Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-02-06, n. 201700487
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Pubblicato il 06/02/2017
N. 00487/2017REG.PROV.COLL.
N. 07509/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7509 del 2006, proposto dalla signora M E C V, rappresentata e difesa dagli avvocati G P e D P, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, viale Giulio Cesare, n. 14, Sc A/4;
contro
Comune di Bergamo, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati V G e G B, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, V. Monte Acero, n. 2/A;
Regione Lombardia non costituita in giudizio;
nei confronti di
Immobiliare Quartiere Busti S.r.l., Costruzioni Madonna della Neve S.r.l. non costituite in giudizio.
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la Lombardia – Sede staccata di Brescia - n. 575 del 16 maggio 2006, resa tra le parti, concernente approvazione nuovo p.r.g. del Comune di Bergamo.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Bergamo;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 gennaio 2017 il Cons. L M T e udito per la parte ricorrente l’avvocato Pafundi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso proposto dinanzi al TAR per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, proponeva ricorso l’odierna appellante, invocando l’annullamento in parte qua :
a) della delibera n. 48766/2000 della Giunta regionale della Lombardia di approvazione del piano regolatore generale;
b) della delibera 3 aprile 2000 n° 43 del Consiglio comunale di Bergamo, di approvazione delle proposte di modifica di ufficio espresse dalla Regione in ordine a detto P.R.G.;
c) delle delibere consiliari 9 novembre 1998 n°133 e 13 aprile 1999 n° 64, di esame e controdeduzione alle osservazioni sul P.R.G.;
d) della delibera consiliare 3 dicembre 1998 n °173, di riadozione del P.R.G.;
e) della delibera consiliare 24 luglio 1995 n° 106, di adozione del P.R.G.
2. L’appellante agiva in qualità di proprietaria di Palazzo Camozzi, situato nel centro storico di Bergamo e comprendente, quale pertinenza, un giardino di circa 1500 mq con essenze di pregio, sul quale affacciano i saloni dell'edificio, e confinante con un'area denominata "ex Busti" -già di proprietà della Immobiliare Montisola s.r.l., quindi passata nella proprietà della originaria controinteressata Immobiliare Quartiere Busti - area la quale include un fabbricato di circa 8000 mc, prospiciente la locale via Madonna della Neve, ed alcuni capannoni utilizzati da una azienda di autotrasporti e da una concessionaria automobilistica. La detta area era stata oggetto di un pianto integrato di recupero ai sensi della l.r. Lombardia, 2 aprile 1990, n. 23, annullato con sentenza del TAR per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, n. 448/1998. Successivamente, il nuovo P.R.G. del Comune di Bergamo, aveva, da un lato, consentito per l'area della Quartiere Busti di che trattasi una edificazione ancora maggiore di quella prevista dal P.I.R. annullato, 29540 mc con edifici di quattro o cinque piani;dall'altro aveva reiterato, senza motivazione alcuna, un vincolo a verde pubblico sul giardino di Palazzo Camozzi, avendolo esteso sino all'ingresso dell'edificio e assoggettandolo a passaggio pedonale.
3. Il primo giudice dichiarava improcedibile il ricorso di primo grado quanto ai motivi rivolti avverso l'imposizione del vincolo a verde pubblico sul giardino di Palazzo Camozzi, poiché l'imposizione del detto vincolo non era stata seguita da alcuna procedura ablatoria, e allo scadere del quinquennio di legge il vincolo stesso era decaduto senza essere stato in alcun modo reiterato. Il TAR valutava, invece, come infondati i restanti motivi di ricorso.
4. Avverso la pronuncia indicata in epigrafe propone appello l’originaria ricorrente, lamentando che:
a) la sentenza di primo grado non avrebbe dovuto limitarsi a dichiarare in parte qua l’improcedibilità del ricorso per l’intervenuta decadenza del vincolo a verde pubblico de quo , ma si sarebbe dovuta soffermare sulle illegittimità gravanti sullo stesso;
b) il primo giudice non avrebbe esaminato il motivo dedotto dalla ricorrente, secondo il quale esiste un insanabile contrasto fra l'obiettivo primario avuto di mira dal N.P.R. della tutela dei nuclei storici e degli antichi borghi e l' erigendo comparto Busti, per effetto degli alti palazzi in questo consentiti nella immediata contiguità del Borgo e a ridosso dell'antico Palazzo Camozzi;
c) la sentenza di annullamento del PIR sarebbe stata accettata dal Comune solo apparentemente, ma in sostanza aggirata, perché fu ripristinato un assetto pari al PIR, anzi con maggiori volumetrie;
d) il TAR non avrebbe tenuto conto che l'area Busti, già oggetto del PIR annullato ed ora dalle previsioni del N.P.R. per 6000 mq. sarebbe stata destinata a "zona standard per impianti tecnologici e servizi pubblici". Il comparto, invece, sarebbe stato interamente trasformato in complesso residenziale senza che l'Amministrazione motivasse al riguardo il mutamento di destinazione d'uso e sul venir meno della necessità delle aree a standard, incorrendo nello stesso vizio commesso, allorché fu disposto il P.I.R.;
e) il P.I.R. annullato sarebbe stato riproposto con poche modifiche dall'Amministrazione in sede di piano regolatore, senza alcuna motivazione. In particolare, non vi sarebbe alcuna motivazione in ordine al fatto che per il comparto in questione sarebbe stato previsto direttamente il riferito indice di 6 mc./mq. di superficie fondiaria in assenza di qualsivoglia analisi dello stato dei luoghi e dei vincoli storici e paesaggistici esistenti nella zona. Proprio per la presenza a confine del Borgo tutelato e del Palazzo storico della ricorrente, si sarebbe dovuto imporre in sede di previsione di piano regolatore un arretramento della nuova edificazione rispetto alle proprietà poste a confine. Inoltre, l'area oggetto della nuova previsione, stimata dal precedente PRG per circa 6.000 mq. a "zona standard per impianti tecnologici e servizi pubblici". Con l'intervento di nuova edificazione prevista dal N.P.R. tale comparto sarebbe stato trasformato in un imponente complesso residenziale di circa 30.000 mc., senza che l'Amministrazione spendesse una sola parola di motivazione circa il previsto mutamento di destinazione e il venir meno delle necessità di aree a standards per impianti tecnologici e servizi pubblici. Inoltre, il nuovo intervento non recepirebbe al suo interno neppure gli standard che esso stesso ingenera, essendo prevista in grande misura la loro monetizzazione. Una scelta che sarebbe del tutto anomala nel caso di aree già utilizzate a standard.
5. Costituitasi in giudizio, l’amministrazione comunale invoca la conferma della sentenza di prime cure e, con successiva memoria depositata il 23 dicembre 2016, evidenzia che nelle more del giudizio sarebbe stato approvato con deliberazione del Consiglio comunale del 14 maggio 2010 il nuovo piano di governo del territorio. Il detto strumento urbanistico avrebbe confermato la trasformazione dei luoghi avvenuta in forza dei titoli edilizi rilasciati in ragione degli atti impugnati e non sarebbe stato sottoposto ad alcun gravame. In ragione di ciò non permarrebbe in capo all’appellante un valido interesse all’odierna decisione.
5.1. All’udienza pubblica del 26 gennaio 2017 – nel corso della quale il difensore dell’appellante nulla ha osservato in ordine alla eccezione di improcedibilità sopravvenuta – la causa è stata assunta in decisione.
6. Preliminarmente, il Collegio rileva che la produzione documentale dell’amministrazione comunale del 19 dicembre 2016 è tardiva per violazione dell’art. 73, co.1, c,p.a.
7. Il presente appello va dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse. La circostanza resa nota nella citata memoria dell’amministrazione comunale non contestata da controparte, pone in luce la presenza di un provvedimento autonomo, ossia la deliberazione del Consiglio comunale del 14 maggio 2010 di approvazione del piano di governo del territorio. Il detto provvedimento reca un’autonoma disciplina urbanistica e travolge gli effetti dell’atto impugnato in prime cure.
Il difetto di interesse in questione discende in via diretta dal fatto che l’eventuale annullamento degli atti impugnati non potrebbe recare alcuna utilità, neanche di carattere morale, all’originaria ricorrente a fronte del rinnovato esercizio del potere pianificatorio generale da parte del comune (C. Stato, sez. IV, 12-06-2007, n. 3087;C. Stato, sez. V, 01-10-2003, n. 5664;C. Stato, sez. IV, 27-12-2001, n. 6429).
Sul punto il Collegio rileva che la parte appellante non ha comunque richiesto l’accertamento della illegittimità degli atti impugnati a fini risarcitori, ex art. 34, co. 3, c.p.a., il che esonera da ogni approfondimento in merito non potendo il giudice spingersi ad operare un’autonoma valutazione officiosa circa un possibile interesse a coltivare una futura azione risarcitoria (arg. da C. Stato, Ad .plen., nn. 4 e 5 del 2015;successivamente C. Stato, sez. IV, 15 giugno 2016, n. 2637).
7. L’appello va, quindi, dichiarato improcedibile.
8. Le spese di lite possono essere compensate in ragione della novità e complessità in fatto ed in diritto delle questioni sottese al gravame in trattazione.