Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2022-08-03, n. 202206813

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2022-08-03, n. 202206813
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202206813
Data del deposito : 3 agosto 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/08/2022

N. 06813/2022REG.PROV.COLL.

N. 04900/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 4900 del 2018, proposto da
A.T.I.V.A.- Autostrada Torino-Ivrea-Valle D'Aosta s.p.a., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati U G, M S e G C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. G C in Roma, via Cicerone, n. 44;

contro

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (ora Ministero delle infrastrutture e delle mobilità sostenibili), in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, Sezione Prima, n. 01296/2017, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore all’udienza straordinaria del 21 giugno 2022, tenuta da remoto ai sensi dell’art. 17, comma 6, del d.l. 9 giugno 2021, n. 80, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2021, n. 113, il Cons. Federico Di Matteo;
udita per la parte l’avvocato M S, in collegamento da remoto, e data la presenza dell'avvocato dello Stato Paola Palmieri, che ha depositato nota di passaggio in decisione;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La società Autostrada Torino - Ivrea - Valle D'Aosta s.p.a. (d’ora in avanti, A.T.I.V.A.) era concessionaria della rete autostradale costituita dal tratto Torino - Ivrea – Quincinetto, dell’autostrada A5 Torino - Aosta, della bretella A4/A5 Ivrea - Santhià e del Sistema Autostradale Tangenziale di Torino, in forza di convenzione unica sottoscritta con A.n.a.s. s.p.a. in qualità di concedente il 7 novembre 2007.

Il termine di durata della concessione era fissato al 31 agosto 2016.

1.1. Con nota del 12 settembre 2014, prot. n. 8198, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, subentrato ad A.n.a.s. nella posizione di concedente, comunicava alla concessionaria il superamento nel quinquennio concluso il 31 dicembre 2013 del limite massimo previsto dalle disposizioni normative e convenzionali per gli affidamenti infragruppo e le inibiva l’affidamento di ulteriori lavori a impresa controllata per l’impossibilità di attuare un piano di recupero entro la data di scadenza della concessione (31 agosto 2016).

2. Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte A.T.I.V.A. s.p.a. impugnava la predetta nota, chiedendone l’annullamento e il risarcimento del danno subito a causa della preclusione di affidare lavori a impresa collegata dal 12 settembre 2014 alla data di scadenza della concessione.

Il ricorso era articolato in tre motivi:

a) con il primo motivo la ricorrente contestava al Ministero di aver esercitato un potere atipico, in quanto tra i poteri assegnati al concedente non rientrava quello di vietare gli affidamenti infragruppo per una percentuale superiore a quella legale: il provvedimento ministeriale di fatto illegittimamente ordinava alla concessionaria di procedere ad affidare tutti i lavori futuri soltanto mediante procedura a evidenza pubblica, precludendo ogni altra possibile alternativa;

b) con il secondo motivo la ricorrente denunziava la violazione di legge e delle clausole convenzionali nonché dello stesso disciplinare relativamente alle modalità di svolgimento del procedimento per l’applicazione della sanzione;

c) con il terzo motivo, infine, contestava l’avvenuta violazione dei limiti legali previsti per gli affidamenti infragruppo, avendo recuperato con progressivi riassorbimenti i vari scostamenti temporaneamente registrati.

La ricorrente concludeva eccependo l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 del d.l. n. 83 del 2012, convertito con legge 7 agosto 2012 n. 134, che aveva innalzato la percentuale di affidamento a terzi dei lavori dal 40 al 60 per cento, perché adottato in mancanza del requisito di necessità ed urgenza, e quindi, in violazione dell’art. 77 Cost.;
veniva proposta, altresì, questione di pregiudizialità comunitaria in quanto l’art. 253, comma 25, d. lgs.163 del 2006, nel fissare al 40% il limite dell’affidamento dei lavori infragruppo, alterava l’equilibrio del rapporto concessorio, limitando i diritti quesiti della concessionaria in violazione dei principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi ex artt. 49, 56 e 63 del TFUE.

2.1. Pendente il giudizio, la concessionaria rivolgeva al Ministero cinque richieste di approvazione del c.d. ribasso stabilito per la determinazione del prezzo dei lavori da affidare a società controllate, ricevendone in risposta altrettante note con le quali era ribadita la necessità di affidare a terzi i lavori per avvenuto superamento del limite massimo consentito come in precedenza accertato.

Ciascuna nota (del 15 aprile 2015, prot. 3644;
del 22 giugno 2015, prot. 6195 e 28 luglio 2015 prot. 7818;
del 28 dicembre 2015 prot. 14199;
del 16 febbraio 2016, prot. 2477 e del 23 febbraio 2016, prot. 2871;
del 17 maggio 2016, prot. 8364) era impugnata con motivi aggiunti.

Infine, con un ultimo atto per motivi aggiunti era impugnato il provvedimento del 2 agosto 2016, prot. 13313, con cui il Ministero irrogava la sanzione di € 75.000,00 per mancato rispetto del limite previsto dalla legge per gli affidamenti infragruppo;
sanzione prevista dall’art. 2, comma 86, d.l. 3 ottobre 2006, n. 262, convertito con modificazioni dalla l. 24 novembre 2006, n. 286.

2.2. Si costituiva in giudizio il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti chiedendo il rigetto del ricorso e dei motivi aggiunti.

Il giudice di primo grado, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettava il ricorso principale e i motivi aggiunti, condannando la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio a favore del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

Il tribunale:

- precisava che, per quanto le disposizioni in materia di affidamenti infragruppo dei concessionari autostradali non prevedano la possibilità che il concedente intervenga prima che l’inadempimento si sia definitivamente consumato (ed allo scopo di prevenirlo), un potere di monitoraggio era però ricavabile dall’art. 1175 cod. civ., secondo cui il debitore deve comportarsi secondo le regole della correttezza, evitando comportamenti che possano precludere l’adempimento;
a detta del giudice di primo grado, infatti, la convezione tra concessionario e concedente andava qualificata come accordo sostitutivo del provvedimento ai sensi dell’art.11, l. n. 241 del 1990, con conseguente applicazione dei principi e delle regole del codice civile in materia di obbligazioni e contratti, per quanto compatibili: le note del Ministero con cui era comunicato il superamento delle soglie legali per gli affidamenti infragruppo erano, dunque, atti legittimi e necessari per evitare che la società incorresse in un inadempimento sanzionabile;

- riteneva che la ricorrente non avesse provato il rispetto del limite percentuale di affidamento infragruppo e respingeva la tesi secondo cui, per stabilire l’eventuale superamento della soglia percentuale, si dovesse prendere come riferimento l'intero periodo di durata della concessione;
al contrario, in assenza di una indicazione puntale dell’arco temporale di riferimento (che funga da parametro temporale ai fini del calcolo delle percentuali per gli affidamenti infragruppo) e dovendosi il creditore comportare sempre secondo principi di correttezza, era necessario che la concessionaria tenesse costantemente conto del limite indicato dalla norma stessa, evitando di creare forti squilibri difficilmente compensabili mediante successivi affidamenti a terzi;

- aggiungeva, relativamente all’intervenuta modifica della soglia percentuale di affidamenti infragruppo, che, essendo le modifiche efficaci a decorrere dalla data del 1°gennaio 2014, ai fini della verifica del rispetto dei limiti doveva tenersi conto di entrambe le percentuali, applicando ciascuna di esse per un periodo corrispondente a quello per il quale hanno avuto vigenza.

Il tribunale rigettava inoltre gli ultimi motivi aggiunti con i quali era stata irrogata la sanzione per il mancato rispetto della soglia percentuale per gli affidamenti infragruppo sul rilievo che fosse già stato correttamente proposta impugnazione dinanzi al giudice ordinario competente in materia.

Infine, era respinta l’eccezione di incostituzionalità: il decreto legge n. 83 del 2012 rientrava nel vasto perimetro degli interventi operati dal legislatore nel corso degli ultimi anni, relativi a materie che richiedevano rimedi urgenti per situazioni straordinarie venutesi a determinare con lo scopo unitario della “ crescita economica ”;
la notoria situazione di emergenza economica, specie in materia di edilizia e lavori, conduceva ad escludere che il decreto legge fosse stato adottato in violazione degli articoli 70 e 77 Cost.

3. E’ proposto appello da A.T.I.V.A. s.p.a.;
si è costituito il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

Le parti hanno depositato memorie ex art. 73, comma 1, cod. proc. amm..

All’udienza straordinaria del 21 giugno 2022, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Con il primo motivo di appello, A.T.I.V.A. s.p.a. censura la sentenza di primo grado per “… violazione e falsa applicazione dell’art. 253, comma 25 del D.Lgs. 12.4.2006, n. 163 e s.m. come modificato dall’art. 51 del D.L. 24.1.2012, n. 1, convertito nella legge 24.3.2012, n. 27 e dall’art. 4 del D.L. 22.6.2012, n. 83, convertito nella legge 7.8.2012, n. 134 nonché degli artt. 3 e 30 della Convenzione di Concessione. Violazione dell’art. 1175 c.c. Erroneità della sentenza per illogicità, irragionevolezza ed insufficienza della motivazione ”.

Secondo l’appellante il Ministero non avrebbe il potere di vietare l’affidamento di lavori a società infragruppo, potendo solo applicare le sanzioni pecuniarie in caso di effettivo inadempimento agli obblighi posti dall’art. 253, comma 25, d.lgs. n. 163 del 2006.

Con il secondo motivo di appello A.T.I.V.A. s.p.a. contesta la sentenza per “ Erroneità, illogicità ed insufficienza/difetto della motivazione. Infrapetizione ”;
distingue tra “ sforamento temporaneo ” dei limiti percentuali agli affidamenti, che in sè non costituisce inadempimento, in quanto suscettibile di essere riassorbito nell’arco di durata della convenzione, e “ sforamento che costituisce inadempimento ”, il cui riassorbimento non è più possibile nell’arco temporale della concessione.

A suo dire, nel caso di specie s’era verificato il primo e non il secondo: lo sforamento, dunque, poteva essere riassorbito entro il termine di durata della concessione e il Ministero non avrebbe potuto vietare in via definitiva l’affidamento infragruppo.

Il giudice di primo grado, fondando la sua decisione sulla sola documentazione allegata dal Ministero, avrebbe erroneamente interpretato il regime degli affidamenti a terzi previsto dall’art. 253, comma 25, d.lgs. n. 163 del 2006.

Infine, l’appellante ripropone la questione di legittimità costituzionale per violazione dei presupposti di cui all’art. 77 cost. e avanza richiesta di rinvio alla Corte di Giustizia dell’Unione europea dell’art.253, comma 25, d.lgs. 163/2006 per contrasto con i principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi ex artt. 49, 56 e 63 del TFUE.

2. I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la stretta connessione delle questioni poste, sono fondati nei sensi che si vanno ad esporre.

Preliminarmente è indispensabile tracciare il quadro normativo in materia di concessioni autostradali, soffermandosi, in particolare, sul rapporto tra concedente e concessionario, e, successivamente, sul regime degli affidamenti infragruppo della concessionaria autostradale.

2.1. La prima disciplina in materia autostradale si rintraccia nelle leggi 21 maggio 1955 n. 463 e 24 luglio 1961 n.729 per la costruzione di autostrade a cura e a carico dell'Azienda nazionale autonoma delle strade statali.

Era previsto l’affidamento della concessione della costruzione e gestione dell’autostrada con decreto del Ministero dei lavori pubblici di concerto con quello per il tesoro, sulla base di domande presentate all’A.n.a.s. dagli aspiranti concessionari;
era stabilito che la concessione fosse disciplinata da una convenzione approvata con il medesimo decreto ministeriale, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici e il Consiglio di Stato (art. 3, l. n. 463 del 1955 e art. 2, l. 24 luglio 1961, n. 729, che imponeva all’aspirante concessionario di presentare, unitamente alla domanda, anche un progetto di massima per la costruzione dell’autostrada e un documentato piano finanziario).

In deroga a tale regola generale l’art. 16 l. n. 729 del 1961 stabiliva l’affidamento diretto della concessione delle più importanti autostrade del Paese ad una società da costituire della quale l’I.r.i. – istituto per la ricostruzione industriale avrebbe detenuto una partecipazione diretta ed indiretta pari al 51% del capitale sociale. Era così costituita la Società Autostrade s.p.a..

L’art. 2, l 7 febbraio 1961, n. 59 ( Riordinamento strutturale e revisione dei ruoli organici dell’Azienda nazionale autonoma delle strade ) attribuiva ad A.n.a.s., tra i vari compiti, anche quello di “… c) vigilare sulla esecuzione dei lavori di costruzione delle opere date in concessione e controllare la gestione delle autostrade il cui esercizio sia dato in concessione ”.

2.2. In attuazione degli obiettivi di privatizzazione delle società pubbliche, al fine di favorire la dismissione delle partecipazioni statali, l’art. 10, comma 7, l. 24 dicembre 1993, n. 537 del 1993, abrogava l’art. 16, comma 1, della l. n. 729 del 1961, nella parte in cui prevedeva l’obbligo dell’I.r.i. di detenere la maggioranza delle azioni della concessionaria, precisando, peraltro, che “ La costruzione e la gestione delle autostrade è l'oggetto sociale principale della Società Autostrade S.p.A.”.

Restavano in capo a soggetti pubblici il potere di vigilanza sull’esecuzione dei lavori di costruzione delle opere date in concessione e controllo della gestione delle autostrade date in concessione

del concedente: l’art.2, comma 1, lett. d) d.lgs. 26 febbraio 1994, n. 143 lo affidava all’E.n.a.s. – Ente nazionale per le strade, trasformato nella società per azioni A.n.a.s. s.p.a. dall’art. 7 del decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138.

2.3. La disciplina delle concessioni autostradali ha subito una profonda riforma con il d.l. 3 ottobre 2006 n. 262, convertito con modificazioni dalla l. 24 novembre 2006, n. 262.

All’art. 2, comma 82, è stato previsto l’obbligo di trasferire le clausole delle convenzioni vigenti (nonché quelle conseguenti all’aggiornamento o alla revisione) in una Convenzione Unica tra concedente e concessionario destinata a sostituire ad ogni effetto la convenzione originaria e tutti gli atti aggiuntivi, spesso in regime di proroga.

Il comma successivo ha imposto l’adeguamento delle clausole della Convenzione Unica ad una serie di regole ivi espressamente indicate, a pena di cessazione del rapporto concessorio, salva la possibilità di indennizzo.

Tra queste, di particolare interesse, è quella della introduzione di “… sanzioni a fronte di casi di inadempimento delle clausole della convenzione imputabile al concessionario, anche a titolo di colpa;
la graduazione di tali sanzioni in funzione della gravità dell'inadempimento
”.

Con il comma 86 sono stati rafforzati i poteri di A.n.a.s., cui, oltre al potere di “ richiede [re] informazioni ed effettua [re] controlli, con poteri di ispezione, di accesso, di acquisizione della documentazione e delle notizie utili in ordine al rispetto degli obblighi di cui alle convenzioni di concessione e all’articolo 11, comma 5, della legge 23 dicembre 1992, n. 498, come sostituito dal comma 85 del presente articolo, nonché dei propri provvedimenti ” (lett. a), è consentito “ irroga [re], salvo il caso che il fatto costituisca reato, in caso di inosservanza degli obblighi di cui alle convenzioni di concessione e di cui all'articolo 11, comma 5, della legge 23 dicembre 1992, n. 498, come sostituito dal comma 85 del presente articolo, nonché dei propri provvedimenti o in caso di mancata ottemperanza da parte dei concessionari alle richieste di informazioni o a quelle connesse all'effettuazione dei controlli, ovvero nel caso in cui le informazioni e i documenti acquisiti non siano veritieri, sanzioni amministrative pecuniarie non inferiori nel minimo a euro 25.000 e non superiori nel massimo a euro 150 milioni, per le quali non è ammesso quanto previsto dall'articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689;
in caso di reiterazione delle violazioni ha la facoltà di proporre al Ministro competente la sospensione o la decadenza della concessione
” (lett. d).

2.4. Occorre, infine, rammentare che, ai sensi del combinato disposto dell'art. 11, comma 5, del d.l. 29 dicembre 2011, n. 216, convertito con modificazioni dalla l. 24 febbraio 2012, n. 14, e dell'art. 36, comma 4, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni della legge 15 luglio 2011, n. 111, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti è subentrato a far data dal 1° ottobre 2012 ad A.n.a.s. nelle funzioni di concedente per tutte le convenzioni in essere alla predetta data, sia riguardanti la concessione di costruzione che quella di gestione delle autostrade.

Con decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti del 1° ottobre 2012, n. 341, è stata poi istituita presso il Ministero la Struttura di Vigilanza sulle Concessioni Autostradali con funzioni di selezione dei concessionari e di aggiudicazione delle concessioni, nonché di vigilanza e controllo sui concessionari autostradali.

2.5. E’possibile ora passare all’esame della disciplina normativa degli affidamenti di lavori da parte delle concessionarie autostradali.

2.5.1. L’art. 2 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 ( Legge quadro in materia di lavori pubblici ), prevedeva che i « concessionari di lavori pubblici , [i] concessionari di esercizio di infrastrutture destinate al pubblico servizio, [le] società con capitale pubblico, in misura anche non prevalente, che abbiano ad oggetto della propria attività la produzione di beni o servizi non destinati ad essere collocati sul mercato in regime di libera concorrenza nonché, qualora operino in virtù di diritti speciali o esclusivi, [i] concessionari di servizi pubblici e [i] soggetti di cui alla direttiva 93/38/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993 », « sono obbligati ad appaltare a terzi i lavori pubblici non realizzati direttamente o tramite imprese controllate […]» (art. 2, commi 2, lettera b, e 4, della legge n. 109 del 1994), con una deroga, limitata ai tre anni successivi alla data di entrata in vigore della legge, in cui era possibile « far eseguire i lavori oggetto della concessione ad imprese collegate, nella misura massima del 30 per cento » (art. 2, comma 5, della legge n. 109 del 1994).

2.5.2. Usando la discrezionalità rimessa agli Stati dall’art. 60 della direttiva comunitaria 2004/18/CE (secondo cui: “[l] ’amministrazione aggiudicatrice può: a) imporre al concessionario di lavori pubblici di affidare a terzi appalti corrispondenti a una percentuale non inferiore al 30% del valore globale dei lavori oggetto della concessione, pur prevedendo la facoltà per i candidati di aumentare tale percentuale;
detta aliquota minima deve figurare nel contratto di concessione di lavori;
oppure b) invitare i candidati concessionari a dichiarare essi stessi nelle loro offerte la percentuale, ove sussista, del valore globale dei lavori oggetto della concessione che intendono affidare a terzi
”), il legislatore italiano inseriva all’art. 253, comma 25, del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, la seguente previsione: “ In relazione alla disciplina recata dalla parte II, titolo III, capo II, i titolari di concessioni già assentite alla data del 30 giugno 2002, ivi comprese quelle rinnovate o prorogate ai sensi della legislazione successiva, sono tenuti ad affidare a terzi una percentuale minima del 40 per cento dei lavori, agendo, esclusivamente per detta quota, a tutti gli effetti come amministrazioni aggiudicatrici ”.

La norma ha avuto varie riformulazioni, che hanno aumentato la soglia di affidamento, dapprima, al 50% con l’art.51, d.l. 24 gennaio 2012, n.1, e poi al 60 % con l’art. 4, comma 1, lett. a., d.l. 83/2012 a partire dal 1° gennaio 2014.

La norma riguardava le concessioni già assentite e quelle rinnovate o prorogate, mentre per le concessioni da affidare mediante procedura di gara valeva la previsione dell’art.146 per il quale «[…] la stazione appaltante può: a) imporre al concessionario di lavori pubblici di affidare a terzi appalti corrispondenti ad una percentuale non inferiore al 30% del valore globale dei lavori oggetto della concessione. Tale aliquota minima deve figurare nel bando di gara e nel contratto di concessione. Il bando fa salva la facoltà per i candidati di aumentare tale percentuale;
b) invitare i candidati a dichiarare nelle loro offerte la percentuale, ove sussista, del valore globale dei lavori oggetto della concessione, che intendono appaltare a terzi
».

L’art. 253, comma 25, d.lgs. n. 163 del 2006, nella sua originaria formulazione, era la disposizione vigente al momento nel quinquennio 2008 – 2013 in cui il Ministero ha ritenuto che l’avvenuto superamento del limite agli affidamenti infragruppo da parte dell’odierna appellante.

Nondimeno, come nel prosieguo si avrà modo di precisare, i successivi interventi legislativi in materia assumono particolare rilevanza anche ai fini della decisione del presente giudizio.

2.5.3. In sede di recepimento della direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, il legislatore nazionale, nella legge delega n. 11 del 2016 prevedeva, all’art. 1, comma 1, lettera iii) l’« obbligo per i soggetti pubblici e privati, titolari di concessioni di lavori o di servizi pubblici già esistenti o di nuova aggiudicazione, di affidare una quota pari all’80 per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo superiore a 150.000 euro mediante procedura ad evidenza pubblica ».

In conseguenza, nel nuovo codice dei contratti pubblici, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, è stato inserito l’art.177 ( Affidamenti dei concessionari ), con la seguente formulazione: “ 1. Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 7, i soggetti pubblici o privati, titolari di concessioni di lavori, di servizi pubblici o di forniture già in essere alla data di entrata in vigore del presente codice, non affidate con la formula della finanza di progetto, ovvero con procedure di gara ad evidenza pubblica secondo il diritto dell'Unione europea, sono obbligati ad affidare, una quota pari all'ottanta per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo di importo pari o superiore a 150.000 euro e relativi alle concessioni mediante procedura ad evidenza pubblica, introducendo clausole sociali e per la stabilità del personale impiegato e per la salvaguardia delle professionalità. La restante parte può essere realizzata da società in house di cui all'articolo 5 per i soggetti pubblici, ovvero da società direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati, ovvero tramite operatori individuati mediante procedura ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato. Per i titolari di concessioni autostradali, ferme restando le altre disposizioni del presente comma, la quota di cui al primo periodo è pari al sessanta per cento.

2. Le concessioni di cui al comma 1 già in essere si adeguano alle predette disposizioni entro il 31 dicembre 2022. Le concessioni di cui al comma 1, terzo periodo, già in essere si adeguano alle predette disposizioni entro il 31 dicembre 2020.

3. La verifica del rispetto dei limiti di cui al comma 1 da parte dei soggetti preposti e dell'ANAC viene effettuata annualmente, secondo le modalità indicate dall'ANAC stessa in apposite linee guida, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. Eventuali situazioni di squilibrio rispetto ai limiti indicati devono essere riequilibrate entro l'anno successivo. Nel caso di situazioni di squilibrio reiterate per due anni consecutivi, il concedente applica una penale in misura pari al 10 per cento dell'importo complessivo dei lavori, servizi o forniture che avrebbero dovuto essere affidati con procedura ad evidenza pubblica ”.

2.5.4. La previsione normativa di soglie percentuali di lavori da affidare infragruppo e a terzi ha posto il problema del metodo di computo delle stesse.

La questione è stata avvertita dai giudici di primo grado nelle sentenze citate dal tribunale che hanno rilevato la mancata indicazione nella norma di un arco temporale in relazione al quale verificare il rispetto delle soglie percentuali da parte del concessionario autostradale (in particolare da T.a.r. Valle d’Aosta, sez. I, 12 aprile 2016, n.19).

Con circolare del 11 maggio 2012 n. 67217 A.n.a.s. ha fornito alcune indicazioni operative.

Preliminarmente, è stato precisato che il calcolo delle quote andava fatto tenendo conto dell’importo netto dei lavori eseguiti nel “ periodo di riferimento ”, decorrente dal primo anno del Piano Economico Finanziario (PEF) – ovvero dal 2008 (in quanto anno di entrata in vigore dell’art. 29, comma 1, quinquies d.l. n. 207 del 2008 come modificato dalla legge di conversione n. 14 del 2009) se precedente – alla data di scadenza della convenzione.

È stato previsto, poi, un sistema di monitoraggio: il periodo di durata della convenzione era suddiviso in intervalli quinquennali più brevi (che, per alcune concessioni sarebbe stato coincidente con l’intero periodo regolatorio), così da poter, al termine di ciascun quinquennio, rilevare eventuali situazione di squilibrio e provvedere, qualora le stesse non costituissero inadempimenti, all’adozione delle misure necessarie ad un riequilibrio delle quote, da effettuare nel quinquennio successivo.

2.5.5. E’ opportuno precisare, al fine di rendere più comprensibile quanto si avrà modo di dire nel prosieguo quando saranno esaminati i motivi di appello, che il riferimento della circolare al quinquennio non era inteso ad integrare l’art. 253, comma 25, d.lgs. n. 163 del 2006 mediante l’indicazione dell’arco temporale entro cui accertare il definitivo rispetto della soglia di affidamento infragruppo (ed irrogare in caso negativo la sanzione amministrativa prevista).

La circolare, infatti, non era in alcun modo integrativa del dato normativo, ma intendeva solo fornire indicazioni operative.

Relativamente al “ periodo di riferimento ” (per l’accertamento del rispetto delle soglie percentuali di affidamento dei lavori infragruppo), la circolare precisava la sua decorrenza dal primo anno del PEF e fino alla scadenza della concessione, in piena consonanza con il dato normativo, che nulla diceva al riguardo perché lo considerava naturalmente coincidente con la durata della concessione.

Il riferimento al quinquennio era effettuato solo a fini di monitoraggio della condotta del concessionario in costanza di concessione;
esso, poi, non era certo casuale corrispondendo alla durata ordinaria del PEF approvato dall’amministrazione concedente.

In una gestione concessoria ordinaria, che duri, cioè per il tempo stabilito in convenzione senza necessità di ricorrere a proroghe, al momento di redazione del PEF si dovrebbe prevedere la quantità di lavori da eseguire e definire quali di essi debbano essere affidati infragruppo e quali a soggetti terzi;
al termine dei 5 anni accertare il rispetto della suddetta ripartizione e prevedere eventuali aggiustamenti nel PEF per il periodo successivo.

La suddivisione temporale facilitava l’espletamento dell’attività di monitoraggio, prima svolta da A.n.a.s. e oggi al Ministero, in ordine al rispetto delle quote in relazione allo stock dell’intera concessione, ma soprattutto consentiva al concessionario di calibrare gli affidamenti per il periodo successivo al fine di evitare di incorrere nella violazione delle soglie percentuali e, dunque, nella sanzione amministrativa che in conseguenza del definitivo sforamento la concedente avrebbe dovuto irrogare.

2.6. Così definito il quadro normativo e di prassi, prima di procedere all’esame dei motivi di appello, vanno appurate le conseguenze sull’odierno giudizio della sentenza della Corte costituzionale 23 novembre 2021, n. 218, con la quale è stata dichiarata l’incostituzionalità dell’art. 177 d.lgs. n. 50 del 2016 per contrasto con gli artt. 3, comma 1, e 41, comma 2, Cost..

2.6.1. La Corte ha ritenuto che la previsione dell’obbligo a carico dei concessionari di concessioni autostradali, già in essere all’entrata in vigore del codice e non assegnate con la formula di finanza di progetto o con procedure ad evidenza pubblica, di affidare “ completamente all’esterno ” l’attività oggetto di concessione – tale essendo la conseguenza di una previsione per cui, oltre all’80 per cento dei contratti da affidare mediante appalto a terzi, il restante 20 per cento dovesse essere affidato, non solo a società controllate o collegate, ma anche “ mediante operatori individuati mediante procedure di evidenza pubblica, anche di tipo semplificato ” – costituisse una misura irragionevole e sproporzionata rispetto al pur legittimo fine perseguito, di assicurare la massima apertura al mercato delle commesse pubbliche, ed in quanto tale lesiva della libertà di iniziativa economica.

2.6.2. La declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 177 d.lgs. n. 50 del 2016 impone di valutare se i medesimi profili di contrasto con le disposizioni costituzionali ricorrano anche nel caso dell’art. 253, comma 25, d.lgs. n. 163 del 2006.

Non si può, infatti, ritenere – come sostenuto da A.T.I.V.A. s.p.a. nella memoria difensiva depositata in vista dell’udienza pubblica – che la pronuncia di illegittimità costituzionale dell’art. 177, d.lgs. n. 163 del 2006, abbia espunto dall’ordinamento in via retroattiva l’obbligo per il concessionario di affidare a terzi i lavori oggetto della concessione, travolgendo anche le previgenti disposizioni normative che in diverso contesto normativo siffatto obbligo stabilivano.

E’ vero, invece, per l’oggetto delle pronunce di illegittimità costituzionale – che si riferiscono alle singole disposizioni rimesse al vaglio della Corte dal giudice a quo – che qualora si dubiti della legittimità costituzionale di altra disposizione normativa, pur dello stesso tenore di quella dichiarata incostituzionale, il giudice della causa in cui se ne deve fare applicazione è tenuto a sottoporre alla Corte nuovamente la questione di legittimità costituzionale.

Nel caso di specie, peraltro, le due disposizioni si differenziavano in un profilo determinante.

2.6.3. Ritiene la Sezione che l’art. 253, comma 25, d.lgs. n. 163 del 2006 non fosse in contrasto con le disposizioni costituzionali, quanto meno nella sua originaria formulazione, che è quella cui occorre tener conto nel presente giudizio.

Quest’ultimo punto va meglio precisato: la nota del 12 settembre 2014 prot. n. 8198, impugnata con il ricorso introduttivo del giudizio, accertava l’avvenuto superamento del limite percentuale nell’affidamento infragruppo in relazione al precedente quinquennio, ossia nel periodo dal 2008 al 2013;
e non poteva essere altrimenti, poiché il Ministero svolgeva il suo accertamento esclusivamente in base alla documentazione trasmessa dal concessionario – come è detto espressamente nella nota – che, in relazione ai lavori eseguiti, si arrestava proprio al 31 dicembre 2013.

Ebbene, nel quinquennio preso in esame dal Ministero, gli affidamenti infragruppo erano disciplinati dall’art. 253, comma 25, d.lgs. n. 163 del 2016, nella sua formulazione originaria, con obbligo di esternalizzazione per una percentuale minima del 40 per cento;
la modifica della soglia (al 60%) ha avuto effetto a partire dal 1°gennaio 2014 e, dunque, in relazione ad un periodo successivo a quello preso in esame dal Ministero nella nota impugnata.

2.6.4. Tenendo conto di tale dirimente dato fattuale è possibile soffermarsi sulle ragioni che hanno condotto alla pronuncia di incostituzionalità dell’art. 177, d.lgs. n. 50 del 2016.

Nella sentenza n. 218 del 2021 la Corte costituzionale non ha ritenuto precluso al legislatore dalle disposizioni costituzionali stabilire un obbligo di esternalizzazione, che, invece, ha giudicato di per sé legittimo, poiché finalizzato ad assicurare la massima apertura possibile al mercato delle commesse pubbliche, specialmente laddove, a monte, le concessioni erano state assegnate con affidamento diretto, ma lo ha detto irragionevole nella dimensione prevista dal legislatore del 2016, per la seguente ragione: “ L’impossibilità per l’imprenditore concessionario di conservare finanche un minimo di residua attività operativa trasforma la natura stessa della sua attività imprenditoriale, e lo tramuta da soggetto (più o meno direttamente) operativo in soggetto preposto ad attività esclusivamente burocratica di affidamento di commesse, cioè, nella sostanza, in una stazione appaltante ”.

Nello scrutinio del bilanciamento operato tra diritti di pari rilievo, poi, la Corte ha ritenuto che per la sua “ incisività e ampiezza applicativa ” la misura non fosse proporzionata non avendo il legislatore tenuto in debita considerazione l’interesse dei concessionari, i quali, per quanto godessero di una posizione di favore derivante dalla concessione ottenuta in passato, per aver sostenuto investimenti e fatto programmi, riponevano un affidamento nella stabilità del rapporto concessorio così come originariamente instaurato.

La Corte ha concluso nel senso che il legislatore era tenuto a perseguire l’obiettivo della tutela della concorrenza non già con una “ misura radicale e ad applicazione indistinta ”, ma “ calibrando l’obbligo di affidamento all’esterno sulle varie e alquanto differenziate situazioni concrete, attenuandone la radicalità, se del caso attraverso una modulazione dei tempi, ovvero limitando ed escludendolo, ad esempio, laddove la posizione del destinatario apparisse particolarmente meritevole di protezione, e comunque, in definitiva dando evidenza alle circostanze rilevanti in funzione di adeguato bilanciamento dei due diversi aspetti della libertà di impresa, costituiti, come visto, dalla aspirazione a proseguire un’attività in atto, da un lato, e dall’esigenza di assicurare la piena concorrenza, dall’altro ”.

2.6.5. Ciò posto, può affermarsi che la soglia percentuale prevista per gli affidamenti a terzi dall’art. 253, comma 25, d. lgs. n. 163 del 2006, consistente nel 40 per cento dei lavori non era, per la sua entità, né irragionevole né sproporzionata.

Se è vero, infatti, che la soglia dell’80 per cento – unitamente al restante 20 per cento per l’affidamento del quale le concessionarie non erano ancora comunque completamente libere nella scelta – era eccessiva perché trasformava il concessionario in una vera e propria stazione appaltante, non lo stesso può dirsi di una soglia dimezzata, che lasciava, peraltro, al concessionario per il restante 60 per cento ampia facoltà di scelta, potendo decidere se effettuare i lavori direttamente ovvero affidarli infragruppo.

In sostanza deve ritenersi che la previsione del 40 per cento, pur di applicazione indistinta, era sacrificio ragionevole della libertà di impresa del concessionario alla luce della finalità dell’obbligo di esternalizzazione ricordata in più passaggi della sentenza della Corte costituzionale, vale a dire quello di “ recuperare a valle la concorrenza compromessa a monte ” per essere basato il previgente sistema di assegnazione delle concessioni autostradali sulla regola dell’affidamento diretto.

Quel che la Corte ha inteso tutelare – l’affidamento del concessionario nella stabilità del rapporto concessorio così come instaurato per poter realizzare i programmi che aveva elaborato e gli investimenti che in base ad essi erano stati effettuati, oltre agli altri interessi coinvolti (del concedente, degli utenti del servizio e dei lavoratori occupati dal concessionario) – non era radicalmente compresso poiché la norma del 2006 non imponeva in alcun modo la dismissione totalitaria dei lavori dati in concessione, come di fatto comportava la corretta applicazione dell’art. 177 d.lgs. n. 50 del 2016;
non v’era, cioè, un impedimento assoluto e definitivo di proseguire l'attività economica privata, comunque intrapresa ed esercitata in base ad un titolo amministrativo legittimo sul piano interno, secondo le disposizioni di legge all'epoca vigenti.

2.6.6. In conclusione, la formulazione originaria dell’art. 253, comma 25, d.lgs. n. 163 del 2006 non dà adito a dubbi di legittimità costituzionale.

Allo stesso modo va escluso il contrasto con l’art. 77 Cost. per le ragioni già evidenziate dal giudice di primo grado: l’introduzione di soglie percentuali negli affidamenti dei lavori ai concessionari rientra in quegli interventi predisposti dal legislatore per rafforzare l’assetto concorrenziale del mercato in materia;
essi pertanto sono indubbiamente connotati dalle caratteristiche dell’urgenza considerato il contesto storico – economico nel quale si inseriscono.

2.7. Quanto alla compatibilità della norma sugli affidamenti infragruppo con gli artt. 49, 56 e 63 del TFUE si osserva quanto segue.

2.7.1. L’art. 253, comma 25, d.lgs. n. 163 del 2006, non viola i principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi.

Per quanto precedentemente detto, infatti, l’obbligo imposto al concessionario autostradale di affidare a terzi una percentuale minoritaria di tutti i lavori che intenda eseguire nel tempo di durata della concessione non costituisce sacrificio di portata tale da indurre un operatore economico a rinunciare a concorrere all’affidamento della concessione per eccessiva gravosità dell’impegno richiesto e dei vincoli normativi posti dal legislatore nazionale.

La previsione dell’obbligo di affidamento all’esterno del 40 per cento dei lavori non comporta l’alterazione dell’equilibrio del rapporto concessorio, e, comunque, non determina eccessiva compressione degli interessi imprenditoriali del concedente, e, d’altra parte, non è in contrasto con il divieto del gold plating , principio inteso a evitare, specialmente nella materia dei pubblici appalti, l'introduzione, a carico delle imprese e degli operatori, di oneri burocratici aggiuntivi non essenziali e di livelli di regolazione eccessiva.

Precisamente, il divieto riguarda “ l’introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalla normativa europea e comporta la revisione della disciplina nazionale al fine di eliminare le regole più restrittive rispetto a quelle europee, non giustificate dalla tutela di interessi pubblici ” (Cons. Stato, sez. atti norm., 15 dicembre 2016, n. 2626), ma non osta alla possibilità che i singoli Stati inseriscano limiti all’esercizio di determinati diritti in ragione del necessario bilanciamento tra interessi contrapposti.

3. Passando all’analisi dei motivi di appello, occorre in primo luogo soffermarsi sul potere esercitato dal Ministero con la nota del 12 settembre 2014, n. 8198, in quanto, come precedentemente riferito, l’appellante denunzia l’insussistenza di un potere inibitorio (dei successivi affidamenti infragruppo) in capo all’amministrazione concedente.

3.1. Al riguardo, alla luce del quadro normativo e di prassi in precedenza delineato, la Sezione ritiene che la nota ministeriale sia stata adottata nell’esercizio del potere di vigilanza e controllo sui concessionari autostradali riconosciuto al Ministero (in quanto subentrato ad A.n.a.s.) dall’art. 2, comma 86, d.l. 3 ottobre 2006, n. 262, oltre che dall’art. 2, comma 1, lett. c) l. n. 59 del 1961.

Essa, dunque, era modalità attuativa di un potere espressamente previsto dalla legge, ancor prima che atto di diffida al corretto adempimento che, all’interno di un rapporto paritetico, è consentito al creditore rivolgere al debitore quand’ è certo che quest’ultimo non sarà in condizione di adempiere all’obbligo assunto in forza dei principi di corretta e buona fede di cui all’art. 1175 cod. civ.;
ciò che porta a respingere il primo motivo di appello.

3.2. E’ indubbio, peraltro, che la nota ministeriale, per il suo contenuto prescrittivo – alla concessionaria era inibito per tutta la durata residua della concessione l’affidamento a impresa controllata dei lavori – costituiva un “ arresto procedimentale ”, poiché vincolava per il futuro le modalità di azione della concessionaria, sostanzialmente preannunciando l’irrogazione della sanzione prevista dalla legge per il caso in cui il divieto fissato fosse stato violato.

Da qui l’interesse alla sua immediata impugnazione;
fino a che la nota non fosse stata annullata il rapporto concessorio sarebbe stato conformato nel senso richiesto dal Ministero, vale a dire con l’obbligo di affidamento a terzi dei lavori, esclusa dunque una piena libertà di scelta della concessionaria, a meno di non voler assumere il rischio di incorrere nella sanzione.

3.3. Precisato quanto sopra, la nota impugnata era, però, affetta da un vizio logico e motivazionale;
ciò che conduce ad accogliere il secondo motivo di appello.

Invero il Ministero ha vietato alla concessionaria ulteriori affidamenti infragruppo per l’accertato superamento delle soglie percentuali nel quinquennio conclusosi al 31 dicembre 2013 (peraltro sulla base dei soli documenti che erano stati trasmessi da A.T.I.V.A.) ed in conseguenza dell’impossibilità di attuare un piano di recupero nel successivo biennio di durata residua della concessione che potesse consentire il riallineamento delle percentuali a quelle di legge.

Senonché, come in precedenza spiegato, il quinquennio è dato temporale utile al monitoraggio, non è, invece, l’arco temporale ultimo per definire lo stock di lavori sul quale calcolare l’avvenuto rispetto delle soglie percentuali.

Se fosse così inteso, infatti, sarebbe palese la violazione dell’art. 253, comma 25, d.lgs. n. 163 del 2006, che è privo di riferimento ad un preciso parametro temporale proprio in quanto impone di considerare ai fini dell’applicazione delle soglie percentuali lo stock dei lavori dell’intero periodo di durata della concessione.

In tal senso, del resto, era anche la circolare dell’A.n.a.s. del 11 maggio 2012 n. 67217, in cui ben si chiariva che il riferimento al quinquennio era finalizzato al solo monitoraggio dell’andamento dell’esecuzione dei lavori, senza che avesse rilievo sull’accertamento dell’inadempimento definitivo agli obblighi previsti dall’art.253 da cui dipendeva l’irrogazione la sanzione.

3.4. Ne segue, allora, che il Ministero, una volta accertato lo sforamento – che, a questo punto, è corretto dire temporaneo – delle soglie percentuali, non poteva senz’altro inibire affidamenti infragruppo nel biennio di durata residua della concessione, senza considerare le concrete possibilità per la concessionaria di compensare gli sforamenti della soglia avvenuti nel precedente quinquennio tramite l’affidamento di lavori a terzi nel successivo biennio.

Nulla, infatti, poteva escludere che in ragione del valore dei lavori in corso di affidamento o già affidati e da eseguire o, ancora, in corso di esecuzione, la concessionaria potesse, al termine di durata della concessione, dimostrare l’avvenuto rispetto della soglia percentuale negli affidamenti a terzi.

3.5. In definitiva, compete al Ministero, da un lato, in corso di durata della concessione monitorare il rispetto delle soglie percentuali degli affidamenti dei lavori, e, quante volte accerti in un periodo quinquennale lo sforamento, adottare atti di sollecito al riallineamento, e, dall’altro, al termine della concessione, accertare l’effettivo rispetto delle soglie e, in mancanza, irrogare la sanzione prevista dalla legge per la violazione degli obblighi del concessionario.

Come risulta, peraltro, essere avvenuto nel caso in esame con il provvedimento del 3 agosto 2016 prot. 13313 con cui è stata irrogata la sanzione di € 75.000,00.

Un potere di inibizione in corso di durata della concessione non si può ragionevolmente ammettere, poiché delle due l’una: o il Ministero ritiene che il concessionario non sia più in condizioni di rispettare le soglie, ossia ritenga maturato un definitivo inadempimento, ed allora dovrà immediatamente adottare la sanzione (eventualmente anche valutando la revoca – decadenza dalla concessione), oppure, se non abbia evidenze dell’inadempimento definitivo, limitarsi a segnalare il possibile verificarsi dello stesso e spingere la concessionaria a rivedere le sue scelte per il periodo mancante per poter rispettare gli obblighi legali e convenzionali.

Aver inibito al concessionario ulteriori affidamenti infragruppo per il solo fatto che mancasse un biennio alla conclusione della concessione comporta illegittimità del provvedimento anche per vizio di istruttoria;
era onere dell’amministrazione, anche richiedendo ulteriore documentazione al privato (che, peraltro, pare aver messo a disposizione del Ministero i dati che consentivano anche siffatta valutazione), verificare se nel biennio fossero previsti interventi che, se affidati a terzi, avrebbero portato a compensare gli sforamenti accertati (o anche se interventi fossero già stati affidati, ma non ancora completati).

3.6. Le precedenti considerazioni assorbono ogni altra questione, ivi compresa quella della necessità di tener conto dell’ “eseguito” oppure dell’ “affidato” ai fini dell’accertamento del rispetto delle soglie percentuali;
se il dubbio è giustificato in relazione alla fase di monitoraggio – sebbene anche per questa fase il riferimento ai lavori “eseguiti” consente di aver a disposizione un dato certo per poter quantificare il temporaneo scostamento – è da ritenersi, invece, che, al termine della durata della concessione, quando cioè occorre valutare a consuntivo il rispetto delle soglie di legge, sarà indispensabile considerare il valore complessivo dei lavori eseguiti.

Ciò si impone per la chiara ratio legislativa a fondamento della regola degli affidamenti della concessionaria che è quella di restituire al mercato attraverso l’allocazione a terzi dei lavori una parte dell’utilità acquisita dalla gestione dell’infrastruttura pubblica;
ne segue che solo considerando l’importo complessivo dei lavori – a prescindere dal corrispettivo previsto al momento dell’affidamento – si potrà dire se l’utilità in termini economici restituita al mercato corrisponda a quella percentuale prevista dal legislatore.

4. L’illegittimità della nota ministeriale del 12 settembre 2014 non si propaga ai successivi atti ministeriali, impugnati con i motivi aggiunti, di reiezione delle istanze con le quali la società richiedeva la determinazione del ribasso da applicare in relazione a contratti di appalto di affidamento a società controllate di diversi interventi manutentivi.

In tali atti il Ministero dichiarava di non poter accogliere l’istanza in quanto, come accertato nella nota del 12 settembre 2014, non era possibile l’affidamento infragruppo dei lavori stessi.

4.1. In diversi pareri su ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica presentati dalla stessa appellante A.T.I.V.A. s.p.a. avverso atti di identico tenore si è affermato che siffatte note ministeriali sono “ deliberazioni di carattere preliminare informativo-collaborativo, idonei solo a preannunciare la futura ed eventuale apertura di un procedimento sanzionatorio qualora il privato concessionario non ponga rimedio alla situazione di criticità oggetto di allarme ” ( ex multis Cons. St., sez. I, 27 gennaio 2021, n. 1444;
Cons. St., sez. I, 1 dicembre 2021, n. 912).

Esse, dunque, mancano di quel contenuto conformativo prima ascritto alla nota ministeriale del 12 settembre 2014, poiché, in ragione dell’accertato sforamento – il quale, come orami chiarito, è da intendersi temporaneo – rispetto ai limiti normativi previsti per l’affidamento infragruppo, offrono alla concessionaria la possibilità di determinarsi diversamente al fine di evitare la sanzione.

Non si tratta cioè di atti di diniego, ma di strumenti informativi-collaborativi;
ciò comporta che, una volta acquisita l’indicazione ministeriale, il concessionario poteva liberamente scegliere se proseguire nell’affidamento infragruppo, rischiando di rendere definitivo lo sforamento e, dunque, incorrere nella sanzione – ciò che risulta essere avvenuto, come risulta chiaramente dal contenuto della nota ministeriale del 23 febbraio 2016 in atti – oppure conformare la sua condotta alle indicazioni del Ministero.

4.2. Da tutto quanto detto ne deriva che la legittimità di tali note (e, più in generale, la condotta del Ministero come soggetto vigilante al rispetto degli obblighi a carico del concessionario) dovrà essere vagliata unitamente alla condotta del concessionario in specifico giudizio che abbia ad oggetto il provvedimento di irrogazione della sanzione per avvenuto sforamento delle soglie degli affidamenti ai terzi (o, comunque, ove si discuta del rispetto degli obblighi posti dalla concessione e delle eventuali determinazioni a tal ragione assunte dal Ministero) poichè, per quanto precedentemente esposto, solo a consuntivo potrà dirsi se in relazione all’intero stock dei lavori affidati nel corso di durata della concessione siano state rispettate o meno le soglie percentuali degli affidamenti a terzi previste dalla legge.

I motivi aggiunti, pertanto, non sono fondati e devono essere rigettati.

5. La domanda di condanna al risarcimento del danno va respinta

La società sostiene che gli atti ministeriali impugnati avrebbero leso le sue prerogative contrattuali, avendo aggravato, senza il suo consenso, le obbligazioni contrattuali ed inciso sull’autonomia societaria e gestionale, in violazione del generale obbligo di comportamento secondo correttezza e buona fede che grava su entrambe le parti del contratto ai sensi degli artt. 1175 e 1375 cod. civ..

Ciò che è sufficiente a dire infondata, già solo in prospettazione, la domanda risarcitoria, poiché nessun pregiudizio di natura patrimoniale viene allegato quale conseguenza immediata e diretta del provvedimento illegittimo adottato dal Ministero, con la conseguenza che non risulta integrato uno degli elementi costituti (il danno - conseguenza) della fattispecie risarcitoria.

D’altronde, come precedentemente rilevato, pur in presenza del divieto opposto dal Ministero nella nota del 12 settembre 2014, A.T.I.V.A. ha continuato ad affidare infragruppo i lavori, così avendo autonomamente sterilizzato ogni potenziale effetto pregiudizievole dell’atto ministeriale (fatto salvo, naturalmente, il rispetto degli obblighi legali che, come più volte evidenziato, sarà accertato in altra sede).

Si aggiunga, inoltre, che la paventata inibizione rispetto a ulteriori affidamenti infragruppo può aver inciso sul solo patrimonio delle società cui si sarebbe voluto affidare i lavori – queste essendo le uniche legittimate ad agire in via risarcitoria - non potendosi immaginare alcun danno per la società concessionaria.

La richiesta di risarcimento del danno si sostanzia in tal caso in un’azione a beneficio di terzi, incompatibile con il regime del risarcimento del danno e con la natura soggettiva della giurisdizione amministrativa.

6. In conclusione, in accoglimento del secondo motivo di appello, va riformata la sentenza di primo grado con accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio nei sensi di cui in motivazione, respinti i motivi aggiunti ed ogni altra domanda.

7. La peculiarità della vicenda e la parziale soccombenza giustificano la compensazione delle spese del doppio grado del giudizio.

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