Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-07-11, n. 201403568

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-07-11, n. 201403568
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201403568
Data del deposito : 11 luglio 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03893/2003 REG.RIC.

N. 03568/2014REG.PROV.COLL.

N. 03893/2003 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3893 del 2003, proposto dai signori V C, A G e A G, rappresentati e difesi dagli avv. M D F e G P, con domicilio eletto presso lo studio del secondo, in Roma, viale Giulio Cesare, n. 14 Sc A/4;

contro

Comune di Levico Terme, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
Assessore delegato all'Urbanistica del Comune di Levico Terme pro tempore, non costituito in giudizio;
Giunta della Provincia Autonoma di Trento, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. G V, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Gioacchino Rossini, n. 18;

per la riforma

della sentenza del T.R.G.A. del Trentino Alto Adige, sede di Trento n. 166/2002, resa tra le parti, concernente una ordinanza di riduzione in pristino e un diniego di concessione edilizia in deroga;


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Provincia Autonoma di Trento;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 marzo 2014 il Cons. A A e uditi per le parti l’avvocato G P e l’avvocato Alberto Colitti, su delega dell'avvocato G V;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

I.- Con l’ordinanza n. 38 del 10 aprile 2001, l’Assessore delegato all’Urbanistica del Comune di Levico Terme, visto il verbale del 30 marzo 2001 con il quale era stato accertato il compimento in località Narorè del Comune di una serie di abusi edilizi “verso la fine degli anni ‘70” sulla p.f. 1428/1 da parte del signor G A (di cui alle lettere da A ad F, ricoveri per animali e tettoie), nonché negli anni “‘92-‘93” sulle p.f. 1427 e p.f. 1428/1 (di cui alle lettere G, legnaia, ed H, pollaio), ne ha ingiunto il ripristino ai signori Gianfranco A, Giuseppe A e Costantina Vettorazzi.

II.- Con ricorso al T.R.G.A. del Trentino Alto Adige, sede di Trento, n. 224/2001, i suddetti intimati hanno chiesto l’annullamento di detta ordinanza.

III.- I proprietari sopra citati hanno poi presentato al Comune di Levico Terme una domanda di concessione in sanatoria in deroga a sensi dell’art. 104 della legge provinciale n. 22 del 1991, ma la domanda è stata respinta con il provvedimento n. 12533 del 27 agosto 2001.

IV.- Con il successivo ricorso al citato T.R.G.A. n. 303/2001, i proprietari hanno chiesto l’annullamento anche del provvedimento n. 12533 del 2001, nonché della delibera n. 1927 del 27 luglio 2001 della Giunta Provinciale di Trento (costituente il Testo Unico delle disposizioni attuative dell’art. 104 della l.p. n. 22/1991) e, per quanto occorrer possa, delle deliberazioni della medesima Giunta n. 12469 del 21 settembre 1992, n. 15021 del 25 novembre 1994, n. 10524 del 22 settembre 1995, n. 4027 del 4 aprile 1996, n. 1008 del 6 febbraio 1998 (sostitutiva della deliberazione n. 12469/92), n. 6722 del 12 giugno 1998, n. 7101 del 29 ottobre 1999 e n. 684 del 30 marzo 2001, tutte modificative della deliberazione n. 1008 del 6 febbraio 1998.

V.- Il T.R.G.A., con la sentenza in epigrafe indicata, riuniti i citati ricorsi, li ha respinti.

VI.- Con il ricorso in appello in esame, i proprietari dei beni hanno chiesto l’annullamento o la riforma di detta sentenza, deducendo, a sostegno del gravame, i seguenti motivi:

a)- con riferimento all’ordinanza n. 38, n. 5662 del 10 aprile 2001: assoluta carenza e insufficienza di motivazione, violazione dei principi dell’affidamento e dell’obbligo della comparazione dell’interesse pubblico e privato in rapporto al lungo lasso di tempo trascorso e conseguente eccesso di potere, perché il provvedimento impugnato non conterrebbe alcuna motivazione circa la comparazione tra interesse pubblico alla sua adozione e quello del privato, in capo al quale si era formato un affidamento;

b) - in relazione agli ulteriori provvedimenti impugnati: la violazione di legge con riferimento all’art. 104 della l.p. n. 22 del 1991, come modificato dall’art. 65 della l.p. n. 10 del 1998, in relazione a tutte le deliberazioni della Giunta provinciale che hanno provveduto, a mente di detto articolo, ad individuare le opere qualificate di interesse pubblico ai fini dell’esercizio del potere di deroga;
erronea interpretazione ed applicazione dei cennati atti regolamentari, illogicità ed ingiustizia manifesta, in quanto la elencazione delle opere di interesse pubblico contenuta, ai fini dell’esercizio del potere di deroga, nell’allegato 1 alla deliberazione n. 1927 del 27 luglio 2001 della Giunta Provinciale di Trento (costituente il Testo Unico delle disposizioni attuative dell’art. 104 della L.P. 22/1991) non potrebbe considerarsi come tassativa, ma di ‘mera guida’ per le Amministrazioni comunali ai fini dell’esercizio di detto potere;

c) carenza e, in ogni caso, insufficienza di motivazione, illogicità, erronea valutazione della realtà economica e produttiva provinciale, ingiustizia manifesta: in subordine, le deliberazioni della Giunta della Provincia Autonoma di Trento, che hanno individuato le opere possibili oggetto di deroga, sarebbero affette da insufficiente motivazione, non essendo evincibile il criterio posto a base delle effettuate scelte.

Inoltre non condivisibile sarebbe l’affermazione del primo giudice secondo cui detta deliberazione della Giunta provinciale costituiva un atto di natura normativa generale ed erroneamente non sarebbe stato ritenuto sussistente il vizio di erronea valutazione della realtà economica della zona e di ingiustizia manifesta.

VII.- Con atto depositato in giudizio il 17 giugno 2003, si è costituita in giudizio la Provincia Autonoma di Trento, che ha chiesto che l’appello sia dichiarato irricevibile o inammissibile, ovvero che sia respinto perché infondato.

VIII.- Con atto depositato l’8 novembre 2008, si è costituito un nuovo difensore in sostituzione dell’avv. E R, nelle more deceduto.

IX.- Con memoria depositata il 6 febbraio 2014, gli appellanti hanno sostanzialmente ribadito le loro tesi e richieste, evidenziando che, a seguito della entrata in vigore dell’art. 112 della l.p. n. 1 del 2008, sono state incluse tra le opere di interesse pubblico per le quali è concesso il potere di deroga anche le imprese agricole con determinate caratteristiche, il che comproverebbe la fondatezza delle osservazioni contenute nell’atto di appello circa la rilevanza di questa attività nella realtà economica locale.

X.- Con memoria depositata il 6 febbraio 2014, la Provincia ha dedotto la infondatezza di tutti i motivi posti a base dell’appello, concludendo per la reiezione.

XI.- Con memoria depositata il 6 febbraio 2014, i difensori degli appellanti hanno chiesto il differimento dell’udienza, essendo in fase di redazione progetti da allegare ad una nuova istanza di sanatoria da presentare

XII.- Alla pubblica udienza dell’11 marzo 2014 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti, come da verbale di causa agli atti del giudizio.

XIII. Premesso che la risalenza del giudizio e la fissazione dell’udienza di discussione rendono inaccoglibile l’istanza di differimento della definizione del giudizio, ritiene la Sezione che l’appello è infondato.

XIV.- Con il primo motivo di gravame, con riferimento all’ordinanza di riduzione in pristino n. 38, prot. n. 5662 del 10 aprile 2001 dell’Assessore delegato all’Urbanistica del Comune di Levico Terme, è stato dedotto che le misure sanzionatorie di abusi edilizi, anche se costituiscono atti dovuti ad applicazione vincolata, necessiterebbero di motivazione, mediante valutazione comparativa degli interessi pubblici e privati configgenti, allorché il lungo tempo trascorso tra la realizzazione dell'opera abusiva e l’adozione della misura repressiva abbia ingenerato affidamento in capo al trasgressore.

Nel caso di specie il provvedimento impugnato non conterrebbe alcuna motivazione circa detta comparazione, nonostante che, con riferimento alle opere di cui trattasi, realizzate da lunghissimo tempo, si fosse formato affidamento dei privati che ivi esercitano la propria attività economica.

La legge provinciale di Trento n. 22/1991 e successive modificazioni, all’art. 121, dispone che le costruzioni abusive realizzate prima del 30 gennaio 1977 sono assoggettate alla disciplina di cui alla l. n. 765/1967.

Poiché le opere di cui ai punti A, B ed H del provvedimento sanzionatorio, che il Comune ha ritenuto fossero assoggettate a concessione edilizia, erano state realizzate prima di detta data del 30 gennaio 1977, la tesi del T.A.R. che non sussisteva necessità di motivazione in ragione del tempo trascorso sarebbe incondivisibile.

Solo la qualificazione del provvedimento impugnato quale mera diffida avrebbe potuto eludere l’obbligo motivazionale, ma se ad esso andasse riconosciuta la natura di ordine di demolizione esso sicuramente sussisteva;
con riguardo alle altre opere indicate in detto provvedimento e considerate come soggette ad autorizzazione a maggior ragione sussisteva l’obbligo di motivazione, atteso che per esse il legislatore provinciale ha previsto la demolizione solo in ipotesi di conflitto con rilevanti interessi urbanistici.

Se poi agli abusi consumati nell’anno 1970 fosse applicabile la disciplina urbanistica attualmente vigente, non vi sarebbe alcun dubbio sulla sussistenza dell’obbligo motivazionale, atteso che alla mancata esecuzione dell’ingiunzione di demolizione consegue l’acquisizione del bene.

XIV.1.- La Sezione osserva al riguardo che con l’impugnato provvedimento n. 38/2001 l’Assessore delegato all’Urbanistica del Comune di Levico Terme, visto il verbale del 30 marzo 2001 con il quale era stato accertato il compimento in località Narorè del Comune di una serie di abusi edilizi “verso al fine degli anni ‘70” sulla p.f. 1428/1 dal signor G A, nonché sulle p.f. 1427 e p.f. 1428/1 negli anni “‘92-’93, ne ha ingiunto la demolizione entro 90 giorni, visti altresì: il Piano Urbanistico Provinciale, il Piano Regolatore Generale, il Regolamento Edilizio Comunale, la l. n. 10/1977 e s.m. ed integrazioni, nonché la l.p. n. 22/1991 e s.m. ed integrazioni.

Con riguardo alla motivazione dei provvedimenti di ingiunzione di demolizione di opere edilizie, va rilevato che, di norma, non è necessaria una specifica motivazione (oltre alla descrizione dell'abuso commesso ed alla sua identificazione oggettiva) che dia conto anche della valutazione delle ragioni di interesse pubblico alla demolizione o della comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, senza che sussista alcuna violazione dell'art. 3, l. n. 241 del 1990.

Ricorrendo tali circostanze, l’amministrazione deve senza indugio emanare l’ordine di demolizione per il solo fatto di aver riscontrato opere abusive.

In altri termini, il provvedimento deve intendersi sufficientemente motivato con l'affermazione dell'accertata abusività dell'opera, essendo “in re ipsa” l'interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 31 agosto 2010, n. 3955).

Anche qualora intercorra un lungo periodo di tempo tra la realizzazione dell'opera abusiva ed il provvedimento sanzionatorio, tale circostanza non rileva ai fini della legittimità di quest'ultimo, sia in rapporto al preteso affidamento circa la legittimità dell'opera che il protrarsi del comportamento inerte del comune avrebbe ingenerato nel responsabile dell'abuso edilizio, sia in relazione ad un ipotizzato ulteriore obbligo, per l'amministrazione procedente, di motivare specificamente il provvedimento in ordine alla sussistenza dell'interesse pubblico attuale a far demolire il manufatto, poiché la lunga durata nel tempo dell'opera priva del necessario titolo edilizio ne rafforza il carattere abusivo (trattandosi di illecito permanente) che il tempo non può legittimare in via di fatto (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV. 29 aprile 2014, n. 2228), il che preserva il potere-dovere dell'amministrazione di intervenire nell'esercizio dei suoi poteri sanzionatori, vista l'inesauribilità del potere amministrativo di vigilanza e controllo in tale materia (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 23 dicembre 2013, n. 6197).

Da un lato, quando è realizzato un abuso edilizio non è radicalmente prospettabile un legittimo affidamento: va ravvisata, al contrario, una illegittima condotta (dolosa, in quanto volontariamente si è costruita l’opera abusiva).

Dall’altro, il proprietario non si può di certo dolere del ritardo con cui l’amministrazione – a causa del mancato accertamento dell’abuso o per connivenza degli organi pubblici pro tempore – abbia emanato il provvedimento che la legge impone di emanare immediatamente.

A fronte di un abuso edilizio che arreca un "vulnus" all'assetto del territorio, non può, invero, opporsi alcuna valutazione discrezionale con riguardo alla ingiunzione di demolizione, in quanto il giudizio di antigiuridicità dell'operato è già complessivamente contenuto nella legge, sicché non vi è ragione di una specifica motivazione sulla preminenza dell'interesse pubblico e, ancor meno, su una dovuta ponderazione tra interessi pubblici e privati coinvolti.

La repressione degli abusi edilizi costituisce infatti un atto dovuto per l'amministrazione, la quale non gode di alcuna discrezionalità al riguardo, posto che il giudizio di antigiuridicità é già contenuto nella legge e non v'é di conseguenza ragione di una specifica motivazione sulla preminenza dell'interesse pubblico.

Né si può affermare che l’inerzia o la connivenza degli organi pubblici possano comportare una sostanziale sanatoria, che la legge invece disciplina solo in casi tassativi, o con leggi straordinarie sul condono o con la normativa sull’accertamento di conformità.

Quanto a tutte le ulteriori censure contenute nel motivo in esame e in particolare quelle relative alla applicabilità della l. n. 765 del 1977 in base all’art. 121 della l.p. n. 22/1991 e della sanzione della demolizione ad opere per le quali è previsto il rilascio di autorizzazione, va rilevato che esse sono state formulate, con riguardo alla impugnazione di detta ordinanza n. 38 del 2001, per la prima volta in appello (essendo basato il ricorso introduttivo del giudizio solo sulla necessità di motivazione del provvedimento di demolizione adottato dopo lungo tempo dalla commissione dell’abuso), sicché sono da considerare inammissibili ai sensi dell’art. 104, comma 1 del c.p.a. ed ancor prima dell'art. 345 c.p.c. (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 15 giugno 2011, n. 3642).

XV.- In relazione agli ulteriori provvedimenti impugnati e, in particolare, con riguardo all’allegato 1 della deliberazione n. 1927 del 27 luglio 2001 della Giunta Provinciale di Trento (costituente il Testo Unico delle disposizioni attuative dell’art. 104 della l.p. n. 22 del 1991), laddove si indicano le opere di interesse pubblico ai fini dell’esercizio del potere di deroga, deducono gli appellanti che la elencazione ivi contenuta dovrebbe considerarsi come non tassativa, ma di mera guida per le Amministrazioni comunali ai fini dell’esercizio del potere di deroga previsto dalla legge provinciale e dallo strumento urbanistico in vigore.

Al punto B) dell’allegato 1 si fa cenno a complessi industriali, artigianali con processo lavorativo di tipo industriale aventi rilevanza per la realtà economica locale, ad istituti di credito ed a cooperative per la conservazione, trasformazione e vendita di prodotti alimentari ed agricoli locali aventi rilevanza nella realtà economica locale.

L’azienda dei ricorrenti ha sicuramente rilevanza nella realtà economica locale e quindi, nella “dimensione della non tassatività” di detta indicazione andrebbe valutata la assimilabilità o la sostanziale omogeneità di essa azienda rispetto a quelle indicate in detto allegato, essendo, per il numero di capi bovini posseduto, assimilabile ad un complesso artigiano.

D’altro canto la dizione contenuta in detto allegato sarebbe stata volutamente generica per consentire all’operatore ed all’interprete una valutazione attenta del singole aziende e la loro riconducibilità all’amplissima dizione astratta.

Del resto se i fratelli A avessero costituito una cooperativa avrebbero potuto godere della deroga prevista da detta disposizione, il che sarebbe illogico.

Erroneamente quindi dette disposizioni sarebbero state interpretate dall’autorità comunale come tassative e non è stata sussunta la fattispecie che occupa fra quelle ivi previste.

Il T.A.R. a sua volta non avrebbe colto la “ratio” del deliberazioni provinciali, ritenendo la elencazione ivi contenuta come tassativa ed escludendo che tra i complessi artigianali ivi menzionati fossero inseribili anche i complessi come quello degli appellanti di produzione agricola montana e di allevamento, nonostante il possesso un rilevante numero di capi e dotazione di infrastrutture avanzate.

XV.1.- Osserva al riguardo il Collegio che l’impugnato provvedimento n. 12533 del 27 agosto 2001 ha respinto la domanda di concessione edilizia in sanatoria in deroga del 31.7.2001 dei proprietari di cui trattasi, visto il parere negativo della Commissione edilizia, secondo il quale l’intervento realizzato non appariva conforme agli strumenti urbanistici in vigore, nell’assunto che le aziende agricole non rientravano tra le opere e interventi classificati di interesse pubblico ai fini dell’esercizio dei poteri di deroga come definiti dalla deliberazione della G.P. n. 1927 del 27 luglio 2001 emanata in attuazione dell’art. 104 della l.p. n. 22 del 1991.

L’allegato 1 di tale deliberazione così individuava le opere e gli edifici di interesse pubblico ai fini dell’esercizio del potere di deroga: A) Destinati ad attività turistico sportive (riqualificazione di esercizi alberghieri, rifugi alpini, impianti di risalita e servizi nei complessi ricettivi);
B) Destinati ad attività economiche di interesse generale (Complessi industriali, complessi artigianali con processo lavorativo di tipo industriale ed un consistente numero di dipendenti, istituti di credito, cooperative per la conservazione, trasformazione e vendita di prodotti agricoli locali;
tutti aventi rilevanza nella realtà economica locale);
C) Destinati ad attività culturali;
D) Di carattere sociale, assistenziale o religioso;
E) Nei settori del trasporto pubblico, sicurezza pubblica, sanità ed igiene;
F) Opere di infrastrutturazione e urbanizzazione;
G) Opere ed impianti necessari per l’eliminazione delle barriere architettoniche;
H) Opere ed impianti destinati allo svolgimento di attività fieristiche.

Tanto premesso in fatto, il Collegio osserva che i provvedimenti di deroga a norme di carattere generale vanno considerati di carattere eccezionale e quindi non ne è consentita una interpretazione estensiva.

Infatti la deroga alla norma generale, avendo carattere eccezionale, non è applicabile per analogia al di fuori dei casi per essa testualmente contemplati (Consiglio di Stato, sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3149).

Ciò comporta l’infondatezza della tesi degli appellanti secondo cui la elencazione contenuta in tale allegato, in cui non sono esplicitamente indicate le aziende agricole come quella degli appellanti, potesse considerarsi come non tassativa, ma di ‘mera guida’ per le Amministrazioni comunali.

XVI.- E’ stato ulteriormente dedotto, in subordine, dalle parti appellanti - con riferimento alle deliberazioni della Giunta della Provincia Autonoma di Trento che hanno individuato le opere possibili oggetto di deroga (di cui esse parti avrebbero avuto notizia solo all’atto della notifica del provvedimento di diniego della concessione di sanatoria e in deroga, e comunque essendo sorto l’interesse al ricorso avverso le stesse solo all’atto del diniego ed essendo in ogni caso il gravame tempestivo con riguardo alla deliberazione n. 1927 del 27 luglio 2001) - che esse sarebbero affette da insufficienza motivazionale, non essendo evincibile il criterio posto a base delle effettuate scelte in merito alle aziende suscettibili di deroga, laddove ha ritenuto essa applicabile alle aziende artigiane e non a quelle agricole, nonché alle cooperative agricole e non alle aziende agricole, pur avendo queste rilevanza economico sociale nella Provincia di Trento.

Se nella definizione di attività artigianale non potesse essere compresa anche quella di allevamento del bestiame e di prima trasformazione dei prodotti agricoli, la determinazione di indicazione dei soggetti giuridici suscettibili di ottenere la deroga in questione, oltre che immotivata, sarebbe da ritenere anche illogica, manifestamente ingiusta e affetta da mancata valutazione della realtà economica di detta Provincia, non potendo una officina meccanica essere considerata di interesse pubblico ai fini dell’esercizio dei poteri di deroga e non una azienda agricola come quella di specie.

La sentenza impugnata non avrebbe attentamente valutato il contenuto della deliberazione provinciale n. 1927 del 2001, essendo ivi affermato solo che essa prevede la deroga per opere pubbliche o di interesse pubblico, mentre il provvedimento era entrato in una fase di maggior dettaglio, elencando le aziende suscettibili di deroga con scelta oggetto delle precedenti censure.

Comunque, non solo sarebbe errata l’affermazione contenuta in sentenza secondo cui nel Trentino vi sarebbero vastissime aree destinate all’agricoltura, ma il vero tema della questione sarebbe stato costituito dalla discriminazione effettuata illogicamente tra varie tipologie di azienda.

Non condivisibile sarebbe l’affermazione secondo cui la deliberazione della Giunta provinciale sarebbe un atto di natura normativa generale, essendo state con essa individuate le varie tipologie di costruzioni e aziende suscettibili di deroga, con conseguente carenza di motivazione con riguardo alla inclusione di alcune ed alla esclusione di altre.

Erroneamente sarebbe stato ritenuto insussistente il vizio di erronea valutazione della realtà economica della zona e di ingiustizia manifesta, con la inaccettabile conseguenza che sarebbe possibile ritenere suscettibile di deroga un caseificio e non la azienda degli attuali appellanti.

XVI.1.- Osserva la Sezione che, ai sensi dell'art. 3, comma 2, della l. n. 241 del 1990, la motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli di contenuto generale (tranne i casi individuati dalla giurisprudenza, nei quali è esigibile una specifica motivazione in ragione della immediata e diretta incidenza su specifiche posizioni giuridiche), sicché l'onere di motivazione gravante sull'Amministrazione in sede di adozione degli stessi risulta soddisfatto con l'indicazione dei profili generali e dei criteri che sorreggono le scelte predette, senza necessità di una motivazione puntuale.

Nel caso in esame, a detta deliberazione era riconoscibile una portata generale e indivisibile, non potendo essa assimilarsi agli atti plurimi e divisibili, con insussistenza dell’obbligo di puntuale motivazione della scelta effettuata.

Quanto alla lamentata illogicità del criterio di individuazione delle parti ammesse alla deroga, alla erroneità della valutazione dei presupposti ed alla ingiustizia del criterio stesso, osserva la Sezione che, con riguardo ai provvedimenti, come quello di specie, a contenuto generale, l'Amministrazione ha una ampia discrezionalità per quanto attiene le scelte di carattere generale, le quali costituiscono apprezzamenti di merito, sottratti al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiati da errori di fatto o da abnormi illogicità.

Invero nel caso di specie, quanto alle opere oggetto di deroga individuate con la citata deliberazione della G.P. n. 1927 del 2001, le scelte effettuate appaiono coerenti con le indicazioni contenute nell’art. 104 della l.r. n. 22 del 1991, di cui essa costituisce attuazione per l’esercizio del potere di deroga. Esse, infatti, con riferimento ai criteri da seguire nell’individuazione delle opere di interesse pubblico ai fini della deroga, sono state individuate con detta deliberazione in quelle che, indipendentemente dalla qualità dei soggetti che le realizzano, sono destinate “ a soddisfare finalità di carattere generale. L’interesse pubblico richiesto ai fini della deroga non può, ovviamente,essere inteso nel senso di interesse collettivo o generale, bensì deve riguardare uno specifico interesse qualificato dalla sua rispondenza o concorrenza ai fini perseguiti dalla amministrazione pubblica ”. Prosegue la deliberazione specificando che l’esercizio della discrezionalità del potere di deroga non può spingersi al punto di consentire ad intere categorie di attività di essere esentate dal rispetto delle regole della pianificazione urbanistica, sicché non può essere assunto ogni interesse pubblico (carenza di alloggi, contenimento della disoccupazione, interesse turistico) per disattendere i limiti urbanistici (dovendosi procedere in base al metodo programmatorio ed ai principi del giusto procedimento posti a base della pianificazione e che garantiscono la molteplicità degli interessi al fine di correlarli per garantire un equilibrato sviluppo territoriale) in quanto i criteri verrebbero così incrinati per venire incontro ad esigenze episodiche.

E’ stato in particolare previsto con il citato provvedimento che, per gli edifici e le opere destinati ad attività turistico sportive, la deroga possa essere rilasciata solo a condizione che l’intervento sia destinato ad una riqualificazione dei servizi.

Le opere individuate nell’allegato 1 alla deliberazione n. 1927 del 2001 sono da ritenere quindi, secondo la Sezione, sicuramente di interesse pubblico, sia perché volte al perseguimento di interessi pubblici, sia per essere al servizio della collettività dei cittadini e sia per essere finalizzate ad incrementare la vocazione turistica della Provincia.

In particolare, con riferimento alle opere destinate ad attività artigianale con lavorazioni di tipo industriale, agli istituti di credito e alle cooperative di conservazione, trasformazione e commercializzazione di prodotti alimentari o agricoli locali, va rilevato che, accanto ad interessi sicuramente privati, le attività in questione perseguono anche finalità di tipo pubblico di riqualificazione dei servizi, come, rispettivamente, l’incremento della attività artigianale di tipo industriale che può comportare lo sviluppo di aree di lavoro suscettibili di creare aumento dell’indotto del turismo e dell’occupazione, la offerta di maggiori servizi alle comunità locali e ai turisti e l’incremento della vendita di specialità locali da parte di cooperative non caratterizzate da precipuo fine speculativo, con sviluppo economico della collettività interessata.

Al contrario l’allevamento di bovini effettuato negli immobili di cui trattasi risulta destinato al perseguimento di interessi soprattutto privati e solo molto indirettamente a rivestire valenza sociale, nei sensi prospettati dagli appellanti, con non manifesta infondatezza della scelta di non includere le opere da essi realizzate tra quelle oggetto della deroga di cui trattasi.

XVII.- L’appello deve essere conclusivamente respinto e deve essere confermata la sentenza di primo grado.

XVIII.- Nella complessità e parziale novità delle questioni trattate il collegio ravvisa eccezionali ragioni per compensare, ai sensi degli artt. 26, comma 1, del c.p.a. e 92, comma 2, del c.p.c., le spese del presente grado di giudizio.

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