Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-05-21, n. 201302732

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-05-21, n. 201302732
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201302732
Data del deposito : 21 maggio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02134/2006 REG.RIC.

N. 02732/2013REG.PROV.COLL.

N. 02134/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2134 del 2006, proposto da:
G G, rappresentato e difeso dagli avv.ti C C e M C, e presso lo studio di quest’ultimo elettivamente domiciliato in Roma, alla via Pierluigi da Palestrina n. 63, per mandato in calce all’appello;

contro

- Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro in carica;
- Comando Generale della Guardia di Finanza, in persona del Comandante generale pro-tempore;
entrambi rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso gli uffici della medesima domiciliati per legge, in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per il Piemonte n. 3844 del 29 novembre 2005, non notificata, con cui è stato respinto il ricorso proposto in primo grado n.r. 1489/2000, proposto per l’annullamento della determinazione del Comandante generale della Guardia di Finanza n. 7615 del 25 febbraio 2000, recante applicazione della sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione, con compensazione delle spese del giudizio di primo grado


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Economia e delle Finanze e del Comando Generale della Guardia di Finanza;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 maggio 2012 il Cons. L S e uditi l’avv. M C per l’appellante G G e l’avvocato di Stato Maurizio Greco per le Autorità statali appellate;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.) G G, già maresciallo maggiore aiutante della Guardia di Finanza, collocato in congedo dal 22 dicembre 1994, condannato con sentenza definitiva per vari episodi di concussione, è stato sottoposto a procedimento disciplinare, in esito al quale con determinazione del Comandante generale n. 7615 del 25 febbraio 2000, su conforme deliberazione della Commissione di disciplina, è stata applicata la sanzione della perdita del grado per rimozione.

Con il ricorso in primo grado n.r. 1489/2000 l’interessato ha impugnato il provvedimento e gli atti presupposti.

Con sentenza del T.A.R. per il Piemonte n. 3844 del 29 novembre 2005, non notificata, il ricorso è stato respinto.

Con appello notificato il 16 febbraio 2006 e depositato il 15 marzo 2006, è stata impugnata la predetta sentenza, deducendo, in sintesi, i seguenti motivi, coi quali sono state altresì riproposte le censure disattese dal primo giudice:

1) Erroneità e carenza della motivazione per violazione di legge in relazione all’art. 61 della legge n. 599/1954, all’art. 2 commi 4 e 5 del d.lgs. n. 29/1993 e successive modifiche e integrazioni, e all’art. 16 del d.lgs. n. 29/1993. Incompetenza assoluta , perché è stata disattesa in modo affatto erroneo la censura d’incompetenza del Comandante generale in ordine all’emanazione del provvedimento disciplinare, tenuto conto che l’art. 61 della legge n. 599/1954 prevede espressamente che la perdita del grado è disposta con decreto ministeriale, non potendosi applicare, invece, in virtù del criterio di specialità, le disposizioni generali di cui al d.lgs. n. 29/1993, come modificate dal d.lgs. n. 80/1998, né potendosi condividere l’assunto del giudice amministrativo piemontese secondo il quale, in virtù del principio di separazione tra indirizzo politico-amministrativo e attività di gestione del rapporto, al Comandante generale competa il relativo potere.

2) Erroneità e carenza della motivazione per violazione di legge in relazione all’art. 9 della legge n. 19/1990 e agli artt. 127, 585 e 599 c.p.p. , perché è stata disattesa la censura relativa alla tardività dell’avvio del procedimento disciplinare: posto che la sentenza penale, pronunciata il 19 aprile 1999, è divenuta irrevocabile -decorsi quindici giorni- il 4 maggio 1999, e non come sostenuto in sentenza il 4 giugno 1999, l’atto di contestazione degli addebiti, comunicato il 20 novembre 1999 è tardivo in quanto il procedimento disciplinare è stato promosso oltre il termine di centottanta giorni.

3) Erroneità e carenza della motivazione per violazione della legge n. 559/1954, al d.m. 15 settembre 1955, alla legge n. 241/1990, all’art. 140 c.p.c., all’art. 111 del d.P.R. n. 3/1957. Eccesso di potere per sviamento e perplessità del procedimento , perché è stata disattesa la censura relativa alla violazione del termine di cui all’art. 111 d.P.R. n. 3/1957, in quanto la comunicazione della seduta della commissione di disciplina è pervenuta all’interessato soltanto il 5 febbraio 2000, appena tre giorni prima della seduta dell’organo, e quindi senza l’osservanza del termine dilatorio di venti giorni.

4) Erroneità e carenza della motivazione per violazione di legge in relazione alla legge n. 599/1954 , perché è stata disattesa la censura secondo cui, essendo stato l’interessato collocato in congedo già da alcuni anni, non poteva essergli irrogata la sanzione disciplinare.

5) Erroneità e carenza della motivazione. Eccesso di potere per carenza di motivazione, difetto di istruttoria, illogicità, ingiustizia manifesta , perché è stata disattesa la censura relativa alla carente motivazione del provvedimento disciplinare, non essendovi stata autonoma valutazione dei fatti.

Costituitesi in giudizio, le Autorità statali intimate hanno richiesto con atto di stile il rigetto dell’appello, in relazione alla riproposizione delle censure già dedotte in primo grado.

All’udienza pubblica del 4 maggio 2012 l’appello è stato discusso e riservato per la decisione.

2.) L’appello in epigrafe è destituito di fondamento giuridico e deve essere respinto, con la conferma della sentenza impugnata.

2.1) Nell’ordine logico-giuridico deve essere esaminato anzitutto il quarto motivo, incentrato sul radicale rilievo secondo il quale il procedimento disciplinare non avrebbe potuto essere attivato, e tantomeno concluso con l’irrogazione della sanzione disciplinare, per essere stato l’interessato collocato in congedo sin dal 22 dicembre 1994.

La censura è manifestamente infondata: com’è noto, ai sensi dell’art. 56 della legge 31 luglio 1954, n. 599 (recante “ Stato dei sottufficiali dell’Esercito, della Marina e dell'Aeronautica ”), disciplinante, ai sensi dell’art.3 della legge, anche i sottufficiali della Guardia di Finanza:

“Il sottufficiale in congedo assoluto non ha obblighi di servizio” (comma 1).

“Il sottufficiale in congedo assoluto conserva il grado e l’onore dell’uniforme ed è soggetto alle disposizioni di legge riflettenti il grado e la disciplina” (comma 2).

Ciò significa che anche nei confronti del militare in congedo assoluto permane la soggezione al potere disciplinare, in particolare per le sanzioni di stato qual è la perdita del grado per rimozione (anche) per motivi disciplinari, di cui al successivo art. 60 comma 1 n. 6).

Né può ritenersi carente la motivazione della sentenza impugnata in ordine alla manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale evocata in relazione ad una presunta disparità di trattamento tra militari, per cui permane la soggezione al potere disciplinare per le sanzioni di stato, e dipendenti civili, poiché il differente regime di responsabilità disciplinare trova razionale giustificazione costituzionale proprio nella radicale diversità di posizioni soggettive tra personale militare e personale civile.

2.2) Non ha maggior pregio il primo motivo di appello, ripropositivo della censura già dedotta con il ricorso e disattesa dal primo giudice, relativo alla pretesa incompetenza del Comandante Generale della Guardia di Finanza in ordine alla irrogazione della sanzione espulsiva in ragione dell’invocata competenza del Ministro.

E’ ben vero, infatti, che, ai sensi dell’art. 61 comma 1 della legge n. 599/1954, “La perdita del grado è disposta con decreto ministeriale”.

Nondimeno, come osservato nella sentenza impugnata, la disposizione deve essere coordinata con la disciplina introdotta dal d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, che ha nettamente distinto le “le funzioni di indirizzo politico-amministrativo”, che competono agli organi di governo, dalle attribuzioni che competono alla dirigenza, relativi a tutti gli atti e provvedimenti “…che impegnano l’amministrazione verso l’esterno…” comprensivi della “…gestione finanziaria, tecnica e amministrativa…” (art. 4 commi 1 e 2 lettera 2), assegnando al Ministro appunto solo le funzioni del primo tipo (art. 14 comma 1).

Né potrebbe ritenersi che, dall’indicazione funzionale della “dirigenza” resti escluso il Comandante Generale della Guardia di Finanza, tenuto conto che il successivo art. 15 comma 1 fa espressamente e significativamente salve solo “…le particolari disposizioni concernenti le carriere diplomatica e prefettizia e le carriere delle Forze di polizia e delle Forze armate”, ossia le modalità di conferimento dei corrispondenti uffici e le relative nomine, con ciò confermando che sotto ogni altro profilo anche le figure di vertice delle predette amministrazioni debbono ricomprendersi nella funzione dirigenziale, con i corrispondenti poteri di organizzazione e gestione.

In tal senso, nessun rilievo può assumere la circostanza che il rapporto d’impiego del personale c.d. non contrattualizzato, ossia la disciplina contenutistica, resti disciplinato dai rispettivi ordinamenti (art. 3 comma 1), in deroga all’art. 2 commi 2 e 3.

Né può giovare il richiamo all’invocata sentenza di questa Sezione 6 novembre 2007 n. 5741, riguardante irrogazione della sanzione disciplinare espulsiva da parte del Ministro della Difesa nei confronti di militare appartenente a forza armata (con il riconoscimento della legittimità di specifica delega di potere di cui al d.m. 8 giugno 2001), che pertanto non si pone in antitesi con il parere 6 della Sezione II, febbraio 2007, n. 915, che con specifico riguardo all’emanazione della sanzione della perdita del grado per rimozione ha riconosciuto la competenza del Comandante Generale della Guardia di Finanza.

Sotto tale aspetto, la conferma della doverosa diversificazione di competenza, a seconda che la sanzione della perdita del grado sia irrogata nei confronti di militari della Guardia di Finanza e di altre forze armate e dell’Arma dei Carabinieri, è offerta dal D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66 (recante “ Codice dell’ordinamento militare ”) che ha ribadito come il Ministro della Difesa sia “…massimo organo gerarchico e disciplinare” (art. 10) e che “Il provvedimento è disposto con decreto ministeriale”, salvo che per gli appartenenti al ruolo appuntati e carabinieri già collocati in congedo per cui si provvede con “determinazione del Comandante generale” (art. 867 comma 1).

O, posto che, ai sensi dell’art. 1 comma 2 del codice “Nulla è innovato dal presente codice per quanto concerne le disposizioni vigenti proprie del Corpo della guardia di finanza…” (oltre che per i dipendenti del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica, dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, delle Forze di polizia a ordinamento civile e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco), è evidente che, a contrario , resta confermata la competenza del Comandante Generale della Guardia di Finanza, come innanzi chiarita.

2.3) Egualmente infondato è il terzo motivo di appello, relativo alla presunta tardività dell’avvio del procedimento disciplinare.

L’art. 9 comma 2 della legge 7 febbraio 1990, n. 19 (emanata, come noto, a seguito della declaratoria d’incostituzionalità delle disposizioni che prevedevano sanzioni espulsive automatiche, in caso di condanna per determinati delitti, tra cui rientrava anche la perdita del grado per rimozione, ai sensi dell’art. 61 comma 2 seconda parte in combinato disposto con l’art. 60 comma 1 nn. 4 e 7 della legge n. 599/1954), in caso di sentenza di condanna ancora il dies a quo del termine di centottanta giorni per l’instaurazione (o prosecuzione) del procedimento disciplinare “dalla data in cui l’amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna”.

Come è stato precisato dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, in effetti non è sufficiente una semplice “notizia”, dovendo essere posta l’Amministrazione in grado di conseguire una “…conoscenza dell’integrale sentenza di condanna irrevocabile (con) esatta cognizione dei fatti accertati in sede penale, onde contestarli al dipendente e valutarli in sede disciplinare” (vedi per tutte, tra le tante, Sez. IV, 15 dicembre 2010, n. 8918).

Nel caso di specie, non può dunque assumere alcun rilievo la data dell’irrevocabilità della sentenza, se coincidente con quella invocata dall’appellante (4 maggio 1999) o con quella indicata nell’attestazione della cancelleria penale (4 giugno 1999), posto che è incontestato che l’Amministrazione ebbe notizia della sentenza con comunicazione telegrafica del 29 giugno 1999 (e peraltro quindi nemmeno integrale effettiva conoscenza, evidentemente conseguita dopo, con l’acquisizione della copia del provvedimento giudiziale), e quindi l’atto di contestazione degli addebiti, in data 19 novembre 1999, e anche la sua comunicazione il giorno successivo all’interessato, è intervenuto il centoquarantatreesimo (o il centoquarantaquattresimo) giorno, ben entro la soglia temporale semestrale.

Nello stesso motivo d’appello, peraltro, s’invoca anche la tardività della conclusione del procedimento disciplinare, oltre il termine di novanta giorni pure previsto dall’art. 9 comma 2 della legge n. 19/1990.

Anche tale deduzione, seppure non sia considerata inammissibile quale motivo nuovo introdotto in appello (come parrebbe), è destituita di fondamento giuridico.

Infatti, come pure chiarito da costante giurisprudenza di questo Consiglio, il termine di novanta giorni inizia a decorrere non già dall’atto di avvio del procedimento, sebbene dalla scadenza “virtuale” del termine di centottanta giorni (cfr. Sez. VI, 15 dicembre 2010, n. 8918, Sez. IV, 25 settembre 2007, n. 4960), che nella specie coincideva con il 6 gennaio 2000, onde è evidente che il provvedimento disciplinare, emanato il 25 febbraio 2000, è del tutto tempestivo, poiché il termine di novanta giorni andava a scadere il 5 aprile 2000, essendo stato il provvedimento notificato addirittura prima, il 24 marzo 2000.

2.4) Egualmente infondato è il terzo motivo dell’appello, poiché come osservato dal primo giudice, dopo numerosi, infruttuosi tentativi di consegna a mani proprie dell’interessato della convocazione davanti alla commissione di disciplina, il plico è stato trasmesso con raccomandata con avviso di ricevimento, ricevuto dal destinatario, con l’osservanza del termine dilatorio stabilito.

2.5) Sono infine prive di pregio giuridico le censure dedotte con il quinto motivo d’appello, in ordine alla pretesa insufficienza della motivazione addotta a sostegno dell’irrogazione della sanzione disciplinare espulsiva, che viceversa ha considerato, in modo specifico e autonomo, la valenza negativa delle condotte sanzionate con la sentenza penale di condanna, il loro radicale contrasto con i doveri incombenti su un sottufficiale della Guardia di Finanza, la grave lesione al prestigio del Corpo di appartenenza, risultando altresì indubitabile la proporzionalità tra la gravità dei fatti (afferenti a vari episodi di concussione) e la scelta della sanzione espulsiva.

3.) In conclusione, l’appello in epigrafe deve essere rigettato, con conferma integrale della sentenza impugnata.

4.) In relazione alla natura di mero stile delle difese svolte nel giudizio d’appello dall’Avvocatura dello Stato, sussistono giusti motivi per dichiarare compensate per intero anche le spese del presente grado.

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