Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-03-31, n. 202202364
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Testo completo
Pubblicato il 31/03/2022
N. 02364/2022REG.PROV.COLL.
N. 06633/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso NRG 6633/2015, proposto da G, E e T T, rappresentati e difesi dagli avv.ti M G P e G M, con domicilio eletto in Roma, via Ippolito Nievo n. 61,
contro
il Ministero per i beni culturali e ambientali (ora Ministero della cultura), in persona del Ministro
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi n. 12,
per la riforma
della sentenza del TAR Lazio, sez. II, n. 1527/2015, resa tra le parti e concernente l’imposizione del vincolo storico - artistico su un edificio (chiesa) sito in Piacenza;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero intimato;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 2 dicembre 2021 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti, l’avv. Picciano;
Ritenuto in fatto che:
– il sig. G Tosi dichiara d’esser usufruttuario (nudi proprietari pro indiviso essendone i suoi fratelli E e Tommaso) del compendio sito in Piacenza, cant. Sant'Apollonia, comunemente denominato Ex-Chiesa di Sant'Apollonia e distinto al CE al fg. 115, part. 625;
– trattasi d’una chiesolina d’origine medievale, costituita da un unico ambiente ad aula, con nicchie lungo le pareti e coperto con una volta a botte (il quale presenta una decorazione parietale del sec. XVII) e che fu sconsacrata nel sec. XIX, alienata a terzi e successivamente adibita a deposito, con vari adeguamenti nel tempo alle esigenze degli impianti produttivi e commerciali colà insediati, che ne alterarono alquanto la struttura;
– i sigg. Tosi, che avevano acquistato tal immobile all’inizio degli anni’90 del secolo scorso al fine di adibirlo ad attività terziarie, rendono noto che già nel 1992 il loro dante causa aveva chiesto al Comune di Piacenza una CE ed il n.o. alla competente Soprintendenza ABAP, senza scontare alcun vincolo gravante sull’edificio;
– i sigg. Tosi nel febbraio 1998 proposero a detto Comune una DIA per la sistemazione interna del compendio, intendendovi realizzare lavori simili a quelli autorizzati nel 1992 al loro dante causa;
– tuttavia, su segnalazione da parte del Comune stesso (16 giugno 1998), la Soprintendenza, in esito al sopralluogo in situ del 26 giugno 1998, con nota prot. 11783 del successivo 1° luglio dispose l’immediata sospensione dei lavori nell’edificio de quo , «… avendo ravvisato la necessità di predisporre la proposta di vincolo ex lege 1089/1939 da inoltrare al competente Ministero …»;
– dopo talune vicissitudini, tal proposta fu subito trasmessa al MIBAC, per l’inderogabile necessità di sottoporre a tutela tal immobile e la straordinaria urgenza del provvedere alla tutela di esso;
– con DM del 28 luglio 1998, il MIBAC ratificò la proposta di vincolo ex art. 15 della l. 1° giugno 1939 n. 1089, notificato ai sensi dei precedenti artt. 2 e 3 alle parti ed ai Comuni coinvolti;
Rilevato altresì che:
– avverso tali statuizioni insorsero i sigg. Tosi innanzi al TAR Lazio, col ricorso NRG 13894/1998, deducendo: a) la contraddizione tra l’impugnato decreto ed il fatto che la stessa Soprintendenza già nel 1992 aveva autorizzato l’esecuzione di lavori simili a quelli ideati dai ricorrenti;b) l’omesso avviso d’avvio del procedimento d’apposizione del vincolo (con particolar riguardo ai due nudi comproprietari, mai notiziati), nonché l’ingiustizia manifesta per la celere conclusione di siffatto procedimento (poco più di due settimane), tale da non consentire di fatto un’effettiva interlocuzione procedimentale;c) l’omessa precisa valutazione della concreta rilevanza storico-artistica di detto edificio ;d) l’illegittima e immotivata imposizione del vincolo all’intero edificio, anziché alle sole sue parti di pregio storico-artistico (pitture e decorazioni);
– l’adito TAR, con sentenza n. 1527 del 25 gennaio 2015, respinse la pretesa azionata, in quanto: A) per ferma giurisprudenza, per la dichiarazione d’interesse particolarmente importante d’un edificio lo stato di degrado ed abbandono in cui esso versa non precluse l'adozione del vincolo, essendo anzi indirizzata ad impedire un ulteriore danno al bene de quo ed a favorirne interventi di recupero;B) l’omessa integrazione del contraddittorio procedimentale a favore dei comproprietari fu imputabile pure all’usufruttuario che, in occasione del sopralluogo, trascurò di render nota l’esistenza di altri soggetti titolari di diritti reali sull’immobile e, in ogni caso e trattandosi d’un intervento assunto in via d’urgenza, non fu applicabile l’avviso ex art. 7 della l. 7 agosto 1990 n. 241 e fu giustificata la rapida conclusione del procedimento;C) le valutazioni sottese alla dichiarazione di interesse particolarmente importante d’un immobile ed all’apposizione del relativo vincolo costituirono apprezzamenti essenzialmente tecnici, con cui la PA manifestò l’esercizio della propria funzione di tutela del patrimonio storico-artistico, sindacabile in questa sede di legittimità solo in presenza di oggettivi aspetti d’incongruenza ed illogicità (nella specie non ravvisabili), tali da far emergere l'inattendibilità o l'irrazionalità della valutazione svolta;
– appellarono perciò i germani Tosi, col ricorso in epigrafe, deducendo l’erroneità dell’impugnata sentenza per: 1) non aver colto la sostanza del I motivo, ossia l’affidamento ingenerato dal n.o. del 1992 per un intervento di fatto identico all’attuale;2) l’assenza d’ogni obbligo dell’usufruttuario di notiziare i nudi proprietari sul procedimento di vincolo e l’assenza d’ogni urgenza al riguardo, dal che la possibilità d’interlocuzione con questi ultimi;3) l’omessa valutazione specifica, al di là della mera descrizione del bene, del rilievo storico-artistico di esso e l’assenza della proporzionalità del vincolo, abusando dei limiti della discrezionalità tecnica;
– resiste in giudizio il Ministero intimato, concludendo per l’infondatezza dell’appello;
Considerato in diritto che:
– come dichiara il Ministero appellato, i lavori compiuti dagli appellanti, in base alla DIA del 1998, furono ben diversi da quelli proposti nel 1992 dal loro dante causa;
– in particolare, i lavori attorei del 1998 modificarono in senso sostanziale le caratteristiche spaziali e planimetriche dell’edificio, mercé la realizzazione d’un solaio in latero-cemento al posto di quello ligneo precedente e la proposizione d’un impianto distributivo che trasformò la planimetria di chiesa “ ad aula ”, oltre ad eliminare del tutto gli intonaci al p.t. e, quindi, anche le possibili tracce di decorazioni presenti;
– appunto per questo fu ben giustificata l’urgenza (ex art. 14, II co. dell’allora vigente l. 1089/1939) della Soprintendenza a provvedere immediatamente alla dichiarazione di notevole interesse sul bene, pure al fine di non comprometterlo o degradarlo ulteriormente, con una valutazione tecnico-discrezionale che s’appalesa commisurata all’abnormità dell’intervento edilizio sul bene stesso ed al troppo lungo tempo trascorso senza un efficace controllo sulla congruenza tra l’uso commerciale e le esigenze di conservazione;
– invero, la tutela storico-artistica protegge non un'opera dell'ingegno dell'autore, ma un'oggettiva testimonianza materiale di civiltà che, nella sua consistenza effettiva e attuale, ben può risultare da interventi successivi e sedimentati nel tempo, tali da dar luogo a un manufatto storicamente complesso e comunque diverso da quello originario (cfr. Cons. St., VI, 2 novembre 2007 n. 5662;id., 14 ottobre 2015 n. 4747) e ciò vale, almeno allo stesso grado, anche per quei manufatti, pur se minuti o d’importanza solo locale, che abbiano subito, nel tempo, varie alterazioni rispetto alla loro originaria configurazione e destinazione d’uso e che, proprio per arginarne il degrado e la fattuale distruzione per effetto di usi incongrui, meritano l’immediata loro messa in sicurezza;
– non giova agli appellanti predicare una sorta di loro affidamento incolpevole, sol perché il loro intervento sarebbe stato simile a quello oggetto del n.o. del 1992, poiché quello del 1998 fu diverso per ampiezza e tipo di materiale (laterizi e cemento) dal precedente (soppalco leggero);
– infatti, nel 1992 era stata prevista la sostituzione del solaio ligneo con una struttura leggera e reversibile tipo soppalco, autoportante, staccata dalle pareti perimetrali e aperta nella zona centrale per l’inserimento della scala, consentendo, quindi, la percezione unitaria dell’ambiente, nonché il restauro della decorazione pittorica della volta e l’esecuzione di indagini conoscitive sulle pareti del p.t., per accertare la presenza di decorazioni nascoste sotto gli intonaci e i tinteggi più recenti;
– per contro, l’intervento del 1998 fu ben più impattante sul bene, tanto da implicare una lunga interlocuzione con la proprietà ed i soggetti attuatori, peraltro mai tenuta in considerazione da tutti costoro, in ordine alla necessità di predisporre un progetto di restauro conservativo dell’edificio ed una documentazione fotografica sullo stato dei luoghi, affinché le decorazioni pittoriche esistenti non subissero ulteriori danni irreversibili;
– pertanto ed a fronte d’un tale interesse pubblico conservativo ictu oculi tutt’altro che infondato o emulativo, nonché prontamente rappresentato, non si configurò in capo agli appellanti una qualche consolidazione di loro pregresse situazioni giuridiche di vantaggio o pretesa, né un affidamento alla prevedibilità dell’azione amministrativa, tali, quindi, da imporre alla Soprintendenza la replica mera del n.o. del 1992, le gravi novità della situazione del 1998 suggerendo invece una diversa volizione da parte di quella P.A. per la tutela del bene;
– neppure convince la tesi per cui detta P.A. avrebbe dovuto dar contezza della somma urgenza ai sensi dell’art. 21-octies, co. 2, I per. della l. 241/1990, visto che, come confessano gli appellanti, già il 2 luglio 1998 il soppalco (peraltro abusivo, essendo una ristrutturazione edilizia con modifica di superficie utile-SU e con cambio di destinazione d’uso, quindi non deducibile in mera DIA) e le altre opere erano state finite, sicché non v’era più alcuna necessità dell’avviso d’avvio di cui al precedente art. 7, né una preclusione al provvedimento d’urgenza ex art. 14, II co. della legge 1089;
Considerato altresì che:
– è da rigettare pure la tesi attorea sull’assenza di obblighi dell’usufruttuario di notiziare detta P.A. sull’esistenza di altri titolari di diritti reali sul bene e i nudi proprietari sul procedimento di vincolo in corso, giacché, per un verso e trattandosi d’un procedimento (sia pur d’urgenza) già instaurato, in capo all’usufruttuario sussistevano obblighi di buona fede in termini di completa informazione e di
non pretermissione delle ragioni legittime della P.A. procedente e, per l’altro, l’usufruttuario era stato direttamente avvertito del procedimento stesso e, quindi, era tenuto, per l’art. 1001, II co., c.c. e con la diligenza del buon padre di famiglia ex art. 1176, a darne immediata notizia ad entrambi i nudi proprietari (cfr. Cass., sez. un., 14 febbraio 1995 n. 1571), in quanto si trattò d’un intervento autoritativo che avrebbe modificato (come in effetti lo modificò) lo stato giuridico del bene oggetto d’usufrutto;
– parimenti infondata è la tesi degli appellanti sull’omessa valutazione specifica del rilievo storico-artistico del bene e sull’assenza della proporzionalità del vincolo, in quanto, sul primo aspetto, anche gli appellanti son costretti a convenire sul pregio artistico delle decorazioni della volta e della nicchia intatta quantunque tal pregio non possa esser disgiunto secondo ragionevolezza dal contesto architettonico del bene vincolato (secondo la descrizione storico-artistica resa) e, sul secondo, le dimensioni e l’uso incongruo dell’ambiente della chiesa rendono ragionevolmente necessaria una tutela contestuale del bene in sé e del suo contenuto artistico e architettonico, non essendo possibile una tutela parziale dell’uno anziché dell’altro, senza di fatto ricreare le stesse condizioni incongrue cui il vincolo intese rimediare;
– l’appello va così respinto e le spese del presente grado di giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e son liquidate in dispositivo.