Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2013-01-16, n. 201300236

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2013-01-16, n. 201300236
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201300236
Data del deposito : 16 gennaio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01124/2004 REG.RIC.

N. 00236/2013REG.PROV.COLL.

N. 01124/2004 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1124 del 2004, proposto da:
Tm.E. S.p.A. - Termomeccanica Ecologia in P. e Man. R.T.I., rappresentato e difeso dagli avv. A B e G B, con domicilio eletto presso l’avv. A B in Roma, via G. Carducci,4;
R.T.I. Consorzio Etruria Soc. Coop. A R.L., T.E.V. S.p.A. - Termo Energia Versilia;

contro

Comune di Pietrasanta e Comune di Massarosa, rappresentati e difesi dagli avv. G P e T G, con domicilio eletto presso l’avv. G P in Roma, viale Giulio Cesare 14a/4;
Regione Toscana, rappresentato e difeso dagli avv. Natale Giallongo, Lucia Bora e Fabio Lorenzoni, con domicilio eletto presso l’avv. Fabio Lorenzoni in Roma, via del Viminale, 43;

nei confronti di

Provincia di Lucca;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. TOSCANA - FIRENZE: SEZIONE II n. 00005/2004, resa tra le parti, concernente realizzazione di due impianti di selezione e smaltimento rifiuti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 novembre 2012 il Cons. Paolo Giovanni Nicolo' Lotti e uditi per le parti gli avvocati Barone, Selvaggi, per delega dell'Avvocato Bianchi, Pafundi e Lorenzoni;


FATTO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sez. II, con la sentenza n. 5 dell’8 gennaio 2004 ha deciso il ricorso proposto da Tm.E s.p.a. Termomeccanica Ecologia, in proprio e quale mandataria del R.T.I. costituito con il Consorzio Etruria soc. coop. a r.l. e T.E.V. – Termo Energia Versilia s.p.a., entrambe attuali appellanti, per ottenere l'accertamento del credito da esse vantato e per la conseguente condanna dei Comuni di Massarosa e Pietrasanta e della Regione Toscana delle somme di: L. 80.989.523.000 (€ 41.827.297,91) per le riserve esplicitate negli atti di contabilità;
di L. 16.434.209.914 (€ 8.487.561,100) per la mancata e tempestiva erogazione del finanziamento pubblico indicato in convenzione;
nonché per il tempestivo adeguamento della tariffa di gestione rispetto al secondo schema di atto di sottomissione, già firmato dalla direzione dei lavori, dal responsabile del procedimento e da TM.E e da TEV in data 23 luglio 2002 per un importo pari a L/Kg 209,40 (€ 0,108146 ovvero €/t 108, 1461) o (nel caso che il concessionario non potesse farsi carico delle anticipazioni finanziarie) rispetto alla contabilizzazione riportata nello stato finale dei lavori pari a L/Kg 201,83 (€/Kg 0,104236 ovvero €/t 104,2365) derivante dall’incremento di L. 14.602.013.412 (€. 7.541.310,57) al netto del ribasso d’asta dei lavori contabilizzati con lo stato finale rispetto a quelli previsti dall’atto di sottomissione del maggio 2000;
in subordine si chiedeva il pagamento degli importi suddetti a titolo di responsabilità per indebito arricchimento degli enti concedenti.

Il TAR, nella sentenza qui impugnata, ha disposto come segue:

- ha dichiarato cessata la materia del contendere nella parte concernente la domanda di accertamento e di condanna al pagamento della somma di €. 5.160.000,00, quale finanziamento regionale, e conseguentemente condannato i Comuni di Massarosa e di Pietrasanta al pagamento delle somme conseguenti alla rivalutazione monetaria ed agli interessi di legge, a decorrere dal trentesimo giorno successivo all’attestazione dell’avvenuto collaudo fino al soddisfo;

- ha accolto il ricorso nella parte concernente la domanda di accertamento e di condanna al pagamento della somma di €. 3.327.561,100, quale contributo finanziario dei Comuni, e, per l’effetto, condannato i Comuni di Massarosa e Pietrasanta al pagamento della somma suddetta, gravata di rivalutazione monetaria ed interessi di legge decorrenti dal trentesimo giorno successivo all’attestazione dell’avvenuto collaudo fino al soddisfo;

- ha accolto il ricorso nella parte concernente la domanda di rideterminazione della tariffa di gestione nei termini richiesti dalle ricorrenti;

- ha dichiarato il difetto di giurisdizione per le parti residue.

Il TAR fondava la sua decisione rilevando, sinteticamente, sotto il profilo di fatto che le ricorrenti, a seguito della deliberazione del 25 ottobre 1988, n. 412 del Consiglio Regionale della Toscana, avevano preso atto dell’approvazione del Piano di Smaltimento Rifiuti della Provincia di Lucca, nel quale si prevedeva la realizzazione di un impianto di termoconversione con produzione di energia elettrica in loc. Falascaia, nel Comune di Pietrasanta, e un impianto di selezione e compostaggio rifiuti in località Pioppogatto, nel Comune di Massarosa: per la realizzazione di tali impianti, con decreti presidenziali nn. 394 e 395 del 21 luglio 1993, la Regione nominava un Commissario ad acta.

Il TAR rilevava, sempre in punto di fatto, che, con decreto 94 del 24 giugno 1997 del predetto Commissario, veniva aggiudicata in via definitiva all’ATI costituita da Termomeccanica S.p.a. e Consorzio Etruria S.c.a.r.l la concessione di costruzione e la gestione degli impianti sopra indicati;
in data 31 luglio 1997 veniva sottoscritta la Convenzione nel cui piano finanziario erano previsti un finanziamento pubblico pari a L.

6.434.209.914 ed un finanziamento regionale pari a L. 10.000.000.000 da erogare al collaudo finale delle opere;
inoltre si riconosceva in favore della ATI concessionaria una tariffa di gestione da rimodulare sulla base dei parametri dettati in convenzione.

Il TAR rilevava, sempre in punto di fatto, che, in data 1° agosto 1997, venivano consegnati i lavori di costruzione e, che con decreto presidenziale n. 289 in data 30 settembre 1997, la Regione Toscana pronunciava la cessazione dell’incarico commissariale, individuando quali enti subentranti (concedenti) i due Comuni di Pietrasanta e di Massarosa in tutti i rapporti attivi e passivi avviati dal Commissario;
intanto, il raggruppamento di imprese aggiudicatario dei lavori dava vita alla società T.E.V. –Termo Energia Versilia, cui si conferiva lo svolgimento di tutte le attività relative al rapporto in concessione.

Il TAR rilevava, sempre in punto di fatto, che quest’ultima, in data 22 dicembre 1997, stipulava un contratto di appalto con il Consorzio Etruria s.c.a.r.l. cui affidava la esecuzione delle opere civili dei due impianti nonché un ulteriore contratto, in data 25 febbraio 1998, con la Termomeccanica S.p.a. cui affidava la esecuzione delle opere elettromeccaniche degli impianti medesimi;
in data 29 ottobre 1999, la Termomeccanica S.p.a. conferiva alla TM.E S.p.a. –Termomeccanica Ecologia, il proprio ramo di azienda, concernente le attività di Ecologia ed impiantistica: quest’ultima subentrava in tutti i diritti e le obbligazioni in essere tra Termomeccanica S.p.a. e concedente.

Il TAR rilevava, sempre in punto di fatto, che, con atto di sottomissione in data 30 maggio 2000, debitamente approvato dai Comuni resistenti, veniva rimodulata la tariffa di smaltimento dei rifiuti solidi urbani da corrispondere alla concessionaria e, in data 6 febbraio 2001 veniva redatto il verbale di ultimazione dei lavori dell’impianto di Pioppogatto;
i lavori dell’impianto di Falascaia sono stati dichiarati ultimati con verbale del 2 maggio 2001.

Il TAR rilevava, sempre in punto di fatto, che, in data 29 ottobre 2001, la Commissione di Collaudo ha emesso il certificato di avvenuto collaudo dell’impianto localizzato nel Comune di Massarosa mentre in data 16 gennaio 2002 si è concluso con esito positivo il collaudo statico dell’impianto di termoconversione: gli impianti venivano attivati;
tuttavia, nell’ambito delle varie fasi relative allo svolgimento dei rapporti in convenzione, tra le società concessionarie e i Comuni resistenti sorgevano contrasti con ricorso alla procedura di arbitrato, previsto in convenzione, ai sensi dell’art. 32 della legge 109-94 ed il ricorso giurisdizionale degli stessi Comuni proposto in data 28 settembre 2002 davanti al TAR Liguria nei confronti delle Società T.ME e TEV., della Regione Toscana e della Provincia di Lucca.

Il TAR, sotto il profilo della giurisdizione rileva che esso difetta di giurisdizione in ordine alle domande proposte dalle imprese ricorrenti per l’accertamento delle somme dovute per le riserve esplicitate negli atti di contabilità, conto finale e nell’atto di collaudo ed è competente, viceversa, trattandosi di prestazioni rientranti nelle pattuizioni originarie ed attinenti al contenuto della concessione, ovverosia ai diritti ed agli obblighi delle parti discendenti dal rapporto, per le questioni che concernono l’applicazione delle clausole convenzionali, tra cui quelle relative alla tempestiva erogazione del finanziamento pubblico, nella parte ancora non erogata, ed al pagamento delle somme corrispondenti, ivi compresi rivalutazione ed interessi, nonché relative al tempestivo adeguamento delle tariffe di gestione (rispetto al secondo schema di atto di sottomissione sottoscritto dagli organi tecnici comunali in data 23 luglio 2002), calcolate secondo i parametri previsti in convenzione e indicate nell’epigrafe del ricorso.

Il TAR, superate le ulteriori eccezioni preliminari ha, quindi, affermato che, fatta eccezione per la domanda concernente il pagamento di somme aventi titolo nelle riserve, le altre due domande attengono a posizioni creditorie che trovano legittimazione nella convenzione stipulata tra il commissario straordinario nominato dalla Regione, a cui sono legittimamente subentrati i Comuni di Pietrasanta e Massarosa, e le società concessionarie e negli atti di sottomissione concordati tra le parti in costanza di rapporto.

Pertanto, per il TAR, alle ricorrenti devono essere liquidate le ulteriori somme dovute sia a titolo di contributo finanziario a carico dei Comuni sia a titolo di rivalutazione ed interessi, a decorrere dal trentesimo giorno successivo alla approvazione del collaudo dei lavori, relativi ad ambedue i contributi pubblici previsti in convenzione.

Inoltre, per il TAR, dovrà essere rideterminata la tariffa di gestione con le modalità ed i termini previsti in convenzione, secondo le richieste delle ricorrenti, sulla base del secondo atto di sottomissione già sottoscritto dai direttori dei lavori e dal responsabile del procedimento nonché dalle società ricorrenti un data 23 luglio 2002, non parendo condivisibile l’assunto dei Comuni secondo cui nella fattispecie non è previsto che il concedente corrisponda al concessionario somme di danaro diverse dal prezzo predeterminato in sede di gara “a qualunque titolo richieste”, in quanto ciò è vero fintanto che il rapporto di concessione di costruzione e gestione rimanga inalterato;
ma nella specie le pretese azionate dalle società concessionarie sono state avanzate per il disequilibrio economico-finanziario che si è venuto a creare nell’ambito del rapporto in convenzione a causa del mancato versamento dei contributi pubblici previsti, della mancata rideterminazione della tariffa di gestione nonché delle maggiori opere pretese dai Comuni in fase di costruzione degli impianti, le quali hanno determinato una maggiorazione dei costi riconosciuti dagli stessi organi comunali negli atti di sottomissione sopraccitati.

Infondata, per il TAR, si rivela anche l’obiezione dei Comuni secondo cui è impossibile qualsiasi loro condanna all’adeguamento delle tariffe, in ragione del fatto che la norma ex art. 19, comma 2-bis, della legge 109-94 non prevedrebbe un obbligo dell’amministrazione, bensì una mera facoltà alla rideterminazione della tariffa qualora si profilasse una alterazione tra le prestazioni che fanno capo ai due contraenti, in realtà, il riequilibrio è obbligatorio, come si evince nell’art. 6 della convenzione, tanto che la tariffa dovrà essere aggiornata entro il mese di gennaio di ciascun anno di durata della gestione sulla base dei parametri dettati nella stessa convenzione, adeguandola ai maggiori costi accertati.

L’appellante contestava la sentenza del TAR con particolare riferimento al capo D della pronuncia appellata, in cui il TAR ha dichiarato il difetto di giurisdizione per le parti residue delle domande azionate dalle ricorrenti e, con l’appello in esame, chiedeva l’accoglimento integrale del ricorso di primo grado.

Si costituivano le Amministrazione comunale intimate proponendo appello incidentale avverso tutti i capi della sentenza non oggetto dell’appello principale, riproponendo nella sostanza tutte le censure ed eccezioni già fatte valere in primo grado e contestando la mancanza di legittimazione passiva della Regione Toscana così come deciso dal TAR, chiedendo infine il rigetto dell’appello principale.

Si costituiva in appello anche la Regione Toscana continuando ad eccepire il suo difetto di legittimazione passiva.

All’udienza pubblica del 20 novembre 2012 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

Ritiene il Collegio che l’appello principale sia infondato e gli appello incidentali fondati in relazione al dedotto motivo attinente, riassuntivamente, al difetto di giurisdizione.

In ordine al difetto di giurisdizione già riscontrato dal TAR, è sufficiente ribadire la nota e univoca giurisprudenza della Corte di Cassazione in tema di riserve, le cui controversie devono essere devolute alla cognizione del giudice ordinario trattandosi di contestazioni insorte nella fase di esecuzione del contratto ( ex multis , Cass., Sez. Un., 6 maggio 2005, n. 9391;
cfr. anche Consiglio di Stato, sez. V, 21 giugno 2007, n. 3318;
TAR Venezia, I, 3 giugno 2003, n. 3130 e TAR Abruzzo, L'Aquila, 2 ottobre 2001, n. 583).

Né può ritenersi, come argomenta in maniera del tutto infondata l’appellante principale, che questo Consiglio, con ordinanza cautelare avrebbe in sostanza riconosciuto la debenza delle somme in contestazione, poiché, come è noto, l’azione cautelare è un’azione del tutto complementare e strumentale all’azione di merito, volta ad anticiparne gli effetti interinalmente per ragioni d’urgenza, ma destinata ad essere completamente superata dalla pronuncia di merito, idonea a travolgere, del tutto legittimamente, qualsivoglia decisum cautelare.

In ordine al difetto di giurisdizione eccepito in primo grado e riproposto dagli appellanti incidentali e che, invece, il TAR ha disatteso, il Collegio deve dissentire in toto da quanto stabilito nella sentenza di primo grado.

Infatti, come ha di recente precisato in modo del tutto inequivoco il Giudice della giurisdizione (Cassazione civile, Sez. Un., 27 dicembre 2011, n. 28804), nel quadro normativo derivante dal d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, sussiste l'unica categoria della concessione di lavori pubblici, onde non è più consentita la precedente distinzione tra concessione di sola costruzione e concessione di gestione dell'opera (o di costruzione e gestione congiunte), ove prevale il profilo autoritativo della traslazione delle pubbliche funzioni inerenti l'attività organizzativa e direttiva dell'opera pubblica, con le conseguenti implicazioni in tema di riparto di giurisdizione;
ciò in quanto, ormai, la gestione funzionale ed economica dell'opera non costituisce più un accessorio eventuale della concessione di costruzione, ma la controprestazione principale e tipica a favore del concessionario, come risulta dall'art. 143 del codice, con la conseguenza che le controversie relative alla fase di esecuzione appartengono alla giurisdizione ordinaria.

In sostanza, il Giudice della giurisdizione in questa sentenza chiarisce, dopo oscillazioni e contestazioni dottrinali di grande rilievo su tale crinale dell’ambito cognitivo delle rispettive giurisdizioni, che l’applicazione del precedente criterio di ripartizione delle giurisdizioni con riferimento alla natura concessoria del rapporto con il Comune, - che aveva indotto la giurisprudenza di legittimità, nella vigenza della L. n. 109 del 1994, a distinguere le concessioni di soli lavori equiparate agli appalti da quelle di costruzione e di gestione riservate dalla L. n. 1034 del 1971, art. 5 alla giurisdizione esclusiva-, non è più attuale. E tale conclusione è ritratta non solo alla luce dell’attuale disciplina del Codice appalti, ma anche alla luce delle Direttive Europee nn. 17 e 18 del 2004, “cd. Direttive di codificazione”.

E queste ultime, va evidenziato, in quanto tali, e proprio nel loro impianto complessivo di principi vigenti nella materia, non hanno introdotto nessun rilevante concetto innovativo rispetto alle Direttive che hanno sostituito e omogeneizzato in funzione di chiarificazione della disciplina in materia di appalti pubblici, Direttive risalenti, per quanto riguarda i lavori, alla Direttiva n. 93/37, oggetto di trasposizione ad opera della cd. Legge Merloni quivi applicata.

Infatti, lo stesso giudice di legittimità ammette che l’orientamento giurisprudenziale precedente ha recepito principi ricavati dalla normativa nazionale piuttosto risalente e antecedenti al D. Lgs. n. 163 del 2006, suddividendo i sistemi di esecuzione delle opere pubbliche in due categorie a seconda che venissero compiute direttamente dalla P.A. o indirettamente con il ricorso al sistema della concessione;
e nell'ambito di quest'ultima, a seguito del D.L.L. n. 107 del 1919 (art. 16), poi ripristinato dal R.D.L. 1657 del 1926 e dal R.D.L. n. 1137 del 1929 (quest'ultimo modificato ed integrato dalla L. n. 34 del 1951) aveva distinto le concessioni di sola costruzione da quelle di costruzione e di gestione dell'opera.

Pertanto, è stata la ricezione acritica e tralaticia di tali norme e delle relative interpretazioni che aveva indotto le Sezioni Unite a mantenere ferma la suddetta distinzione anche ai fini del riparto delle giurisdizioni, pur dopo che le concessioni dei lavori sono stati equiparate agli appalti di opera pubblica, facendo ancora ritenere le concessioni di costruzione e di gestione dell'opera attratte al plesso della generale categoria dei provvedimenti concessori, come tali devoluti, mediante una interpretazione estensiva della formula della L. n. 1034 del 1971, art. 5, comma 1, alla giurisdizione del giudice amministrativo.

Sennonché, come osservano anche le Sezioni Unite nella sentenza del 2011 sopraccitata, tale quadro normativo è stato modificato dalla legislazione europea, la quale da ultimo con la Direttiva 18 del 2004, nell'ambito della categoria degli appalti pubblici ha mantenuto ferma la tradizionale tripartizione tra appalti di lavori, servizi e forniture;
ma ha suddiviso le concessioni in due tipologie, la prima delle quali, denominata "concessione di lavori pubblici", è definita "un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di lavori, ad eccezione del fatto che il corrispettivo dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l'opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo" (art. 1, sub 3);
mentre la seconda denominata "concessione di servizi" comprendente i contratti che "presentano le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo" (art. 1, sub 4).

Pertanto, è stata recepita la concezione comunitaria di "concessione dei lavori", includendo nella relativa categoria ormai unitaria tutti i "contratti a titolo oneroso, conclusi in forma scritta, aventi ad oggetto, in conformità al presente codice, l'esecuzione, ovvero la progettazione esecutiva e l'esecuzione, ovvero la progettazione definitiva, la progettazione esecutiva e l'esecuzione di lavori pubblici o di pubblica utilità, e di lavori ad essi strutturalmente e direttamente collegati, nonchè "la loro gestione funzionale ed economica" , che presentano le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di lavori, ad eccezione del fatto che il corrispettivo dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l'opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo, in conformità al presente codice".

In base a tale costruzione comunitaria dell’istituto giuridico unitario della concessione di lavori, non è più consentita la precedente distinzione tra concessione di sola costruzione e concessione di gestione dell'opera (ovvero di costruzione e di gestione congiunte) nella quale prevaleva il profilo concessorio ed autoritativo, riguardante, in particolare, la vicenda traslativa delle pubbliche funzioni inerenti all'attività organizzativa e direttiva dell'opera pubblica, con le conseguenti implicazioni in tema di riparto di giurisdizioni.

Si deve al riguardo precisare, come già dianzi anticipato, che tale concetto comunitario dell’istituto giuridico unitario “concessione di lavori”, non nasce ex novo come si è già accennato, con le Direttive di codificazione citate del 2004, ma era già immanente nel sistema comunitario e, di conseguenza, per il principio di prevalenza o preferenza di quest’ultimo ordinamento rispetto all’ordinamento nazionale nelle materie, come quella in oggetto, (soggette appunto al diritto comunitario), è solo a tale impianto di principi e soluzioni che può farsi riferimento, con disapplicazione di qualsiasi norma di rango nazionale che detti una disciplina di tipo diverso e, segnatamente, individui profili di autoritarietà, laddove il diritto comunitario, invece, li esclude radicalmente.

In particolare, si deve ricordare che già la Comunicazione interpretativa della Commissione sulle concessioni nel diritto comunitario (in Gazzetta ufficiale CE n. 121 del 29 aprile 2000) citava il fatto inequivocabile che la Direttiva 93/37/CEE sugli appalti pubblici di lavori prevede un regime specifico riguardante le concessioni di lavori, regime ove, come detto, sono assenti profili di autoritarietà del potere pubblico nella fase di gestione ed esecuzione del rapporto.

In specifico, la suddetta Comunicazione interpretativa asseriva che già la direttiva 93/37/CEE distingue la concessione di lavori da un appalto pubblico tramite la concessione al concessionario del diritto di gestire l'opera, realizzata come contropartita della costruzione effettuata: negli stessi termini, dunque, con la quale la concessione di lavori è descritta oggi dalla citate Direttive di codificazione in materia di appalti e dal Codice degli appalti nazionale e che ha indotto, come si è visto, la Corte di Cassazione civile, Sez. Un., 27 dicembre 2011, n. 28804, ha mutare il suo tradizionale orientamento, recependo, alfine, tale novità a lungo esistente nel sistema comunitario e, quindi, nazionale degli appalti.

Con la conseguenza, per il nostro diritto nazionale e per le questioni di giurisdizione che sono rilevanti in questo processo, che si deve mantenere alla giurisdizione ordinaria la successiva fase relativa alla esecuzione del rapporto in cui devono, peraltro, trovare applicazione regole positive attraverso cui i contraenti hanno disciplinato i loro contrapposti interessi e le relative condotte attuative (cfr: Cass., Sez. Un., nn. 14958-2011;
19049-2010;
6068-2009;
29425-2008).

Nel caso specifico, l’erogazione del finanziamento pubblico indicato in convenzione e il tempestivo adeguamento della tariffa di gestione, di cui alla convenzione e al successivo atto di sottomissione, sono stati, appunto, previsti negli atti convenzionali negoziali inter partes : tali atti non possono dunque più ritenersi, alla luce di quanto sopra detto, accessivi ad un rapporto pubblicistico ed autoritativo di concessine, bensì costitutivi di un mero contratto civilistico, equivalente ad un contratto d’appalto, con la sola differenza in ordine alla struttura della controprestazione.

Ne discende ulteriormente che anche tali due aspetti sono da ritenersi afferenti all’esecuzione del rapporto e, dunque, di competenza del giudice ordinario, così come eccepito legittimamente dagli appellanti incidentali.

La rinuncia a tali motivi di appello incidentale, illustrata nella memoria difensiva dei Comuni convenuti per l’udienza del 20 novembre 2011 (in particolare, pag. 18) si deve ritenere inefficace, in quanto:

- essa si basa, ed è perciò implicitamente ma necessariamente condizionata, su una pronuncia (Cassazione civile, Sez. Un., 14 febbraio 2008, n. 3518) che ne costiuisce il presupposto rebus sic stantibus ed enuncia, in generale, un principio che riguarda, tuttavia, il caso specifico della compromettibilità ad arbitri delle questioni identicamente oggetto di questo giudizio;
pertanto, una rinuncia così congegnata non può che ritenersi,parziale, in assenza di un esplicita ed inequivoca volontà differente, poiché riguarda solo la questione, pure presente nell’appello in oggetto, del giudizio arbitrale nel frattempo avviato: tale rinuncia, in altre parole, risulta al Collegio circoscritta alla sola argomentazione relativa alla compromettibilità ad arbitri della questione e non riguarda più in generale il difetto di giurisdizione sulla controversia, a prescindere dall’esistenza o meno di un arbitrato;

- se si volesse dedurre dall’interpretazione degli atti di parte che la rinuncia riguardi più in generale il difetto di giurisdizione sulla controversia, a prescindere dall’esistenza o meno di un arbitrato, essa è comunque inefficace perché basata su di una presupposizione erronea, ovvero che la regola giurisprudenziale sia quella citata (e, quindi, la rinuncia sia ad essa condizionata;
in base, cioè, al dictum di Cassazione civile, Sez. Un., 14 febbraio 2008, n. 3518);
al contrario il referente corretto avrebbe dovuto essere, come già evidenziato, Cassazione civile, Sez. Un., 27 dicembre 2011, n. 28804.

In ogni caso, una volta riemersa in forza dell'effetto devolutivo dell’appello, una rinuncia “condizionata”, come s’è visto, a una certa decisione delle SS.UU, ciò non vale a condizionare anche il decidente nel ricercare e qualificare la attualità e la effettiva portata di quel precedente, sicché tale rinunzia va intesa, appunto, rebus sic stantibus e priva di effetto processuale con riguardo alle indagini che il giudice di appello ha il potere di effettuare circa una questione rilevabile d'ufficio ove non coperta da giudicato (evitato dalla specifica impugnazione: infatti, il giudicato interno non può derivare da una semplice dichiarazione di parte per di più condizionata).

Pertanto, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello principale deve essere respinto, in quanto infondato e gli appelli incidentali, previo rilievo di inefficacia quantomeno parziale o condizionata della rinuncia al dedotto difetto di giurisdizione, vanno accolti proprio in relazione a tale difetto di giurisdizione, con conseguente annullamento della sentenza senza rinvio e dichiarazione di inammissibilità del ricorso di primo grado, restando ovviamente salva l’applicazione del noto istituto della translatio iudicii .

La questione della legittimazione passiva della Regione diventa, a questo punto, priva di rilievo, assorbita dal dedotto rilievo dell’assenza di un presupposto processuale, così come tutte le ulteriori eccezioni e deduzioni, da ritenersi assorbite.

Le spese di lite del presene grado di giudizio possono essere compensate sussistendo evidentemente giusti motivi.

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