Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-08-28, n. 202005273
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Pubblicato il 28/08/2020
N. 05273/2020REG.PROV.COLL.
N. 07126/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7126 del 2011, proposto dalla società Abbigliamento Marcantuono di Marcantuono Giuliana &C S, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati E M e M T, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato B B in Roma, via Civitella D'Agliano n. 22;
contro
i signori A C e G C, rappresentati e difesi dagli avvocati G S e A F, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato F A in Roma, via Cicerone n. 60;
nei confronti
del Comune di Campagna, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato Luigi Vuolo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Antonio Brancaccio in Roma, via Taranto, 18;
la Comunità Montana Tanagro-Alto e Medio Sele, Asl Salerno, Autorità di Bacino Interregionale Fiume Sele, Regione Campania, Provincia di Salerno, Settore Provinciale Genio Civile di Salerno, Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) – Campania, in persona dei rispettivi legali rappresentati p.t., non costituitisi in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione staccata di Salerno n.491 del 2011, resa tra le parti;
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dei signori A C e G C nonché del Comune di Campagna;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 luglio 2020 – tenutasi in videoconferenza da remoto - il consigliere S M;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso proposto innanzi al TAR per la Campania, sezione staccata di Salerno, i signori Caponigro A e Caponigro Giuseppe, nella qualità di proprietari di un edificio sito in Campagna, località Quadrivio, impugnavano gli atti del procedimento ex art. 5 del d.P.R. n. 447 del 1998, per la realizzazione, su di un area a confine con il loro immobile, di un insediamento produttivo proposto dalla società odierna appellante, in variante allo strumento urbanistico generale.
Deducevano dieci articolati motivi relativi alla violazione di plurime disposizioni normative nonché alla sussistenza di diversi profili di eccesso di potere.
2. Con successivo ricorso per motivi aggiunti, impugnavano altresì le deliberazioni del Consiglio Comunale di Campagna n. 59/2008 e n. 60/2008, con le quali, in relazione agli esiti della Conferenza dei Servizi, era stato approvato il progetto di insediamento produttivo proposto dalla società controinteressata, costituente adozione di variante al PRG, nonché disposta la monetizzazione delle aree da urbanizzare.
2.1. Con un secondo atto di motivi aggiunti, essi impugnavano anche il permesso di costruire n. 67/2009 del 25 giugno 2009 e gli atti presupposti, emanati dal Comune di Campagna a seguito dell’ordinanza cautelare del TAR n. 156/2009.
2.2. Con un terzo atto di motivi aggiunti, impugnavano la deliberazione del Consiglio comunale di Campagna n. 49 del 28 luglio 2009, avente ad oggetto “ Art. 5 dpr 447/98 e DPR 440/00. Presa d’atto del procedimento di integrazione dell’istruttoria conseguente all’ordinanza del TAR Campania Salerno n. 1644/2008 ”.
Con tale atto deducevano molteplici vizi di violazione di legge ed eccesso di potere, nonché illegittimità derivata.
3. Nella resistenza del Comune di Campagna e della società controinteressata, il TAR accoglieva il ricorso e i motivi aggiunti nella parte impugnatoria, mentre respingeva la domanda di risarcimento del danno proposta dai controinteressati.
4. La sentenza è stata impugnata dalla società “Abbigliamento Marcantuono”, nella parte in cui ha accolto le domande impugnatorie articolate dagli odierni controinteressati.
Essa ha dedotto:
I. Error in iudicando et in procedendo. Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del d.P.R. 20.10.1998 n. 447. Obliterazione del potere discrezionale della p.a. Motivazione inesistente su punto essenziale della lite .
Il TAR non avrebbe tenuto conto del fatto che, secondo la relazione depositata in giudizio dal Comune, non vi sono aree disponibili in zona D (essendo il PIP saturo) mentre le zone B e C non sarebbero state idonee, o sufficienti, all’allocazione del progetto assentito.
Al riguardo, il primo giudice, nel conferire ad un tecnico esterno l’incarico di valutare la sussistenza dei presupposti ex art. 5, cit., avrebbe fatto proprie in maniera acritica le conclusioni del perito d’ufficio, sostituendo la propria valutazione di merito a quella dell’amministrazione.
Inoltre nella propria relazione prot. n. 8489 del 2009, come pure nella relazione prot. 9495 del 2009, il Comune non si era limitato ad elencare le aree astrattamente idonee ad allocare il progetto per cui è causa, ma ne aveva effettuato una valutazione discrezionale, escludendole motivatamente una ad una:
II. Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 5 del d.P.R. n. 447 del 1009 in relazione al D.M. 2.4.1968, n. 1444. Motivazione erronea, contraddittoria ed insufficiente su punto essenziale della lite .
Secondo l’appellante la valutazione “comparativa” richiesta dalle disposizioni in rubrica sarebbe limitata alle sole aree PIP. Inoltre, in base all’art. 2, lett. d) del d.m. n. 1444 del 1968 i nuovi impianti produttivi potrebbero essere allocati solo in zona D, con esclusione dunque delle zone B e C.
L’appellante ha poi riproposto la tesi, già respinta dal TAR, secondo cui l’espressione “aree destinate ad impianti produttivi” andrebbe rapportata alle sole aree PIP nelle quali il privato può avvalersi di strumenti sollecitatori e propulsivi, anche sostituendosi all’eventuale inattività dell’amministrazione.
Non sarebbe poi vero che l’impianto della ricorrente sarebbe destinato ad attività artigianale e commerciale, ovvero “ prevalentemente commerciale come da istanza depositata il 14.1.2008 ” poiché quello in esame sarebbe comunque da qualificare come un “nuovo impianto industriale”.
Né sarebbe rilevante l’ampiezza e la distribuzione delle superficie delle diverse attività proposte, così come ritenuto dal TAR.
Se è vero che l’attività artigianale è consentita anche in zona C3 e C4, l’attività commerciale, sussidiaria a quella produttiva, sarebbe ammessa solo in zona D.
Il Comune aveva comunque accertato che non vi erano aree libere con destinazioni C3 e C4;
III. Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del d.P.R. n. 447 del 1998. Motivazione insufficiente su punto essenziale della lite .
Il TAR ha ritenuto sette lotti idonei all’allocazione del progetto in questione: sei in zona C e uno in zona D2. Tuttavia nessun lotto è inserito in un piano esecutivo che ne consenta l’espropriazione oltre al fatto che quello in zona D2 è già occupato dalla produzione di una particolare e pregiata qualità di olio di oliva.
In sostanza, secondo l’appellante, l’art. 5 andrebbe applicato anche considerando l’acquisibilità delle aree destinate ad insediamenti produttivi. Non sarebbe cioè sufficiente l’astratta idoneità dal punto di vista urbanistico dell’intervento;
IV. Error in iudicando et in procedendo. Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del d.P.R. 20.101998, n. 447. Obliterazione del potere discrezionale della p.a. Motivazione inesistente su punto essenziale della lite .
I lotti individuati in località Pezza Rotonda sarebbero inidonei in quanto già occupati da altre attività produttive di natura agricola (aree contrassegnate con le lettere c) e d) ovvero situati in area non urbanizzata (lett. e). L’area contrassegnata con la lettera g) è completamente utilizzata per l’agricoltura.
Le aree in località Galdo sono in parte già destinate alla realizzazione di un centro benessere, circostanza che il CTU non avrebbe adeguatamente considerato.
Quanto al lotto contraddistinto con la lett. b) in località Ponte Barbieri esso è attualmente utilizzato dai proprietari a fondo agricolo. La valutazione del CTU in ordine alla vocazione commerciale dell’area sarebbe peraltro immotivata poiché le attività considerate sono costituite da piccoli esercizi ubicati in zona agricola che non rappresentano un organico tessuto produttivo.
Quanto al lotto D2 in località Rofigliano esso è attualmente destinato alla produzione di uno speciale olio da tavola, analogamente a quello ubicato in località Galdo, sub lett. c), scartato dal CTU
L’appellante ha ribadito, al riguardo, che il primo giudice si sarebbe sostituito, sulla scorta delle valutazioni del perito, ad una valutazione di merito dell’amministrazione, e senza comunque considerare la “realtà fattuale”.
L’espressione aree “insufficienti” rispetto al progetto presentato andrebbe riferita anche alle aree che non consentono quel determinato tipo di insediamento dal punto di vista qualitativo;
V. Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. Inammissibilità del ricorso di primo grado .
Il ricorso di primo grado era inammissibile. Al riguardo, l’appellante richiama il contenuto di una scrittura privata con la quale nel 1986, le attuali parti in giudizio (ovvero i loro danti causa), si concessero reciprocamente il diritto di costruire in aderenza.
5. Si sono costituiti, per resistere, i signori Caponigro, riproponendo anche i motivi di gravame assorbiti in primo grado.
6. Il Comune di Campagna si è costituito in adesione alle tesi dell’appellante.
7. Con sentenza n. 6481 del 27 settembre 2019 è stato accolto il ricorso in opposizione avverso il decreto di perenzione n. 381 del 3 aprile 2017 e la causa è stata rimessa sul ruolo ordinario.
8. Le parti hanno depositato memorie conclusionali e di replica in vista dell’udienza di discussione.
8.1. I signori Caponigro, con memoria del 15 giugno 2020 hanno sviluppato le proprie difese con dovizia di argomentazioni.
In particolare hanno eccepito l’inammissibilità e/o improcedibilità dell’appello, in ragione del PUC successivamente approvato (vicenda peraltro anch’essa sub iudice per effetto dell’appello proposto dai signori Caponigro avverso la sentenza del TAR di Salerno 1677 del 2019 – RG. 3720/2020).
Sempre sotto il profilo dell’interesse hanno sostenuto che la società appellante è inattiva dal 2011.
In relazione all’ultimo motivo dell’appello, hanno altresì evidenziato che, se anche si volesse ipotizzare che il signor Luigi Marcantuono abbia acquisito a suo tempo il diritto a costruire in aderenza con la proprietà Caponigro (peraltro solo per una parte del manufatto), non vi sarebbe prova del fatto che tale diritto sia stato trasmesso alla società appellante.
Ad ogni buon conto, si tratta soltanto di una scrittura privata relativa alla regolamentazione puramente obbligatoria dei rapporti privatistici tra le rispettive proprietà confinanti, che non è in grado di incidere sull’interesse fatto valere in giudizio (con il ricorso di primo grado).
8.2. Il Comune dal canto suo ha sottolineato l’irrilevanza delle vicende penali riguardanti il tecnico redattore della pratica edilizia, richiamate dai signori Caponigro.
Il relativo giudizio, peraltro, si è risolto con una sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione.
8.3. In replica l’appellante ha eccepito l’inammissibilità del deposito documentale dei controinteressati del 5 giugno 2020 poiché esso avrebbe contenuto “imperscrutabile” mentre solo con la memoria ex art. 73 c.p.a., essi hanno sollevato eccezioni processuali e di merito (a dire dell’appellante, non rilevabili d’ufficio), le quali non potevano essere desunte direttamente dalla semplice lettura dei documenti medesimi.
Esse avrebbe invece dovuto essere sollevate, a pena di decadenza, nei termini previsti dall’art. 54 del c.p.a., consentendosi, diversamente, una palese violazione del contraddittorio processuale
Ad ogni buon conto, quanto all’eccezione di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse, l’appellante ha sottolineato che l’accoglimento del presente gravame comporterebbe la reviviscenza del permesso di costruire impugnato con il ricorso di primo grado, ed annullato dalla sentenza gravata, sul quale la modifica del PUC non avrebbe quindi alcuna incidenza.
Quanto all’eccepita carenza di interesse connessa all’asserita inattività, la società ha documentato di avere locato a terzi il negozio di abbigliamento e, comunque di avere regolarmente depositato negli anni la dichiarazione dei redditi.
8.4. Con le memorie di replica i signori Caponigro e il Comune hanno ribadito le rispettive argomentazioni.
8.5. I signori Caponigro hanno anche depositato “brevi note” ai sensi dell’art. 84, comma 5, del d.l. n. 18 del 2020.
9. L’appello, infine, è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 16 luglio 2020 ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6, del d.l. n. 18 del 2020.
10. In via preliminare, il Collegio sottolinea che non vi è stata, da parte dei controinteressati, nessuna violazione delle regole che governano il processo amministrativo.
Il deposito documentale del 5 giugno 2020 è infatti avvenuto nel rispetto del termine di 40 giorni liberi previsti dall’art. 73, comma 1, c.p.a..
Per quanto invece concerne le eccezioni sollevate nella memoria conclusionale, esse sono connesse a fatti sopravvenuti oltre a riguardare un presupposto processuale (interesse ad agire) la cui insussistenza potrebbe essere, in astratto, rilevata d’ufficio, con conseguente deducibilità in appello ( ex art 104, comma 1, c.p.a.).
10.1. E’ peraltro possibile prescindere dalle eccezioni di inammissibilità e/o improcedibilità interposte dai signori Caponigro, in quanto l’appello è infondato nel merito e deve essere respinto.
Al riguardo, si osserva quanto segue.
11. Come noto, l’art. 5 del d.P.R. 20 ottobre 1998, n. 447 prevede una procedura semplificata per la variazione degli strumenti urbanistici preordinata all’autorizzazione di insediamenti produttivi allorché il progetto sia conforme alle norme in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza sul lavoro e lo strumento urbanistico non individui aree destinate all’insediamento di impianti produttivi ovvero queste siano insufficienti rispetto al progetto presentato;il procedimento si conclude con una conferenza di servizi la cui determinazione costituisce proposta di variante urbanistica sulla quale, tenuto conto delle osservazioni, proposte ed opposizioni formulate, il Consiglio comunale si pronuncia entro sessanta giorni;peraltro la proposta di variazione dello strumento urbanistico assunta dalla conferenza di servizi, da considerare alla stregua di un atto di impulso del procedimento volto alla variazione urbanistica, non è vincolante per il Consiglio comunale, che conserva le proprie attribuzioni e valuta autonomamente se aderirvi (Cons. Stato, sez. IV, 1° marzo 2017, n. 940).
11.1. La Sezione ha più volte sottolineato il carattere eccezionale e derogatorio della procedura disciplinata dal ricordato art. 5 (oggi trasposta nell’art. 8 del d.P.R. n.160 del 2010), la quale non può essere surrettiziamente trasformata in una modalità “ordinaria” di variazione dello strumento urbanistico generale: pertanto, perché a tale procedura possa legittimamente farsi luogo, occorre che siano preventivamente accertati in modo oggettivo e rigoroso i presupposti di fatto richiesti dalla norma, e quindi anche l’assenza nello strumento urbanistico di aree destinate ad insediamenti produttivi ovvero l’insufficienza di queste, laddove per “insufficienza” deve intendersi, in costanza degli standard previsti, una superficie non congrua in ordine all'insediamento da realizzare (Cons. Stato, sez. IV, sentenza n.27 dell’8 gennaio 2016;cfr. anche le ivi richiamate Cons. Stato, sez. IV, 15 luglio 2011, nr. 4308;id., 25 giugno 2007, nr. 3593;id., 3 marzo 2006, nr. 1038).
11.2 Più specificamente, si è affermato che, se è vero che il concetto di sufficienza o insufficienza delle aree esistenti va verificato “ in relazione al progetto presentato, il che certamente significa che esiste un margine di flessibilità e adattabilità di quest'ultimo, per inserirlo nel contesto risultante dallo strumento urbanistico ”, tuttavia resta fermo “ che il parametro di riferimento è costituito dallo strumento vigente, il quale non può essere esso oggetto di modifiche per adeguarlo alle esigenze del proponente (cfr. Cons. Stato, sez. IV, nr. 3593/2007, cit.) ” (sentenza n. 27 del 2016, cit).
11.3. La Sezione ha poi soggiunto, in relazione all’ipotesi in cui il progetto abbia ad oggetto un insediamento commerciale (ipotesi rientrante nel d.P.R. n. 447/1998 per effetto dell'art. 1- bis ivi inserito dal d.P.R. 7 dicembre 2000, nr. 440,) che “ il presupposto fattuale costituito dalla assenza o insufficienza nello strumento urbanistico di aree a destinazione specifica e coerente con il progetto va inteso nel senso della necessità di verificare preventivamente la disponibilità non soltanto di aree stricto sensu destinate a insediamenti produttivi (zone D), ma anche di aree con destinazione commerciale, anche se non in via esclusiva, quali certamente sono le aree con destinazione a zona C di espansione ”.
12. Ciò posto, nel caso di specie, l’appello si fonda, in gran parte, su un’esegesi dell’art. 5 del d.P.R. n. 447 del 1998 contrastante con le coordinate ermeneutiche testé sintetizzate e comunque con l’interpretazione letterale, nonché logico – sistematica, del compendo normativo in esame.
12.1. In primo luogo, diversamente da quanto assume la società appellante, la verifica del presupposto necessario per la variazione dello strumento urbanistico non deve essere limitata alle sole aree PIP ma va estesa ad ogni altra area del territorio comunale che abbia una destinazione idonea al tipo di richiesta presentata dal privato.
Al riguardo, il TAR ha fatto correttamente rilevare che, ove si consideri che le previsioni dello strumento urbanistico generale “ costituiscono un delicato punto di equilibrio e sono espressione di una programmazione che ha ad oggetto una valutazione globale e complessiva del territorio comunale ”, ne consegue che, naturaliter , tali previsioni debbano “ essere osservate e non modificate ove comunque consentano la possibilità, per l’interesse del privato, di trovare realizzazione ”.
Al riguardo il primo giudice ha sottolineato che il contenuto e la collocazione dell’articolo 2 del d.P.R. n. 447/1998, consentono “ di configurare una regola “ordinaria” in materia, che è quella della individuazione in via generale delle aree del territorio comunale da destinare ad insediamenti produttivi, risultando così confermata, anche nell’ambito settoriale della zonizzazione “produttiva”, il canone della pianificazione organica e “generale”. [...] Rispetto a tale regola ordinaria di settore, dunque, la successiva previsione dell’articolo 5 (Progetto comportante la variazione di strumenti urbanistici) costituisce disposizione derogatoria ed eccezionale, da applicarsi in termini rigorosi e restrittivi .
Risulta, pertanto, confermata anche per tale via la lettura del presupposto di operatività dell’articolo 5, secondo la quale la verifica, nello strumento urbanistico, della insussistenza o della insufficienza di aree destinate all’insediamento di impianti produttivi non va limitata alle sole aree PIP ma estesa ad ogni altra area del territorio comunale che abbia una destinazione idonea al tipo di richiesta presentata dal privato ”.
12.2 Del pari condivisibile è poi l’affermazione del primo giudice secondo cui non è possibile rinvenire nel compendio normativo in esame “ un necessario ed indefettibile collegamento tra localizzazione e realizzazione dell’impianto produttivo ed acquisibilità coattiva della relativa area di insediamento. L’articolo 2, comma 2, del citato testo normativo, invero, configura il PIP (che comporta la possibilità di espropriazione ex art. 27 l. n. 865/1971) solo come uno degli strumenti (ma non l’unico) per la individuazione di aree in cui allocare gli insediamenti produttivi ”.
Pertanto, se la disponibilità dell’area costituisce necessario titolo di legittimazione per la realizzazione dell’insediamento, “ il favor legislativo accordato all’interesse del privato non giunge al punto da ritenere comunque assicurata, per via coattiva, la possibilità di acquisirne la proprietà ”.
Nel d.P.R. n. 447/1998 non esiste infatti nessuna disposizione idonea ad equiparare l’approvazione del progetto dell’insediamento produttivo a dichiarazione di pubblica utilità, o comunque non è in esso rinvenibile “ una regola generale di espropriabilità dell’area di allocazione ” proposta dal privato, salva appunto la facoltà attribuita al Comune, in sede di pianificazione generale, di “ subordinare l'effettuazione degli interventi alla redazione di un piano per gli insediamenti produttivi ai sensi dell'articolo 27 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 ” (art. 2, comma 2, del d.P.R. n. 447 del 1998).
12.3. Nel caso di specie, è poi rimasta priva di supporto probatorio l’argomentazione secondo cui quello proposto dalla società appellante sarebbe un impianto “industriale” e che l’attività commerciale avrebbe carattere meramente “sussidiario”.
E’ altresì rimasto incontestato che è la stessa istanza presentata dalla società il 14 gennaio 2008 ad avere qualificato l’insediamento progettato come “ prevalentemente commerciale ”;come pure è rimasta priva di idonea critica l’osservazione del TAR secondo cui il progetto “ in relazione alla sua tipologia ” risulta “ astrattamente realizzabile anche in zona B e C del PRG, con particolare riferimento alle destinazioni C, L ed O della tabella dei tipi edilizi ”.
A ciò si aggiunga che, nel corso del processo di primo grado, era stato lo stesso Comune di Campagna ad includere nella propria ricognizione dei siti astrattamente idonei ad ospitare l’insediamento proposto anche aree non ricadenti in zona D.
12.4. La qualificazione prettamente industriale o, al contrario “prevalentemente commerciale” dell’opificio in progetto non riveste peraltro rilievo decisivo poiché la verificazione svolta in primo grado ha comunque accertato l’esistenza di almeno un lotto libero sito in area D2 della località Rofigliano.
12.5 Il giudizio di “insufficienza” delle aree libere esistenti – individuate dallo stessa amministrazione nelle relazioni prot. 8489 del 7 maggio 2009 e prot. 9495 del 22 maggio 2009 – è poi scaturito da un apprezzamento tecnico-discrezionale dell’impatto che la realizzazione della nuova struttura avrebbe avuto sull’attuale utilizzo delle medesime aree, indipendentemente dalla loro destinazione urbanistica.
Si è già visto però che la corretta applicazione dell’art. 5 del d.P.R. n. 447 del 1998 richiede soltanto la verifica oggettiva della sufficienza delle superfici, sia pure “ in relazione al progetto presentato ”.
La verificazione fatta eseguire in primo grado – “ condotta alla luce di molteplici parametri di valutazione, individuati nella capienza urbanistica, urbanizzazioni primarie, congruenza ambientale, altimetria e vocazione commerciale ” – ha consentito di individuare “ sette lotti idonei (e, dunque, sufficienti) alla allocazione del progetto presentato dalla “Abbigliamenti Marcantuono “ s.a.s. In particolare, sono risultati idonei, alla luce dei predetti parametri di valutazione, i lotti c), d) , e) e g) localizzati nella frazione Pezza Rotonda ( aree C4), nonché il lotto a) sito nella frazione Galdo (area C4) , il lotto b) sito nella frazione Ponte Barbieri (area C3) , il lotto libero sito in area D2 della località Rofrigliano ”.
Al riguardo, in sede di appello, la società è limitata a richiamare circostanze - quali l’esistenza di coltivazioni agricole (in particolare di oliveti), ovvero l’insufficienza delle opere di urbanizzazione, ovvero ancora l’esistenza di un non meglio precisato procedimento “in corso di definizione” - le quali non rientrano tra gli elementi considerati dall’art. 5 del d.P.R. n. 447 del 1998;il presupposto normativo della variante in esame è infatti esclusivamente l’inesistenza di aree libere aventi una destinazione urbanistica compatibile con l’insediamento progettato.
12.6. Il TAR – in definitiva – non si è sostituito alle valutazioni “di merito” spettanti all’amministrazione ma ha semplicemente rilevato l’assenza delle condizioni oggettive richieste dall’art. 5 cit. per dare avvio al procedimento di variante semplificata.
13. E’ infine infondato anche l’ultimo motivo d’appello, con cui è stata articolata un’eccezione di inammissibilità dell’impugnativa di primo grado.
Al riguardo, è agevole rilevare che - quand’anche tra le odierne parti private ovvero i loro danti causa, sia effettivamente intercorsa una valida pattuizione intesa a regolare i rapporti tra le proprietà confinanti - la stessa non sarebbe comunque idonea a limitare e/o diversamente conformare il diritto dei vicini a contestare in sede giurisdizionale non già l’esercizio dello ius aedificandi bensì la destinazione dell’insediamento, così come illegittimamente assentito dal Comune.
14. In definitiva, per quanto testé argomentato, l’appello deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza nei rapporti tra l’appellante e i controinteressati, mentre possono essere compensate nei confronti del Comune.