Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2024-03-21, n. 202402783

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2024-03-21, n. 202402783
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202402783
Data del deposito : 21 marzo 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 21/03/2024

N. 02783/2024REG.PROV.COLL.

N. 06131/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6131 del 2020, proposto da
V T D, rappresentato e difeso dagli avvocati V O, M S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Bellusco, rappresentato e difeso dall'avvocato G A, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Cesare Della Rocca in Roma, largo Lucio Apuleio, n. 11;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima) n. 00592/2020, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Bellusco;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 dicembre 2023 il Cons. A M e uditi per le parti gli avvocati Preso atto delle richieste di passaggio in decisione depositate in atti dagli avvocati Sasso e Agnelli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. – L’appellante svolgeva l’incarico di revisore dei conti presso il Comune di Bellusco (MB), giusta nomina del 28 settembre 2018. Con delibera consiliare n. 50, del 26 luglio 2019, il Comune lo ha tuttavia revocato dall’incarico a causa del ritardo nella presentazione della relazione alla proposta di delibera di approvazione del rendiconto, con riferimento al “ termine previsto dall’articolo 239, comma 1, lettera d) ” del d.lgs. n. 267 del 2000: situazione che è espressamente prevista quale causa di revoca dell’incarico, dall’art. 235, comma 2, del d.lgs. n. 267 del 2000.

Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR Lombardia ha respinto il ricorso proposto avverso l’atto di revoca;
tale pronuncia forma oggetto del presente giudizio di appello, con il quale ne viene domandata la riforma, insieme al risarcimento dei danni subiti, sulla base di tre motivi in diritto, rispettivamente rubricati: 1) “violazione dell’art. 235 comma 2 Dlgs 267/2000 in combinato disposto con l’art. 239 del Dlgs 267/2000 e l’art. 35 comma 4 del Regolamento di Contabilità del Comune di Bellusco - Mancanza dei presupposti per l’adozione del provvedimento di revoca del revisore unico, eccesso di potere, travisamento ed erronea valutazione dei fatti, illogicità ed erroneità delle motivazioni, ingiustizia manifesta”;
2) “Violazione dell’art.

6-bis della L. n.241/1990 e violazione del principio costituzionale della ‘imparzialità’ di giudizio (art. 97 della Costituzione)”;
3) “Violazione dell’art. 47, comma 1 del capo III e dell’art 64, del regolamento del Comune di Bellusco”.

2. – Nel presente giudizio di appello si è costituito il Comune di Bellusco, in persona del Sindaco pro tempore , insistendo per la reiezione del gravame, non senza sollevare profili di sua inammissibilità. L’amministrazione appellata, inoltre, ha riproposto le eccezioni di inammissibilità del ricorso di primo grado, già sollevate dinnanzi al TAR e da quest’ultimo non trattate.

L’appellante ha insistito per l’accoglimento delle proprie ragioni con memoria depositata il 3 novembre 2023, alla quale ha fatto seguito una replica dell’amministrazione, depositata il 30 novembre 2023.

3. – Alla pubblica udienza del 12 dicembre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

4. – L’appello non è fondato.

Giova preliminarmente considerare come, nella sostanza, la tesi propugnata dall’appellante è che il ritardo nella presentazione della relazione non sarebbe dipeso dalla propria volontà, ma dal complessivo comportamento ostruzionistico tenuto dagli uffici amministrativi del Comune: egli infatti riferisce di aver inizialmente ricevuto (in data 4 aprile 2019) solo una documentazione parziale, salvo poi acquisire, nei giorni seguenti, ripetute integrazioni successive;
anche sulla scorta di precise indicazioni da pare dell’amministrazione, si sarebbe così ingenerata, in capo al professionista, la convinzione che il termine per la presentazione della relazione dovesse considerarsi spostato in avanti.

4.1. – Tanto premesso, occorre anzitutto rilevare che la mancanza nella specie contestata al revisore, ovvero quella di non aver trasmesso tempestivamente la relazione sulla proposta di approvazione del rendiconto, è stata tipizzata dall’art. 239, comma 1, lettera d ), del d.lgs. n. 267 del 2000 quale situazione di particolare rilevanza e gravità tale, di per sé, senza altri accertamenti da parte dell’amministrazione, da comportare la revoca dall’incarico. Sul punto la giurisprudenza della Sezione ha ricordato che, in presenza di simile situazione, il provvedimento di revoca non è un atto discrezionale dell’amministrazione (cfr., della Sezione, la sentenza n. 2785 del 2018).

Venendo allora a trattare del punto che lo stesso atto di appello, nel corpo del primo motivo, individua come il profilo centrale dell’odierna controversia, va rimarcato che, nella specie, il termine per la presentazione della relazione de qua doveva considerarsi pari a venti giorni, decorrenti dal momento della trasmissione al professionista della proposta di rendiconto, come approvata dall’organo esecutivo. Ciò si desume dalla lettura congiunta dell’art. 239, comma 1, lettera d ), del d.lgs. n. 267 del 2000, secondo cui il revisore deve presentare la relazione “ entro il termine, previsto dal regolamento di contabilità e comunque non inferiore a 20 giorni, decorrente dalla trasmissione della stessa proposta approvata dall'organo esecutivo ”, e dell’art. 35, comma 3, ultimo periodo, del regolamento comunale di contabilità (in atti), secondo cui “ L’organo di revisione presenta la propria relazione entro 10 giorni dalla trasmissione degli atti ”. Posto che, secondo la legge, tale termine non può essere inferiore a venti giorni, salvo che il regolamento comunale ne prescriva uno più lungo, nel caso di specie deve quindi applicarsi il termine di legge. Né quest’ultimo può essere considerato un “termine minimale”, “che può essere ampliato”, come si esprime l’appellante: vieppiù nel caso di specie, in cui il regolamento comunale fissa un termine ancora inferiore a quello di legge, non può certo ritenersi che i venti giorni previsti dall’art. 239 del d.lgs. n. 267 del 2000 possono essere derogati.

L’inizio della decorrenza va inoltre individuato nel giorno 4 aprile 2019, quando cioè pacificamente l’odierno appellante ha ricevuto, dagli uffici comunali, la proposta di approvazione del rendiconto per il 2018 e lo schema del medesimo. La mancanza di altri documenti, dall’appellante considerati necessari per l’esame del rendiconto, non può acquisire rilievo ai fini di spostare in avanti l’inizio della decorrenza del termine di consegna della relazione: ciò, in quanto la legge indica, come dies a quo , proprio il giorno di trasmissione della (sola) proposta, e non anche quello in cui siano resi disponibili al revisore tutti i documenti da lui reputati necessari.

È dunque condivisibile quanto afferma il TAR, secondo cui, anche a voler convenire con l’utilità (o addirittura con la stretta necessità) dei documenti mancanti, il professionista ben avrebbe potuto segnalare la mancanza in sede di relazione (ovvero, ben avrebbe potuto segnalare che la trasmissione dei documenti, da parte degli uffici, era avvenuta a ridosso della scadenza del termine, situazione anch’essa impeditiva di una disamina completa del rendiconto), eventualmente addivenendo a conclusioni negative quanto alla proposta di approvazione;
ma non avrebbe potuto, per ciò solo, omettere il deposito della relazione medesima. Ciò, in ossequio alla sua funzione di certificazione contabile e in aderenza ai suoi doveri di controllo circa la completezza della documentazione necessaria per l’approvazione definitiva del rendiconto, che rientra nella competenza dell’organo consiliare. Dal che discende che la nozione di “completezza documentale” che assume rilievo, ai fini della decorrenza del termine per la trasmissione della relazione, è unicamente quella che si riferisce ai documenti indicati dalla legge (proposta di approvazione del rendiconto, come approvata dall’organo esecutivo).

Dagli atti versati in giudizio risulta che il parere è stato poi trasmesso in data 30 aprile 2019, quindi oltre il termine dei venti giorni;
è pur vero che, come lamentato dall’appellante, l’ufficio comunale di riferimento ha inviato la documentazione in diversi momenti, via via precisando che si trattava di invii non completi, e provvedendo alla trasmissione sia prima sia dopo la scadenza del termine per il deposito della relazione finale;
e ciò faceva lasciando intendere che il termine per la consegna della relazione fosse da considerarsi spostato in avanti;
ma è anche vero che l’adempimento, da parte del revisore, doveva comunque avvenire entro il termine indicato dalla legge, quale più sopra individuato, il quale non è disponibile né dal revisore né dalla stessa amministrazione, e deve dunque essere rispettato pena la conseguenza della revoca.

Non vi sono prove, del resto, del presunto atteggiamento “ritorsivo” tenuto dall’amministrazione nei confronti dell’appellante, il quale, come si deduce nell’appello, sarebbe stato revocato dall’incarico solo per aver reso una relazione negativa;
né vi è prova della sussistenza di “una grave ostilità del Sindaco – e del responsabile amministrativo dichiaratamente incompetente - verso il Revisore”, appena accennata, e non adeguatamente circostanziata, nell’esposizione del secondo motivo. Non si rinvengono elementi, nella motivazione del provvedimento impugnato, tali da far sorgere anche un mero dubbio in ordine a tali aspetti, dovendo piuttosto osservarsi che tale motivazione richiama la norma di legge sull’esercizio del potere di revoca del revisore (art. 235, comma 1, lettera d , del d.lgs. n. 267 del 2000), connesso al ritardo nella presentazione della relazione.

In definitiva, non sono ravvisabili, nella sentenza del TAR, gli errori logici che l’appellante lamenta, onde l’intero primo motivo deve essere rigettato.

4.2. – Non è fondato neanche il secondo motivo di appello che, nella sostanza, si limita a reiterare profili di censura già respinti dalla sentenza di prime cure, senza enucleare, con la dovuta chiarezza, aspetti di critica nei confronti di quest’ultima.

Vanno quindi confermate le valutazioni rese dal primo giudice, specialmente nella parte in cui esse – nel rigettare la censura articolata ai sensi dell’art. 38, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000 (che limita l’azione dell’organo consiliare in prorogatio ai soli atti urgenti e improrogabili) – hanno rilevato come l’organo consiliare uscente si sia “ limitato ad adottare una mozione, di per sé priva di effetti pregiudizievoli nei suoi confronti, che sono invece derivati dalla delibera impugnata nel presente giudizio, adottata successivamente alla tornata elettorale, da parte del Consiglio Comunale in una composizione rinnovata, che avrebbe pertanto ben potuto non concludere il procedimento instaurato dal precedente ”.

Analogamente è a dirsi quanto alla dedotta violazione dell’art. 6- bis della legge n. 241 del 1990: l’appellante non deduce profili tali da poter condurre al riesame della motivazione del primo giudice, che non ha ravvisato elementi idonei ad evidenziare alcun interesse personale, in capo al Sindaco e al responsabile del settore finanziario, in ordine all’adozione del provvedimento impugnato, “ che è stato peraltro adottato da parte di un organo Collegiale, né avendo il ricorrente dimostrato, e peraltro neppure affermato, la sussistenza di uno stato di inimicizia con gli stessi ”.

4.3. – Infondato, infine, è pure il terzo motivo di appello.

Anche in questo caso deve confermarsi la motivazione della sentenza gravata che, nell’esaminare il motivo ora riproposto in appello, avente ad oggetto una presunta violazione delle norme del regolamento comunale che prescrivono lo scrutinio segreto qualora siano trattati “ argomenti che hanno comportato l’apprezzamento delle capacità, moralità, correttezza od esaminate circostanze che richiedano valutazioni sulle qualità morali e sulle capacità professionali di persone ”, ha rilevato che il provvedimento di revoca impugnato è stato adottato in seduta riservata. Tanto basta a ritenere rispettate le norme invocate, la cui violazione non può predicarsi solo perché sia stata svolta la seduta pubblica per il compimento di atti prodromici (avvio del procedimento di revoca e approvazione del rendiconto, per il quale era stata presentata relazione con contenuto negativo) i quali, vuoi per la natura non definitiva, vuoi per la diversità di oggetto, non erano tali da comportare apprezzamento e valutazione delle qualità e dei comportamenti della persona dell’odierno appellante.

4.4. – L’appello, pertanto, è complessivamente da respingere, con ciò restando assorbite le eccezioni in rito sollevate o riproposte dalla parte pubblica appellata.

La domanda risarcitoria segue la sorte della domanda principale, venendo meno, per quanto in precedenza detto, il suo presupposto oggettivo, rappresentato dall’ingiustizia del danno.

5. – Le spese del grado seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

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