Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-08-04, n. 202004923

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-08-04, n. 202004923
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202004923
Data del deposito : 4 agosto 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/08/2020

N. 04923/2020REG.PROV.COLL.

N. 01436/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso NRG 1436/2014, proposto da -OMISSIS-, in proprio e n.q. di legale rappresentante e liquidatore della -OMISSIS- s.p.a. in liquidazione, corrente in Bastia Umbra (PG), nonché da -OMISSIS-, in proprio e n.q. di liquidatore giudiziale di detta Società, rappresentati e difesi dall'avv. F A D M, con domicilio eletto in Roma, v.le B. Buozzi n. 51, presso l’avv. Marcello Cardi,

contro

il Comune di Assisi (PG), in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avv.ti T M ed U S, con domicilio eletto in Roma, via G.B. Morgagni n. 2/A,

per la riforma

della sentenza del TAR Umbria n. 349/2013, resa tra le parti e concernente la demolizione di opere realizzate in assenza del permesso di costruire;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Assisi;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore all'udienza pubblica del 9 luglio 2020 il Cons. S M R;


Ritenuto in fatto che:

– la -OMISSIS- s.p.a., corrente in Bastia Umbra (PG), è un’impresa in liquidazione, il legale rappresentante e liquidatore della quale, sig. -OMISSIS- ne propose al Tribunale di Perugia il concordato preventivo, poi omologato con la nomina dei liquidatori giudiziali -OMISSIS-;

– a quanto consta in atti, detta Società è proprietaria in Assisi (PG), loc. -OMISSIS-, via del -OMISSIS-, d’un compendio immobiliare, a suo dire a vocazione rurale, ricadente in zona E1 di PRG ed in area soggetta a vincolo paesaggistico;

– a seguito d’un accertamento nel sito d’impianto da parte dei suoi tecnici, il Comune di Assisi contestò alla Società la natura abusiva di taluni manufatti edilizi, consistenti nella realizzazione: 1) sul prospetto N, di una struttura (gabbie in metallo – box) utilizzata per ricovero cani, per una superficie di ca. mq 42 circa, costituita da pali in ferro, rete elettrosaldata e copertura ad una falda costituita in parte da onduline di vetroresina e parte da lamiera grecata, adiacente ad un fabbricato in muratura legittimato;
2) sul prospetto S, d’una struttura (gabbie in metallo – box), utilizzata per ricovero cani, costituita da rete elettrosaldata e copertura in lamiera grecata;
3) di una tettoia delle dimensioni di ca. m 8,00 x m 8,00 ed altezza massima di ca. m 5, con struttura in pilastrini di ferro e copertura a due falde in onduline di lamiera, delimitata lungo il perimetro da un muro in laterizio alto ca. m 2 e soprastante rete metallica;

– il Comune avviò quindi il relativo procedimento sanzionatorio, cui detta Società replicò il 25 maggio 2012, ribadendo l’esistenza dei predetti edifici ante 1950 e presentando l’ortofotocarta del 1967 e l’aerofotogrammetria del 1977;

– tuttavia, il Comune di Assisi, con ordinanza dirigenziale n. 368 del 4 settembre 2012, reputò tal documentazione in sé insufficiente ed in contrasto con quanto dichiarato da detta Società nella DIA del 23 luglio 2010, onde ingiunse la demolizione dei fabbricati sine titulo ;

Rilevato altresì che:

– contro tal statuizione il sig. -OMISSIS-, in proprio e n.q., si gravò innanzi al TAR Umbria col ricorso NRG 621/2012, deducendo cinque articolati gruppi di censure;

– nelle more di quel giudizio, il sig. -OMISSIS- propose un’istanza per accertamento di conformità ex art. 17 della l. reg. Umbria 3 novembre 2004 n. 21 (in realtà, proposta solo il 17 maggio 2013, ossia cinque giorni prima dell’udienza pubblica di trattazione di tal ricorso), sì da determinare, ad avviso del ricorrente, la sopravvenuta carenza d’interesse sull’impugnazione della sanzione gravata;

– l’adito TAR, con sentenza n. 349 del 1° luglio 2013, rigettò tal ricorso, perché: a) - non fu provata l’istanza di sanatoria;
b) - essa comunque non sarebbe stata in grado di determinare l’invocata SCI, al più dando luogo all’inefficacia temporanea dell’ordine di demolizione;
c) - la documentazione allegata all’istanza di sanatoria non fu dirimente nel senso voluto dal ricorrente e, in ogni caso, non vi fu chiarezza sullo stato di consistenza delle opere da sanare;
d) - il mero decorso del tempo non fu rilevante per creare un affidamento qualificato in capo al responsabile dell’abuso edilizio o al proprietario– NDR);
e) - mancò una seria dimostrazione sulla realizzazione di dette opere prima del 1967, perché fu smentita dalla citata DIA, ove il ricorrente in effetti autocertificò completamente libera l’area su cui attualmente insistono i manufatti abusivi (;
f) - non vi fu alcuna compressione di diritti dominicali, né la violazione dell’art. 42 Cost., perché il jus aedificandi è conformato da normativa e pianificazione urbanistica e paesaggistica;
g) - non vi fu né la violazione dei principi racchiusi nell’art. 1 della l. 7 agosto 1990 n. 241, né alcun effetto lesivo per la mancata allegazione dell’accertamento richiamato per relationem nell’ordinanza impugnata, quest’ultima certo non inficiata da difetto di motivazione, contenendo per contro una chiara e sufficiente elencazione delle opere abusive ed il presupposto giuridico della sanzione loro e non occorrendo la ponderazione di interessi diversi da quelli tutelati o una motivazione ulteriore rispetto all’abusività di dette opere;
h) - queste ultime andavano intese quali nuove costruzioni e non il risultato di lavori di manutenzione straordinaria;
i) - non valse il richiamo all’art. 34 del DPR 6 giugno 2001 n. 380 a giustificare la richiesta di sanzioni sostitutive per un presunto pregiudizio sulla parte non abusiva della tettoia;

– appellò quindi il sig. -OMISSIS- e n.q., col ricorso in epigrafe, deducendo l’erroneità della gravata sentenza alla luce di molteplici profili di censura (tra cui la riproposizione delle questioni sulla SCI, per effetto della presentazione dell’istanza per l’accertamento di conformità);

– con ordinanza n. 2180 del 31 marzo 2020, la Sezione ha disposto incombenti istruttori nei riguardi del Comune intimato, in ordine non all’esistenza della domanda ex art. 17 della l.r. 21/2004 (già in atti), bensì all’esito della stessa e se in effetti l’appellante l’avesse mai coltivata;

– il Comune, il 26 maggio 2020, ha depositato agli atti di causa la nota dirigenziale del precedente giorno 21, comunicata alle parti private ed al tecnico che ne curò la presentazione, per il preavviso di rigetto ex art. 10-bis della l. 7 agosto 1990 n. 241 dell’istanza ex art. 17 della l.r. 21/2004, in tal modo confermando tout court l’ordinanza di demolizione n. 368/2012 e la distonia tra tal istanza ed il contenuto della DIA del 23 luglio 2010;

– il Comune, già costituitosi nel presente giudizio concludendo per il rigetto senza SCI dell’appello, con la memoria del 5 giugno u.s. ribadisce le ragioni del rigetto stesso;

Considerato in diritto che:

– centrale è, nella prospettazione attorea, la sopravvenuta carenza dell’interesse azionato in primo grado, col corollario della definitiva inefficacia dell’ordine di demolizione irrogato dal Comune di Assisi, per effetto della presentazione (17 maggio 2013) dell’istanza per accertamento di conformità ex art. 17 della l.r. 21/2004;

– prima d’affrontare tal questione, come si legge in sentenza il TAR non prese espresso partito su tal precipuo aspetto, soffermandosi invece sul fatto che l’odierna appellante, pur avendo ottenuto due rinvii dell’udienza pubblica al fine di presentare detta istanza, poi non la depositò a quella in cui la causa fu assunta in decisione (22 maggio 2013), pur avendone la piena disponibilità;

– lamenta ora l’appellante che non vi poté provvedere per la preclusione ex art. 73, co. 1, c.p.a., in quanto il termine per il deposito del relativo documento era già scaduto, tant’è che lo ripropone in appello, sia pur per dimostrare il presupposto dell’invocata SCI;

– non nega il Collegio la natura perentoria del termine de quo qual espressione d’un precetto di ordine pubblico sostanziale, a presidio del contraddittorio e dell'ordinato lavoro del Giudice, dal che l’inutilizzabilità processuale delle memorie e dei documenti presentati tardivamente (cfr., per tutti, Cons. St., III, 13 settembre 2013 n. 4545;
id., V, 9 gennaio 2019 n. 194);

– detto limite, però, concerne i documenti formati prima del termine stesso e non anche quelli che, come nel caso in esame, son intervenuti dopo lo spirare di quest’ultimo e sono reputati dirimenti per la risoluzione della controversia, in tal caso soccorrendo la possibilità ex art. 54, co. 1, c.p.a. di dimostrare l'estrema difficoltà di produrre l'atto nei termini di legge, fermo restando che spetta al Giudice adito di trattenere tali documenti attinenti alla causa, ma salva la facoltà delle altre parti di chiedere termini a difesa per controdedurre (arg. ex Cons. st., VI, 18 luglio 2016 n. 3192), donde la manifesta infondatezza della censura e l’irrilevanza della produzione in appello;

– la dimostrazione dell’estrema difficoltà di produrre l’atto nei termini di legge non può dirsi sussistente poiché la parte aveva ottenuto due rinvii dell’udienza pubblica al fine di presentare detta istanza, poi non proposta entro quelle date;

– tal irrilevanza è pure sostanziale, all’uopo essendo utile rammentare il testo del medesimo art. 17, co. 3, I per., vigente quando fu proposta l’istanza e per il quale «… alla richiesta di permesso in sanatoria si applicano le procedure previste all'articolo 17 della L.R. n. 1/2004 …» (l.r. 18 febbraio 2004 n. 1), disposizione, quest’ultima, il cui co. 12 al tempo dell’istanza recitava «… decorso inutilmente il termine per l'adozione del provvedimento finale di cui al comma 8 (cumulando tutti i termini: max. 110 giorni - NDE) , sulla domanda… si intende formato il silenzio-rifiuto …»;

– pertanto, già in illo tempore s’era formato il silenzio-rifiuto ope legis , cioè non disponibile dalla P.A. procedente fuori da un espresso esercizio d’autotutela su tal istanza, donde, nel migliore dei casi, l’inutilità ai presenti fini (e indipendentemente dalle sorti dell’invocata improcedibilità) della riattivazione del procedimento accertativo di cui al preavviso di rigetto (cfr. la citata nota del 21 maggio u.s.), non indotta certo dall’ordinanza della Sezione n. 2180/2020 e, anzi, distonica rispetto alle eccezioni mosse dal Comune anche in questa sede;

– in ogni caso, neppure è vera la deduzione attorea per cui, al tempo, in giurisprudenza prevalesse l’orientamento, tipico invece delle procedure di condono edilizio, sull’inefficacia dell’ordinanza di demolizione e sulla contestuale improcedibilità del ricorso contro di esso per il sol fatto dell’istanza per accertamento di conformità, in quanto, sebbene in modo non del tutto lineare, fin dal 2007 (cfr. TAR Umbria, 26 gennaio 2007 n. 44) la relativa istanza sospendeva la sanzione ed impediva l'esecuzione coattiva dell'ordine di demolizione finché non fosse stato definito l’accertamento di conformità, senza così determinare l'improcedibilità dell'impugnazione proposta contro di essa (cfr. pure TAR Umbria, 1° agosto 2013 n. 405);

– coevo ai fatti di causa fu l’avviso della Sezione (cfr. Cons. St., VI, 9 aprile 2013 n. 1909), secondo il quale non v’è (e non v’è tuttora) alcuna disposizione di legge, tanto meno nel DPR 380/2001, per cui la presentazione della domanda per l’accertamento di conformità rendesse irrilevanti i pregressi ordini di demolizione e gli altri atti sanzionatori, a differenza di quanto accadde per il condono c.d. “ straordinario ” (poi approfondito in Cons. St., V, 4 agosto 2014 n. 4157;
id., VI, 2 febbraio 2015 n. 466), la giurisprudenza citata in appello afferendo piuttosto a fattispecie o di difformità parziale del fabbricato dal titolo (Cons. St., IV, 12 maggio 2010 n. 2844) o di condono edilizio ex l. 28 febbraio 1985 n. 47 (cfr. id., V, 31 ottobre 2012 n. 5553;
id., 24 aprile 2013 n. 2280), sicché non s’è giammai avuta l’improcedibilità del ricorso di primo grado;

Considerato altresì che:

– non convince ogni questione addotta da parte appellante in ordine alla datazione dell’abuso, tanto in sé, quanto per dimostrare l’affidamento incolpevole e la correlata necessità d’una motivazione rafforzata dell’ordinanza di demolizione sul punto;

– per un verso, infatti e fermo l’onere in capo al responsabile di fornire la seria prova sul tempo in cui fu realizzato il manufatto — ché solo questi ha la possibilità di fornire inconfutabili documenti o altri elementi probatori al riguardo (cfr., per tutti, Cons. St., IV, 29 maggio 2014 n. 2782;
id., VI, 25 novembre 2019 n. 8000)—, giustamente il TAR ha disatteso sia la “ ortofotocarta ” del 1967 che la “ aerofotogrammetria ” del 1977, per l’evidente loro inidoneità (o non intelligibilità) a fornire precisi dati tanto sulla collocazione, quanto sull’effettiva consistenza fin ab antiquo (o almeno prima del 1967) dei manufatti abusivi accertati nel 2012;

– per altro verso, tutto ciò esclude che tal documentazione potesse fondare un qualche affidamento qualificato e tutelabile, in capo a parte appellante, alla conservazione d’una situazione di fatto e del tutto abusiva che il tempo di per sé non può aver legittimato (giurisprudenza consolidata prima dei fatti di causa: cfr., per tutti, Cons. St., V, 11 gennaio 2011 n. 79;
id., 27 aprile 2011 nn. 2497 e 2526;
id., 27 agosto 2012 n. 4610;
id., IV, 28 dicembre 2012 n. 6702;
id., VI, 4 marzo 2013 n. 1268, 20 giugno 2013 n. 3367 e 4 ottobre 2013 n. 4907;
id., IV, 4 marzo 2014 n. 1016;
id., VI, 5 gennaio 2015 n. 13, per cui, ove s’annettesse rilievo al lungo tempo trascorso tra abuso e sanzione, sia pur al solo fine d’incidere sul quantum di motivazione richiesto alla P.A., si perverrebbe in via pretoria a delineare una sorta di “sanatoria extra ordinem ” la quale opererebbe anche ove l’interessato non abbia potuto, o voluto avvalersi delle disposizioni normative in tema di sanatoria di abusi edilizi;
id., V, 29 luglio 2016 n. 3435;
id., VI, 30 giugno 2017 n. 3210);

– quand’anche l’intervento repressivo comunale fosse intervenuto dopo un certo qual tempo dal commesso abuso, per l’onere motivazionale, gravante sulla P.A. nell’emanare l’atto stesso, basta la sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata, essendo nel qual caso del tutto congruo che l'ordine di demolizione si limiti a richiamare il comprovato carattere abusivo dell'intervento, senza che s’impongano sul punto ulteriori oneri comparativi di contrapposti interessi, applicabili piuttosto nel diverso ambito dell'autotutela decisoria (cfr. così Cons. St., VI, 5 settembre 2018 n. 5204);

– parte appellante non può inoltre venire contra factum proprium , giacché, ben lo dice il TAR, essa affermò o, comunque, documentò nelle tavole planimetriche annesse alla DIA del 23 luglio 2010, cioè assai dopo il tempo dal quale i manufatti sanzionati sarebbero dovuti esistere, l’insussistenza di questi ultimi e la collocazione dell’edificio, nella Tavola 1/P indicato qual « fabbricato “A” oggetto di intervento », al centro di un’area scoperta, contornata solo dalla preesistente recinzione;

– in definitiva, l’appello va rigettato nei sensi fin qui visti, giacché tutte le questioni testé vagliate esauriscono la vicenda sottoposta all’esame della Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c. e gli argomenti di doglianza non esaminati espressamente sono stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso;

– le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

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