspicava quindi di poter concludere l’acquisto dell’immobile comunale per rendersi indipendente ed abbandonare in tempi ragionevolmente brevi il domicilio dei genitori
.”

3.3. Nella menzionata nota dd. 22.5.2014, inoltre evidenziava che il Comune aveva mancato ad un proprio obbligo di natura contrattuale nei suoi confronti, omettendo di applicare le clausole contenute nell’originario bando di gara, in virtù delle quali l’immobile, in caso di annullamento o revoca dell’aggiudicazione al primo classificato, avrebbe dovuto essere riaggiudicato senza dar corso ad una nuova procedura.

In tesi della parte istante era dunque ravvisabile anche il danno da inesecuzione contrattuale (mancato incremento patrimoniale di cui il contraente avrebbe goduto nel caso in cui il contratto avesse avuto regolare esecuzione), non essendo limitato al mero interesse negativo. Tali ulteriori voci di danno venivano quantificate in via equitativa in € 5.000,00 (di cui € 2.000,00 a titolo di ristoro per il disagio della prolungata coabitazione con la propria famiglia d’origine ed € 3.000,00 a titolo di danno da inesecuzione contrattuale). Il danno complessivamente quantificato dal signor K a fronte della illegittima condotta amministrativa, pertanto poteva in tesi essere quantificato in € 18.100,00.

3.4. Non avendo il Comune inteso dare seguito alla richiesta risarcitoria e non essendosi presentato alla procedura di mediazione attivata dal K, quest’ultimo adiva il Tar per il risarcimento del danno.

4. Pertanto con il ricorso di prime cure chiedeva, previo accertamento del danno patito, di condannare l’amministrazione comunale resistente al pagamento del relativo risarcimento, quantificato nella misura di € 18.100,00, ovvero in quella maggiore o minore somma ritenuta di giustizia, da liquidarsi, eventualmente, anche in via equitativa, con condanna dell’Amministrazione alle spese di lite, avuto riguardo anche alla mancata partecipazione dell’amministrazione resistente al procedimento di mediazione.

5. Si costituiva il Comune di Trieste che eccepiva l’inammissibilità del ricorso, per la mancata impugnazione (o meglio per la tardiva impugnazione) dell’avversata revoca della procedura, nonché l’intervenuta prescrizione e l’infondatezza nel merito della richiesta risarcitoria.

6. Con la sentenza oggetto del presente appello il Tar per il Friuli Venezia Giulia ha respinto il ricorso, sia avendo riguardo al concorso di colpa del danneggiato, che per assenza di prova del nesso eziologico rispetto ai danni lamentati, condannando il ricorrente alla refusione delle spese di lite.

7. Con l’atto di appello il K ha articolato le seguenti censure avverso la sentenza di prime cure:

1) Erroneità della sentenza impugnata – travisamento dei fatti;
irragionevolezza;

2) in subordine – erroneità del capo della sentenza che ha disposto la condanna alle spese di lite.

8. Il Comune, dopo essersi costituito con memoria di mero stile, ha prodotto articolata memoria di discussione in data 30 ottobre 2023, ex art. 73 comma 1 c.p.a., instando per il rigetto dell’appello, mentre il ricorrente con la memoria di discussione presentata in pari data ha insistito nel suo accoglimento, rimarcando che il secondo classificato nell’originaria procedura di gara non aveva inteso poi partecipare alla vendita a trattativa privata.

9. La causa è stata trattenuta in decisione all’esito dell’udienza pubblica del 30 novembre 2023.

DIRITTO

10. La presente causa ha ad oggetto la pretesa risarcitoria avanzata dal Sig. K relativamente alla revoca di una procedura di vendita all’asta di un bene immobile di proprietà del Comune di Trieste, cui aveva preso parte il ricorrente, classificandosi terzo in graduatoria, fondata sul rilievo dell’illegittimità della procedura di revoca e della conseguente vendita a trattativa privata, quale, in tesi di parte appellante, accertata in sede di ricorso straordinario previo parere del Cons. Stato, Sez. I, n. 100 del 2009.

10.1. Il giudice di prime cure ha rigettato la richiesta risarcitoria sulla base di un duplice presupposto, per un verso avendo riguardo all’intempestività del ricorso straordinario presentato, quale evincibile dalla relativa decisione, e per altro verso in considerazione del rilievo della mancanza della prova della spettanza del bene della vita o di una chance di aggiudicazione, in quanto il ricorrente, quale terzo classificato, avrebbe dovuto comprovare, in termini di sufficiente probabilità, che l’aggiudicazione non sarebbe stata comunque disposta a favore del soggetto classificatosi come secondo, seguendo il naturale ordine della graduatoria, circostanza rispetto alla quale non era stata però prodotta alcuna seria allegazione.

11. Con l’atto di appello il K assume l’erroneità di entrambi i profili motivazionali assumendo,

quanto al primo profilo (concorso di colpa del danneggiato per intempestiva impugnazione in sede di ricorso straordinario) che, al contrario di quanto ritenuto dal primo giudice, il ricorso straordinario avverso la revoca dell’aggiudicazione doveva ritenersi tempestivo, essendo detta revoca avvenuta contestualmente all’individuazione del nuovo aggiudicatario (doc. 22 produzione Comune di Trieste) individuato a seguito di trattativa privata, aggiudicazione quest’ultima giudicata illegittima con il parere reso dal Consiglio di Stato sul ricorso straordinario.

In tesi di parte appellante, nell’ambito del parere del Consiglio di Stato, allegato al D.P.R. di decisione del ricorso straordinario, verosimilmente a causa di un errore percettivo - nel quale era caduto anche il giudice di prime cure nella sentenza gravata - si affermava che il ricorso dovesse considerarsi irricevibile per tardività nella parte in cui “ sono impugnate le determinazioni del Comune di Trieste concernenti sia la revoca della procedura di aggiudicazione per pubblica asta per l’alienazione dell’immobile in questione, sia la successiva vendita mediante trattativa privata – previa gara ufficiosa, senza procedere all’aggiudicazione nei confronti del secondo in graduatoria. Invero, il ricorso, notificato in data 24 aprile 2008, è tardivo rispetto alle menzionate determinazioni del Comune, compiutamente manifestate all’interessato” (cfr. note del 28 dicembre 2006, del 16 maggio 2007 e del 13 luglio 2007)”.

L’errore percettivo in cui era caduta la Sezione Consultiva, secondo parte appellante sarebbe evidente prendendo in esame i documenti richiamati e segnatamente la nota del 28 (recte: 18) dicembre 2006 (doc. 7), la nota del 16 maggio 2007 (doc. 8) e la nota del 13 luglio 2007 (doc. 10).

Dalla lettura di tali documenti – unitamente al già citato doc. 22 – emergerebbe che il primo atto provvedimentale incidente nella sfera soggettiva del signor K era stato solo ed esclusivamente quest’ultimo.

In tesi di parte appellante i documenti menzionati nel succitato parere dovevano intendersi privi di portata direttamente lesiva, risolvendosi in mere dichiarazioni d’intenti del Comune di Trieste. Solo con il verbale di gara del 06.09.2007 (doc. 18 produzione Comune di Trieste) e la determinazione del 25.09.2007 (doc. 22 produzione Comune di Trieste) si era pertanto verificata la lesione dell’interesse legittimo del ricorrente, relativo all’alienazione dell’immobile di cui è causa, mediante una corretta procedura ad evidenza pubblica.

Nel medesimo parere della sezione Consultiva si confermava peraltro che “ sono fondate le residue censure prospettate avverso la successiva attività di alienazione dell’immobile con particolare riferimento alla violazione degli artt. 73, lett. E) e 76 del RD 827/1924: invero l’avvenuta infruttuosa “consumazione” della primitiva procedura di gara poteva giustificare la revoca della medesima procedura, anche in considerazione dell’assorbente rilievo della intervenuta rivalutazione dell’immobile, non legittima, per contrasto con le richiamate disposizioni dei principi generali in tema di procedure alienative di immobili di proprietà pubblica, il ricorso alla vendita per trattativa privata, in quanto la procedura di gara pubblica e l’unica che garantisca contestualmente la massima trasparenza e la più diffusa partecipazione procedurale, potendosi ad essa derogare solo per eccezionali, documentate circostanze ”.

11.1. In tesi di parte appellante parimenti erroneo sarebbe il secondo profilo motivazionale, non avendo Egli mai richiesto che si procedesse all’aggiudicazione nei confronti del 2º classificato nell’ambito della originaria gara, ma essendosi attivato, segnalando ab initio all’amministrazione l’illegittimità dell’iter che essa si apprestava ad avviare, come evincibile dal doc. 7 allegato in prime cure (nota di data 7 giugno 2007), nel quale si segnalava l’illegittimità della procedura avviata, ma non ancora conclusa, richiamando l’amministrazione sulla necessità di procedere all’integrale rifacimento della gara nei termini e nelle forme già utilizzate per la gara originariamente esperita, previa revoca della precedente aggiudicazione.

12. Prima di procedere alla disamina delle indicate censure giova sinteticamente ripercorrere gli orientamenti espressi dalla giurisprudenza in materia di risarcibilità della lesione dell’interesse legittimo.

12.1. Alla luce del costante orientamento giurisprudenziale, la responsabilità civile della pubblica amministrazione da attività provvedimentale, per quanto presenti caratteristiche peculiari rispetto all'illecito civile, va pur sempre ricondotta nell'alveo della responsabilità extracontrattuale di cui all'art. 2043 cod. civ., almeno per quanto riguarda l'identificazione dei suoi elementi costituivi: danno ingiusto, comportamento doloso o colposo, nesso di causalità tra azione ed evento, secondo quanto affermato a partire dal noto arresto di cui alla sentenza Cass. civ., SS.UU., 22 luglio 1999, n. 500.

L'Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato anche di recente ha chiarito che la responsabilità in cui incorre l'Amministrazione per l'esercizio delle funzioni pubbliche è inquadrabile nella responsabilità da fatto illecito (Ad. plen. 23 aprile 2021 n. 7).

12.2. In tale ottica gli elementi costitutivi della responsabilità della pubblica amministrazione sono, sotto il profilo oggettivo, il nesso di causalità materiale e il danno ingiusto, inteso come lesione alla posizione di interesse legittimo;
sul piano delle conseguenze, il fatto lesivo deve essere collegato, con un nesso di causalità giuridica o funzionale, con i pregiudizi patrimoniali o non patrimoniali lamentati;
occorre allora verificare la sussistenza dei presupposti di carattere oggettivo (ingiustizia del danno, nesso causale, prova del pregiudizio subito), e successivamente quelli di carattere soggettivo (dolo o colpa della p.a.);
con riferimento alla ingiustizia del danno, deve rilevarsi, altresì, che presupposto essenziale della responsabilità è l'evento dannoso che ingiustamente lede una situazione soggettiva protetta dall'ordinamento e, affinché la lesione possa considerarsi ingiusta, la lesione dell'interesse legittimo è condizione necessaria - anche se non sufficiente - per accedere alla tutela risarcitoria;
occorre quindi anche verificare che risulti leso, per effetto dell'attività illegittima (e colpevole dell'amministrazione pubblica), l'interesse materiale al quale il soggetto aspira;
ovvero il risarcimento del danno ingiusto derivante dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa non può prescindere dalla spettanza di un bene della vita, atteso che è soltanto la lesione di quest'ultimo che qualifica in termini di ingiustizia il danno derivante dal provvedimento illegittimo.

I requisiti della responsabilità da fatto illecito sono pertanto in termini generali la presenza di una condotta imputabile, il danno ingiusto, il nesso di causalità e l'elemento soggettivo.

12.3. Sotto il profilo dell'elemento soggettivo, l'illegittimità del provvedimento amministrativo è solo uno degli indici presuntivi della colpevolezza della p.a., da considerare unitamente ad altri, quali il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità degli elementi di fatto, il carattere più o meno vincolato (e, quindi, l'ambito più o meno ampio della discrezionalità) della statuizione amministrativa (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. IV, 4 febbraio 2020 n. 909;
id., 18 ottobre 2019, n. 7082).

L’elemento della colpa va individuato in particolare nella violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ossia in negligenza, omissioni o errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili (Cons. Stato Sez. VI, 7 settembre 2020, n. 5389;
Sez. III, 15 maggio 2018, n. 2882;
id, III, 30 luglio 2013, n. 4020).

In tale ottica, la responsabilità deve essere negata quando l'indagine conduce al riconoscimento dell'errore scusabile per la sussistenza di contrasti giurisprudenziali, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto (Cons. Stato, VI, 3 marzo 2020, n. 1549;
Sez. IV, 7 gennaio 2013, n. 23;
id., V, 31 luglio 2012, n. 4337).

12.4. Le coordinate ermeneutiche innanzi richiamate circa la responsabilità della P.A. vanno poi coordinate con la giurisprudenza relativa al concorso di colpa della parte richiedente il risarcimento del danno.

Infatti l’art. 30 comma 3 c.p.a. prescrive nella seconda parte che “ Nel determinare il risarcimento del danno il giudice valuta tutte le circostanze di fatto ed il comportamento complessivo delle parti e, comunque esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza anche attraverso l’esperimento dei mezzi di tutela previst i”.

Tale norma nella sostanza costituisce applicazione del disposto dell’art. 1227 commi 1 e 2 c.c..

L'art. 1227 c.c., relativo al " fatto colposo del creditore ", è infatti applicabile anche alla responsabilità aquiliana in virtù del rinvio operato dall'art. 2056 c.c. I due commi di questa disposizione riguardano due fattispecie diverse: il primo comma disciplina il concorso del danneggiato nella produzione dell'evento lesivo ed ha per conseguenza una ripartizione di responsabilità;
il secondo comma presuppone, invece, già verificato l'evento lesivo, riguardando unicamente l'entità delle ripercussioni patrimoniali, ed ha per conseguenza la non risarcibilità di quelle che il creditore avrebbe potuto evitare con la normale diligenza.

12.4.1. Il consolidato quadro di principi elaborati a far data dal fondamentale pronunciamento del Consiglio di Stato in Adunanza plenaria (sentenza n. 3 del 2011) e al quale si sono conformati tutti i successivi arresti giurisprudenziali, ha restituito un assetto così sintetizzato (cfr. ex aliis, Cons. Stato, sez. IV, n. 2778 del 2018;
Cons. Stato, sez. V, n. 8480 del 2022):

- la regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l'impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione degli altri strumenti di tutela previsti dall'ordinamento, oggi sancita dall'art. 30, comma 3, c.p.a., è ricognitiva di principi già evincibili alla stregua di un'interpretazione evolutiva del capoverso dell'articolo 1227 cit.;
il comma 2 del suddetto articolo, operando sui criteri di determinazione del danno-conseguenza ex art. 1223 c.c., regola la c.d. causalità giuridica, relativa al nesso tra danno-evento e conseguenze dannose da esso derivanti;
la disposizione introduce un giudizio basato sulla cd. causalità ipotetica, in forza del quale non deve essere risarcito il danno che il creditore non avrebbe subito se avesse serbato il comportamento collaborativo cui è tenuto, secondo correttezza;
sul piano teleologico, la prescrizione, espressione del più generale principio di correttezza nei rapporti bilaterali, mira a prevenire comportamenti opportunistici e, in definitiva, l'abuso dello strumento processuale;

- a mente del comma 2 dell'art. 1227 c.c., il creditore è gravato non soltanto da un obbligo negativo (astenersi dall'aggravare il danno), ma anche da un obbligo positivo (tenere quelle condotte, anche positive, esigibili, utili e possibili, rivolte a evitare o ridurre il danno);
tale orientamento si fonda su una lettura dell'art. 1227, comma 2, alla luce delle clausole generali di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. e, soprattutto, del principio di solidarietà sociale sancito dall'art. 2 Cost.;

- il danneggiato è tenuto ad agire diligentemente per evitare l'aggravarsi del danno, ma non fino al punto di sacrificare i propri rilevanti interessi personali e patrimoniali, attraverso il compimento di attività complesse, impegnative e rischiose;
l'obbligo di cooperazione gravante sul creditore, espressione del dovere di correttezza nei rapporti fra gli obbligati, non comprende l'esplicazione di attività straordinarie o gravose attività, ossia un facere non corrispondente all'id quod plerumque accidit;

- nel novero dei comportamenti ordinariamente esigibili dal destinatario di un provvedimento lesivo vi rientra anche la proposizione, nel termine di decadenza, della domanda di annullamento, quante volte l'utilizzazione tempestiva di siffatto rimedio sarebbe stata idonea, secondo il ricordato paradigma della causalità ipotetica basata sul giudizio probabilistico, ad evitare, in tutto o in parte, il pregiudizio;

- anche le scelte processuali di tipo omissivo possono costituire comportamenti apprezzabili ai fini della esclusione o della mitigazione del danno, laddove si appuri, alla stregua del giudizio di causalità ipotetica di cui si è detto, che le condotte attive trascurate non avrebbero implicato un sacrificio significativo ed avrebbero verosimilmente inciso, in senso preclusivo o limitativo, sul perimetro del danno;

- di conseguenza, la mancata attivazione degli strumenti di reazione processuale previsti dall’ordinamento può essere ritenuto un comportamento contrario a buona fede nell'ipotesi in cui si appuri che una tempestiva reazione - anche grazie alla contestuale attivazione della tutela cautelare, possibile anche in relazione al giudizio di ottemperanza - avrebbe evitato o mitigato il danno;

- l’attivazione di tali strumenti avrebbe plausibilmente (ossia più probabilmente che non) evitato, in tutto o in parte il danno, così integrando la sua omissione la violazione dell'obbligo di cooperazione, che spezza il nesso causale e, per l'effetto, impedisce il risarcimento del danno evitabile;
detta omissione, apprezzata congiuntamente alla successiva proposizione di una domanda tesa al risarcimento di un danno che la tempestiva azione processuale avrebbe scongiurato, rende configurabile un comportamento complessivo di tipo opportunistico che viola il canone della buona fede e, quindi, in forza del principio di auto-responsabilità cristallizzato dall'art. 1227, comma 2, c.c., implica la non risarcibilità del danno evitabile.

13. Ciò posto, giova preliminarmente precisare che l'art. 101 c.p.a. (d.lgs. n. 104/2010) - che fa riferimento a " specifiche censure contro i capi della sentenza gravata " - deve essere coordinato con il principio di effetto devolutivo dell'appello, in base al quale è rimessa al giudice di secondo grado la completa cognizione del rapporto controverso, con integrazione - ove necessario - della motivazione della sentenza appellata e senza che rilevino, pertanto, le eventuali carenze motivazionali di quest'ultima (ex multis Cons. Stato, sez. V, 26 aprile 2021, n. 3308;
17 gennaio 2020, n. 430;
13 febbraio 2017, n. 609), con la conseguente possibilità di confermare la sentenza di prime cure sia pure integrando o correggendo la motivazione.

13.1. Al riguardo, pur volendo prescindere dal concorso di colpa del danneggiato, quale individuato dal primo giudice - che peraltro si è attenuto al riguardo alla statuizione di irricevibilità contenuta nel parere del Consiglio di Stato reso in relazione al ricorso straordinario posto alla base dell’azione spiegata in prime cure – va evidenziato come la domanda risarcitoria avanzata dal ricorrente si appalesi comunque infondata.

Ciò avuto riguardo all’assoluta assenza di prova sulla spettanza del bene della vita (aggiudicazione dell’immobile oggetto della indicata procedura di vendita) non avendo parte ricorrente expressis verbis richiesto con il ricorso di prime cure il risarcimento per perdita di chance, ma avendo per contro ancorato la propria richiesta risarcitoria sulla base dell’implicito rilievo della spettanza del bene della vita, avendo riguardo alla differenza fra il prezzo a base d’asta della prima procedura, oggetto di revoca, e quella fissata a distanza di tempo a seguito del pronunciamento del ricorso straordinario, cui parte appellante non aveva inteso partecipare, fondata sulla base dell’indimostrato e comunque fallace rilievo che, ove il Comune avesse proceduto a ribandire nell’immediato la procedura ad evidenza pubblica, in tesi attorea, allo stesso prezzo a base d’asta della procedura revocata, avrebbe potuto acquistare l’immobile ad un prezzo notevolmente inferiore rispetto a quello della seconda procedura.

13.2. L’argomentazione, oltre che priva di qualsivoglia sostegno probatorio, è smentita dalla circostanza che il Kertish anche nella procedura revocata si era collocato solo terzo, avendo offerto solo un lieve aumento rispetto al prezzo a base d’asta;
pertanto l’appellante alcuna pretesa poteva vantare, anche all’esito della seconda procedura - da ribandirsi nell’immediato - all’aggiudicazione al prezzo a base d’asta o ad un prezzo di poco superiore, anche nell’ipotesi in cui lo stesso fosse rimasto immutato, essendo anzi verosimile ritenere, secondo l’id quod plerumque accidit , che l’immobile sarebbe stato aggiudicato, all’esito di tale procedura, allo stesso soggetto cui lo stesso era stato poi venduto a trattativa privata, che si è infatti aggiudicato anche la gara bandita in esecuzione del decisum sul ricorso straordinario.

13.3. La prospettazione attorea, posta a base dell’azione risarcitoria peraltro, oltre a non essere supportata a livello probatorio, è anche fallace, avendo riguardo alla circostanza che dall’indicato parere reso da questo Consiglio di Stato in sede di ricorso straordinario si evince per contro la piena legittimità della decisione del Comune di revocare la precedente procedura di gara, avuto riguardo alla non corrispondenza del prezzo a base d’asta con il valore di mercato, ferma restando la necessità di indizione di una nuova procedura ad evidenza pubblica (ad un prezzo pertanto maggiorato).

13.4. Ciò in disparte dalla considerazione che - avuto riguardo all’aspettativa riferita all’acquisto dell’immobile al prezzo a base d’asta originario o comunque ad un prezzo di poco sensibilmente superiore e alla presentazione di un’offerta in questi termini - l’appellante non avrebbe potuto verosimilmente vantare alcuna apprezzabile chance d’aggiudicazione (peraltro neppure posta a base della domanda risarcitoria, come innanzi precisato) anche della successiva e tempestiva procedura di gara (cfr. Cons. Stato Adunanza Plenaria 23 aprile 2021, n. 7 che identifica la chance come « una posizione giuridica autonomamente tutelabile - morfologicamente intesa come evento di danno rappresentato dalla perdita della possibilità di un risultato più favorevole (e in ciò distinta dall'elemento causale dell'illecito, da accertarsi preliminarmente e indipendentemente da essa) - purché ne sia provata una consistenza probabilistica adeguata »).

14. Del tutto destituita di fondamento è poi l’asserita e contraddittoria pretesa – rispetto alla richiesta risarcitoria relativa all’obbligo dell’amministrazione di ribandire nell’immediato la seconda procedura di gara - contenuta nel ricorso di prime cure e reiterata in questa sede, cui è riferibile la statuizione di prime cure, ricollegata ad un asserito danno da inesecuzione contrattuale, dipendente dalla scelta dell’Amministrazione di non dar corso all’iniziale procedura di gara, non avendo l’appellante conseguito alcuna aggiudicazione e non potendo pertanto invocare una risarcimento da responsabilità contrattuale, riferibile all’utile positivo, né essendovi alcuna prova in atti che il secondo graduato, che pure non aveva inteso partecipare alla vendita a trattativa privata, in ipotesi di scorrimento della graduatoria, avrebbe rinunciato all’acquisto al prezzo offerto.

Ciò in disparte dalla considerazione che, come innanzi precisato, dal parere reso dal Consiglio di Stato si evince come sia stata considerata illegittima non già la decisione di revoca della precedente procedura di gara – la cui impugnazione è stata peraltro giudicata intempestiva – ma la decisione di vendere il bene a trattativa privata, anziché mediante una nuova procedura ad evidenza pubblica, essendo nella legittima disponibilità discrezionale dell’amministrazione la scelta di revocare la gara, stante la non corrispondenza del prezzo a base d’asta con il valore di mercato dell’immobile.

L’assenza della prova del nesso eziologico, da relazionarsi all’asserita e implicita spettanza del bene della vita, oltre che con riferimento ai danni patrimoniali è pertanto riscontrabile con riferimento agli asseriti danni esistenziali – permanenza nella famiglia d’origine, nonostante il desiderio d’indipendenza – in alcun modo imputabili al comportamento illegittimo del Comune, quale accertato in sede di ricorso straordinario.

14.1. Ciò posto, parte appellante, con riferimento alla revoca della prima procedura, cui aveva preso parte, avrebbe al più potuto richiedere il risarcimento del danno precontrattuale, limitato alla spese inutilmente sostenute per la partecipazione alla procedura, ovvero alla perdita di altre occasioni di partecipare ad una distinta ed analoga procedura per l’acquisto di altro immobile a prezzo similare, ovvero l’utile negativo (cfr. tra le altre, Cons. Stato, Sez. V, 12/07/2021, n. 5274), nella ricorrenza dei relativi presupposti, peraltro non rinvenibili nella presente fattispecie e non allegati agli atti del giudizio (cfr. Cons. Stato Ad. Plen. 29 novembre 2021, n. 21 secondo cui “ nel settore delle procedure di affidamento di contratti pubblici la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione, derivante dalla violazione imputabile a sua colpa dei canoni generali di correttezza e buona fede, postula che il concorrente abbia maturato un ragionevole affidamento nella stipula del contratto, da valutare in relazione al grado di sviluppo della procedura, e che questo affidamento non sia a sua volta inficiato da colpa ”), laddove parte appellante alcuna domanda ha formulato in tal senso.

15. Con il secondo motivo di appello viene sottoposta a critica la statuizione di prime cure nella parte in cui ha disposto la condanna alle spese di lite, senza considerare che il sig. K, allo scopo di dirimere bonariamente la controversia, si era altresì fatto parte diligente avviando alla procedura di mediazione avanti ad un organismo abilitato.

Il mediatore, secondo quanto evidenziato dall’appellante, aveva regolarmente convocato le parti innanzi a sé, ma il Comune intimato, sebbene regolarmente notiziato, aveva omesso di presenziare alla riunione, obliterando qualsivoglia giustificazione a fronte di tale sua assenza. In tesi attorea pertanto il comportamento tenuto doveva quantomeno, anche in ipotesi di rigetto del ricorso, giustificare la compensazione delle spese di lite.

15.1. Anche tale motivo è destituito di fondamento in considerazione del rilievo che l’invocato disposto dell’art. 8, comma 4 bis, d.lgs. 28/2010 ( Attuazione dell'articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali ) , nella versione vigente ratione temporis , secondo cui “ Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell'articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile ”, non è in alcun modo applicabile in relazione alle controversie rientranti nella giurisdizione del giudice amministrativo.

Pertanto correttamente il primo giudice ha deciso sulle spese di lite secondo il principio della soccombenza, enunciato a chiare lettere dall’art. 26 comma 1 c.p.a., con rinvio al disposto dell’art. 91 c.p.a., rispetto al quale la compensazione prevista dal successivo art. 92 comma 2 c.p.c. costituisce all’evidenza un’eccezione, cui può farsi ricorso nella ricorrenza dei relativi presupposti [cfr ex multis Cons. Stato, Sez. IV, 03 aprile 2014, n. 1601 secondo cui “ il giudice di primo grado, relativamente alla liquidazione delle spese di giudizio, è titolare di un proprio potere discrezionale, potendo valutare ogni elemento al fine di emettere la statuizione relativa, senza peraltro essere tenuto a indicarne le specifiche ragioni, purché siano fondamentalmente rispettate le regole della soccombenza (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 12 febbraio 2013 n. 828Consiglio Stato , sez. IV, 16 marzo 2011 , n. 1645Consiglio Stato , sez. IV, 02 marzo 2011, n. 1335;
ecc. ).

Tale discrezionalità è sindacabile in sede di appello nei limiti in cui la statuizione sulle spese possa ritenersi sostanzialmente illogica o errata alla luce sia delle circostanze rilevanti in punto di fatto e sia degli elementi di diritto emergenti dal giudizio (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 09 ottobre 2012 n. 5253 )].

16. Avuto riguardo all’infondatezza di tutti i motivi, l’appello va respinto.

16.1. Le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione Civile, Sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione Civile, Sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663 e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 settembre 2021 n. 6209, 13 settembre 2022 n. 7949 e 18 luglio 2016 n. 3176).

17. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

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