Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-11-25, n. 201405831

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2014-11-25, n. 201405831
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201405831
Data del deposito : 25 novembre 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03554/2014 REG.RIC.

N. 05831/2014REG.PROV.COLL.

N. 03554/2014 REG.RIC.

N. 03938/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3554 del 2014, proposto da:
Regione Puglia, in persona del Presidente pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. F P, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, n. 2;

contro

E C, F S, S B, O R C, M Q, G R, U P, B M e V P, rappresentati e difesi dagli avv. M L e L B, con domicilio eletto presso Giuseppe Raguso in Roma, via Muzio Clementi, n. 9;
Umberto Orsini;

nei confronti di

Azienda Ospedaliera Universitaria Consorziale Policlinico di Bari, in persona del legale rappresentante pro-tempore;



sul ricorso numero di registro generale 3938 del 2014, proposto da:
Azienda Ospedaliero Universitaria Consorziale Policlinico di Bari, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Alessandro Delle Donne, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, n. 2;

contro

E C, F S, S B, O R C, M Q, G R, U P, B M, V P, rappresentati e difesi dagli avv. M L, L B, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Giuseppe Raguso in Roma, via Muzio Clementi, n. 9;
Umberto Orsini;

nei confronti di

Regione Puglia, in persona del Presidente pro-tempore;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. Puglia – Bari, Sezione I, n. 65/2014, resa tra le parti, concernente rideterminazione quota tariffe attività professionale libera all'esterno della struttura ospedaliera.


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di E C, F S, S B, O R C, M Q, G R, U P, B M,V P Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 ottobre 2014 il Cons. P A A P e uditi per le parti gli avvocati Panizzolo, Raguso su delega di Langiulli e di Biasi, Francioso su delega di Delle Donne;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. - I ricorrenti in primo grado sono dirigenti medici in servizio presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Consorziale Policlinico di Bari, che esercitano l’attività libero professionale in regime di intramoenia (ALPI) cosiddetta allargata, e cioè all’esterno della struttura ospedaliera, al di là dell’impegno di servizio.

Con deliberazione n. 1226 del 12 giugno 2012, la Giunta regionale pugliese decideva che i Direttori Generali delle Aziende ed Enti del Servizio Sanitario Regionale entro quindici giorni avrebbero rideterminato il valore della quota delle tariffe ALPI, a favore delle Aziende, in misura non inferiore al 30%, a copertura dei costi di gestione.

Con la deliberazione del Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Consorziale Policlinico di Bari n. 1244 del 23 ottobre 2012, in applicazione della citata D.G.R. n. 1226 e del decreto legge n. 158 del 13.9.2012, si era stabilito di conseguenza.

Successivamente, con deliberazione del Direttore Generale n. 1473 dell’11 dicembre 2012, veniva revocata la deliberazione n. 1244 del 23.10.2012, a seguito della richiesta delle Organizzazioni Sindacali Aziendali dell’Area Medica, formulata con nota n. 102837 del 5 dicembre 2012.

Con delibera n. 30 del 15 gennaio 2013, l’Azienda Ospedaliera deliberava nuovamente di disporre l’aumento della quota percentuale delle tariffe per la copertura dei costi di gestione pari al 30% e di destinare al personale atipico non sanitario, indispensabile all’organizzazione dell’attività intramoenia, le quote calcolate dalle UU.OO. cliniche proponenti, liquidandole in favore degli stessi, sotto forma di incentivazione alla produttività.

2. - Con ricorso al TAR Puglia, veniva impugnata la citata deliberazione n. 30/2013 e, ove necessario e nei limiti di interesse, la presupposta delibera di Giunta Regionale n. 1226/2012, di cui il provvedimento costituisce attuazione concreta.

I ricorrenti deducevano l’illegittimità dell’introduzione da parte della Regione Puglia, con i gravati provvedimenti attuativi della legge regionale 9.2.2011, n. 2 (di approvazione dell’Accordo sottoscritto in data 29 novembre 2010 tra il Ministro della Salute, il Ministro dell’Economia e delle Finanze ed il Presidente della Giunta regionale, avente ad oggetto il “Piano di rientro e di riqualificazione del sistema sanitario regionale 2010-2012”) di una imposta indiretta sulle attività libero professionali intramoenia, in violazione degli artt. 23, 117, comma 3, e 119, comma 2, Cost., in forza dei quali la Regione (ente privo di un autonomo potere impositivo) può istituire una nuova imposta unicamente in presenza di una disposizione di legge statale che definisca, quanto meno, gli elementi essenziali del tributo, non potendosi riconoscere nell’art. 1, comma 796, lett. p) e p-bis) legge n. 296/2006 (legge finanziaria 2007) l’indispensabile fondamento normativo primario a supporto dell’esercizio del potere regionale impositivo.

Il disposto aumento della quota percentuale delle tariffe a favore dell’Azienda per la copertura dei costi di gestione pari al 30%, non opererebbe alcuna differenziazione, inoltre, relativamente alla entità del prelievo, tra medici che operano in intramoenia “ordinaria” (cioè in strutture del S.S.N.) e medici che operano al di fuori, sopportandone direttamente i costi, con oneri maggiori, realizzando una ulteriore disparità di trattamento.

I provvedimenti impugnati non concretizzerebbero alcuna forma di compartecipazione alle specifiche prestazioni sanitarie rese dal professionista (consentite dall’art. 1, comma 796, lett. p-bis), punto 2 legge n. 296/2006), ma al contrario realizzerebbero il finanziamento della spesa generale sanitaria, in assenza di qualsivoglia sinallagmaticità, essendo già interamente a carico dell’assistito la spesa corrispondente alle prestazioni professionali.

I ricorrenti chiedevano, conseguentemente, sollevarsi questione di legittimità costituzionale della previsione di cui all’art. 1 legge Regione Puglia n. 2/2011, di approvazione del Piano regionale di rientro, per contrasto con gli artt. 23, 117 e 119, comma 2, Cost..

3. - Il TAR Puglia accoglieva il ricorso, ritenendo che l’aumento della quota tariffaria in favore dell’Azienda, di cui trattasi, non ha finalità di compartecipazione ai costi per le prestazioni rese intramoenia nell’ambito del S.S.N., e si pone, invece, così come prospettato dai ricorrenti, quale misura sostanzialmente tributaria di imposizione indiretta, derivante dall’attività intramoenia, volta al finanziamento della generale spesa del S.S.N..

Richiamava un precedente del T.A.R. Umbria, Perugia, Sez. I, 18 gennaio 2013, n. 20, su “analogo” ricorso di dirigenti del ruolo sanitario esercenti attività libero professionale in regime di cd. intramoenia, secondo cui le “misure di partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie” previste dall’art. 1, comma 796, lettera p-bis, punto 2) legge n. 296/2006 (che possono essere adottate dalle Regioni) possono avere, quale unica finalità, quella di compartecipazione alle prestazioni del S.S.N..

Verrebbe a mancare, in definitiva, il rapporto sinallagmatico tra la prestazione imposta ed il beneficio che gli assistiti ne ricevono, requisito indispensabile per escluderne la natura tributaria.

Il TAR condivideva, quindi, le considerazioni svolte nel citato precedente giurisprudenziale, e cioè, in definitiva, che la misura avrebbe dovuto essere introdotta mediante legge dello Stato, non disponendo la Regione di una potestà impositiva autonoma.

Inoltre, il TAR non ha ritenuto necessario sollevare questione di costituzionalità dell’art. 1 legge Regione Puglia n. 2/2011, nella parte in cui ha recepito il Piano di rientro ed, in particolare, il punto B3.7, che alla Sezione “Iniziative da intraprendere” contempla la possibilità dell’ “Approvazione di una legge regionale che preveda l’aumento della quota percentuale delle tariffe a favore dell’Azienda”.

La “legge regionale” di cui si fa menzione al citato punto B3.7 del Piano di rientro non è mai stata adottata, poiché la Regione Puglia ha provveduto all’aumento della quota percentuale delle tariffe con la gravata D.G.R. n. 1226/2012 e, successivamente, per quanto qui interessa, con la contestata deliberazione n. 30/2013 del Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Consorziale Policlinico di Bari, e cioè con meri provvedimenti amministrativi, il cui annullamento soddisfa l’interesse dei ricorrenti.

4. - Propongono appelli autonomi la Regione Puglia e l’Azienda Ospedaliera Universitaria Consorziale Policlinico di Bari, deducendo l’erroneità della sentenza, innanzitutto, per non aver rilevato l’inammissibilità e irricevibilità del ricorso di primo grado, in violazione dell’art. 35 c.p.a, essendo i provvedimenti impugnati meramente attuativi delle prescrizioni contenute nel Piano di Rientro, stipulato dalla Regione il 29.11.2010, aventi carattere vincolante, ed in difetto di un effettivo interesse dei ricorrenti all’annullamento.

Inoltre, tardiva sarebbe l’impugnazione della D.G.R. n. 1226/2012, pubblicata sul BURP del 4.7.2012.

Errati sarebbero, infine, i presupposti di fatto e di diritto della sentenza e non pertinente il richiamo al precedente del TAR Umbria (sentenza n. 20/2013).

5.- All’udienza del 16 ottobre 2014, gli appelli sono stati trattenuti in decisione.

DIRITTO

1. - Preliminarmente, vanno riuniti gli appelli in epigrafe, proposti avverso la stessa sentenza, ai sensi dell’art. 97, I comma, cod.proc.amm..

2. - Gli appelli sono fondati.

2.1. - Innanzitutto, sotto i preliminari profili d’inammissibilità sollevati dalle Amministrazioni, non può tacersi il consistente dubbio circa la sussistenza delle condizioni dell’azione, e, precisamente, di una “posizione giuridica” tutelata, individuale e differenziata, e/o quantomeno, circa la sussistenza di una lesione concreta e attuale di un interesse giuridicamente rilevante, facente capo ai medici ricorrenti in primo grado, che qualifica il loro interesse ad agire, ex art. 100 c.p.c..

Va rilevato, infatti, che la misura d’incremento “della quota percentuale delle tariffe a favore dell’Azienda” di cui si discute, non è certo possa avere, allo stato, una ricaduta negativa a carico dei medici ricorrenti e non sembra aver determinato, in atto, alcun mutamento sostanziale o formale del rapporto professionale intramoenia.

La delibera n. 30 del 15.1.2013 impugnata prevede, difatti, testualmente, la diminuzione “là dove è necessario” di una pari percentuale della quota destinata al personale coinvolto nell’ALPI.

Dal tenore della delibera, in altri termini, non è desumibile se e in che misura si verrà a determinare una riduzione dei compensi spettanti ai medici;
né se e in che misura “l’aumento di quota delle tariffe a favore dell’Azienda” si riverserà piuttosto sull’utenza, comportando un aumento del costo delle prestazioni a carico degli assistiti. Difatti, ai sensi dell’art. 12, comma 3, della l.r. 19/2010, solo nelle more dell’approvazione del provvedimento che modifica “la quota” a favore dell’Azienda, “le tariffe per l’attività libero professionale intramoenia sono bloccate a quelle approvate al 30 giugno 2010 e non possono essere modificate”.

Conseguentemente, non essendo certo, allo stato, che l’aumento della “quota” delle tariffe in favore dell’Azienda andrà ad incidere negativamente sui compensi dei professionisti, sembrando del tutto aleatoria tale possibilità, tant’è che neppure i ricorrenti si soffermano sul punto, se ne conclude che

la delibera aziendale impugnata viene a ledere, nella sfera dei medici ricorrenti, la mera aspettativa a non veder ridotto il proprio reddito.

Tale aspettativa di carattere economico, la cui tutelabilità è essa stessa discutibile ( involgendo la questione se si possa configurare una sorta di immutabilità della “retribuzione tariffaria” di prestazioni rese intramoenia, sia pure nella modalità “intramoenia c.d. allargata” ) non sembra sufficiente, ad avviso del Collegio, a configurare l’interesse concreto e attuale al ricorso, presupposto dell’azione amministrativa.

2.2. - Anche sotto altro profilo, il ricorso introduttivo del giudizio sembrerebbe inammissibile, essendo i provvedimenti gravati meramente esecutivi del “piano di rientro”, sottoscritto dalla Regione Puglia con i Ministri della Salute e dell’Economia e Finanze il 29.11.2010, e recepito con la citata legge regionale n. 2/2011;
le stesse censure svolte sembrano rivolte essenzialmente nei confronti della disposizione del piano de qua, approvata con la detta legge regionale.

E’ opportuno rammentare che la legislazione in questa materia ha preso le mosse dall’art. 1, comma 180, della legge 30.12.2004 n.311 (Legge finanziaria 2005), che ha stabilito che la Regione, in cui siano accertati rilevanti disavanzi di gestione del Servizio sanitario regionale il cui ripiano non è conseguibile attraverso strumenti ordinari, possa stipulare con lo Stato apposito accordo allo scopo di individuare gli interventi necessari per il perseguimento dell’equilibrio economico nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza.

All’accordo è allegato un programma operativo di riorganizzazione, riqualificazione o potenziamento del Servizio sanitario regionale, di durata non superiore al triennio (il cosiddetto “piano di rientro”).

L'art. 1, comma 796, lett. b), l. n. 296 del 2006 ha reso vincolanti, per le regioni che li abbiano sottoscritti, gli interventi individuati negli atti di programmazione necessari per il perseguimento dell'equilibrio economico, oggetto degli accordi di cui all'art. 1, comma 180, l. n. 311/2004.

La norma statale che assegna a tale accordo carattere vincolante, per le parti tra le quali è intervenuto, è stata qualificata come espressione di un principio fondamentale, diretto al contenimento della spesa pubblica sanitaria e, dunque, espressione di un correlato principio di coordinamento della finanza pubblica (Corte Cost. nn. 40 e 100 del 2010).

Le Regioni sono obbligate, inoltre, a rimuovere i provvedimenti anche legislativi di segno contrario e a non adottarne di nuovi che siano di ostacolo alla piena attuazione del piano di rientro, prevedendosi, tra l’altro, poteri sostitutivi anche normativi del Consiglio dei Ministri, ex art. 120 Cost., per il superamento di quegli ostacoli (art. 2, comma 77, e per altri profili, commi da 80 a 95, della l. n. 191 del 23.12.2009).

Venendo alla controversia in esame, la questione verte essenzialmente sulle disposizioni vincolanti del “piano di rientro” sottoscritto dalla Regione nel 2010: non vi è dubbio, infatti, che gli atti amministrativi della cui legittimità si discute nel presente giudizio siano stati adottati per dare attuazione al piano e si caratterizzino come atti “meramente esecutivi” dello stesso, dal contenuto vincolato.

Non può, dunque, prescindersi dalla considerazione, per un verso, della natura giuridica del piano (riconducibile alla categoria degli “accordi negoziali” tra enti pubblici, con possibilità di limitare l’autonomia legislativa delle Regioni in materia di tutela della salute in funzione della necessità di provvedere al risanamento del disavanzo sanitario, per cui ne verrebbe in rilievo il valore “politico”);
e, per altro verso, non può prescindersi dall’ulteriore considerazione relativa agli strumenti di tutela di cui i privati dispongono nei confronti di atti (formalmente legislativi) che approvano un atto amministrativo (c.d. legge-provvedimento di approvazione).

La Corte Costituzionale ha avuto modo di osservare, al riguardo, che, poichè il sistema di tutela segue la natura giuridica dell’atto contestato, i diritti di difesa del cittadino si trasferiscono in tal caso dalla giurisdizione amministrativa alla giustizia costituzionale (Corte Cost. 16 febbraio 1993, n. 62): in sintesi, la legge-provvedimento, ancorché approvativa di un atto amministrativo, può essere sindacata, previa intermediazione del giudice rimettente, solo dal suo giudice naturale, cioè dalla Corte costituzionale.

La violazione dei principi che normalmente presiedono all’attività amministrativa può essere invocata anche in caso di leggi-provvedimento, allorché emerga l’arbitrarietà e la manifesta irragionevolezza della disciplina denunciata, desumibili anche dalla carenza di ogni valutazione degli elementi in ordine alla situazione concreta sulla quale la legge è chiamata ad incidere o dall’evidente incoerenza del provvedimento legislativo in relazione all’interesse pubblico perseguito (Corte cost., nn. 63;
248;
306 e 347 del 1996).

La protezione del privato, dunque, trova riconoscimento attraverso il sindacato costituzionale di ragionevolezza della legge, ancor più incisivo di quello giurisdizionale sull’eccesso di potere.

Sicchè, venendo al caso in esame, la lesione che i ricorrenti prospettano, derivando in definitiva dalle scelte compiute a monte con il “piano di rientro” e, in definitiva, con la legge regionale di approvazione, potrebbe tutt’al più configurare una questione di legittimità costituzionale della legge regionale n. 2/2011.

Va ricordato che i ricorrenti in primo grado avevano sollevato questione di costituzionalità dell’art. 1 della legge regionale n. 2/2011 per contrasto con gli artt. 23, 117 e 119, comma 2, della Costituzione, sotto il profilo della incompetenza del legislatore regionale ad adottare misure di carattere tributario, difettando di autonoma potestà in tal senso.

Questione che il primo giudice ha ritenuto, però, non rilevante, posto che l’annullamento dei censurati provvedimenti sarebbe stato idoneo a soddisfare la pretesa di parte ricorrente.

Ritiene il Collegio, non condivisibile tale conclusione.

Per le considerazioni sopra svolte, solo la Corte Costituzionale avrebbe competenza a valutare la legittimità del piano.

Tuttavia, il Collegio ritiene manifestamente infondata la questione: la misura contestata si inquadra nell’ambito del coordinamento tra stato e regioni in materia di finanza pubblica, e della competenza concorrente delle regioni in materia di tutela della salute ( art. 117, comma 3, Cost.);
è frutto di scelte discrezionali, concordate tra Stato e Regione, che appaiono, prima facie, non irragionevoli e sproporzionate rispetto al fine perseguito, ovvero la finalità di equilibrio unitario della finanza pubblica e la necessità di una gestione del servizio intramoenia che tenga conto adeguatamente delle caratteristiche singolari del servizio e della necessità di assicurare tendenzialmente l’equilibrio tra costi e ricavi nella gestione separata.

2.3. - A prescindere dagli esaminati profili, gli appelli sono comunque fondati.

La sentenza appellata ha ritenuto la natura tributaria, o para – tributaria, del contestato aumento di quota tariffaria destinata all’Azienda: si tratterebbe di “sostanziale imposta indiretta sulle attività”, destinata a finanziare in generale la spesa sanitaria.

Il presupposto da cui muove il primo giudice non è corretto.

Tale assunto è smentito, innanzitutto, dal tenore letterale della deliberazione di G.R. n. 1226 del 12.6.2012, ove è chiaramente detto, richiamando il punto B 3.7 del piano, che l’aumento della quota percentuale delle tariffe a favore dell’Azienda è finalizzata al raggiungimento dell’obiettivo “dell’aumento di utile per rimborso spese” sostenute dalle Aziende sanitarie, in relazione al “monitoraggio e impulso delle attività di libera professione”.

Analogamente, dispone il provvedimento aziendale impugnato (delibera n 30/2013), il quale individua la finalità dell’aumento della quota tariffaria a favore dell’Azienda nella “copertura dei costi di gestione”, conformemente al disposto dell’art. 12, comma 2, lett. d) della l.r. n. 19 del 31.12.2010 ( recante “Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2011 e bilancio pluriennale 2011-2013 della Regione Puglia”) e alle disposizioni del punto B 3.7 del “piano di rientro”.

A monte, “il piano di rientro” si preoccupa di conseguire l’azzeramento del disavanzo nella contabilità separata relativa alla gestione dell’attività libero professionale intramoenia (ex art. 3, commi 6 e 7, della l. 23.12.1994, n. 724) e, attraverso le iniziative che prescrive (tra cui quella di cui qui si discute), “nelle more della effettiva messa a regime della contabilità analitica separata”, in via programmatica, prevede l’ “aumento utile atteso per rimborso spese Azienda” nella misura di 4,5 milioni di euro per ciascun anno 2011 e 2012.

Il fine perseguito è chiaramente quello di rimborsare le Aziende delle spese e dei costi diretti e indiretti sostenuti per garantire ai medici l’espletamento dell’attività di libera professione, anche svolta presso il proprio studio privato.

Dal monitoraggio regionale (come riportato al punto B 3.7 del piano) era emerso, tra l’altro, che il disavanzo era anche dipendente dalla mancata attivazione da parte delle Aziende di una contabilità separata per l’ALPI, dalla mancanza di un servizio di prenotazione centralizzato e, soprattutto, dalla mancanza di procedure per la riscossione degli onorari sotto la diretta responsabilità delle Aziende.

Non possono, pertanto, essere condivise le conclusioni cui è pervenuto il primo giudice, sulla scorta, peraltro, di argomentazioni mutuate da un precedente giurisprudenziale non calzante (la sentenza n. 20/2013 del TAR Umbria, annullata da questa Sezione con sentenza n. 474 del 3.2.2014) che concerne una diversa fattispecie, ovvero la misura alternativa al ticket di partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie in esecuzione del D.L. n. 98/2011.

Nel caso in esame, invece, l’intervento incide sulla “quota percentuale delle tariffe relative a prestazioni libero professionali intra-moenia da destinare all’Azienda”, con dichiarata finalità di copertura dei costi di gestione, diretti e indiretti, sostenuti dall’Azienda, compresi oneri sociali e imposte, per lo svolgimento dell’attività libero professionale intra-muraria, la quale, per principio normativo non può comportare costi aggiuntivi per l’Azienda, a discapito delle prestazioni che il servizio sanitario nazionale è obbligato ad erogare nell’ambito dei livelli essenziali di assistenza (così anche l’ art. 12, comma 2, lett. i), l.r. n. 19 del 31.12.2010).

L’aumento della “quota percentuale delle tariffe” di cui si discute non ha, pertanto, finalità di finanziamento generale della spesa del S.S.N., come impropriamente ritenuto dal primo giudice.

Dunque, non ha fondamento la tesi dei medici ricorrenti, fatta propria dal TAR, che la Regione abbia introdotto un nuovo tributo con la l.r. 2/2011, attuata a mezzo delle delibere gravate, debordando dalle proprie competenze.

Irrilevante è, inoltre, ai fini considerati dal “piano di rientro”, testé esaminati, la differenziazione se la prestazione libero professionale sia stata resa in regime di intramoenia (all’interno della struttura ospedaliera) o di intramoenia c.d. allargata (presso studi esterni autorizzati), come nel caso che ci occupa.

3. - In conclusione, gli appelli vanno accolti.

4. – Le spese di giudizio si compensano tra le parti, attesa la novità delle questioni trattate.

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