Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2010-07-06, n. 201004280

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2010-07-06, n. 201004280
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201004280
Data del deposito : 6 luglio 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 11460/2004 REG.RIC.

N. 04280/2010 REG.DEC.

N. 11460/2004 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 11460 del 2004, proposto da:
L A, rappresentato e difeso dagli avv. F A, S G, con domicilio eletto presso lo studio legale del primo in Roma, via Ruggero Fauro N. 59;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del Ministro e legale rappresentante pt, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I TER n. 3630/2004, resa tra le parti, concernente ISTANZA DI REVOCA DIVIETO DI DETENZIONE ARMI E MUNIZIONI (SILENZIO-RIFIUTO).


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 giugno 2010 il Consigliere di Stato G Castriota Scanderbeg;

Nessuno è comparso per le parti.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

E’ impugnata la sentenza del Tar Lazio n. 3630 del 29 aprile 2004 con la quale è stato rigettato il ricorso dell’odierno appellante avverso i provvedimenti tutti ( meglio indicati nell’epigrafe della impugnata sentenza) recanti il divieto di detenere armi e munizioni, il rigetto del ricorso gerarchico avviato avverso il provvedimento inibitorio di base ( dapprima a titolo provvisorio e poi a titolo definitivo) e, da ultimo, avverso il silenzio-rifiuto formatosi sulla istanza di revoca avanzata dallo stesso ricorrente.

L’appellante insiste nel sostenere la illegittimità degli atti impugnati, sostanzialmente alla luce del venir meno del presupposto fattuale posto a base dei provvedimenti di ritiro ( e cioè del ritiro della denuncia per fatti di violenza familiare in un primo tempo presentata dalla moglie convivente).

All’udienza pubblica del 22 giugno 2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Il ricorso è infondato.

Come ben messo in evidenza dal Tar nella gravata sentenza, il divieto di detenere armi adottato dalla Autorità di pubblica sicurezza ai sensi dell’art. 39 del RD 18 giugno 1931 n.773 è caratterizzato da tratti significativi di discrezionalità, dato che è fondato su un giudizio prognostico di non abuso delle armi da parte del titolare, che ben può essere basato su elementi anche soltanto di carattere indiziario.

Nel caso di specie il paventato pericolo di abuso delle armi in possesso del ricorrente di primo grado è maturato all’esito di una denuncia per gravi fatti di violenza occorsi all’interno delle mura domestiche da parte della moglie del ricorrente medesimo.La circostanza che tale denuncia sia stata successivamente ritirata non è ostativa alla valutazione dei fatti nella stessa evidenziati ai fini della configurazione di un quadro indiziario che, come correttamente ritenuto dalla competente autorità di pubblica sicurezza, depone per il ritiro in confronto del signor Antonio Labate del titolo di polizia utile alla detenzione delle armi, se non altro per ragioni di prevenzione generale del crimine ( oltre che per finalità di prevenzione speciale).

Per ciò che riguarda la impugnativa del silenzio rifiuto che si sarebbe formato sulla domanda del ricorrente del 14 ottobre 2003 mirante ad ottenere la revoca del provvedimento prefettizio di divieto di detenere armi e munizioni, correttamente il Tar ha rilevato che non sussisteva l’obbligo di provvedere da parte del Prefetto, a fronte di una impugnativa in via gerarchica previamente proposta dall’interessato, che ha consentito allo stesso il riesame della situazione giuridica dedotta ( sia pur con esito infausto, avuto riguardo ai contenuti del decreto ministeriale di rigetto del 5 novembre 2003).

Per le ragioni che precedono l’appello deve essere respinto e deve essere confermata la impugnata sentenza.

Le spese di lite devono essere compensate tra le parti, ricorrendo le particolari condizioni di legge per far luogo a tale pronuncia.

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