Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2014-05-30, n. 201402814

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2014-05-30, n. 201402814
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201402814
Data del deposito : 30 maggio 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 07682/2009 REG.RIC.

N. 02814/2014REG.PROV.COLL.

N. 07682/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7682 del 2009, proposto da:
S Fore e Rovati Luigina, rappresentati e difesi dagli avv. G P, G B, con domicilio eletto presso G P in Roma, viale Giulio Cesare n.14;

contro

Comune di Nuvolento;
Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali, Soprintendenza Per i Beni Architettonici e Paesaggistici della Provincia di Brescia, Cremona e Mantova, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura gen dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - SEZ. STACCATA DI BRESCIA: SEZIONE I n. 01200/2009, resa tra le parti, concernente diniego condono edilizio-parere negativo Soprintendenza


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero per i Beni e Le Attivita' Culturali e di Soprintendenza Per i Beni Architettonici e Paesaggistici della Provincia di Brescia, Cremona e Mantova;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 novembre 2013 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati dello Stato Paolo Marchini e Pafundi.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con l’appello in esame, i signori Fiore Sgotti e Luigina Rovati impugnano la sentenza 9 giugno 2009 n. 1200, con la quale il TAR per la Lombardia, sez. I della sede di Brescia, ha rigettato il ricorso da loro proposto avverso il diniego definitivo del rilascio di concessione in sanatoria (cd. condono edilizio), a causa del parere negativo espresso dalla Soprintendenza competente (provvedimento del Responsabile dell’Ufficio tecnico del Comune di Nuvolento 28 settembre 2007 n. 7321).

La controversia riguarda il diniego di condono edilizio – fondato esclusivamente sul parere negativo della competente Soprintendenza ai beni architettonici – per la realizzazione di due manufatti, costituiti da “un portico sorretto da pilastri in corrispondenza con un collegamento carraio” e da “un ulteriore portico con pollaio realizzato lungo il muro di pietrame che separa due broli” (orti interni).

Tali manufatti sarebbero stati realizzati nel corso del 1990, mentre il vincolo “diretto”, di carattere storico-architettonico, interessante il compendio “ex Monastero dell’Arsana” sito nel Comune di Nuvolento (nel cui ambito i manufatti sono stati realizzati), è stato imposto nel 1994.

La sentenza impugnata afferma, in particolare:

- sia la ininfluenza della imposizione successiva del vincolo, stante la persistente abusività del manufatto realizzato al momento della sua apposizione;

- sia la coerenza del parere assunto dalla Soprintendenza con il vincolo imposto e le sue prescrizioni, dato che lo stesso consente solo attività di mero restauro.

Avverso tale decisione vengono proposti i seguenti motivi di appello:

a) violazione o errata interpretazione della legge (art. 32 l. n. 47/1985;
art. 32,co. 27, d.l. n. 269/2003, conv. in l. n. 326/2003;
art. 3, l. reg. Lombardia n. 31/2004), poichè, a differenza del vincolo paesaggistico, il vincolo storico “incide su un’entità esistente al momento dell’efficacia dell’apposito provvedimento ministeriale . . . ma solo per il dato oggettivo esistente a quel momento, per cui quanto eseguito prima non assume rilevanza alcuna per detto vincolo”. D’altra parte, la l. reg. Lombardia n. 31/2004, prevede che le opere abusive “non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora il vincolo comporti in edificabilità assoluta e sia stato imposto prima dell’esecuzione delle opere”, di modo che, laddove il vincolo sia stato imposto successivamente, ne consegue la sua irrilevanza ai fini del condono;

b) violazione art. 3 l. n. 241/1990;
eccesso di potere per erronea valutazione dei presupposti di fatto;
per mancata, insufficiente ed inadeguata motivazione;
per difetto di istruttoria;
per sviamento in ordine all’incidenza delle opere abusive rispetto all’oggetto del vincolo;
per mancata specificazione dell’interesse pubblico da tutelare;
per statuizione irragionevole o sviamento della causa;
ciò in quanto la Soprintendenza, non visionando la documentazione, “ha espresso un giudizio assolutamente immotivato sulla base di considerazioni supposte ma avulse dal dato fattuale”. Né la Soprintendenza “ha precisato in alcun modo perché il modesto intervento rappresenti una alterazione significativa dei manufatti storici”;

c) errata statuizione in ordine alle spese.

Il Comune di Nuvolento non si è costituito in giudizio. Si è invece costituito l’appellato Ministero per i beni e le attività culturali..

All’udienza di trattazione la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

2. L’appello è infondato e deve essere, pertanto, respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata, con le integrazioni di motivazione di seguito esposte.

Giova premettere, in fatto, che il complesso “ex Monastero dell’Arsana” – cui attengono gli abusi dichiarati non sanabili – è stato dichiarato, nel 1994, “di interesse particolarmente importante ai sensi della legge 1 giugno 1939 n. 1089” ed è stato conseguentemente sottoposto a tutte le disposizioni di tutela contenute nella legge stessa.

L’art. 32, co. 27 d.l. 30 settembre 2003 n. 269, conv. in l. 24 novembre 2003 n. 326, recante disposizioni in tema di cd. condono edilizio, prevede, in particolare, che sono opere comunque non suscettibili di sanatoria quelle che (lett. e), “siano state realizzate su immobili dichiarati monumento nazionale con provvedimenti aventi forza di legge o dichiarati di interesse particolarmente rilevante ai sensi degli articoli 6 e 7 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490”.

Tali articoli dell’(allora vigente) Testo Unico delle disposizioni in materia di beni culturali e ambientali sono quelli che riportano, nell’ambito del citato Testi Unico, le disposizioni di imposizione di vincolo e tutela di cui alla l. n. 1089/1939.

Infatti, l’art. 2, co. 1, lett. a) – richiamato dall’art. 6 indicato dalla disposizione sul cd. condono edilizio sopra riportata – si riferisce alle “cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o demoetnoantropologico”.

Nel caso di specie, dunque, ricorre l’ipotesi di un immobile oggetto di vincolo storico-artistico, diretto e puntuale., in ordine al quale il citato art. 32, co. 27, lett. e) inibisce la possibilità di sanatoria.

Diversa – ma non ricorrente nel caso di specie – è l’ipotesi di un bene oggetto di vincoli a tutela degli interessi idrogeologici o delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali”: infatti, per tali beni il medesimo art. 32, co.. 27, lett. d), impedisce la sanabilità delle opere solo se i vincoli siano stati “istituiti prima della esecuzione di dette opere”.

Allo stesso modo di quanto previsto dal citato art. 32, co. 27, lett. d), l’art. 3 l. reg. Lombardia 3 novembre 2004 n. 31, prevede:

(comma 1) : “Nelle aree soggette a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, nonché dei beni ambientali e paesaggistici, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora il vincolo comporti inedificabilità assoluta e sia stato imposto prima dell’esecuzione delle opere”.

Tanto precisato, il Collegio ritiene che, nel caso di opere illecitamente realizzate su immobili oggetto, anche in epoca successiva all’abuso, di vincolo storico – artistico, quali opere “di interesse particolarmente rilevante”, non possa farsi luogo a rilascio di concessione in sanatoria.

In primo luogo, occorre osservare, in linea generale, che ciò che rileva è il regime giuridico del bene al momento di presentazione della domanda di sanatoria, prevista dalla legge per la condonabilità degli abusi.

Ed infatti, sempre in linea generale, quale che sia il vincolo successivamente imposto, resta il fatto che il manufatto realizzato ex novo o l’intervento su manufatto preesistente costituiscono illecito, di modo che il vincolo sopravvenuto non costituisce una limitazione imposta ex post alle facoltà del proprietario, a suo tempo legittimamente esercitate, bensì condizione ostativa (ove non altrimenti previsto dalla legge) al rilascio di concessione in sanatoria.

Ed infatti, proprio perché tale è il regime generale di operatività dei vincoli sopravvenuti, l’art. 32 d.l. n. 269/2000 ha espressamente precisato, con riguardo a determinate tipologie di vincoli (ed in tal modo inserendo una evidente disposizione di eccezione), che questi si oppongono alla sanabilità dell’opera, solo se imposti prima dell’abuso commesso.

Ma tale previsione normativa – formulata per i tipi di vincolo indicati dalla lett. d) del comma 27, art. 32 – proprio perché non ripetuta per i diversi beni di cui alla successiva lett. e), tra i quali rientra quello oggetto del presente giudizio, esclude espressamente detti beni (e le opere sugli stessi illecitamente realizzate) dalla possibilità di condono edilizio. Ciò conferma ulteriormente che, in ordine ai beni “di interesse particolarmente rilevante”, trova applicazione la regola generale che conferisce rilevanza al regime giuridico dei beni al momento di presentazione della domanda di condono.


3. Quanto sin qui esposto – ad integrazione della motivazione con la quale la sentenza impugnata ha rigettato il ricorso instaurativo del giudizio di I grado – oltre a fondare il rigetto del primo motivo di appello (sub a) dell’esposizione in fatto), comporta anche la reiezione del secondo motivo di appello, con il quale, in sostanza, si censura un difetto e/o insufficienza di motivazione in ordine alla “rilevanza” degli abusi considerati non sanabili.

Fermo quanto già affermato in relazione all’art. 32, co. 27, lett. e) d.l. n. 269/2003, occorre innanzi tutto ricordare che le valutazioni espresse dalle Soprintendenze del Ministero per i beni e le attività culturali costituiscono valutazioni tecniche, censurabili in sede di sindacato giurisdizionale di legittimità, solo allorchè esse presentino palese irragionevolezza, illogicità, ovvero siano il frutto di errori di fatto.

Nel caso di specie, ed attesa la natura del bene immobile considerato e del vincolo sullo stesso apposto, appare sufficiente, onde esprimere parere negativo al condono, quanto affermato dalla Soprintendenza, in termini di “alterazione significativa dei manufatti storici” e di utilizzo di “forme e materiali non consoni al contesto vincolato”. A ciò aggiungasi che la valutazione dell’interesse pubblico compromesso (della quale gli appellanti lamentano l’assenza) è già ex se insita nella constatazione della presenza di opere su immobile oggetto di vincolo storico-artistico.

Né rileva – proprio alla luce del tipo di vincolo imposto – l’eventuale assenza di verifiche in loco.

Per le ragioni esposte, anche il secondo motivo di appello (sub b) dell’esposizione in fatto) deve essere rigettato.

Analogamente deve essere rigettato il terzo motivo di appello, con il quale si censura la statuizione di condanna alle spese.

Come è noto, in sede di regolazione delle spese, il giudice è attributario di ampia discrezionalità, da esercitarsi nella considerazione, oltre che della intervenuta soccombenza, degli ulteriori elementi indicati dagli artt. 91 ss. cod. proc. civ, cui rinviano gli artt. 88 e 39 Cpa. E tanto ha effettuato il primo giudice, con valutazione che non presenta profili di irragionevolezza.

Per tutte le ragioni esposte, l’appello deve essere rigettato, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

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