Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-04-24, n. 202304143

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-04-24, n. 202304143
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202304143
Data del deposito : 24 aprile 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 24/04/2023

N. 04143/2023REG.PROV.COLL.

N. 09384/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9384 del 2020, proposto da
-OMISSIS- rappresentato e difeso dall’avvocato A P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero della difesa, in persona del Ministro in carica, per legge con il patrocinio dell’Avvocatura Generale dello Stato e con domicilio nei suoi uffici in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima) n. -OMISSIS-resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2023 il Cons. A E B e udita per il ricorrente l’avvocata Daniela D’Agnano su delega dell’avvocato A P;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. L’appellante, graduato dell’esercito, impugna la sentenza con cui il TAR ha respinto il ricorso contro il provvedimento in forza del quale gli è stata inflitta la sanzione espulsiva della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari e, per l’effetto, la cessazione dal servizio permanente.

2. In punto di fatto, si rileva che, con sentenza n.-OMISSIS- il (doc. 2 del fascicolo di primo grado del ricorrente), il Tribunale ordinario di Asti ha condannato il militare, insieme a un commilitone, per il delitto di cui agli artt. 110 e 81 cpv. c.p. e all’art. 3, n. 8, della legge n. 75 del 1958 (c.d. legge “Merlin”) perché, «in concorso tra loro, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, favorivano e sfruttavano la prostituzione di donne straniere»;
in particolare, l’appellante aveva stipulato quale conduttore un contratto di locazione di un immobile, sostenendo le spese delle utenze (mentre il correo corrispondeva il canone di 380 euro), dove venivano collocate donne straniere che ivi si prostituivano e dalle quali questi pretendevano il pagamento di una somma settimanale notevolmente superiore a quella da loro pagata al proprietario.

3. Nel successivo grado di giudizio, con sentenza n. -OMISSIS-(doc. 3 del fascicolo di primo grado del ricorrente), divenuta irrevocabile il 13.01.2018, la Corte d’appello di -OMISSIS-, in parziale riforma della pronuncia gravata, ha dichiarato «non doversi procedere» nei confronti degli imputati in ordine al reato, perché estinto per prescrizione.

4. Con nota del 28.03.2018 (doc. 4 del fascicolo di primo grado del ricorrente), il Generale Comandante delle Truppe Alpine ha disposto l’avvio di un’inchiesta formale a carico dell’appellante (e dell’altro militare imputato).

5. Con nota del 20.03.2018 (doc. 6 del fascicolo di primo grado del ricorrente), è stato contestato all’appellante che «la condotta osservata da entrambi i militari evidenzia rilevanti profili di responsabilità disciplinare in quanto costituente una grave violazione delle norme che impongono al militare di rispettare la Costituzione e di osservare le leggi, nonché di tenere in ogni circostanza una condotta esemplare a salvaguardia del prestigio dell’Istituzione, della categoria di appartenenza e della dignità del grado rivestito», ai sensi degli artt. 712, 713 e 732 del DPR n. 90 del 2010.

6. Il 27.04.2018 è stato dato avviso di chiusura dell’istruttoria (doc. 8 del fascicolo di primo grado del ricorrente).

7. Il 03.05.2018, il militare ha depositato una memoria difensiva (doc. 9 del fascicolo di primo grado del ricorrente).

8. Il 09.05.2018, l’ufficiale inquirente ha presentato la relazione finale, nella quale ha sostenuto che gli inquisiti sarebbero stati “raggirati” dalla malafede delle due cittadine straniere che si prostituivano e che la colpa dei militari sarebbe consistita solo nel non aver vigilato su come l’appartamento veniva utilizzato (doc. 12 del fascicolo di primo grado del ricorrente).

9. Il 15.06.2018, l’odierno appellante è stato deferito alla Commissione di disciplina (doc. 10 del fascicolo di primo grado del ricorrente).

10. Il 01.08.2018, il militare ha presentato un’ulteriore memoria difensiva (doc. 11 del fascicolo di primo grado del ricorrente).

11. La Commissione di disciplina, riunitasi il 01.08.2018, sentite le difese dell’incolpato, ha concluso che questi non era meritevole di conservare il grado (si v. il relativo verbale, doc. 14 del fascicolo di primo grado del ricorrente).

12. Con decreto del 03.10.2018, il Direttore generale per il personale militare del Ministero della difesa ha disposto la perdita del grado per rimozione dell’odierno appellante, con cessazione dal servizio permanente (doc. 1 del fascicolo di primo grado del ricorrente).

13. Il militare ha impugnato il provvedimento dinanzi al TAR, da un lato eccependo l’illegittimità costituzionale dell’art. 1388, co. 11, cod. ord. mil., nella parte in cui prevede che il giudizio della commissione di disciplina militare non sia motivato, per violazione del diritto di difesa e del principio di eguaglianza con riferimento agli altri dipendenti pubblici;
dall’altro, sostenendo che dall’istruttoria emergesse l’infondatezza dell’addebito mosso nei suoi confronti, che il Comandante delle Truppe Alpine avesse influenzato la Commissione, esprimendo il proprio parere sulla vicenda, e che la sanzione risulti affetta da manifesta illogicità e non tenga conto della sua situazione personale.

14. Il TAR ha ritenuto manifestamente infondata la questione di costituzionalità e respinto le censure proposte avverso il provvedimento, condannando il ricorrente al pagamento delle spese di lite.

15. Il militare ha impugnato la sentenza dinanzi a questo Consiglio di Stato.

16. Nel giudizio di appello, si è costituito il Ministero della difesa, resistendo al gravame.

17. All’udienza del 21.02.2023, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

18. Contro la sentenza gravata, l’appellante ha dedotto due motivi specifici, implicitamente rinunciando a ogni altra censura (e, in particolare, astenendosi da riproporre la questione di costituzionalità, ritenuta manifestamente infondata dal TAR).

19. Con un primo motivo, si sostiene che, al contrario di quanto ritenuto dal giudice di primo grado, gli atti dell’inchiesta formale, con particolare riferimento alla relazione finale, dimostrerebbero che il militare non ha commesso alcun illecito, anzi è stato vittima di un raggiro da parte delle due donne (con una delle quali aveva avuto una relazione per un certo periodo) che, a sua insaputa, utilizzavano l’appartamento come casa di appuntamenti.

20. Il motivo è infondato, perché il Comandante, nell’atto di deferimento, si è motivatamente discostato dalle conclusioni dell’ufficiale che ha condotto l’inchiesta formale, osservando che le argomentazioni difensive del militare «non siano accoglibili in quanto contrastano con le risultanze processuali».

Invero, nella sentenza del Tribunale si dà conto di come l’immobile fosse stato locato ai due militari (anche se l’intestatario formale del contratto era solo l’odierno appellante) per un canone di 380 euro al mese e da questi poi subaffittato alle donne a un prezzo significativamente superiore da corrispondere ogni settimana, con una condotta qualificata come sfruttamento della prostituzione.

La Corte d’appello, poi, ha esplicitamente respinto la richiesta di assoluzione, osservando che le argomentazioni difensive degli imputati «risultano validamente confutate dal primo giudice sulla base di considerazioni che devono intendersi pienamente condivise».

Le stesse dichiarazioni di una delle due prostitute (doc. 7 del fascicolo di primo grado del ricorrente) confermano che l’altra – la donna con cui l’odierno appellante avrebbe avuto una relazione – faceva già la “ escort ”, le aveva fornito la scheda per contattare i clienti e dato la disponibilità dell’appartamento, avvisandola inoltre che l’avrebbe contattata una persona entro il sabato per riscuotere l’affitto settimanale e che avrebbe potuto rivolgersi a lui per qualsiasi necessità (in particolare, in sede di dibattimento, la testimone, rimasta nella casa solo pochi giorni, prima dell’intervento dei Carabinieri, ha dichiarato di non ricordare se effettivamente poi l’uomo sia passato a ritirare il denaro, come comunque riferito a verbale durante le indagini).

In conclusione, la ricostruzione posta alla base del deferimento alla Commissione disciplinare, secondo cui i due militari non sarebbero stati ignari dell’uso che veniva fatto dell’appartamento, ma ne abbiano invece tratto profitto, trova conforto nelle pronunce dell’autorità giudiziaria ordinaria e nella dichiarazione della teste.

21. Con un secondo motivo di appello, si sostiene che, al contrario di quanto ritenuto dal TAR, l’Amministrazione abbia errato nel trascurare di valorizzare la carriera del militare e abbia adottato una sanzione manifestamente sproporzionata.

22. Il motivo è infondato.

È opportuno premettere che l’apprezzamento dei fatti rilevanti a fini disciplinari e l’irrogazione delle relative sanzioni al dipendente pubblico sono rimessi alla discrezionalità dell’Amministrazione e sindacabili dal giudice amministrativo solo quando, dagli atti del procedimento e dal provvedimento, emerge che questa è incorsa in un travisamento dei fatti, è caduta in contraddizioni o illogicità, ovvero ha esercitato il proprio potere in maniera arbitraria, applicando una misura che risulti manifestamente eccessiva in rapporto ai beni giuridici protetti dalla norma e al grado di pericolo o di danno a essi arrecato.

Nella specie, la sanzione della perdita del grado è motivata in ragione del fatto che la condotta è stata ritenuta costituire «gravissima violazione dei doveri propri dello stato di militare e di quelli attinenti al giuramento prestato e al senso di responsabilità, da risultare del tutto incompatibile con l’ulteriore permanenza in servizio e nel grado rivestito» (così il decreto censurato, doc. 1 del fascicolo di primo grado del ricorrente).

Alla luce della gravità della condotta e del nocumento cagionato all’immagine e al prestigio della Forza armata, tale valutazione non si espone a censure.

È bene ricordare che la Corte costituzionale, nel giudicare infondati i dubbi di costituzionalità della “legge Merlin” per contrasto con gli artt. 2 e 41 Cost. nonché con il principio di necessaria offensività del reato, abbia ritenuto di concludere, dopo un’articolata analisi anche di taglio storico e giuscomparatistico, che «è, in effetti, inconfutabile che, anche nell’attuale momento storico, quando pure non si sia al cospetto di vere e proprie forme di prostituzione forzata, la scelta di “vendere sesso” trova alla sua radice, nella larghissima maggioranza dei casi, fattori che condizionano e limitano la libertà di autodeterminazione dell’individuo, riducendo, talora drasticamente, il ventaglio delle sue opzioni esistenziali» e che «a ciò si affiancano, peraltro, anche preoccupazioni di tutela delle stesse persone che si prostituiscono – in ipotesi – per effetto di una scelta (almeno inizialmente) libera e consapevole […] in considerazione dei pericoli cui esse si espongono nell’esercizio della loro attività», per dedurne che l’incriminazione delle “condotte parallele” alla prostituzione, tra cui lo sfruttamento e il favoreggiamento, siano conciliabili con il principio di offensività «ove riguardate nell’ottica della protezione dei diritti fondamentali dei soggetti vulnerabili e delle stesse persone che esercitano la prostituzione per scelta» (sent. n. 141 del 2019).

Per quanto interessa il presente processo, lo sfruttamento e il favoreggiamento della prostituzione rimangono dunque condotte offensive della dignità di chi le subisce (sul punto si v. Cass. pen., sez. III, sentt. n. 14593 e n. 5768 del 2017, richiamate anche dal Giudice delle leggi) le quali ben giustificano il giudizio di assoluta incompatibilità con la permanenza tra le Forze armate, il cui ordinamento «si informa allo spirito democratico della Repubblica» (art. 52 Cost.) che vede proprio nel riconoscimento della «pari dignità» di ogni persona uno dei suoi tratti distintivi (art. 3 Cost.).

23. Secondo la regola generale della soccombenza, dalla quale non vi è ragione di discostarsi nel caso di specie, l’appellante deve essere condannato al pagamento delle spese processuali del grado, che sono liquidate in dispositivo.

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