Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-05-20, n. 202003196

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-05-20, n. 202003196
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202003196
Data del deposito : 20 maggio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/05/2020

N. 03196/2020REG.PROV.COLL.

N. 07920/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7920 del 2017, proposto dal Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

Banca Sistema s.p.a., rappresentata e difesa dall’avvocato C D T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Regina Margherita, n. 158;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, (Sezione Prima), n. 8925 del 2017, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Banca Sistema S.p.A.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 16 gennaio 2020 il consigliere M C e udito per l’appellante l’avvocato dello Stato Vittorio Cesaroni;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con appello ritualmente notificato, il Ministero della Difesa contesta la sentenza di ottemperanza resa dal T.A.R. indicato in epigrafe, per l’omesso esame dell’eccezione di inesatta quantificazione degli interessi moratori dovuti dall’amministrazione, contestati nel loro ammontare, rispetto a quello preteso dalla ricorrente in ottemperanza.

1.1 Per scrutinare l’odierna controversia, va premesso che nel ricorso per l’emanazione del decreto ingiuntivo, l’odierna appellata ha illustrato nella narrativa del suddetto ricorso, di essere creditrice della somma di euro 145.627,81 oltre interessi moratori ex D.Lgs. n. 231 del 9 ottobre 2002 “ dalle singole scadenze al saldo effettivo ed alle spese ”.

Nelle sue conclusioni, l’appellata ha domandato il pagamento della predetta somma, “ oltre (i) interessi moratori ex D. lgs. n. 231 del 9 ottobre 2002 dalle singole scadenze al saldo effettivo;
(ii) euro 89,20 per spese notarili, nonché oltre (iii) le spese, diritti e onorari della procedura monitoria, nonche delle spese successive occorrende
…”.

Con il decreto monitorio, il Tribunale di Roma ingiungeva il pagamento della sorte capitale, nonché degli “ interessi come da domanda ”.

Nel giudizio di ottemperanza, la ricorrente agiva in giudizio, depositando copia conforme del decreto ingiuntivo emesso in suo favore.

1.2 Il Ministero si costituiva in giudizio, opponendosi alla pretesa di parte ricorrente.

In particolare, con la memoria depositata in data 29.05.2017, l’amministrazione deduceva di aver “ eseguito il decreto ingiuntivo di cui si chiede l’ottemperanza ”, evidenziando sia l’avvenuto pagamento della sorte capitale, effettuato applicando la disciplina del c.d. split payement , sia l’insussistenza del diritto ad ottenere il pagamento degli interessi moratori per come quantificati.

1.3 Il Tribunale amministrativo regionale accoglieva il ricorso, statuendo che “… nella specie, il ricorso va dichiarato fondato quanto alla domanda di esecuzione del giudicato alla luce della denunciata mancata integrale ottemperanza alle relative statuizioni, da parte dell’Amministrazione a tanto onerata.

Conseguentemente, va ordinato al Ministero della Difesa di conformarsi al giudicato discendente dal decreto ingiuntivo indicato in epigrafe, provvedendo al pagamento delle residue somme ivi indicate, detratto quanto nelle more già corrisposto, nel termine di 90 (novanta) giorni dalla notifica o comunicazione della presente sentenza ”.

2. Con l’appello, il Ministero ha gravato la sentenza impugnata, evidenziandone l’erroneità nella parte in cui ha ritenuto che non dovesse applicarsi lo split payment alla fattispecie de qua , se non per poche fatture.

2.1 Il Ministero rappresenta, infatti, che il Giudice di prime cure non ha tenuto conto della disciplina intertemporale che statuisce l’applicazione di tale modalità di versamento dell’I.V.A. a quei pagamenti effettuati per prestazioni rese allo Stato, per le quali l’I.V.A. diviene “ esigibile all'atto del pagamento dei relativi corrispettivi, salva la facoltà di applicare le disposizioni del primo periodo ”.

Secondo il Ministero, “ l’IVA in caso di prestazioni di servizi per lo Stato o organi statali diviene esigibile solo al momento del pagamento del corrispettivo ex art. 6, comma 5, D.P.R. 26/10/1972, n. 633, il meccanismo dello split payment per le Amministrazioni statali risulta operante per tutti i pagamenti di corrispettivi avvenuti successivamente al 1.1.2015.

Non si ritiene pertanto corretta la pronuncia di prime cure, nella parte in cui, richiamando il principio generale del tempus regit actum e trascurando il precetto intertemporale derivante dalla lettura combinata degli artt. . 1, commi 629 e 632 L. 23/12/2014, n. 190, e 6, comma 5, D.P.R. 26/10/1972, n. 633, reputa determinante al fine di individuare il regime concretamente applicabile la data di emissione della fattura, anziché la data di suo pagamento .

Ne sarebbe quindi derivato che, sottraendo dall’importo totale complessivo di € 145.627,81 oggetto del decreto ingiuntivo l’importo dovuto a titolo di IVA per € 23.056,73, da pagare in favore dell’Erario come nei fatti effettivamente avvenuto (all. 1, 2, 3, 4, 5), l’importo riconoscibile sulla base del decreto ingiuntivo sarebbe risultato pari a € 122.571,08.

Come documentato in atti, oltre all’importo riconosciuto dalla controparte di € 42.636,94 in sede di ricorso per ottemperanza, l’Amministrazione aveva versato l’ulteriore importo di € 79.934,14, come documentato con la produzione del 22.5.2017, per un importo complessivo di € 122.571,08, esattamente corrispondente all’importo oggetto di ingiunzione giurisdizionale al netto dell’IVA (€ 23.056,73), da pagare direttamente all’Erario ai sensi dell’art. 17 ter D.P.R. 26/10/1972, n. 633 (come nei fatti avvenuto) ”.

2.2 Con il secondo motivo di appello, il Ministero contesta la quantificazione degli interessi operata dalla controparte e riconosciuta in sede di ottemperanza.

Per il Ministero appellante, essa sarebbe il frutto di un’erronea applicazione della normativa.

Per l’amministrazione, infatti, gli interessi non decorrerebbero dalla data di emissione delle singole fatture, bensì dalla scadenza del termine dilatorio (di pagamento) di trenta giorni previsti dalla normativa e decorrente dalla ricezione della fattura.

Il Ministero lamenta la mancata prova di tale ultimo presupposto.

In particolare, deduce che “ Nella specie non sembra che alcuna prova sia stata offerta relativamente alla data di ricezione delle fatture de quibus, dovendosi pertanto ritenere infondato il ricorso per l’ottemperanza, nella parte in cui tende ad ottenere altresì il pagamento di interessi unilateralmente quantificati dal ricorrente senza prova sull’an e sul quantum debeatur ”.

3. Si è costituita in giudizio l’appellata, la quale ha invece dedotto l’infondatezza delle deduzioni relative all’applicazione del c.d. split payment e l’inammissibilità dell’appello del Ministero, nella parte in cui contesta la debenza degli interessi moratori, il cui obbligo di pagamento è oramai contenuto in un decreto ingiuntivo divenuto inoppugnabile, nonché la sua infondatezza, nella misura in cui si lamenta l’erronea quantificazione degli interessi dovuti dall’amministrazione statale.

4. All’udienza del 16 gennaio 2020, la causa è stata trattenuta in decisione.

5. Il primo motivo di appello è infondato.

5.1 Le deduzioni svolte in primo grado e ora in appello, con il primo motivo, avrebbero dovuto, infatti, essere dedotte, se del caso, nel Giudizio monitorio, evidenziando, in quella sede e non in questa, le questioni inerenti all’esatta quantificazione delle somme dovute dall’amministrazione a titolo di sorte capitale, alle peculiarità relative al loro pagamento e all’applicazione della normativa fiscale.

Soltanto in un eventuale giudizio di opposizione, si sarebbe potuto dedurre che la somma che l’amministrazione avrebbe dovuto pagare alla società ricorrente in monitorio andava calcolata facendo applicazione della neo introdotta disciplina in materia di split payment e dunque al netto dell’I.V.A., rimanendo invece incontestabile questo profilo in sede di ottemperanza.

Va a tale proposito evidenziato che la somma che il Ministero è chiamato a pagare, quale sorte capitale, è esattamente quantificata dal titolo azionato nel presente giudizio, il quale è oramai inoppugnabile.

Segnatamente, il decreto monitorio ha statuito, in modo compiuto e preciso, che la somma da pagare a titolo di sorte capitale ammonta ad euro 145.717,01, sicché, in questa sede, non è più possibile rimettere in discussione l’importo che l’amministrazione dovrà corrispondere alla banca in epigrafe, rimanendo fermo, beninteso, l’obbligo di quest’ultima di versare quanto eventualmente dovuto a titolo di I.V.A. all’erario, secondo le modalità che ordinariamente si applicano, allorché non si procede nelle forme del c.d. split payment .

5.2 La soluzione accolta, del resto, è coerente con i poteri cognitori di questo Giudice dell’ottemperanza, allorché viene chiamato a pronunciarsi sull’avvenuta esecuzione di un provvedimento emesso da un altro plesso giurisdizionale. In questo caso, infatti, al Giudice amministrativo è rimessa la mera esecuzione del titolo azionato, senza che sia possibile alcuna interpretazione del giudicato o, addirittura, una sua integrazione.

Conseguentemente, a fronte di una statuizione del decreto ingiuntivo che quantifica esattamente le somme dovute dall’amministrazione statale, il pagamento effettuato per un importo inferiore non potrà che dirsi inesatto, con conseguente fondatezza della domanda proposta da chi assume l’inottemperanza del provvedimento giudiziario.

5.3 Il primo motivo di appello va pertanto respinto.

6. Può procedersi allo scrutinio della seconda censura articolata dal Ministero.

6.1 Anch’essa non merita accoglimento.

Giova evidenziare che il decreto ingiuntivo individua nella data di “ scadenza ” il “ dies a quo” cui ancorare il termine iniziale del decorso degli interessi moratori.

Dai documenti versati in atti in primo grado, sia da parte della società che da parte del Ministero, e, in particolare, dagli elenchi che enumerano le fatture per le quali si è domandata l’emissione del decreto ingiuntivo, emergono le date di “scadenza” delle singole fatture, riportate in maniera identica nelle produzioni di entrambe le parti, sicché, a dispetto di ogni contestazione mossa in prime cure e in questa sede dall’amministrazione (non relativa peraltro a tali date, ma ad altri aspetti), si ritiene che è a quella data che debba farsi riferimento per la quantificazione delle somme dovute dall’amministrazione.

Ne consegue che ogni deduzione circa una diversa modalità di individuazione del dies a quo, cui ancorare l’inizio del decorso degli interessi moratori, risulta contraddetta dal dato documentale offerto in comunicazione da ambo le parti, che si profila coerente con il dictum giudiziale di cui si è domandato esecuzione.

Quest’ultimo, nel rimandare alla domanda monitoria, per l’individuazione della somma dovuta a titolo di interessi, finisce per ancorare il calcolo dell’ammontare di questa spettanza alle “ singole scadenze ” che, in definitiva, sono per l’appunto quelle indicate nei richiamati documenti.

6.2 Non può dunque accogliersi la prospettazione del Ministero, secondo cui vi sarebbe stata un’erronea e non verificabile determinazione del quantum delle somme dovute a titolo di interessi moratori, sussistendo, per contro, agli atti del giudizio, gli elementi necessari per verificare la loro compiuta determinazione.

6.3 Il secondo motivo di appello va dunque respinto.

7. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

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