Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-05-25, n. 202003269

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-05-25, n. 202003269
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202003269
Data del deposito : 25 maggio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 25/05/2020

N. 03269/2020REG.PROV.COLL.

N. 05109/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5109 del 2010, proposto dai signori
G V, N G, F G, rappresentati e difesi dagli avvocati M E V e F Z, con domicilio eletto presso l’avvocato M E V in Roma, via Barnaba Tortolini n. 13;

contro

Comune di Venezia, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati M B, G G, A I, M.M. Morino, N O, N P, Giuseppe V, con domicilio eletto presso l’avv. N P in Roma, via Barnaba Tortolini 34;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda) n. 1411/2010, resa tra le parti, concernente la domanda di risarcimento dei danni derivanti dal rilascio della concessione edilizia per la realizzazione di un complesso edilizio in Cavallino.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Venezia;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 84 comma 5 del d.l. 17 marzo 2020 n. 18, conv. dalla legge 24 aprile 2020, n. 27

Relatore nell’udienza pubblica telematica del giorno 12 maggio 2020, tenuta ai sensi dell’art. 84 commi 5 e 6 del d.l. 17 marzo 2020 n. 18, conv. dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, il Cons. Cecilia Altavista;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La società Soleado s.r.l. (cui è poi subentrata la società Canados s.r.l.) il 13 aprile 1995 richiedeva una concessione edilizia per la costruzione di un complesso turistico- residenziale di quattro edifici ad uso residenziale per complessivi 44 appartamenti in Cavallino, nell’ambito del Piano particolareggiato Faro Valle Dolce. Il 28 settembre 1995 è stato emesso il parere favorevole della commissione edilizia integrata, con la prescrizione della realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria. Il 7 novembre 1995 è stata rilasciata l’autorizzazione paesaggistica da parte del Comune che è stata poi annullata per difetto di motivazione dalla Soprintendenza ambientali e architettonici con decreto dell’8 gennaio 1996.

Avverso il provvedimento della Soprintendenza la società proponeva ricorso al Tribunale amministrativo regionale del Veneto (n. R.G. 1144 del 1996 dichiarato perento con decreto del 28 marzo 2007).

Il 21 febbraio 1996 la società ripresentava il progetto per cui l’autorizzazione paesaggistica è stata rilasciata il 18 aprile 1996;
il parere favorevole della Commissione edilizia integrata il 23 gennaio 1997.

Era stato, infatti, anche presentato il progetto delle opere di urbanizzazione il 23 marzo 1996, per il quale erano state richieste integrazioni il 25 ottobre e l’8 novembre 1996.

Il 26 agosto 1997 è stata stipulata la convenzione, con cui la società si è impegnata alla realizzazione delle opere di urbanizzazione con scomputo degli oneri di urbanizzazione. Il 21 luglio 1997 era stata rilasciata la fideiussione a garanzia degli impegni della convenzione.

Il 29 settembre 1997 è stata rilasciata la fideiussione a garanzia del pagamento del costo di costruzione.

La società, nel frattempo, aveva inviato istanze di sollecito all’ufficio Edilizia privata del Comune il 10 luglio 1997 e il 15 ottobre 1997.

La concessione edilizia è stata infine rilasciata il 16 ottobre 1997 con la previsione del pagamento del solo contributo del costo di costruzione (pari a lire 76.389.953), essendo stati gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria integralmente scomputati per la somma di lire 328.685.383, in base agli impegni relativi alla realizzazione delle opere di urbanizzazione risultanti dalla convenzione del 26 agosto 1997.

Con atto notificato il 13 giugno 2000 la società Canados ha proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale del Veneto chiedendo la condanna del Comune di Venezia al risarcimento dei danni subiti dal ritardo nel rilascio della concessione edilizia. In particolare, nel ricorso di primo grado, indicava i danni subiti “ per la immobilizzazione infruttifera del capitale impiegato per l’acquisto del terreno, per la lievitazione dei costi di costruzione nel frattempo verificatasi, per il ritardo nella vendita degli appartamenti e per il minore prezzo di vendita degli stessi ”, quantificando tale danno nella somma complessiva di lire 280.221.041,00, di cui lire 72.422.933,00 a titolo di interessi per l’immobilizzazione del capitale, più lire 207.798.108,00 a seguito della ritardata vendita degli appartamenti, depositando sul punto perizia tecnica .

Nel corso del giudizio di primo grado la società Canados è stata posta in liquidazione e si sono costituiti in giudizio i soci G V, N G, F G.

Il Comune di Venezia ha eccepito l’intervenuta estinzione del giudizio in quanto la istanza di fissazione dell’udienza a seguito dell’avviso di perenzione era stata presentata dal legale rappresentante della società successivamente alla cancellazione dalla società dal registro delle imprese, nonché il difetto di interesse dei soci.

La sentenza di primo grado ha respinto l’eccezione relativa all’estinzione del giudizio e ha anche espressamente affermato la sussistenza della legittimazione dei soci ai fini della loro costituzione in giudizio;
ha respinto la domanda risarcitoria, in quanto generica e non provata, facendo un sintetico riferimento anche alla non addebitabilità del ritardo al Comune, essendo intervenuto l’annullamento da parte della Soprintendenza e dunque riavviato il procedimento.

Con l’atto di appello sono stati proposti i seguenti motivi:

- errore di giudizio sulla non addebitabilità del ritardo al Comune di Venezia, con cui è stato dedotto che anche l’annullamento della Soprintendenza sarebbe stato comunque riconducibile ad una responsabilità dell’amministrazione Comunale, che aveva emesso il provvedimento di autorizzazione paesaggistica con una insufficiente motivazione;
che il periodo di maggior ritardo era comunque quello successivo all’annullamento da parte della Soprintendenza e alla nuova presentazione del progetto - secondo la ricostruzione difensiva- identico a quello originario;
che il procedimento aveva superato di gran lunga il termine allora previsto di complessivi 135 giorni, ai sensi del d.l. n. 398/93, come modificato dalla l. n. 662/96;

- contraddittorietà e illogicità della decisione rispetto alla affermazione della genericità della domanda risarcitoria e della mancanza di prova, essendo stata depositata in giudizio una perizia tecnica che quantificava i danni lamentati, che non è stata presa in considerazione dal giudice;
inoltre, era stata anche richiesta la nomina di un consulente tecnico d’ufficio per la stima dei danni;

-ingiustizia ed erroneità della sentenza nella parte in cui afferma la genericità della domanda, con cui si sostiene che la quantificazione dei danni risultava dalla perizia depositata in giudizio.

Il Comune di Venezia si è costituito in giudizio il 25 giugno 2010 con atto di mero stile.

Nella memoria, depositata il 10 aprile 2020 per l’udienza pubblica la difesa del Comune ha riproposto le eccezioni espressamente respinte dal giudice di primo grado e ha contestato la fondatezza dell’appello, deducendo che al Comune non sarebbero imputabili ritardi, in relazione all’ annullamento della prima autorizzazione paesaggistica da parte della Soprintendenza, alla complessità dell’intervento edilizio, alla necessità del progetto per il completamento delle opere di urbanizzazione e alla stipula della convenzione urbanistica.

Gli appellanti hanno presentato due memorie di replica in cui hanno insistito nei ritardi del Comune e hanno eccepito che il Comune, per riproporre le eccezioni respinte in primo grado, avrebbe dovuto presentare appello incidentale o almeno memoria nei termini 101 c.p.a.;
hanno anche eccepito che le circostanze relative al progetto delle opere di urbanizzazione e alla stipula della convenzione urbanistica sarebbero fatti nuovi non dedotti in primo grado dalla difesa del Comune.

Per l’udienza pubblica entrambe le parti hanno presentato note difensive insistendo nelle proprie argomentazioni.

DIRITTO

In via preliminare si deve evidenziare che le eccezioni espressamente respinte dal giudice di primo e riproposte dal Comune soltanto nel 2020 con la memoria presentata per l’udienza pubblica (infatti esso si costituì nell’odierno giudizio di appello in data 25 giugno 2010 con atti di mero stile) non devono essere esaminate. Infatti, trattandosi di questioni oggetto di una reiezione esplicita da parte del giudice di primo grado avrebbero dovuto essere oggetto di appello incidentale. Per consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, infatti, le eccezioni esaminate e respinte richiedono, per entrare a far parte del thema decidendum del giudizio di appello, la formulazione di una impugnazione incidentale, mancando la quale sul relativo capo della sentenza di primo grado si forma il giudicato (Cons. Stato Sez. VI 11 marzo 2015, n. 1250;
sez. V, 29 aprile 2009, n. 2716). Inoltre la difesa comunale le ha comunque riproposte solo con la memoria per l’udienza pubblica, quindi neppure sarebbe rispettato il termine oggi indicato dall’art. 101 c.p.a. per le eccezioni non esaminate (si veda, con riferimento alle disposizioni antevigenti al c.p.a., applicabili alla odierna fattispecie l’analogo principio a più riprese predicato dalla costante giurisprudenza amministrativa: Consiglio di Stato , sez. IV , 21 novembre 2016 , n. 4833 “nel caso in cui ratione temporis la vicenda contenziosa sia governata dalle disposizioni vigenti prima dell'entrata in vigore del c.p.a., si deve ritenere, in applicazione estensiva dell'art. 346 c.p.c., che, nel processo amministrativo, anche se è consentita la riproposizione dei motivi assorbiti per il tramite di memoria e non di appello incidentale è necessario che detta memoria sia depositata entro il termine previsto dall'art. 37, r.d. 24 giugno 1924, n. 1054 e ciò a maggior ragione vista l'assenza di diversa previsione nell'art. 346 c.p.c. ).

L’oggetto del giudizio è quindi limitato alla fondatezza della domanda risarcitoria proposta in primo grado e respinta dal giudice di primo grado in quanto generica e non provata.

Il giudice di primo grado ha, infatti, affermato la genericità della domanda risarcitoria e la mancanza di prova in quanto si sono addotti danni derivanti dalla immobilizzazione del capitale ma senza l’aggiunta di nessun elemento esplicativo;
così come, in relazione alla ritardata vendita di alloggi, è stata dedotta tale circostanza “ ma senza fornire alcun elemento atto a spiegare e giustificare come si sia giunti a tale quantificazione del danno ”.

Il giudice di primo grado ha fatto poi sinteticamente riferimento anche alla mancanza di addebitabilità del ritardo al Comune di Venezia essendo intervenuto l’annullamento della Soprintendenza e comunque un nuovo procedimento istruttorio.

La difesa appellante con il primo motivo di appello ha contestato tali affermazioni, sostenendo che il ritardo nel rilascio della concessione edilizia si sarebbe verificato soprattutto dopo l’annullamento della Soprintendenza e la ripresentazione del progetto - che si deduce anche essere stato identico al precedente- e quindi da tale data, 21 febbraio 1996, sarebbe comunque decorso un termine molto più lungo di quello di 135 giorni allora previsto dal d.l. 5 ottobre 1993 n. 398 come modificato dalla legge 23 dicembre 1996 n. 662. Con il secondo e il terzo motivo di appello sono state contestate le affermazioni del giudice di primo grado circa la genericità e mancanza di prova della domanda risarcitoria, nella sostanza, deducendo che la quantificazione dei danni risultava dalla perizia tecnica depositata nel giudizio di primo grado.

Ritiene il Collegio la infondatezza dell’appello proposto.

In primo luogo, si deve evidenziare che la presente vicenda si è svolta e la domanda è stata proposta con atto notificato il 23 giugno 2000, molto prima della introduzione nell’ordinamento della disciplina espressa dell’art. 2 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, operata con l’art. 7, comma 1, lett. c), della L. 18 giugno 2009, n. 69, per cui le pubbliche amministrazioni “ sono tenute al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento ”.

La presente fattispecie deve essere considerata come una ipotesi di risarcimento danno, ai sensi dell’art. 2043 del codice civile, in relazione alla violazione, quindi, del generale principio della risarcibilità dei danni arrecati con un proprio comportamento doloso o colposo.

Anche prima della introduzione dell’art. 2 bis nella legge n. 241 del 1990, la giurisprudenza amministrativa aveva ammesso la risarcibilità del danno cagionato dalla violazione dei termini procedimentali (c.d. danno da ritardo) riconducendolo alla fondatezza di un interesse pretensivo al conseguimento di un “bene della vita” (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. 15 settembre 2005, n. 7) e quindi al ritardo nel suo conseguimento.

Nella presente vicenda deve essere, dunque, valutato il danno subito in relazione al ritardo nell’acquisizione di un provvedimento favorevole quale la concessione edilizia effettivamente rilasciata il 16 ottobre 1997.

Comunque, anche la giurisprudenza successiva alla entrata in vigore dell’art. 2 bis della legge n. 241 del 1990 ha affermato che il risarcimento del danno da ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento amministrativo non costituisce un effetto del ritardo in sé e per sé;
infatti l’ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono in linea di principio presumersi iuris tantum , in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo o al silenzio nell’adozione del provvedimento amministrativo. Benché l'art.

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