Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-02-18, n. 202001240

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-02-18, n. 202001240
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202001240
Data del deposito : 18 febbraio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/02/2020

N. 01240/2020REG.PROV.COLL.

N. 07159/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7159 del 2009, proposto dalla signora V C L, rappresentata e difesa dagli avvocati G G e I G, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato S V in Roma, via Asiago, n. 8;

contro

il Comune di Diano Marina, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati C M e G P, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato G P in Roma, viale Giulio Cesare, n. 14a/4;

nei confronti

la Regione Liguria, in persona del Presidente pro tempore , non costituita in giudizio;
il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la Capitaneria di Porto di Imperia, in persona del Ministro pro tempore , non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 842/2009, resa tra le parti, concernente demolizione di opere edilizie abusive e diniego di sanatoria


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Diano Marina;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 dicembre 2019 il Cons. Antonella Manzione e uditi per le parti l’avvocato I G e l’avvocato G P;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con quattro separati ricorsi al T.A.R. per la Liguria l’odierna appellante, titolare di una struttura turistico-ricettiva all’aperto (campeggio) all’insegna “Angolo di Sogno” su area demaniale marittima nel Comune di Diano Marina, ha impugnato una serie di atti aventi ad oggetto gli interventi edilizi posti in essere sulla stessa.

In particolare:

- con ricorso n.r.g. 598/2002 ha impugnato l’ordinanza n. 60 in data 15 aprile 2002 con la quale le era stata ingiunta la rimozione delle opere asseritamente abusive dal demanio marittimo;

- con ricorso n.r.g. 1061/2002 ha impugnato il parere negativo, datato 12 giugno 2002, sul progetto di sanatoria edilizia presentato il 1 ° febbraio 2002 e il conseguente diniego di autorizzazione in sanatoria n. 216 del 17 giugno 2002, essendosi ravvisata una modifica di destinazione d’uso;

- con ricorso n.r.g. 88/2003 ha impugnato l’ordinanza 27 novembre 2002, n. 335 recante ingiunzione a demolire le opere di cui alla negata sanatoria;

- infine, con ricorso n.r.g. 907 del 2004 ha impugnato i provvedimenti in data 20 aprile 2004 nn. 5316 e 115, recanti parere negativo della Commissione edilizia e conseguente diniego di concessione edilizia in sanatoria richiesta il 23 luglio 1990 ai sensi dell’articolo 13 della legge n. 47 del 1985.

2. Il Tribunale adìto, previa riunione dei ricorsi per evidente connessione soggettiva e oggettiva, respingeva l’ultimo (n.r.g. 907/2004) e dichiarava in conseguenza di ciò inammissibili gli altri « poiché concernono null’altro che modificazioni riguardanti alcune delle opere per le quali con il provvedimento denunciato con il ricorso 907/04 il Comune aveva sostenuto l’abusività », condannandola al pagamento delle spese di giudizio a favore del costituito Comune di Diano Marina (euro 5.000).

La reiezione nel merito si fondava in sintesi sulle seguenti motivazioni: la incompletezza della domanda sarebbe stata fatta rilevare sin dalla sua presentazione (23 luglio 1990), come da protocollo apposto sulla stessa;
il diniego si basa anche sull’asserito contrasto con l’art. 29 delle n.t.a. del vigente Piano regolatore generale che non prevede nella zona di riferimento strutture a destinazione turistico-ricettiva all’aria aperta;
non troverebbe applicazione nel caso di specie la cd.“sanatoria giurisprudenziale”, sia perché la domanda ex art. 13 della l. n. 47/1985 presuppone l’accertamento della “doppia conformità”;
sia perché la ricorrente non avrebbe dimostrato la conformità del proprio intervento al sopravvenuto piano urbanistico comunale (P.u.c.);
pertanto la obiettiva carenza motivazionale in punto di violazione delle norme paesaggistiche non assumerebbe rilievo a fronte di tali esplicitate diverse giustificazioni a supporto.

3. Ha presentato appello avverso la predetta sentenza la ricorrente di primo grado, per contestare distintamente sia l’avvenuta reiezione del ricorso n.r.g. 907/2004;
sia la declaratoria di inammissibilità degli altri tre (che peraltro, ove riferiti davvero ai medesimi interventi per i quali era stata negata la sanatoria, avrebbero caso mai dovuto essere dichiarati improcedibili), per i quali ha riproposto gli originari motivi di ricorso, in quanto non esaminati.

Quanto al rigetto del ricorso n.r.g. 907/2004 ha pertanto lamentato:

a) violazione dell’art. 20, comma 5, del d. P.R. n. 380/2001 avendo il Comune respinto l’istanza anziché chiedere l’integrazione documentale necessaria alla relativa istruttoria. Non è stata infatti fornita alcuna prova dell’avvenuto inoltro della nota in data 28 luglio 1990 con la quale il Comune afferma che sarebbe stata formulata tale richiesta. Del resto, l’individuazione delle opere da sanare era desumibile con chiarezza attraverso il richiamo contenuto nell’istanza alle premesse dell’ordinanza di demolizione n. 63 del 24 maggio 1990 (motivi sub I.1, I.2 e I.3);

b) errata interpretazione dell’art. 29 delle n.t.a. del P.R.G. del 1983. Trattandosi di struttura turistico-ricettiva insistente sul territorio da prima dell’entrata in vigore del Piano regolatore, non poteva certo sostenersene la generica e generale contrarietà con la destinazione di zona (motivo sub . 1.4);

c) nel caso di specie opererebbe la “sanatoria giurisprudenziale” essendo sopravvenuto il P.u.c., le cui norme tecniche attuative (art. 72) espressamente consentono la realizzazione e l’ampliamento di pubblici esercizi (motivo sub I.5).

Quanto al ricorso n.r.g. 1061/2002, ha rivendicato l’autonomia della richiesta di sanatoria del 2002 rispetto a quella del 1990 e contestato la ritenuta modifica di destinazione d’uso, stante che la trasformazione da “bar ristorante” a “bar discoteca” rientrerebbe nel medesimo ambito funzionale “commerciale”.

Quanto al ricorso n.r.g. 598/2002, l’ordinanza di rimozione delle opere del 15 aprile 2002, n. 60 sarebbe viziata da incompetenza, in quanto intervenuta su area demaniale marittima in assenza dei previsti piani regionali di utilizzazione delle aree e del piano comunale di spiaggia (art. 10 della L.R. n. 13/1999). Sia tale ordinanza che quella di ingiunzione a demolire del 27 novembre 2002, n. 335 (oggetto del ricorso n.r.g. 88/2003) sarebbero intervenute nelle more della definizione del procedimento di sanatoria, senza attenderne gli esiti. L’ordinanza di demolizione del 27 novembre 2002, n. 335, infine, non avrebbe un contenuto oggettivo certo: ciò in ragione del riferimento da un lato all’ordinanza n. 63 del 24 maggio 1990, di cui finirebbe per mutuare le censure già dedotte in diverso autonomo ricorso (n.r.g. 1136/1990, dichiarato improcedibile con sentenza del T.A.R. per la Liguria n. 140 del 2003 proprio in ragione della sopravvenuta richiesta di sanatoria del 23 luglio 1990);
dall’altro, alla comunicazione di avvio del procedimento inoltrata in data 4 gennaio 2002, cui avrebbe fatto seguito l’(altra) ordinanza n. 60/2002, viziata a sua volta in via propria e in via derivata. Ad ogni buon conto, sarebbero state violate anche le garanzie partecipative di cui all’art. 7 della l. n. 241/1990.

4. Si è costituito in giudizio il Comune di Diano Marina per resistere all’appello. Con memoria in controdeduzione ne ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità per carenza di interesse: avendo l’appellante presentato anche istanza di assenso al mantenimento delle opere all’ufficio demanio marittimo, il mancato ottenimento dello stesso renderebbe vana qualunque pronuncia favorevole, dovendo esse venire comunque rimosse. Nel merito, in riferimento al diniego di sanatoria del 12 giugno 2002, ha difeso l’assunto del giudice di prime cure: avendo essa ad oggetto interventi -seppur anche parzialmente diversi- all’interno di un complesso già qualificato come abusivo, non vi sarebbe alcun interesse alla sua caducazione da parte della ricorrente. L’originaria ordinanza di intimazione alla demolizione, peraltro, risalente al 1990, era stata sospesa in via cautelare dal medesimo T.A.R. per la Liguria nel corso del procedimento conseguente al richiamato ricorso n.r.g. 1136/1990, dichiarato improcedibile. Pertanto, la parte non avrebbe potuto comunque intervenire su una situazione che, benché ancora sub iudice, era presumibilmente abusiva nel complesso. Corretta, peraltro, sarebbe l’ipotizzata modifica di destinazione d’uso, avendo l’appellante trasformato locali, già oggetto di pregresse trasformazioni, per addivenire da un bar ristorante, ad un bar discoteca. Quanto all’asserita incompetenza del Comune in materia di atti conseguenti alla vigilanza sul demanio marittimo, ha ricordato l’avvenuta approvazione del previsto piano di utilizzazione delle aree demaniali marittime di cui all’articolo 11 della L.R. per la Liguria n.13 del 1999 con deliberazione del Consiglio regionale del 9 aprile 2002, n. 18, ovvero pochi giorni prima l’avvenuta emanazione dell’ordinanza del 15 aprile 2002, di sgombro dalle opere abusive del suolo demaniale marittimo.

5. In vista dell’udienza, le parti si sono scambiate memorie. In particolare, l’appellante in data 12 novembre 2019 ha depositato “ testimoniale di Stato in data 27 aprile 1977 ” e verbale di consegna all’amministrazione marittima del 13 maggio 1977, concernenti entrambi l’incameramento dei manufatti (già) ricompresi nel “ compendio immobiliare ivi esistente, adibito a campeggio denominato "Angolo di Sogno" ”. Di tale documentazione la difesa civica ha chiesto lo stralcio, lamentando la tardività del relativo deposito.

All’udienza pubblica del 3 dicembre 2019, sentite le parti, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

6. Va disposto preliminarmente lo stralcio, su eccezione sollevata dalla difesa comunale nel corso della presente udienza, della documentazione presentata dall’appellante principale in data 12 novembre 2019 siccome tardiva rispetto al termine perentorio stabilito dall’art. 73, comma 1, c.p.a. Trattandosi inoltre di provvedimenti risalenti all’anno 1977, non ne risulta dimostrata e neppure affermata l’impossibilità di produzione nel giudizio di primo grado per causa non imputabile alla stessa (art. 104, comma 2, c.p.a.). Ad ogni buon conto, essa si palesa anche ultronea a fini di causa, essendo incontestata tra le parti la preesistenza a tale data della struttura destinata a camping, comprensiva dei fabbricati a servizio, espressamente indicati come “incamerati” nell’ordinanza n. 63 del 24 maggio 1990.

7. Va altresì scrutinata l’eccezione di inammissibilità per carenza di interesse sollevata dal Comune appellato.

Il Collegio la ritiene infondata e come tale da respingere. L’autonomia dei due procedimenti, quello volto a legittimare (ovvero, a contrario , a sanzionare) le opere realizzate sotto il profilo urbanistico-edilizio e quello, parallelo ma distinto, inerente la loro allocazione su suolo demaniale, ne rende infatti immediatamente lesivi della sfera giuridica dei privati e conseguentemente impugnabili i relativi provvedimenti.

8. Prima di passare all’analisi nel merito della complessa vicenda sottesa all’odierno contenzioso, il Collegio ne ritiene indispensabile una breve sintesi fattuale. La richiamata insistenza delle opere di cui è causa su area demaniale marittima fruita in concessione, fa sì che trovino applicazione al caso di specie sia le regole sul corretto assetto del territorio di cui, principalmente, alla l. 28 febbraio 1985, n. 47, vigente ratione temporis , sia quelle rivenienti dal r.d. 30 marzo 1942, n. 327, recante “Codice della navigazione”. A ciò consegue l’unicità di taluni richiami, in fatto e in diritto, contenuti in ciascuno degli atti avversati: una volta attivato il procedimento sanzionatorio, di cui si è dato informativa alla parte con la (sola) comunicazione del 4 gennaio 2002, opportunamente richiamata in tutti e tre i provvedimenti avversati, esso ha avuto distinti sviluppi ratione materiae . In sintesi, il sostrato della vicenda comune all’intero contesto, ne imponeva una ricostruzione (in parte) omogenea, anche allo scopo di consentire al privato l’immediata intellegibilità delle motivazioni di ciascuno dei provvedimenti impugnati, salvo poi inserire gli elementi di specificità propri in via esclusiva dello stesso (v. il richiamo alle autonome comunicazioni di avvio del procedimento inviate dalla Guardia Costiera di Imperia in data 18 dicembre 2001 e 31 dicembre 2001, contenuto solo nell’ordinanza n. 60/2002). La ripetizione di tali richiami, cioè, lungi dal costituire fattore di incertezza, siccome vorrebbe sostenere l’appellante (motivi sub II e III) stralciando strumentalmente ogni singolo assunto, costituisce indice della serietà istruttoria dell’amministrazione procedente, costretta a mettere ordine in una vicenda nella quale la stratificazione degli atti e, soprattutto, delle condotte dell’appellante, non ne agevolava certo il compito. Solo una lettura congiunta, dunque, di tutti i provvedimenti, inseriti senza soluzione di continuità in un processo causale che trae origine dagli accertamenti del 1990 - rectius , addirittura, da altro ancora più risalente nel tempo- consente di comprendere la (condivisa) ricostruzione fattane dal giudice di prime cure avuto riguardo agli sforzi posti in essere dal Comune di Diano Marina per ripristinare la legalità lesa da parte dell’odierna appellante.

9. La vicenda trae dunque origine da un sopralluogo della Capitaneria di Porto sfociato nel “rapporto” del 21 aprile 1990, cui è conseguita l’adozione di una prima ordinanza (la n. 63 del 24 maggio 1990, formalmente estranea al perimetro dell’odierna decisione, ma che in realtà ne costituisce l’imprescindibile presupposto), fondata anche, seppure in maniera del tutto marginale, su ragioni di natura igienico-sanitaria. Analogamente, è in risposta agli esiti di un nuovo sopralluogo del medesimo personale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, concretizzatosi nella comunicazione di notizia di reato del 3 dicembre 2001, che viene adottato il provvedimento n. 60 in data 15 aprile 2002 (oggetto del ricorso n.r.g. 598/2002), recante l’elenco delle opere realizzate nel locale all’insegna “Acqua salata”, ubicato all’interno del campeggio denominato “Angolo del Sogno”. Nel caso precedente, lo sgombero era stato autonomamente disposto dalla medesima Capitaneria di Porto, in quanto ancora competente per materia, con ordinanza n. 7 del 15 maggio 1990, per quanto consta inoppugnata.

9.1. All’esito di entrambi i sopralluoghi, l’interessata avanzava istanza di sanatoria ex art. 13 della l. n. 47/1985: una prima volta, dunque, in data 28 luglio 1990, con riferimento ai circa 140 manufatti indicati nel ridetto rapporto del 21 aprile 1990 e riportati analiticamente nell’ingiunzione demolitoria n. 63/1990;
la seconda, in data 1° febbraio 2002, con riferimento ai manufatti aggiuntivi oggetto della nuova segnalazione.

Entrambe le richieste sortivano esito negativo: nel primo caso con il diniego del 20 aprile 2004, n. 115 (oggetto del ricorso n.r.g. 907/2004);
nel secondo, con il provvedimento n. 216 del 17 giugno 2002 (ricorso n.r.g. 1061/2002). A tale secondo diniego conseguiva l’ordinanza ingiunzione a demolire le opere a quel punto accertate come sine titulo anche sotto il profilo edilizio n. 335 del 27 novembre 2002, oggetto del ricorso n.r.g. 88/2003.

Appare pertanto chiaro come il nucleo centrale della vicenda sia da ravvisare nell’abuso già stigmatizzato nell’ordinanza n. 63/1990, la cui esecutività è stata sospesa in via cautelare dal medesimo T.A.R. per la Liguria nel corso del procedimento instaurato contro la stessa (ordinanza n. 755 del 31 luglio 1990).

Il Collegio ne ritiene dirimente la disamina contenutistica: l’elenco dei circa 140 manufatti abusivi si apre con l’indicazione di una serie di roulotte, box o simili, strutture tipicamente funzionali all’esercizio dell’attività ricettiva, delle quali si evidenzia la fissità, tanto da qualificarle come opere edilizie abusive. I manufatti, cioè, " considerati anche gli elementi strutturali ", si connotano per la permanenza durante tutto l’arco dell’anno, integrando una modifica dello stato dei luoghi evidentemente non assentita con il titolo che ha legittimato l’insediamento della struttura. Tra esse figura anche il fabbricato incamerato tra le pertinenze demaniali e destinato a servizi igienici, uffici e altri locali asserviti al campeggio. In sintesi, la Capitaneria di Porto e, conseguentemente, il Comune di Diano Marina hanno qualificato come abusiva non la struttura ricettiva ex se, ma il suo concreto atteggiarsi mediante la realizzazione di una permanente trasformazione dello stato dei luoghi in assenza dei previsti titoli edilizio e paesaggistico.

10. Se così è, appare chiara la necessità di scrutinare preliminarmente il ricorso avverso l’atto (il diniego di sanatoria di tale abuso originario) che ha cristallizzato come definitivamente illecita la situazione accertata: ciò in quanto sia la successiva richiesta di (ulteriore) sanatoria, sia i due provvedimenti ripristinatori « concernono null’altro che modificazioni » di un contesto nel quale il singolo intervento, in quanto e se funzionale a incidere sul complesso ricettivo, non può che risentire di tale illiceità di partenza, con ciò rendendo addirittura improcedibile da parte degli uffici comunali la domanda volta a legittimarne ex post la realizzazione.

11. Quanto detto peraltro trova conferma perfino nella difesa dell’appellante: allo scopo di contestare la asserita incompiutezza documentale della domanda posta a base della reiezione della sanatoria del 1990, essa richiama la possibilità, da parte del Comune, di integrare i dati mancanti, pur in assenza di allegati grafici, con il riferimento, espressamente contenuto nell’istanza di sanatoria, alle “ presunte opere abusive, realizzate all’interno del campeggio sopradetto, elencate in premessa all’ordinanza di demolizione del Sindaco n. 63 in data 24.05.1990 ” (pag. 12 del ricorso in appello). Con ciò ammettendo che le “opere abusive” da sanare erano quelle (e tutte quelle) di cui all’accertamento del 1990, ovvero in primo luogo i manufatti alloggiativi a servizio della struttura in quanto stabilmente ancorati a vario titolo al suolo.

12. Rispetto ad un campeggio abusivo non nella sua astratta configurazione, ma nella riscontrata modalità di realizzazione, è evidente che qualsivoglia ulteriore intervento volto ad accentuarne tali elementi di fissità non può che palesarsi abusivo a sua volta.

L’espressione di sintesi riportata nella motivazione del diniego di sanatoria del 2002, peraltro mutuando il parere negativo espresso al riguardo dalla competente Commissione comunale, va dunque collocata in tale contesto. L’affermato cambio di destinazione d’uso “ da servizi igienici, uffici ed altri locali asserviti al Campeggio in locali ad uso commerciale ” rischia di essere fuorviante ove riferito all’intera struttura: ove si trattasse, infatti, di miglioramenti additivi di un complesso ricettivo legittimo, essi potrebbero essere riguardati nella loro unitarietà, ovvero con riferimento alla destinazione del contenitore nel suo complesso, non dei singoli elementi contenuti.

Nel caso di specie, tuttavia, per quanto già chiarito, è il contenitore ad essere abusivo: a ciò non può che conseguire una visione mirata sì al singolo intervento, ma per poi ricollocarlo nel complesso generale.

Afferma l’appellante che di modifica di destinazione d’uso si parlerebbe -peraltro in maniera erronea- per la prima volta nella comunicazione di notizia di reato del 3 dicembre 2001, con ciò confermando l’autonomia delle fattispecie denunciate a tale data rispetto alle preesistenti del 1990.

L’assunto è infondato.

La necessità di concentrare l’attenzione sul singolo manufatto per farne comprendere la (mutata) finalizzazione al servizio della struttura ricettiva ha determinato la qualificazione (più lessicale che giuridica) degli interventi effettuati.

In sintesi, ridetti interventi, ove valutati autonomamente, come di fatto prospettato dall’appellante, costituiscono effettive modifiche di destinazione d’uso con opere, come tali necessitanti di titolo edilizio;
ove inserite nel contesto di una preesistente destinazione d’uso (a struttura ricettiva all’aria aperta), non possono che mutuare i limiti di tale destinazione, per come già individuati perseguendo l’ancoraggio permanente al suolo dall’ordinanza n. 63/1990.

Né appare condivisibile l’invocata omogeneità categoriale tra “ristorante bar” e “bar discoteca”, in assenza di precise disposizioni in tal senso nelle norme di pianificazione territoriale. Il richiamo all’art. 5 della l. 25 agosto 1991, n. 287, concernente la tipologia di pubblici esercizi di somministrazione di alimenti e bevande si palesa infatti del tutto inconferente: la possibilità di effettuare la relativa attività congiuntamente a quella di trattenimento e svago ( comma 1, lett. c), cui faceva riscontro, secondo la disciplina dell’epoca, la sottrazione al contingentamento numerico di cui all’art. 3, comma 6, lett. d), non implica affatto la rivendicata osmosi tra categorie, tanto più che per i locali di trattenimento, assoggettati alla ben diversa licenza di cui all’art. 68 del T.U.L.P.S., la legislazione impone anche verifiche aggiuntive di agibilità affidate all’apposita Commissione di vigilanza. Nel caso di specie, inoltre, le strutture non vengono realizzate, almeno dichiaratamente, per ospitare attività autonome di somministrazione di alimenti e bevande o di trattenimento e svago, ma per asservirle alle stesse quale complemento dei servizi resi all’alloggiato. Diversamente, ne risulterebbe ancora più stridente la modifica di destinazione d’uso rispetto alla funzione turistico-ricettiva del campeggio nel quale si collocano.

Correttamente, pertanto, il Comune ha negato la sanabilità delle opere funzionali a trasformare l’originario bar ristorante in bar discoteca evidenziando (anche) che « l’intervento per il quale si richiede l’accertamento di conformità ai sensi dell’art. 13 della Legge 47/1985 non corrisponde all’abuso realizzato non contemplando tale istanza la modifica di destinazione d’uso da servizi igienici, uffici ed altri locali asserviti al Campeggio in locali ad uso commerciale ».

13. Una volta chiarita, dunque, anche mediante lo scrutinio del contenuto degli altri ricorsi, la pregiudizialità della disamina di quello avverso il diniego di sanatoria richiesta nel 1990, ne è ora possibile lo scrutinio in dettaglio.

13.1. Afferma l’appellante che il Comune avrebbe respinto la propria domanda, peraltro, come ricordato, a distanza di circa 14 anni, senza tuttavia contestarne preventivamente l’incompletezza, in dispregio delle indicazioni fornite al riguardo dall’art. 20, comma 5, del d.P.R. n. 380/2001. Sul punto il T.A.R. per la Liguria ritiene che in realtà il Comune abbia richiesto all’interessata gli elaborati grafici e la relazione di accompagnamento mancanti lo stesso giorno della presentazione dell’istanza di sanatoria, ovvero il 23 luglio 1990. Di tale comunicazione non sarebbe stata fornita prova in atti, non essendo certo sufficiente allo scopo l’esibizione della data di protocollazione della relativa nota, senza alcun riscontro della sua avvenuta ricezione o semplicemente visione da parte dell’interessata.

13.2. Rileva al riguardo la Sezione come, anche a volere prescindere dalla plausibile richiesta di integrazione contestuale alla presentazione dell’istanza, stante la plateale incompletezza della stessa, ad essa non può certo conseguire l’invocato effetto invalidante del diniego.

In materia di sanatoria cd. “ordinaria”, infatti, di cui all’epoca all’art. 13 della l. n. 47/1985, diversamente da quanto previsto per il condono, non vige l’istituto del silenzio assenso, ma quello, di senso diametralmente opposto, del silenzio diniego. Ne consegue che a fronte dell’inerzia dell’amministrazione protrattasi nel tempo, la parte ben avrebbe potuto compulsarne le decisioni, con ciò acquisendo contezza della carenza documentale ascrittale, allo scopo di scongiurare la formazione di tale reiezione tacita.

Nel caso di specie, peraltro, la documentazione mancante attiene all’identificazione dello stesso oggetto della domanda, trattandosi dell’elaborato progettuale che evidenzi lo stato di fatto preesistente e quello modificato, ovvero di qualsivoglia elaborato idoneo a delimitare l’effettiva consistenza delle opere che si intendeva sanare. Né la lacuna era automaticamente superabile, come pure tenta di fare l’appellante, ricavando l’elenco delle opere per relationem da quello contenuto nell’ordinanza n. 63/1990: il richiamo alle stesse, infatti, come “presunte” abusive, di fatto ribalta sull’amministrazione l’esplicitazione della propria volontà di sanare gli interventi dei quali non si vuole espressamente riconoscere l’abusività. Il richiamo tuttavia conferma, proprio per la sua genericità, la necessità per l’amministrazione, già evidenziata al § 11, di includerle tutte nella richiesta, con ciò basandone la disamina sulla valutazione di un contesto gestionale “strutturalmente” complessivamente abusivo.

14. Il provvedimento di diniego, tuttavia, è motivato anche con riferimento all’asserito contrasto con l’art. 29 delle n.t.a. al vigente P.R.G., il quale vieta qualsivoglia realizzazione o ampliamento di strutture ricettive a cielo aperto. Afferma al riguardo l’appellante che il richiamo a tale motivazione si paleserebbe inconferente, se non del tutto illogico, in assenza di esplicitazioni riferite a singole opere, stante che il campeggio era operativo in zona da prima dell’entrata in vigore del ridetto P.R.G., non potendosi certo intendere la norma come cogente la sua sostanziale delocalizzazione.

14.1. Alla luce di quanto già detto, appare ormai chiara l’infondatezza anche di tale affermazione. Ciò che è considerato incompatibile con la disciplina urbanistica, infatti, non è l’insistenza della struttura ricettiva all’aria aperta ex se nella zona in questione, ma la realizzazione delle opere attraverso la quale si è inteso esercitarla. Ciò rende impossibile ogni diversa opzione ermeneutica -ovvero la valutata possibilità di sanatoria di singoli interventi- in assenza di specifica individuazione degli stessi, con contestuale evidenziazione della loro effettiva autonomia, anche funzionale, rispetto alla gestione del complesso ricettivo.

14. 2. Il riferito contrasto con l’art. 29 delle n.t.a., peraltro, risulta già di per sé sufficiente a sorreggere la legittimità dell’atto impugnato e respingere l’appello in forza del principio per cui in caso di pluralità di motivi, la riconosciuta legittimità anche di uno soltanto di essi, rende superfluo scrutinarne gli ulteriori (cfr. Cons. Stato, sez. II, 29 luglio 2019, n. 5333).

15. Afferma ancora l’appellante che la sanatoria avrebbe dovuto essere rilasciata avuto riguardo al sopravvenuto piano urbanistico comunale, le cui n.t.a., all’art. 72, rubricato “ Trasformazione di attrezzature ricettive all’aria aperta in servizi e attrezzature a carattere turistico connesse alla balneazione ”, prevedono espressamente per la zona di interesse l’insediamento e l’ampliamento dei campeggi.

L’assunto è infondato.

In primo luogo, si palesa corretta l’affermazione del giudice di prime cure che rileva la mancata prova dell’effettiva conformità delle opere al nuovo strumento urbanistico: la richiamata disposizione, infatti, prevede la redazione di un piano urbanistico operativo (P.u.o.) esteso all’intero distretto di trasformazione in cui si articola la zona costiera del piano regolatore generale del 1983, nel caso di specie mancante.

Indi non appare neppure invocabile, secondo l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale del Consiglio Stato (cfr., ex multis , Cons. Stato, Sez. VI, 24 aprile 2018, n. 2496, e 20 febbraio 2018, n. 1087), pienamente condiviso da questo Collegio, l’istituto della c.d. ‘sanatoria giurisprudenziale’. Tale istituto non trova, infatti, fondamento alcuno nell’ordinamento positivo, contrassegnato invece dai principi di legalità dell’azione amministrativa e di tipicità e nominatività dei poteri esercitati dalla pubblica amministrazione, con la conseguenza che detti poteri, in assenza di espressa previsione legislativa, non possono essere creati in via giurisprudenziale, pena la violazione di quello di separazione dei poteri e l’invasione di sfere proprie di attribuzioni riservate alla pubblica amministrazione. Anche la Corte Costituzionale, peraltro, ha più volte ribadito al riguardo la natura di principio, tra l’altro vincolante per la legislazione regionale, della previsione della “doppia conformità” (Corte Cost., 31 marzo 1998, n. 370;
13 maggio 1993, n. 231;
27 febbraio 2013, n. 101) seppur con precipuo riferimento inizialmente ai soli profili penalistici. Il giudice delle leggi ha dunque affermato che il rigore insito in tale principio trova la propria ratio ispiratrice nella “natura preventiva e deterrente” della sanatoria , finalizzata a frenare l’abusivismo edilizio, in modo da escludere letture “sostanzialiste” della norma che consentano la possibilità di regolarizzare opere in contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro realizzazione ovvero con essa conformi solo al momento della presentazione dell’istanza per l’accertamento di conformità.

In definitiva, nella specie, si deve concludere che il rilascio del permesso di costruire in sanatoria è stato negato giustamente, in assenza della cd. “doppia conformità” ex art. 36, d.P.R. n. 380/2001, (da intendersi nel senso a più riprese affermato dalla costante giurisprudenza di primo grado: ex aliis cfr T.A.R. Reggio Calabria, -Calabria- sez. I, 11/01/2019, n.15, ove si legge che « il permesso in sanatoria, previsto dall'art. 36 d.P.R. n. 380/2001, può essere concesso solo nel caso in cui l'intervento risulti conforme sia alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della realizzazione del manufatto, che alla disciplina vigente al momento della presentazione della domanda. La doppia conformità condicio sine qua non della sanatoria, ed investe entrambi i segmenti temporali, cioè il tempo della realizzazione dell'illecito ed il tempo della presentazione dell'istanza. Nel caso di specie il provvedimento, in maniera sintetica ma esaustiva, evidenzia l'assenza totale della richiesta doppia conformità, stante che il manufatto realizzato è in contrasto con la destinazione d'uso dei locali, il che è sufficiente a precludere il rilascio del permesso di costruire in sanatoria. Tale rilievo prescinde del tutto dalla valutazione a posteriori della natura o della consistenza dell'abuso, sollecitata dall'interessato, dovendosi considerare, specie in ragione del carattere rigidamente vincolato del potere esercitato dall'amministrazione, che la contrarietà originaria dell'intervento, rispetto alla strumentazione urbanistica, esclude il prescritto requisito della doppia conformità» ) e che, per ormai costante orientamento giurisprudenziale, l’appellante non può invocare in proprio favore l’istituto della cd. “sanatoria giurisprudenziale”, cui peraltro non aveva fatto alcun riferimento nel corso del procedimento, cui ha attivamente preso parte ( cfr. Cons. Stato, sez. VI, 11 settembre 2018, n. 5319;
nonché id . 24 aprile 2018, n. 2496, nella quale peraltro si controverte, come nel caso di specie, di una domanda di sanatoria presentata prima dell’entrata in vigore del T.U.E., ma definita dopo).

16. Il Collegio ritiene infine irrilevante l’asserita carenza motivazionale con riferimento all’ambito paesaggistico, sancita pure dal giudice di prime cure, anche sotto più ampio profilo rispetto a quanto riveniente dalla sentenza impugnata.

Nel caso di specie, infatti, trattandosi di intervento su area incontestabilmente vincolata, la sanatoria edilizia non avrebbe comunque potuto assorbire quella paesaggistica, a sua volta mancante.

Nessun riferimento, infatti, risulta in atti circa l’avvenuta attivazione del procedimento di cui alla l. n. 1497/1939, vigente alla data di presentazione dell’istanza di sanatoria;
ovvero ex d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, in vigore al momento del suo diniego (essendo il d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 entrato in vigore il 24 aprile 2004, pochi giorni dopo, cioè, l’avvenuta adozione del provvedimento). Ne consegue che il diniego non poteva non dare atto della relativa circostanza richiamando la normativa sulla sussistenza del vincolo, ma senza entrare nel merito delle ragioni di eventuale lesione degli interessi paesaggistici, oltre quelli intrinseci nella mancanza del titolo, essendo la relativa valutazione rimessa all’autorità preposta alla specifica tutela (ovvero alla Soprintendenza secondo il regime vigente ex art. 7 della l. 29 giugno 1939, n. 1497).

La realizzazione dell'opera in zona a vincolo paesaggistico, configura infatti sia abuso edilizio per mancanza del richiesto titolo di legge, sia abuso paesaggistico, trattandosi di opere realizzate in presenza di un vincolo senza la necessaria autorizzazione. Da qui il richiamo alla l. n. 1497/1939 nel provvedimento demolitorio del 1990;
al combinato disposto degli artt. 151 e 164 del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, nell’ordinanza n. 335/2002. Da qui, anche, l’“esiguo” richiamo alle violazioni delle norme paesaggistiche, in realtà intrinseco nella mancanza del titolo relativo, riferito al momento del diniego della sanatoria (solo) edilizia.

17. Per mera completezza, infine, la Sezione ritiene di accennare, seppur sinteticamente, all’unico autonomo vizio ascritto all’ordinanza di rimozione delle opere n. 60 del 15 aprile 2002. Secondo l’appellante essa sarebbe affetta da incompetenza, essendosi il Comune appropriato dei poteri di vigilanza spettanti alla Capitaneria di Porto giusta le indicazioni rivenienti dagli artt. 10 e 17 della L.R. 28 aprile 1999, n. 13, recante “ Disciplina delle funzioni in materia di difesa della costa, ripascimento degli arenili, protezione e osservazione dell'ambiente marino e costiero, demanio marittimo e porti ”, con cui si è dato attuazione all’art. 3 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 (conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alla Regione ed altri enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997 n. 59), individuando quelle riservate alla Regione e quelle trasferite agli Enti locali. Diversamente da quanto opinato dall’appellante, infatti, le funzioni amministrative in materia di demanio marittimo sono state espressamente trasferite ai Comuni con decorrenza 1° gennaio 2002 dall’art. 12, comma 3, della richiamata L.R. n. 13/1999, come modificato dall’art. 5 della L.R. 3 gennaio 2002, n.

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